In tema di successione necessaria, per accertare la lesione della quota di riserva va determinato il valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e della quota di legittima. A tal fine, occorre procedere alla formazione del compendio dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell’apertura della successione; quindi, alla detrazione dal “relictum” dei debiti, da valutare con riferimento alla stessa data; e, ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e “donatum”, costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell’apertura della successione (artt. 747 e 750 cod. civ.) e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 cod. civ.). Devono calcolarsi, poi, la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma tra il valore del “relictum” al netto ed il valore del “donatum” ed imputarsi, infine, le liberalità fatte al legittimario, con conseguente diminuzione, in concreto, della quota ad esso spettante (art. 564 cod. civ.).

Per ulteriori approfondimenti in materia di successioni e donazioni, si consigliano i seguenti articoli:

Il testamento olografo, pubblico e segreto.

La donazione art 769 c.c.

La revoca della donazione.

Tribunale|Bolzano|Sezione 1|Civile|Sentenza|25 marzo 2020| n. 330

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI BOLZANO – PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott.ssa Maria Cristina Erlicher Presidente

dott.ssa Elena Covi Giudice

dott.ssa Cristina Longhi Giudice relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta al n. R.G. 1192/2016 promossa da: parte attrice:

OS.RO. (C.F. (…)) e

UL.RO. (C.F. (…)), entrambi rappresentati e difesi, giusta procura in calce all’atto di citazione dd. 19.02.2016, dall’avv. CO.AN. ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore in Corso (…), 39100 Bolzano

contro

parte convenuta:

PE.RO. (C.F. (…)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta dd. 09.06.2016, dall’avv. GR.MI., ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in via (…), 39100 Bolano

parte intervenuta:

VI.RO. (C.F. (…)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla comparsa di intervento volontario dd. 23.05.2017, dall’avv. CO.AN., ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in corso Italia n. 17, 39100 Bolzano in punto: azione di riduzione

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. In data 13.10.2013 moriva la sig.ra He.Or., comune madre degli attori Os.Ro. e Ul.Ro. e del convenuto Pe.Ro., nonché moglie dell’intervenuto Vi.Ro..

In data 29.10.2013 veniva pubblicato il testamento olografo dalla stessa redatto, mediante il quale la de cuius istituiva quale erede universale il figlio Pe.Ro..

Con atto di citazione dd. 19.02.2016 gli attori formulano domanda di accertamento della lesione della propria quota di legittima, chiedendo di accertare e dichiarare la propria qualità di eredi in morte della comune madre Or.He. e conseguentemente disporsi la riduzione delle disposizioni testamentarie illegittime nella misura necessaria alla reintegrazione delle rispettive quota di legittima (anche previo rendiconto agli attori, da parte del convenuto Pe.Ro., della gestione della p.f. (…) in P.T. (…) c.c. Salorno e corresponsione dei relativi frutti naturali e/o civili, da imputarsi alla massa).

Chiedevano quindi che il convenuto Pe.Ro. provvedesse alla restituzione agli attori, in natura e pro quota, di tutti i beni ereditari, oltre agli interessi dall’apertura della successione al saldo.

In caso di reintegrazione mediante corresponsione dell’equivalente in denaro chiedevano attribuirsi loro, oltre agli interessi legali, anche la rivalutazione monetaria dall’apertura della successione sino al saldo.

Si costituiva in giudizio il convenuto Pe.Ro., eccependo l’improcedibilità della domanda per mancata quantificazione del valore della massa ereditaria e della quota di legittima, ed in via subordinata riconoscendo il diritto degli attori alla loro quota di legittima, da determinarsi secondo le regole codicistiche e computando quanto dagli attori già ricevuto dalla de cuius.

Si opponeva alla richiesta di rendicontazione relativa alla coltivazione del frutteto p.f. (…) P.T. (…) c.c. Salorno, rilevando che l’immobile gli fosse stato ceduto in affitto dalla de cuius in data 27.01.2000 con contratto avente durata di dieci anni, previsione che, in quanto nulla ai sensi dell’art. 2 L. 203/1982, avrebbe dovuto essere automaticamente sostituita, ex art. 1339 c.c., dalla disposizione normativa che fissava la durata minima in quindici anni.

