Nel procedimento cautelare in tema di individuazione del Giudice del luogo dove è sorta l’obbligazione risarcitoria in relazione alla lesione di diritti della personalità recata da mezzi di comunicazione di massa e applicabili, ove si discuta della pretesa lesione all’immagine e al nome di un bene culturale nella sua dimensione valoriale e immateriale (tutelata, in questo caso, dal suo ente custode e titolare del diritto di sfruttamento economico) a fronte, per un verso, di una diffusione “a raggiera” e contestuale dei prodotti riproduttivi -senza autorizzazione- dell’immagine e del nome del bene culturale, la competenza è del Giudice del luogo del domicilio del soggetto danneggiato quale luogo in cui certamente e principalmente si è verificato il danno risarcibile e in cui si realizzano le ricadute negative della lesione.

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Tribunale|Venezia|Sezione 2|Civile|Sentenza|24 ottobre 2022

Data udienza 24 ottobre 2022

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VENEZIA

SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti magistrati:

Dott.ssa Silvia Franzoso – Presidente –

Dott. Carlo Azzolini – Giudice rel. ed est. –

Dott. Giovanni Francesco Perilongo – Giudice –

a scioglimento della riserva che precede, pronunzia la presente

ORDINANZA

– Ex art. 669 terdecies c.p.c. –

nel proc. n. 5317/2022 promosso con reclamo cautelare

da

MINISTERO DELLA CULTURA, in persona del Ministro p.t.,

GALLERIE DELL’ACCADEMIA DI VENEZIA, in persona del l.r.p.t.,

rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria ex lege presso i propri uffici in P.zza San Marco n. 63;

-reclamante-

contro

(…) A.G., in persona del l.r.p.t., (…) GmbH, in persona del l.r.p.t., (…) S.r.l., in persona del l.r.p.t., tutte rappresentate e difese dagli Avv.ti (…) del Foro di Roma ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv. (…) del Foro di Venezia sito in Venezia, (…);

-reclamate-

avente ad oggetto il reclamo per la riforma dell’ordinanza dal Tribunale d.d. 24.06.2022, resa nel procedimento cautelare iscritto al n. R.G. n. 7091/2021;

Premesse in fatto.

Con ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. le Gallerie dell’Accademia di Venezia e il Ministero della Cultura adivano il Tribunale di Venezia lamentando il pregiudizio grave e irreparabile determinato dall’asseritamente illecito utilizzo e riproduzione a fini di lucro dell’immagine dell’opera “Uomo vitruviano” di Leonardo da Vinci, quale bene culturale custodito ed esposto alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, da parte delle società (…) AG., (…) GmBH e (…) S.r.l. in violazione delle previsioni del “Regolamento per la riproduzione dei beni culturali in consegna alle Gallerie dell’Accademia di Venezia”, elaborato, quest’ultimo, in conformità agli artt. 107-109 del Codice dei Beni Culturali (D.Lgs. 22.01.2004, n. 42), in particolare all’art. 108 dello stesso.

Più in dettaglio, le ricorrenti si dolevano che le resistenti non avrebbero osservato le disposizioni relative all'”uso dell’immagine per prodotti di merchandising” (implicante la necessità della sottoscrizione di una concessione tra Amministrazione e il produttore/distributore interessato ed onerato del pagamento di un canone annuale e di royalties del 10% applicate sul prezzo al pubblico del prodotto, moltiplicato per il numero di prodotti in vendita), avvalendosi nel periodo 2014-2021 dell’immagine riprodotta del celebre disegno “Uomo Vitruviano” in assenza di qualsivoglia concessione dell’Istituto museale ai fini della produzione, commercializzazione – tramite i canali commerciali tradizionali e online sull’intero mercato europeo e internazionale- e promozione del proprio prodotto puzzle denominato “Leonardo Da Vinci: L’uomo Vitruviano”. Per l’effetto, le ricorrenti chiedevano al Tribunale, previo accertamento dell’uso non autorizzato per fini commerciali della riproduzione del nome e dell’immagine dell’opera di Leonardo “Uomo Vitruviano” sull’omonimo puzzle da parte di (…) AG, (…) GmbH e (…) s.r.l., i) di inibire alle predette società resistenti, in Italia e all’estero, l’utilizzo a fini commerciali dell’immagine dell’opera “Uomo Vitruviano” o di parti di esso, in qualunque forma e/o strumento, anche informatico, sui propri prodotti, sui propri siti internet e su tutti gli altri siti e profili presenti su piattaforme sociali di sua competenza; ii) di ordinare la pubblicazione per esteso, a caratteri doppi del normale, a cura dell’Amministrazione ricorrente e a spese delle società resistenti, per tre volte, anche non consecutive, su due quotidiani a diffusione nazionale e su due quotidiani a diffusione locale, nonché su due periodici a carattere nazionale, anche nelle loro versioni on-line, nonché sul sito internet delle società, l’ordinanza cautelare emanata, in lingua italiana, in lingua inglese e in lingua tedesca; iii) di ordinare alle resistenti il ritiro dal commercio e la distruzione di tutti i prodotti nonché di tutto il materiale pubblicitario riproducente il nome e l’immagine dell’opera “Uomo Vitruviano” o parti di esso, nonché di tutti gli strumenti utilizzati per produrre e/o commercializzare tali prodotti, sia presso le società resistenti che presso i terzi che li detengano e/o ne facciano commercio e/o ne abbiano comunque disponibilità; iv) di ordinare alle resistenti di depositare presso la cancelleria del Tribunale entro 7 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza cautelare, adeguata documentazione comprovante l’avvenuta esecuzione dell’ordinanza cautelare; v) di condannare le società resistenti al pagamento di una penale, da quantificare nella misura di Euro 20.000 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento cautelare o, nella diversa misura ritenuta di giustizia.