Di conseguenza, dovendo il contratto essere considerato valido ed efficace sino al 27.01.2015, ed essendo il convenuto divenuto proprietario del fondo nel 2013, giusta testamento sopra indicato, eccepiva l’infondatezza della chiesta rendicontazione.

Osservava inoltre che eventualmente i frutti sarebbero stati da considerare dovuti soltanto a decorrere dal giorno della domanda, come previsto dall’art. 561 c.c. ed infine rilevava che nessun obbligo di rendicontazione ricorresse nel caso in esame.

Con comparsa dd. 23.05.2017, interveniva volontariamente nel giudizio ex art. 105 c.p.c. Vi.Ro., marito della de cuius e comune padre degli attori e del convenuto, affermando la propria qualità di legittimario pretermesso, dichiarando di voler far valere i propri diritti successori nei confronti del convenuto Pe.Ro. ed aderendo alle domande formulate dagli attori.

La causa veniva istruita mediante assunzione di consulenza tecnica d’ufficio e successivamente a mezzo di testimoni. Infine, veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni formulate all’udienza dd. 12.12.2019.

2. Vi.Ro. ha spiegato intervento volontario autonomo, facendo valere in un processo pendente tra altre parti, un diritto proprio in conflitto con una sola parte del giudizio (il convenuto Pe.Ro.) (c.d. intervento litisconsortile o adesivo autonomo), connesso sia sotto il profilo del petitum che sotto quello della causapetendi con le domande avanzate dagli attori.

Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, colui il quale interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand’anche sia ormai spirato il termine di cui all’art. 183 c.p.c. per la fissazione del thema decidendum, senza che tale interpretazione dell’art. 268 c.p.c. violi il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio, poiché l’interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre nuove prove ove sia già intervenuta la relativa preclusione, e di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell’istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare (cfr. Cass. 31939/2019).

L’eccezione di inammissibilità dell’intervento è dunque infondata.

3.1. Gli attori e l’intervenuto – essendosi quest’ultimo associato a tutte le domande e difese dei primi – non hanno impugnato il testamento olografo della de cuius He.Or. dd. 04.10.2013, pubblicato in data 29.10.2013, agendo unicamente al fine della reintegrazione delle rispettive quote di legittima (vedi, ad ulteriore conferma, quanto indicato a pag. 1 della memoria di replica ex art. 190 c.p.c. degli attori e dell’intervenuto: “la questione della eventuale nullità del testamento della signora He.Or. (…) non è mai stata oggetto di domande da parte degli attori e dell’intervenuto; gli stessi agiscono soltanto (…)per reintegrare le rispettive quote di legittima violate”).

La dedotta violazione della quota di legittima sussiste, poiché con il proprio atto di ultima volontà (testamento olografo dd. 04.10.2013) la de cuius ha istituito quale erede universale il solo figlio Pe.Ro., con la conseguenza che sia gli attori Os. e Ul.Ro. sia l’intervenuto Vi.Ro., rispettivamente figli e coniuge, sono legittimari pretermessi.

Giova ricordare che la totale pretermissione del legittimario nella successione testamentaria ricorre qualora il testatore abbia disposto a titolo universale dell’intero asse a favore di altri, con la conseguenza che, a norma dell’art. 457 co. 2 c.c., questi non è chiamato all’eredità ed agisce pertanto in qualità di terzo e non in veste di erede o coerede (cfr. Cass. 3 luglio 2013, n. 16635 e Cass. 7 ottobre 2005, n. 19527).

Il legittimario pretermesso acquista la qualità di erede soltanto a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, per cui non è necessaria l’ulteriore condizione dell’azione integrata dalla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario di cui all’art. 564 co. 1 c.c., essendo sufficiente rientrare tra le persone indicate nell’art. 557 c.c. (Cass. Civ., 3 luglio 2013, n. 16635).

3.2. A mente dell’art. 542 co. 2 c.c., nel caso di concorso di coniuge e figli a questi ultimi è complessivamente riservata la metà del patrimonio (da dividersi tra costoro in parti uguali), mentre la quota di legittima riservata al coniuge è pari ad un quarto. Nel caso in esame, a ciascuno degli attori Ul.Ro. e Os.Ro. ed al convenuto Pe.Ro., figli della defunta sig.ra Or.He., spetta pertanto la quota di 1/6 ed al coniuge Vi.Ro. spetta la quota di 1/4 del patrimonio della de cuius.

Per stabilire il valore della quota di legittima di ciascun erede, l’art. 556 c.c., rubricato “Determinazione della porzione disponibile””, detta le operazioni necessarie per il calcolo della quota di cui defunto poteva disporre, la cd. disponibile.

Tali operazioni consistono:

1) nel calcolo del valore dei beni caduti in successione (il cd. relictum);

2) nella detrazione dei debiti ereditari;

3) nella somma al relictum del valore dei beni donati in vita dal defunto (il cd. donatum), sulla base del loro valore al tempo dell’apertura della successione.

Si parla di riunione fittizia del relictum al donatum poiché si tratta esclusivamente di un’operazione contabile che ha come scopo quello di determinare il valore aritmetico dell’asse ereditario e non comporta un incremento effettivo del relictum (cfr. Cass. Civ., 24.07.2012 n. 12919: “In tema di successione necessaria, per accertare la lesione della quota di riserva va determinato il valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e della quota di legittima. A tal fine, occorre procedere alla formazione del compendio dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell’apertura della successione; quindi, alla detrazione dal “relictum” dei debiti, da valutare con riferimento alla stessa data; e, ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e “donatum”, costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell’apertura della successione (artt. 747 e 750 cod. civ.) e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 cod. civ.). Devono calcolarsi, poi, la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma tra il valore del “relictum” al netto ed il valore del “donatum” ed imputarsi, infine, le liberalità fatte al legittimario, con conseguente diminuzione, in concreto, della quota ad esso spettante (art. 564 cod. civ.)”).

3.3. L’eccezione di inammissibilità della domanda per mancata indicazione e prova degli elementi della massa ereditaria è infondata.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’operazione della c.d. riunione fittizia non costituisce una condizione di procedibilità o di ammissibilità della domanda ma semplicemente un onere a carico di chi agisce in giudizio, il cui mancato assolvimento conduce al rigetto della domanda nel merito.

Non è tuttavia necessaria una precisa indicazione dei concreti valori numerici di riferimento, essendo sufficiente l’allegazione completa degli elementi di fatto necessari a determinare la quota di legittima, al fine di individuare la lesione della stessa e consentire conseguentemente la riduzione delle disposizioni lesive sino alla reintegra della legittima.

Qualora questi elementi vengano allegati e la lesione della legittima sia evidente (come nel caso in esame, avendo la de cuius pretermesso due figli ed il coniuge), la concreta determinazione del valore della quota di riserva spettante agli eredi pretermessi può avvenire in giudizio, senza che la mancata indicazione numerica del valore di essa possa determinare il rigetto della domanda (cfr. Cass. 1357/2017: “La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo che l’attrice, in forza delle allegazioni e delle prove documentali prodotte (atti di provenienza, certificati catastali, dati sulle rendite degli immobili, etc.), avesse assolto il suo onere probatorio, sia pure in via indiziaria, consentendo ai giudici di formulare una presunzione connotata dai caratteri della gravità, precisione e concordanza, che ha giustificato l’esperimento della C.T.U. disposta d’ufficio. Invero, una volta che l’attore in riduzione ha assolto il suo onere probatorio, il giudice ha il dovere di disporre la C.T.U. per stimare il valore dei beni costituenti il relictum e il donatum. La valutazione della sussistenza di una presunzione connotata dai caratteri di cui all’art. 2729 primo comma cod. civ. costituisce apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. Non sussistono le dedotte violazioni di legge, avendo l’attrice assolto il proprio onere di allegazione e di prova”).

Nel caso in esame gli attori hanno allegato in maniera esaustiva, nel proprio atto introduttivo, i beni costituenti il relictum e le donazioni effettuate in vita dalla de cuius; hanno inoltre individuato la quota di legittima riservata a ciascuno di essi e conseguentemente chiesto la riduzione della disposizione testamentaria della de cuius e la conseguente attribuzione dei beni ereditari in natura e pro quota. Peraltro, gli attori hanno anche indicato il valore dei singoli beni costituenti il patrimonio della de cuius (cfr. pagg. 4-5 dell’atto di citazione) e hanno dunque allegato in maniera sufficiente tutti gli elementi necessari in relazione alla domanda spiegata.

3.4. Ciò premesso, occorre procedere alla riunione fittizia, onde quantificare la quota di patrimonio di cui la de cuius poteva liberamente disporre e la quota di riserva di ciascuno dei legittimari pretermessi Ul.Ro., Os.Ro. e Vi.Ro..