Le resistenti si costituivano in giudizio col medesimo patrocinio eccependo in via pregiudiziale:

– il difetto di giurisdizione del Giudice italiano con riguardo alle società di diritto tedesco con sede in Germania anche ai sensi dell’art. 7 del Regolamento UE n. 1215/2012, e ciò alla luce i) dell’assenza di qualsiasi ruolo operativo di produzione e/o commercializzazione in capo alla società holding (…) A.G., ii) della totale estraneità dell’attività svolta da (…) Gmbh -società produttrice dei prodotti- rispetto al territorio italiano (l’attività di produzione avvenendo solamente in Germania e in Repubblica Ceca e la distribuzione dei prodotti in Italia essendo delegata alla controllata (…) Italia S.r.l.), iii) del criterio normativo di collegamento per la giurisdizione costituito, per le obbligazioni risarcitorie, dal “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”, il quale non coinciderebbe con il luogo in cui il patrimonio del danneggiato risente delle conseguenze pregiudizievoli dell’evento di danno, ma, al contrario, con quello in cui si è prodotta la lesione;

– l’incompetenza territoriale del Tribunale di Venezia a favore del Tribunale di Milano con riguardo a (…) S.r.l., con sede legale in Assago (MI), tanto in forza del foro generale del convenuto ex art. 19 c.p.c. quanto in forza del foro alternativo di cui all’art. 20 c.p.c. “per cui la competenza è del giudice del luogo dove l’obbligazione è sorta o dev’essere eseguita” posto che il luogo dove avrebbe origine la distribuzione dei puzzle in questione in Italia e la relativa pubblicizzazione sarebbe Assago, ove ha appunto sede (…) S.r.l.;

– il difetto di legittimazione delle resistenti tedesche (…) A.G. e (…) Gmbh, in quanto asseritamente estranee alla perpetrazione del preteso illecito ex adverso contestato ((…) AG per non avere alcun ruolo operativo; (…) Gmbh per produrre interamente ed esclusivamente all’estero).

Nel merito, le resistenti, hanno concluso per il rigetto del ricorso cautelare avversario tanto per difetto del fumus boni iuris quanto per difetto del periculum in mora, mentre, in subordine, hanno chiesto al Tribunale di limitare l’eventuale misura cautelare alle sole attività di vendita del puzzle svolte in Italia.

Più specificamente, le resistenti allegavano: i) che la commercializzazione del prodotto contestato avveniva sin dal 2009 attraverso canali di distribuzione fisici gestiti da terzi sul presupposto che l’opera fosse di “dominio pubblico” (e non già mediante un proprio sito di shopping online destinato al pubblico italiano); ii) che la normativa italiana del Cod. dei Beni Culturali rappresenterebbe un unicum a livello internazionale ed applicabile, pertanto, solamente nel territorio italiano; iii) che l’unico presupposto di fatto giustificativo del pagamento del corrispettivo preteso dalla controparte sarebbe lo svolgimento dell’attività contestata sul territorio italiano, non essendo possibile, in forza del principio di territorialità, l’applicazione della legge italiana a soggetti basati all’estero e che svolgano fuori dai confini italiani l’attività di produzione e vendita dei propri prodotti (tanto più che la disciplina del Cod. dei Beni Culturali sarebbe addirittura in contrasto con la direttiva CE 2019/790 recepita con il DLGS 12.12.2021); iv) che, a conferma di un tanto, l’attuale normativa internazionale non regolerebbe l’uso delle immagini dei beni culturali il cui diritto d’autore sia -come nella fattispecie- scaduto (né sussisterebbe alcun appiglio normativo in grado di garantire l’applicazione sovranazionale della relativa normativa italiana).

Il Tribunale, con ordinanza d.d. 20.06.2022 articolatamente motivata, pur riconoscendo la propria giurisdizione (facendo a tal fine espresso riferimento al “luogo di insorgenza dell’evento dannoso, ossia a quello di insorgenza del danno…posto che ivi è localizzato il soggetto preposto alla custodia ed all’amministrazione del bene culturale in discussione e, conseguentemente, è insorto il danno prospettato in termini di: a. svilimento/annacquamento dell’immagine del bene culturale, asseritamente di natura non patrimoniale; b. mancata percezione del canone annuale per la concessione dei diritti di riproduzione dell’immagine del bene culturale e delle royalties applicate sul prezzo al pubblico del prodotto (fissate in misura percentuale sulla singola unità di prezzo e moltiplicate per il numero di pezzi venduti)” e la legittimazione passiva delle resistenti tedesche (autrici del compimento di un’azione continuata e coordinata), dichiarava l’incompetenza territoriale del Tribunale di Venezia a favore del Tribunale di Milano, condannando le ricorrenti alla rifusione delle spese di lite (liquidante nella misura massima) a favore delle resistenti.

Avverso tale ordinanza hanno proposto rituale reclamo il Ministero della Cultura e le Gallerie dell’Accademia dolendosi della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 669 ter e 20 c.p.c. da parte del Tribunale ai fini della declaratoria di incompetenza territoriale e insistendo affinché il Collegio, in riforma della pronuncia del giudice della prima fase, accogliesse le domande del ricorso cautelare presentato e, in ogni caso, regolasse diversamente del spese. Essenzialmente, secondo le reclamanti, alla luce dell’orientamento delle Sezioni Unite espresso nella pronuncia n. 21661/2009 (secondo cui “l’obbligazione risarcitoria non nasce nel momento e nel luogo in cui si verifichi un fatto potenzialmente idoneo a provocare un danno, ma solo nel momento e nel luogo in cui il danno risarcibile si verifica effettivamente”), di fronte ad una distribuzione dei prodotti -quale sarebbe, a loro dire, quella svolta dalle resistenti reclamate- per così dire “a raggiera” e/o comunque contestuale e nell’esigenza di “identificare un luogo certo nel quale si verifichi il pregiudizio effettivo” (dove, dunque, possa dirsi sorta l’obbligazione risarcitoria), il giudice competente ai sensi del criterio di cui all’art. 20 c.p.c. dovrebbe essere quello del luogo del domicilio del soggetto danneggiato al momento della diffusione, essendo tale luogo quello “in cui certamente e principalmente si è verificato il danno risarcibile”, trattandosi della sede principale degli affari e degli interessi del soggetto titolare della situazione giuridica lesa.