Il relictum è costituito dalle seguenti poste attive: a) fondo p.f. (…) in P.T. (…) c.c. Salorno, il cui valore, all’apertura della successione, è stato quantificato dal consulente tecnico in Euro 773.200,00; b) quota del 50% del saldo attivo del c/c (con IBAN (…)), pari ad Euro 33.647,72 (doc. 4 di parte convenuta); c) due depositi bancari (n. (…) e n. (…)) per un totale di Euro 20.000,00 (cfr. doc. 4 di parte convenuta): d) somma di Euro 43.000,00 depositata fiduciariamente dalla de cuius nelle mani dell’attore Os.Ro. (cfr. dichiarazione resa all’udienza dd. 14.02.2019).

Non è stata invece fornita la prova in giudizio della presenza di altri beni facenti parte del relictum, come ad esempio di gioielli e preziosi appartenenti alla de cuius, indicati genericamente dal convenuto come ancora presenti nell’abitazione coniugale.

Corre l’obbligo di rimarcare che l’ispezione ex art. 118 c.p.c. o l’esibizione ex art. 210 c.p.c., costituendo eccezioni al principio generale in tema di onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., possono essere ordinate soltanto qualora venga indicato in via preventiva e specifica l’oggetto delle stesse, con conseguente inammissibilità delle stesse qualora abbiano scopo solo esplorativo. Nel caso in esame il convenuto Pe.Ro. non ha indicato specificamente quali gioielli e preziosi facenti parte dell’asse ereditario si troverebbero ancora in possesso del padre, odierno intervenuto, Vi.Ro..

Neppure le testimonianze assunte in giudizio hanno fornito tale prova. La teste An.Ve. ha dichiarato di aver saputo da Vi.Ro. che quest’ultimo custodirebbe ancora nella cassaforte di casa un orologio da taschino (“Ta.”) e altri gioielli della de cuius ma non ha saputo riferire altri elementi utili ad identificare precisamente tali preziosi (cfr. verbale udienza dd. 14.02.2019 pag. 2).

In mancanza di un’indicazione specifica dell’esistenza di tali beni e della prova dell’appartenenza degli stessi all’asse ereditario e della loro presenza presso l’abitazione di Vi.Ro., un eventuale ordine di esibizione sarebbe meramente esplorativo e come tale inammissibile, per cui il Tribunale non può tenere conto degli stessi.

Non vi sono debiti ereditari da detrarre al relictum così individuato.

Il donatum è costituito dalle seguenti poste: a) Euro 128.263,46 ricevuti da Ul.Ro. (come risulta dal doc. 2 di parte convenuta, nonché dalle stesse allegazioni attoree a pag. 5 dell’atto di citazione); b) Euro 160.101,63 ricevuti da Pe.Ro. (doc. 4 di parte attrice, non contestato dal convenuto).

Non è invece stata dimostrata l’asserita donazione dell’importo di Lire 100.000.000 effettuata dalla de cuius in favore del figlio Os.Ro.. A seguito di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. rivolto alla Ca.Ru. di Salorno, banca trattaria degli assegni che – secondo la rappresentazione del convenuto – sarebbero stati consegnati dalla defunta madre al figlio Os.Ro., l’istituto di credito ha comunicato di non esserne più in possesso essendo ormai decorsi 17 anni dalle operazioni citate (cfr. pec dd. 15.03.2017).

Dalle testimonianze assunte in giudizio non è emersa la prova che la de cuius abbia effettivamente donato tale importo al figlio Os.. Nonostante la teste An.Ve. abbia dichiarato di sapere che He.Or. avesse consegnato al figlio Os. la somma di Lire 100.000.000, ossia parte della somma ottenuta dalla vendita di una casa ricevuta in eredità, costei non ha saputo dire se tale somma sia stata in seguito restituita dal figlio alla madre, dichiarando unicamente di ritenere che l’importo non fosse stato poi restituito, senza precisare da chi fosse venuta a conoscenza di tale circostanza (cfr. verbale udienza dd. 14.02.2019, pag. 2: “Mit einem Anteil des Geldes, das sie bekommen hat, hat sie 100.000.000,00 Lire dem Sohn Os. gegeben, um das Geld dann von ihm zuruckzubekommen. Ich glaube, dass sie das Geld nicht mehr zuruckbekommen hat”). Il teste Ma.Ra., responsabile della filiale di Laghetti della Ca.Ru., ha dichiarato che nel 2001 la sig.ra Or. avrebbe affidato al figlio Os. circa 100.000.000 di Lire e questo li avrebbe investiti e poi prelevati. Tuttavia, il teste non ha saputo riferire né se tali soldi siano stati restituiti alla madre, né se un accordo di restituzione fosse effettivamente sussistente (cfr. verbale udienza dd. 14.02.2019 pag. 3: “So che la sig.ra Or., all’incirca all’inizio del 2001, aveva affidato al figlio Os. dei soldi per la gestione, si trattava di circa 100.000.000 di Lire, attualmente 50.000 Euro. Ricordo che il figlio li aveva investiti in fondi di investimento per ottenere un maggiore rendimento. Non so da dove provenissero i soldi della sig.ra Or.. So che poi i soldi sono stati prelevati dal sig. Os. e non so cosa ne sia stato fatto. Non so se tra madre e figlio vi fosse l’accordo di restituzione di questi soldi”).

Il teste Os.Br., cugino della de cuius, ha riferito che lui e il fratello nell’anno 2000 avevano venduto a quest’ultima la propria quota dell’immobile ereditato dai comuni nonni, per il prezzo di 600.000.000 di Lire, corrisposti dalla sig.ra Or. mediante la consegna di quattro assegni, due da 50.000.000 Lire e due da 250.000.000 Lire (cfr. verbale udienza dd. 14.02.2019, pag. 4: “Il prezzo concordato era di 300.000.000 Lire per me e 300.000.000 Lire per mio fratello ed è stato pagato dalla sig.ra Or. mediante la consegna di assegni. Si tratta di quattro assegni, due da 50.000.000 di Lire e due da 250.000.000 di Lire; io ne ho ricevuto uno da 50.000.000 di Lire e uno da 250.000.000 di Lire e 10 stesso mio fratello””).

Secondo la rappresentazione attorea, gli assegni cui il convenuto si riferisce sarebbero quindi stati consegnati fiduciariamente dalla de cuius al figlio Os.Ro. solo temporaneamente, per poi essere consegnati ai cugini per l’acquisto dell’appartamento.

A prescindere da ciò, difetta la prova circa l’effettiva dazione di tale somma dalla madre al figlio Os.Ro., per cui essa non può essere ricompresa nel donatum.

11 patrimonio ereditario di He.Or. è dunque pari complessivamente ad Euro 1.158.212,81 (relictum di Euro 869.847,72 + donatum di Euro 288.365,09).

La quota di cui la de cuius poteva liberamente disporre è pari ad 1/4 e dunque ad Euro 289.553,202. Spetta a ciascun figlio la quota di 1/6, pari ad Euro 193.035,468, mentre al coniuge Vi.Ro. spetta la quota di 1/4, pari ad Euro 289.553,202.

3.5. A mente dell’art. 554 c.c., le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima.

La disposizione testamentaria della de cuius, che a mezzo di testamento olografo dd. 04.10.2013 ha istituito erede universale il figlio Pe.Ro., va dunque ridotta in maniera corrispondente a quanto necessario per reintegrare la quota di legittima spettante a ciascun erede pretermesso.

L’accoglimento dell’azione di riduzione comporta l’accertamento e la declaratoria della qualità di eredi, in morte di He.Or., in capo agli attori Os.Ro. e Ul.Ro., nonché in capo all’intervenuto Vi.Ro..

Va precisato che gli attori e l’intervenuto acquistano la qualità di eredi soltanto in conseguenza del positivo esperimento dell’azione di riduzione e non già della domanda di petizione di eredità, che presuppone la contestazione della qualità ereditaria del convenuto possessore dei beni ereditari, il quale deve possedere senza alcun titolo o senza titolo valido, e contemporaneamente presuppone in capo all’attore la previa sussistenza della qualità di erede di cui domanda l’accertamento. Diversamente, il legittimario pretermesso, che non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, acquista la qualità di erede soltanto dopo l’esperimento dell’azione di riduzione tendente all’annullamento delle disposizioni testamentarie lesive dei diritti del legittimario; in tal caso, inoltre, non viene contestata la qualità di erede in capo al convenuto, il quale ha un valido titolo successorio benché lesivo dei diritti di terzi (cfr. Cass. Civ., sez. II, 17.01.1970 n. 99).