Invero, nella prospettazione delle reclamanti, ai fini della determinazione del Giudice competente sarebbe decisivo il fatto che le immediate conseguenze dannose dell’illecito si sarebbero principalmente e più significativamente ripercosse presso il domicilio (i.e. la sede) dell’Amministrazione ricorrente, considerato che: a) a Venezia è custodito il bene culturale, la cui immagine costituisce oggetto della dedotta lesione e della invocata tutela; b) a Venezia hanno sede le Gallerie dell’Accademia, il museo custode dell’Uomo Vitruviano”. Avrebbe dunque errato il Giudice della prima fase affermando la competenza territoriale del Tribunale di Milano quale foro dell’illecito, essendo pacifico che la vendita dei prodotti in questione avviene principalmente attraverso piattaforme online (dalla principale, Amazon, a quelle di altri distributori italiani indicati dalle stesse resistenti nel proprio doc. 7) ed apparendo del tutto arbitrario adottare, quale unico riferimento, quello della c.d. distribuzione tradizionale. Ancora, il Giudice della prima fase, avrebbe a loro dire erroneamente trascurato: che la merce frutto dell’illecito – come ammesso dalle resistenti – non verrebbe prodotta in Italia da (…) S.r.l., bensì all’estero da altra consociata (mancando, dunque, qualsiasi elemento di collegamento tra l’attività e il territorio ricompreso nel circondario del Tribunale di Milano, ulteriore alla sede legale di (…) S.r.l.); che, come riconosciuto dalle stesse resistenti, non sarebbe affatto (…) S.r.l. a provvedere direttamente alla commercializzazione del prodotto, bensì i terzi rivenditori autorizzati indicati nel documento avversario n. 7. Nel merito, le reclamanti (oltre a condividere le statuizioni del Tribunale in punto di giurisdizione italiana e legittimazione passiva delle resistenti società tedesche) hanno insistito nell’accoglimento della cautela evidenziando:

i) il pacifico riconoscimento, da parte delle resistenti, dell’illecito permanente perpetrato ex art. 108 del Cod. dei beni culturali -rimasto attuale anche nel corso del giudizio- quanto meno con riferimento all’attività svolta in Italia;

ii) l’inscindibilità territoriale e funzionale dell’attività imprenditoriale delle resistenti, vincolata dunque al rispetto della disciplina italiana del Codice dei Beni Culturali (avente copertura costituzionale ex artt. 2 e 9 Cost.), il quale, oltre a non prevedere espressamente un ambito di applicazione limitato alla sfera nazionale, godrebbe di portata e vocazione universalistica (tanto più alla luce del carattere immateriale del diritto all’immagine del bene culturale e dell’esigenza di una sua compiuta tutela nel contesto di costante sviluppo tecnologico);

iii) la legittimazione del titolare del diritto di sfruttamento economico dell’immagine del bene, pur se persona giuridica, ad invocarne la tutela, sotto i profili del diritto al nome e all’immagine ex artt. 6, 7 e 10 c.c., rispetto all’annacquamento e svilimento determinato dal suo sfruttamento non autorizzato;

iv) l’efficacia della disciplina italiana a regolare il rapporto sostanziale con soggetti stranieri perché connotato da elementi di collegamento con il territorio italiano; e questo, pur in assenza di norme pattizie, in forza, oltre che dell’assenza di un principio di territorialità della legge italiana in materia, dei principi del diritto internazionale privato (ben potendo il giudice italiano applicare la disciplina interna del Codice dei Beni culturali quale “norma di applicazione necessaria” ex art. 17 della L. 218/1995 nonché dell’art. 16 del Reg. Roma II n. 864/2007 perché finalizzata alla tutela di un interesse essenziale dello stato membro) o delle stesse norme di conflitto (in quanto legge del luogo in cui il danno si è realizzato e, comunque, quello del luogo a cui la fattispecie presenta il collegamento più stretto).

Nel giudizio di reclamo si sono altresì costituite le società resistenti chiedendo, in via principale, il rigetto del reclamo con conferma dell’ordinanza del Tribunale d.d. 20.06.2022 in punto di incompetenza del Tribunale di Venezia; solo in subordine, in caso di ritenuta competenza territoriale di questo Tribunale, hanno insistito, in via pregiudiziale, nell’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice italiano e di difetto di legittimazione passiva rispetto alle società resistenti tedesche, mentre, nel merito, per il rigetto del ricorso perché carente dei requisiti del fumus e del periculum.