3.6. Gli attori e l’intervenuto hanno chiesto l’attribuzione pro quota in natura del bene immobile sub p.f. (…) in P.T. (…) c.c. Salorno.

Il consulente tecnico d’ufficio incaricato, Dr. Jo.Ru., con motivazione logica e scevra da contraddizioni, da cui il Collegio non ha alcuna ragione per discostarsi, ha ritenuto che detto immobile non sia divisibile in porzioni che corrispondano alle quote rispettivamente spettanti ai legittimari.

Per comoda divisibilità, concetto emergente dall’art. 720 c.c., deve intendersi la possibilità che l’idoneità funzionale della cosa da dividere sia ottenuta con spese irrilevanti e senza pregiudicare l’originario valore economico, evitando che il godimento del bene frazionato sia gravato da limitazioni, pesi e servitù (cfr. pag. 16 elaborato peritale). Il consulente tecnico ha evidenziato che l’immobile in questione è un frutteto avente una superficie di 1,5 ha, con un unico accesso, un sistema filare con orientamento in un’unica direzione ed un impianto di irrigazione fornito da un solo pozzo irriguo per l’intero appezzamento (cfr. pag. 17 dell’elaborato peritale).

Dal punto di vista economico, la divisione in quattro porzioni porterebbe, secondo la valutazione tecnica del ctu, a degli appezzamenti di un’estensione molto contenuta, con la necessità di costituire reciproche servitù di passaggio, anche a carico della porzione in cui è presente il pozzo, con conseguente deprezzamento dell’intera particella. Peraltro, il consulente tecnico ha evidenziato che la divisione del frutteto renderebbe necessario un nuovo allestimento dei filari ed il riadattamento della rete di irrigazione, operazioni costose e antieconomiche (si rimanda nel dettaglio alle valutazioni a pag. 18 della consulenza tecnica).

Sulla base di tutte queste considerazioni, il consulente incaricato dal Tribunale ha ritenuto che la p.f. (…) c.c. Salorno non sia comodamente divisibile.

Per l’ipotesi di accertata indivisibilità dello stesso, gli attori e l’intervenuto hanno proposto domanda alternativa di compensazione della propria quota di legittima in denaro (ossia di risarcimento per equivalente), come risulta chiaramente anche dall’affermazione a pag. 10 della comparsa conclusionale: “E quindi, in ipotesi di non comoda divisibilità del bene costituito dalla p.f. (…), senza attribuzioni in natura a tutti i coeredi ma al solo Pe.Ro. dell’intera p.f., queste sono le somme che lo stesso convenuto Pe.Ro. deve pagare agli altri eredi a titolo di conguaglio…”.

Dal canto suo, invece, il convenuto Pe.Ro. ha chiesto, in caso di indivisibilità del fondo de quo, l’attribuzione dell’intero nella propria quota, con conseguente conguaglio in denaro in favore degli attori e dell’intervenuto (seppur richiamando l’art. 720 c.c. che riguarda la divisione e non la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di riserva), come risulta a pag. 12 della comparsa di costituzione e risposta (“Per questo motivo, il fondo deve in ogni caso essere compreso nella porzione del convenuto Ro.Pe., che deterrebbe in ogni caso la quota maggiore al frutteto (art. 720 c.c.), indipendentemente dal diritto alla legittima possibilmente da accertarsi a favore degli attori”).

Ne consegue che il convenuto Pe.Ro., al quale, in quanto erede universale, spetta integralmente il relictum, può ritenere anche tutto l’immobile sub p.f. (…) in P.T. (…) c.c., dovendo provvedere ai conseguenti conguagli in denaro nei confronti degli attori e dell’intervenuto, sino al soddisfacimento della quota di legittima loro spettante.

3.7. Per determinare l’esatto ammontare dei conguagli spettanti agli attori ed all’intervenuto occorre tenere conto anche delle donazioni ricevute in vita dalla defunta, che vanno imputate alla propria quota di legittima, secondo quanto previsto dall’art. 553 c.c.

Come si è detto, è incontestato che Ul.Ro. abbia ricevuto in donazione dalla de cuius la somma di Euro 128.263,46 (che va perciò detratta dalla quota di legittima a costui spettante); al contrario, Os.Ro. e Vi.Ro. non hanno ricevuto alcuna attribuzione donativa.

Quanto alla domanda di corresponsione dei frutti naturali e civili derivanti dalla coltivazione del fondo citato, questo Tribunale ritiene, sulla scia della giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis Cass. Civ., sez. II, 25/01/2017, n. 1884), che, qualora la reintegrazione della quota di legittima venga effettuata mediante conguaglio in denaro, nonostante l’esistenza nell’asse di beni in natura, trattandosi di credito di valore e non già di valuta essa deve essere adeguata al mutato valore – al momento della decisione giudiziale – del bene a cui il legittimario avrebbe diritto, affinché ne costituisca l’esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione. La rivalutazione alla data odierna deve dunque avvenire sulla base della variazione degli indici ISTAT sul costo della vita, dalla data di apertura della successione (13.10.2013) sino alla data della pronuncia della presente sentenza.

Ne consegue che le somme così rivalutate, che il convenuto Pe.Ro. deve corrispondere ai legittimari pretermessi sono le seguenti: Euro 66.391,30 a Ul.Ro., Euro 197.861,35 a Os.Ro. ed Euro 296.792,03 a Vi.Ro..

Su tali somme sono inoltre dovuti gli interessi legali, non dall’apertura della successione bensì dal giorno della domanda giudiziale (e quindi per gli attori dal 04.03.2016, data della notifica dell’atto di citazione, e per l’intervenuto dal 23.05.2017, data del deposito della comparsa di intervento volontario), poiché la reintegrazione della quota di legittima viene disposta con sentenza avente natura costitutiva, che produce i suoi effetti retroattivamente dal momento della proposizione della detta domanda (cfr. sul punto Cass. Civ., sez. III, 05.04.2016 n. 6545), come previsto anche dall’art. 561 ultimo comma c.c.

4. Gli attori e l’intervenuto hanno chiesto inoltre il rendiconto, da parte del convenuto Pe.Ro., della gestione del fondo sub p.f. (…) in P.T. (…) c.c. Salorno, da costui utilizzato in via esclusiva già da prima di divenirne proprietario con l’intavolazione basata sul certificato di eredità dd. 10.11.2014.

Sul punto va rilevato in linea generale che l’obbligo di rendiconto può sorgere o per volontà delle parti, mediante conferimento d’incarico (come, ad esempio, nel caso del contratto di mandato), oppure può derivare direttamente dalla legge (vedi ad esempio gli artt. 380 ss. c.c. per quanto riguarda l’obbligo di rendiconto del tutore).

Tra le ipotesi disciplinate dalla legge rientra anche l’obbligo di rendiconto tra condividenti, ai sensi dell’art. 723 c.c. Trattasi di istituto previsto nell’ambito della comunione ereditaria, a carico del coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari, il quale ha l’obbligo di rendiconto e di corresponsione dei frutti agli altri eredi, a decorrere dalla data di apertura della successione.

Nel caso in esame, tuttavia, non si è istituita una situazione di comunione ereditaria tra le parti del presente giudizio, posto che la de cuius ha istituito quale erede universale l’odierno convenuto Pe.Ro. e che gli attori e l’intervenuto, legittimari pretermessi, acquistano la qualità di eredi in morte di He.Or. soltanto con il positivo esercizio dell’azione di riduzione e dunque soltanto con la pronuncia della presente sentenza, avente natura costitutiva.

Giova inoltre ribadire che è onere del legittimario pretermesso agire in riduzione nei confronti delle disposizioni testamentarie e/o delle donazioni dirette o indirette considerate lesive della propria quota di riserva. Nel caso in esame gli attori e l’intervenuto non hanno allegato che la gestione del fondo in oggetto da parte del convenuto Pe.Ro. che lo avrebbe detenuto, per un certo lasso di tempo, sine titulo, abbia costituito una donazione da parte della de cuius, come tale da sottoporre a riduzione. Dalle allegazioni attoree sembra piuttosto ricavarsi che si tratterebbe di un credito che sarebbe spettato alla de cuius per la gestione del fondo da parte del convenuto, ma gli attori e l’intervenuto, non essendo stati istituiti eredi, non possono esercitarlo.