Più specificamente, le resistenti, pur contestando -senza tuttavia proporre appello incidentale-la decisione del Tribunale in punto di giurisdizione italiana (dovendosi, a loro dire, applicare la regola generale del foro del convenuto e non già l’art. 8 in combinato disposto con l’art. 35 del Reg. n. 1215/2012) e legittimazione passiva delle resistenti tedesche (non potendosi ravvisare alcuna “azione continuata e coordinata tra tutte le resistenti” non equiparabili né associabili all’attività di distribuzione svolta in Italia da (…) S.r.l.), hanno sostenuto la correttezza della statuizione del Giudice della prima fase in punto di incompetenza territoriale, tenuto conto che nella fattispecie non sussisterebbe alcuna diffusione “a raggiera” contestuale e incontrollata dei prodotti tale da rendere inapplicabile, oltre che l’art. 19 c.p.c., l’art. 20 c.p.c. (secondo cui il foro competente sarebbe quello di origine della distribuzione dei puzzle in Italia quale luogo in cui si sarebbero verificati gli atti lesivi), in assenza, peraltro, dei i presupposti di fatto indicati dalla pronuncia a Sezioni Unite della Corte di cassazione nel 2009 ai fini della deroga alla regola generale (non essendo stato fatto alcun uso di mezzi di comunicazione di massa né potendosi correlare la lesione della immagine all’ambiente veneziano). Nel merito, le resistenti hanno ribadito le difese della precedente fase di giudizio ribadendo in fatto: di produrre all’estero e di non aver mai attivato alcun canale di vendita online; di aver manifestato – anche ante causam – la disponibilità a pagare i corrispettivi per l’attività di commercializzazione dei prodotti esclusivamente svolta in Italia, non ravvisandosi alcuna possibilità di applicazione della legge italiana a soggetti basati all’estero che ivi producono e vendono i prodotti in questione.

Sotto il profilo del fumus, invece, hanno sostenuto: che la pretesa vocazione universalistica della normativa nazionale si porrebbe in contrasto, in assenza di uno specifico trattato internazionale, al principio di territorialità delle leggi nazionali; che la privativa sulle opere di “dominio pubblico” esercitata da Gallerie dell’Accademia risulterebbe contraria all’intento del legislatore comunitario espresso con la direttiva CE 790/2019 recepita con il D.Lgs. 177/2021; che sarebbe in ogni caso infondata la pretesa delle reclamanti di esercitare la tutela prevista dagli artt. 6, 7, 10 c.c., in quanto anch’essa soggetta a limiti applicativi oltreché ingiustificata non essendovi stato alcuno svilimento o annacquamento dell’immagine con conseguente assenza di pregiudizio all’integrità e valore culturale del bene immagine; che, ai fini delle applicazione delle disposizioni di diritto internazionale privato italiano, sarebbe altresì assente qualsiasi collegamento delle resistenti società tedesche con il territorio italiano, non essendo ammissibile la tesi della unitarietà e inscindibilità delle attività svolte dalle reclamate ed essendo chiaro che la mera circostanza di una sede legale in Italia non giustificherebbe la sussistenza di un collegamento tra tali attività e l’Italia; che il Codice dei Beni Culturali non sarebbe qualificabile come norma di applicazione necessaria e comunque (tanto più nella parte relativa all’uso delle relative riproduzioni); che nemmeno potrebbe esservi un conflitto tra normative nazionali ai fini dell’applicazione del Reg. 864/2008 art. 4 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, atteso che il conflitto dovrebbe concernere le obbligazioni extracontrattuali derivanti da un fatto che sia illecito ai sensi di tutte le normative, mentre, nella fattispecie, di alcun illecito potrebbe parlarsi secondo la disciplina tedesca; che, in ogni caso, anche a voler applicare tale Regolamento, il collegamento più stretto da individuare per la legge applicabile sarebbe comunque quello con la Germania (le società essendo di diritto tedesco e la produzione avvenendo in Germania).

Infine, quanto al periculum, hanno evidenziato: che mai prima d’ora le ricorrenti avevano lamentato uno svilimento dell’immagine del bene culturale; che, inoltre, sarebbe passato notevole tempo tra la lesione del diritto vantato e la proposizione dell’azione, posto che la prima riproduzione dell’immagine risaliva al 2009; che, da ultimo, la reclamanti non avevano provato l’irreparabilità del pregiudizio, comunque insussistente alla luce della posizione di leader del marcato di (…).

All’udienza del 12.10.2022 il Tribunale ha riservato la decisione.

Il Collegio osserva:

Il reclamo è fondato e merita di essere accolto per i motivi di seguito indicati. Prima di affrontare il motivo specifico del reclamo, occorre esaminare, anche d’ufficio, le questioni pregiudiziali relative alla giurisdizione e alla legittimazione passiva di (…) AG e (…) GmBH, tenuto conto il reclamo è un mezzo di gravame pienamente devolutivo e ad efficacia sostitutiva della pronuncia resa nel primo grado cautelare. Sulla giurisdizione.

Occorre premettere, sul punto, che le reclamate (…) AG e (…) GmBH non hanno proposto reclamo incidentale rispetto alle statuizioni del Giudice della prima fase il quale, con l’ordinanza reclamata, aveva riconosciuto la giurisdizione del Giudice italiano, chiedendo, in via principale, la conferma di tale ordinanza declaratoria dell’incompetenza territoriale (e, solo in subordine, l’accoglimento delle eccezioni pregiudiziali, tra le quali, appunto, quella concernente il difetto di giurisdizione italiana). L’eccezione di carenza di giurisdizione, proposta nella memoria di costituzione ed espressamente disattesa nella prima fase, deve intendersi dunque rinunciata nella presente fase di reclamo in quanto non riproposta in via principale, ma solo in subordine all’accoglimento del reclamo in punto di competenza territoriale. Questione, quest’ultima, logicamente secondaria rispetto a quella afferente la giurisdizione in quanto necessariamente presupponente la sua affermazione. Per l’effetto, l’omesso appello incidentale su una questione, la giurisdizione, di carattere pregiudiziale rispetto alla competenza territoriale del giudice italiano determina, evidentemente, la carenza di interesse delle società resistenti eccipienti ad un riesame – intrinsecamente prioritario – dell’eccezione.

Ad ogni modo, il Collegio condivide tutte le argomentazioni offerte dal Giudice della prima fase a fondamento della declaratoria della giurisdizione italiana.

In particolare, giova evidenziare che l’art. 7 del Reg. UE n. 1215/2012 (“concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale”) secondo cui “Una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro: … 2. in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” è stato interpretato dalla Corte di Giustizia UE, quanto al “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”, secondo il principio di ubiquità dando vita ad uno sdoppiamento del criterio riferito tanto al luogo dove è insorto il danno, quanto a quello in cui si è verificata la condotta, così rimettendo la scelta al danneggiato, sicché il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, dinanzi al giudice dell’uno o dell’altro luogo. In particolare, la Corte di Giustizia UE ha precisato che la nozione di “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto”, contenuta all’articolo 7, punto 2, del Reg. n. 1215/2012, può coincidere con il luogo di concretizzazione del danno (v. CGUE C-12/15). Nella successiva sentenza C 451/2018 e nella più recente C-242/19 è stato ribadito il principio e si è sottolineata la facoltà di scelta dell’attore tra il luogo in cui è sorto il fatto lesivo e quello in cui il danno si è prodotto. Per quanto qui maggiormente rileva, nella citata pronuncia C-242 del 2019, il caso riguardava il danno prodotto dal software di automobili fabbricate in Germania ma distribuite in tutta l’Unione Europea; ebbene, la Corte ha ritenuto che in relazione alle cause promosse dagli acquirenti, ben potesse radicarsi la giurisdizione nei luoghi del loro domicilio, essendo quello il luogo in cui il danno era avvenuto.

Le S.U. della Corte di cassazione, in perfetta coerenza con i principi sopra enunciati, anche di recente hanno affermato, con la pronuncia n. 27164 del 2018 che “in tema di giurisdizione dei giudici italiani nei confronti di soggetti stranieri, nella materia di illeciti civili, ai sensi dell’art. 5, n. 3, del regolamento CE n. 44 del 2001 (e già dell’art. 5, n. 3, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968), deve aversi riguardo al “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto”, che come precisato da CGUE, 11 gennaio 1990, C-220/88 e 16 luglio 2009, C-189/08 – è quello in cui è sorto il danno, cioè il luogo in cui il fatto causale, generatore della responsabilità da delitto o da quasi delitto, ha prodotto direttamente i suoi effetti dannosi nei confronti della vittima immediata, dovendosi avere riguardo non solo al “luogo dell’evento generatore del danno”, ma anche al “luogo in cui l’evento di danno è intervenuto” e non rilevando, invece, il luogo dove si sono verificate o potranno verificarsi le conseguenze future della lesione del diritto della vittima.

L’applicazione dei principi esposti al caso di specie evidenzia, in conclusione, che la sequenza causale che ha determinato il danno lamentato si è generata in Germania ed ha avuto una sua progressione eziologica in Italia, essendosi ivi verificata la fase finale che ha determinato il danno lamentato dalle reclamanti, posto che in questa nazione è localizzato tanto il bene culturale in questione (inteso quale “testimonianza materiale avente valore di civiltà” per il territorio in cui è collocato) tanto l’ente preposto alla sua custodia e amministrazione. Si è di conseguenza determinata una separazione geografica tra il luogo del fatto generatore del danno (l’uso dell’immagine dell’opera a fini di lucro, avvenuto Germania) e il luogo dove il pregiudizio non patrimoniale lamentato si è concretamente prodotto (ovvero l’Italia), così consentendo alle reclamanti di scegliere tra i due fori, posti in posizione di alternatività e di pari ordinazione.

Ancora, la giurisdizione italiana può essere affermata sulla scorta di due ulteriori criteri di collegamento, ben evidenziati dal Giudice della prima fase, ovvero:

i) l’art. 8 del Reg. n. 1215/2012, in base al quale “Una persona domiciliata in uno Stato membro può inoltre essere convenuta: 1) in caso di pluralità di convenuti, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui uno di essi è domiciliato, sempre che tra le domande esista un collegamento così stretto da rendere opportuna una trattazione unica e una decisione unica onde evitare il rischio di giungere a decisioni incompatibili derivanti da una trattazione separata”; invero, nella fattispecie, il domicilio di (…) S.r.l. -società controllata dalle altre due resistenti- sito in Italia unitamente alle domande cautelari formulate dalle reclamanti nei confronti di tutte e tre le resistenti (significativamente patrocinate dallo stesso difensore) e aventi ad oggetto il medesimo petitum immediato e la medesima causa petendi (tanto da determinare un cumulo soggettivo di domande avvero più condebitori solidali) giustificano la giurisdizione del Giudice italiano;

ii) l’art. 35 del predetto Regolamento secondo cui “i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro possono essere richiesti all’autorità giurisdizionale di detto Stato membro anche se la competenza a conoscere del merito è riconosciuta all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro”; la disposizione, da leggersi in combinato disposto con l’art. 10 della L. 218/1995 (il quale prevede che la giurisdizione in materia cautelare si radichi in base a quella sul merito o del luogo di esecuzione del provvedimento) e con l’art. 669 ter c.p.c., consente dunque di riconoscere la giurisdizione di questo Giudice italiano (peraltro astrattamente competente anche rispetto all’azione di merito avente ad oggetto il risarcimento del danno oltre che giudice del luogo in cui dev’essere eseguito il provvedimento cautelare richiesto).

Sulla legittimazione passiva di (…) AG e (…) GmBH.

Giova anche in questo caso premettere che le reclamate società tedesche (…) AG e (…) GmBH non hanno proposto reclamo incidentale rispetto alle statuizioni del Giudice della prima fase il quale, con l’ordinanza reclamata, aveva riconosciuto la loro legittimazione passiva, respingendo espressamente l’eccezione dalle stesse formulata che, in quanto non riproposta in via principale (ma ancora in subordine all’accoglimento del motivo di reclamo avversario), deve intendersi dunque rinunciata nella presente fase di reclamo. Ad ogni modo, sul punto, il Collegio rileva che ai fini del riconoscimento della legittimazione passiva delle resistenti è sufficiente la mera affermazione della loro posizione soggettiva sulla base della quale le reclamanti hanno agito, la dimostrazione dell’effettiva titolarità di detta posizione soggettiva attenendo, invece, al successivo profilo della prova.