Si ricorda infatti che quanto riservato dalla legge ai legittimari non costituisce autonoma ed automatica attribuzione ai medesimi di quei diritti, quale fosse un tertium genus del succedere, ma è un insieme di regole volte a correggere la successione legittima o testamentaria, quest’ultima solo previo esperimento di un’azione di impugnativa negoziale che accerti la lesione e riduca le disposizioni lesive, fino a quel momento perfettamente valide ed efficaci. Ne consegue che, non essendo stata impugnata l’asserita donazione indiretta, da parte della de cuius, dei frutti del fondo derivanti dalla gestione dello stesso da parte del convenuto Pe.Ro., nulla può essere riconosciuto ai legittimari pretermessi a tale titolo. A ciò si aggiunga che, non avendo costoro la qualità di eredi sino alla pronuncia della presente sentenza avente natura costitutiva, neppure potrebbero far valere un asserito credito della de cuius nei confronti del convenuto, suo erede universale.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza secondo quanto previsto dall’art. 91 c.p.c.

5.1. Il convenuto va dunque condannato alla rifusione, in favore degli attori e dell’intervenuto, delle spese di lite che vengono liquidate in base ai parametri di cui al D.M. 55/2014 (tab. n. 2, scaglione di valore da Euro 520.000,01 ad Euro 1.000.000,00), secondo i valori medi per ciascuna fase. Il valore di lite viene determinato in base al decisum, ossia all’importo complessivo che il convenuto deve corrispondere a titolo di reintegrazione delle quote di legittima delle altre parti (Euro 561.044,68).

Si rammenta che in caso di difesa di più parti aventi identica posizione processuale e costituite con lo stesso avvocato, a quest’ultimo è dovuto un compenso unico secondo i criteri fissati dall’art. 4 D.M. 55/2014, senza che rilevi la circostanza che il comune difensore abbia presentato distinti atti difensivi – in conformità con il principio della non debenza delle spese superflue, desumibile dall’art. 92 co. 1 c.p.c. – e che il comma 2 dell’art. 4 non prevede alcun obbligo bensì la mera facoltà di aumentare il compenso nella misura indicata dal citato comma.

Nel caso in esame, questo Collegio ritiene di non operare alcun aumento sul compenso determinato, stante la totale identità della posizione processuale degli attori, che non ha comportato la proposizione di particolari difese per ciascuno di essi, e considerato che l’intervenuto si è costituito soltanto a valle del deposito delle memorie istruttorie, aderendo in toto alle domande ed allegazioni attoree.

5.2. Le spese della consulenza tecnica d’ufficio, liquidate con decreto dd. 31/01/2018 in favore del Dr. Jo.Lu. in Euro 2.419,04 (oltre IVA e accessori di legge), vengono poste definitivamente a carico del convenuto Pe.Ro..

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza od eccezione reietta,

1) accerta e dichiara che Ul.Ro., Os.Ro. e Vi.Ro. sono eredi legittimari della de cuius He.Or.;

2) accerta e dichiara che Ul.Ro., Os.Ro. e Vi.Ro. hanno diritto alla reintegrazione della propria quota di legittima, pari a 1/6 in favore di Ul.Ro., 1/6 in favore di Os.Ro. e 1/4 in favore di Vi.Ro.;

3) in accoglimento dell’azione di riduzione, condanna il convenuto Pe.Ro., al fine di reintegrare la quota di legittima degli attori e dell’intervenuto, al pagamento delle seguenti somme:

– a Ul.Ro. Euro 66.391,30, oltre interessi legali dal 04.03.2016 al saldo;

– a Os.Ro. Euro 197.861,35, oltre interessi legali dal 04.03.2016 al saldo;

– a Vi.Ro. Euro 296.792,03, oltre interessi legali dal 23.05.2017 al saldo;

4) condanna il convenuto Pe.Ro. alla rifusione, in favore degli attori e dell’intervenuto, delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano come segue: Euro 27.804,00 per compenso di avvocato, Euro 1.131,98 per anticipazioni, oltre 15% rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge, oltre spese successive necessarie;

5) pone definitivamente le spese della consulenza tecnica d’ufficio, liquidate in favore del ctu dr. Jo.Ru. con decreto dd. 31.01.2018, a carico del convenuto Pe.Ro.;

6) dispone, al passaggio in giudicato della presente sentenza, la cancellazione delle annotazioni di lite sub G.N. 752/2016 e sub G.N. 919/2017, Ufficio del Libro fondiario di Egna.

Così deciso in Bolzano il 23 marzo 2020.

Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.