Ebbene, il Ministero della Cultura e le Gallerie dell’Accademia hanno affermato la responsabilità solidale delle resistenti per l’uso e la riproduzione dell’immagine dell’opera di Leonardo senza autorizzazione, specificando la posizione soggettiva delle resistenti alla luce della rispettiva (pretesa) condotta illecita al fine di ottenere nei loro confronti la cautela richiesta. Considerato il tenore delle allegazioni delle reclamanti, già ricorrenti, dev’essere pertanto riconosciuta la legittimazione a resistere alla domanda da parte delle resistenti società tedesche, le cui difese, invero, mirano, più precisamente, ad evidenziare l’assenza di titolarità passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

In merito a quest’ultimo aspetto, attinente dunque al profilo del fumus del ricorso, giova sin d’ora osservare che tra le resistenti tedesche e (…) S.r.l. con sede in Italia sussiste un indubbio collegamento economico funzionale tra imprese di un medesimo gruppo avente il medesimo progetto e scopo imprenditoriale che, pur non comportando il venir meno dell’autonomia delle singole società, dotate di personalità giuridica distinta, nella fattispecie giustifica di per sé l’estensione alle società tedesche degli obblighi riconosciuti espressamente da (…) S.r.l. nei confronti delle reclamanti, atteso che, per quanto qui rileva, è attribuibile a tutte le società del gruppo (…) l’attività di sfruttamento non autorizzato dell’opera di Leonardo in questione, svolta a vario titolo ma certamente nel contesto di un’azione coordinata e continuata, indipendentemente dalle singole competenze delle società e del mercato di destinazione.

Ciò premesso, occorre esaminare il motivo di reclamo promosso dal Ministero della Cultura e delle Gallerie dell’Accademia.

Sulla competenza territoriale.

Il Giudice della prima fase, con motivazione articolata e diffusamente argomentata, ha dichiarato l’incompetenza del Tribunale di Venezia a favore del Tribunale di Milano, tanto quale foro generale delle persone giuridiche ex art. 19 c.p.c. ((…) S.r.l. avendo sede nel relativo circondario) tanto quale foro del luogo ove è sorta l’obbligazione ovvero quello del locus commissi delicti ex art. 20 c.p.c. “coincidente con quello in cui si svolge l’attività in contestazione di distribuzione e promozione per l’Italia del puzzle”. In particolare, con riferimento al foro alternativo ex art. 20 c.p.c., il Tribunale monocratico ha evidenziato: che ai fini della competenza non sarebbe applicabile il criterio della verificazione del danno utilizzato ai fini di radicare la giurisdizione, la disposizione facendo espresso riferimento al luogo in cui sorge l’obbligazione; che la misura cautelare avente ad oggetto il ritiro dal commercio e la distruzione di tutti i prodotti nonché di tutto il materiale pubblicitario riproducente il nome e l’immagine dell’opera “Uomo Vitruviano” dovrebbe essere eseguita presso la sede di (…) S.r.l. dove sarebbe localizzata l’attività di distribuzione e di promozione del puzzle per l’Italia; che, infine, indipendentemente dalla vendita online dei puzzle, il luogo della condotta illecita sarebbe individuabile nella sede di (…) S.r.l. poiché ivi avverrebbe la distribuzione tradizionale del prodotto e la sua promozione (cosicché la fattispecie non sarebbe assimilabile a quella presa in considerazione dalle S.U. della Suprema Corte con la pronuncia n. 13.10.2009 n. 21661 ai fini di individuare il foro competente in relazione alle controversie scaturenti dalla lesione di diritti della persona – immagine, onore, dignità, reputazione e decoro – prodotti dai mass media).

Il Collegio intende discostarsi da questo approdo e affermare, in accoglimento del reclamo proposto, la propria competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (il quale com’è noto prevede che “Per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio “) alla luce dei seguenti argomenti. In primo luogo, occorre considerare che, a ben vedere, la condotta illecita ascritta alle società reclamate e lamentata dalle reclamanti ex art. 108 Cod. Beni Culturali consiste essenzialmente in ciò: l’uso e la riproduzione a scopo di lucro dell’immagine e del nome dell’opera “Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci in assenza del consenso/autorizzazione dell’Amministrazione, quale custode del bene culturale e (unico) soggetto deputato alla valutazione della compatibilità dell’uso richiesto dell’immagine e nome del bene con il suo profilo culturale, identitario e valoriale universale (di cui è dunque garante) oltre che titolare, in via esclusiva, del diritto di utilizzazione economica dell’opera e senza pagamento di canoni di concessione e corrispettivi connessi alle riproduzioni delle opere.

La condotta illecita, in altri termini, si risolve nell’appropriazione per così dire indebita, da parte delle società (…), tanto all’estero quanto in Italia, dell’immagine -per come riprodotta- e del nome dell’opera finalizzata al suo sfruttamento economico/commerciale. Se questo è, dunque, il nucleo fondamentale della condotta illecita esaminata, ne consegue che, ai fini dell’individuazione del locus commissi delicti ex art. 20 c.p.c., non risultano determinanti i luoghi di svolgimento delle attività di commercializzazione, distribuzione e promozione dei prodotti (i noti puzzle) raffiguranti l’immagine e il nome de l'”Uomo Vitruviano” in quanto mere modalità di esecuzione dell’illecito già perfezionatosi integralmente in un momento antecedente.

Così identificati i caratteri della condotta illecita non v’è dubbio, allora, che la stessa non sia collocabile fisicamente in alcun luogo determinato, tantomeno con ragionevole certezza, essa estrinsecandosi, sul piano materiale, in ogni puzzle (…) riproducente -senza titolo- dell’immagine e del nome dell’opera considerata, sia esso prodotto ai fini della commercializzazione o già immesso sul mercato, italiano o estero, online o al dettaglio. A giudizio del Collegio, dunque, non può essere considerato quale forum commissi delicti la sede legale della – sola – (…) S.r.l. in quanto mero luogo dell’asserita (poiché in alcun modo dimostrata dalle resistenti reclamate) distribuzione, peraltro solo fisica e solo sul mercato italiano, dei prodotti oggetto di causa, dovendosi valorizzare, ai fini dell’individuazione del Giudice competente, il luogo di concretizzazione ed effettiva verificazione del danno risarcibile ovvero il luogo dove si sarebbe realizzato lo svilimento e l’annacquamento dell’immagine e del nome dell’opera.

Un tanto, si badi, sulla scorta dei principi elaborati dalla Suprema Corte nella pronuncia del 2009 sopra citata in tema di individuazione del Giudice del luogo dove è sorta l’obbligazione risarcitoria in relazione alla lesione di diritti della personalità recata da mezzi di comunicazione di massa e applicabili, a giudizio del Collegio, anche alla presente fattispecie ove si discute della pretesa lesione all’immagine e al nome di un bene culturale nella sua dimensione valoriale e immateriale (tutelata, in questo caso, dal suo ente custode e titolare del diritto di sfruttamento economico).

Ne consegue che a fronte, per un verso, di una diffusione “a raggiera” e contestuale dei prodotti riproduttivi -senza autorizzazione- dell’immagine e del nome del bene culturale (tanto su numerose piattaforme di vendita online quanto presso i negozi al dettaglio) e, perciò, come detto, veicoli dell’illecito (non collocabile con precisione sul piano spaziale) e, soprattutto, della lesione del bene giuridico protetto dall’art. 108 Cod. Beni Culturali e, per altro verso, dell’esigenza di individuare un luogo certo di verificazione concreta del pregiudizio risarcibile (dove possa quindi indicarsi sorta l’obbligazione), questo Collegio ritiene di affermare la propria competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. quale giudice del luogo del domicilio del soggetto danneggiato (i.e. l’Amministrazione che ha in consegna il bene), dunque Venezia, quale luogo “in cui certamente e principalmente si è verificato il danno risarcibile” e in cui “si realizzano le ricadute negative della lesione”.

Ciò, essenzialmente, in quanto a Venezia è collocato il bene culturale “Uomo Vitruviano” (“testimonianza materiale avente valore di civiltà” ed “entità immateriale di fruizione pubblica” ma localizzata, fisicamente, a Venezia) e perché a Venezia ha sede l’ente consegnatario dello stesso, le Gallerie dell’Accademia, al quale dev’essere chiesta l’autorizzazione per la riproduzione e l’uso dell’opera e che, in ragione dell’illecito attribuibile alle società resistenti, è stata totalmente privato del controllo, ad esso solo spettante, in ordine alla compatibilità dell’uso e della riproduzione dell’immagine e del nome dell’opera con il suo profilo culturale e valoriale oltre che dei corrispettivi dovuti.

Ne consegue che è Venezia il luogo in cui il danno, tanto non patrimoniale che patrimoniale, riconducibile alla condotta illecita delle parti reclamate si è certamente e principalmente e verificato; di conseguenza, in accoglimento del motivo di reclamo, dev’essere affermata la competenza territoriale di questo Tribunale ex art. 20 c.p.c.

Passando, pertanto, al merito della domanda cautelare richiesta, il Collegio ne rileva la fondatezza tanto sotto il profilo del fumus che sotto quello del periculum. Sul fumus bonis iuris.

La complessità della controversia induce a esaminare partitamente le seguenti questioni. Sulla legge applicabile al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

Richiamate le argomentazioni svolte sopra in ordine alla titolarità in capo a tutte le resistenti -dal lato passivo- del rapporto sostanziale dedotto in giudizio quali condebitori solidali (alla luce del collegamento economico funzionale tra imprese di un medesimo gruppo avente il medesimo progetto e scopo imprenditoriale e della conseguente attribuibilità a tutte le società del gruppo (…) dell’attività di sfruttamento illecito – perché non autorizzato – a fini commerciali dell’opera di Leonardo in questione, svolta a vario titolo, ma pur sempre nel contesto di un’azione unitaria, coordinata e continuata in Italia come all’estero – tanto che, nella corrispondenza intervenuta tra le parti ante causam, fu la stessa (…) AG a prendere specifica posizione, significativamente per tutto il gruppo (…), rispetto alle doglianze delle odierne reclamanti con comunicazione d.d. 11.12.2019 -doc. 9 di parte reclamata- senza mai eccepire la propria estraneità alla controversia-), va preliminarmente rilevata l’applicabilità della legge italiana, quale lex fori, rispetto a tutte le parti dell’odierno giudizio in forza dei principi e delle disposizioni di diritto internazionale privato volte a regolare fattispecie, qual è quella in questione, caratterizzate da elementi di transnazionalità eppure di principale collegamento con il territorio italiano (in ragione del verificarsi in Italia delle conseguenze immediate dell’illecito; della custodia in Italia del bene culturale; del domicilio in Italia dell’Amministrazione consegnataria dell’opera).

Tali circostanze giustificano l’applicazione della legge italiana in materia di beni culturali in armonia ai parametri normativi di diritto internazionale privato di seguito indicati: i) qualifica di “norma di applicazione necessaria” attribuibile al Codice dei Beni Culturali ex artt. 17 della L. 218/1995 e 16 del Reg. n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II) in ragione del suo scopo e del suo oggetto (e indipendentemente dall’applicazione delle norme di conflitto): invero, come sottolineato dalle stesse resistenti, il Codice italiano rappresenta un unicum a livello europeo proprio in considerazione del fatto che, con la sua adozione, il Legislatore ha inteso tutelare al meglio un interesse ritenuto essenziale per lo Stato italiano (notoriamente famoso in tutto il mondo soprattutto per il suo immenso patrimonio storico-artistico e culturale, valore costituzionale riconosciuto all’art. 9 Cost. e identitario della collettività in una dimensione di fruizione pubblica), divenendo dunque il rispetto delle disposizioni codicistiche -ivi compreso l’art. 108, avente dunque carattere imperativo similmente alle altre disposizioni- assolutamente cruciale per la salvaguardia dell’interesse pubblico, tanto sociale quanto economico (sul punto, la Corte di Giustizia ha già avuto modo di affermare che “conservazione del patrimonio storico ed artistico nazionale possono costituire esigenze imperative che giustificano una restrizione della libera prestazione dei servizi” sent. del 21.02.1991, C- 180/89);

ii) l’articolo 4, paragrafo 1, del citato Regolamento Roma II secondo cui la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali che derivano da un fatto illecito è quella dello Stato in cui il danno si verifica, indipendentemente dallo Stato nel quale è avvenuto il fatto che ha dato origine al danno e a prescindere dallo Stato o dagli Stati in cui si verificano le conseguenze indirette di tale fatto: tale disposizione, letta in combinato disposto con il considerando 16 – secondo cui “il collegamento con il paese sul cui territorio il danno diretto si è verificato (lex loci damni) determina un giusto equilibrio fra gli interessi del presunto responsabile e quelli della parte lesa”- e 17 -secondo cui “la legge applicabile dovrebbe essere determinata sulla base del luogo in cui si verifica il danno, a prescindere dal paese o dai paesi in cui potrebbero verificarsi le conseguenze indirette”-, conduce indubbiamente all’applicazione della legge del luogo ove si sono verificate le immediate conseguenze pregiudizievoli della lesione nei confronti dei danneggiati, ovvero, per le ragioni sopra richiamate, l’Italia e, in particolare, Venezia (quale luogo in cui è custodita l’opera di Leonardo pretesamente lesa nella sua immagine e dove ha sede l’Amministrazione consegnataria e asseritamente danneggiata in quanto privata, oltre che dei corrispettivi, del controllo sull’uso e riproduzione dell’immagine del bene in questione).

In relazione a quest’ultimo parametro normativo, inoltre, appare priva di pregio l’allegazione delle parti reclamate secondo cui l’applicabilità del Reg. Roma II sarebbe necessariamente condizionata alla qualificazione del medesimo fatto oggetto di controversia in termini di illecito da parte di tutti gli ordinamenti rispetto ai quali la fattispecie presenta elementi di collegamento: l’attività di qualificazione del fatto quale illecito, invero, va effettuata da parte del Giudice sulla scorta della lex fori ovvero della legge applicabile secondo le disposizioni di diritto internazionale privato, indipendentemente, dunque, dalla qualificazione che di quel medesimo fatto potrebbe essere offerta da altro ordinamento, sia essa in termini di illecito o meno. In altri termini, ai fini della qualificazione di un fatto come illecito, il Giudice individuato come competente secondo le norme di conflitto non è vincolato ad alcuna condizione di reciprocità tra quanto previsto dalla legge applicabile (sempre in forza delle norme di conflitto) e quanto previsto dalla legge di altro ordinamento (che pure presenti criteri di collegamento con la fattispecie caratterizzata da elementi di estraneità).

Tali riferimenti normativi di diritto internazionale privato consentono pertanto l’applicazione della legge italiana per la disciplina della fattispecie in questione e, contrariamente a quanto sostenuto dalle società reclamate con sede in Germania, rispetto a tutte le parti coinvolte nel presente contenzioso. Sul fumus boni iuris della cautela richiesta.

Le parti ricorrenti, come detto, hanno contestato alle resistenti l’illecito utilizzo e riproduzione dell’immagine dell’opera “Uomo Vitruviano” di Leonardo e del suo nome, quale bene culturale custodito ed esposto alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, alla luce, oltre che degli artt. 6, 7 e 10 e del codice civile, di quanto previsto nel “Regolamento per la riproduzione dei beni culturali in consegna alle Gallerie dell’Accademia di Venezia” in conformità agli artt. 107-109 del Codice dei Beni Culturali (D.Lgs. 42/2004) e in particolare all’art. 108. Disposizione, questa, che demanda all’Amministrazione custode del bene culturale il potere di autorizzare/concedere la riproduzione dell’immagine del bene e di determinare i canoni di concessione e i corrispettivi della riproduzione tenuto conto a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso; b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni; d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente.

Ora, occorre subito evidenziare che, in fatto, le odierne reclamate non hanno mai contestato (ed anzi hanno riconosciuto): di aver riprodotto l’immagine dell’opera e utilizzato il suo nome per scopo di lucro (mediante la commercializzazione dei predetti puzzle tramite canali tradizionali e online sul mercato italiano ed europeo e l’attività di pubblicizzazione dei prodotti) senza chiedere – e dunque senza ottenere – l’autorizzazione delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e, inoltre, senza corrispondere all’Amministrazione alcunché a titolo di canone di concessione o corrispettivi per la riproduzione, anche per scopi promozionali/pubblicitari (tanto in Italia che all’estero); di aver proseguito tale attività, nonostante la diffida delle odierne reclamanti nel novembre del 2019, durante tutto il corso del presente giudizio fino ad oggi. Alla luce dell’affermata applicabilità al rapporto sostanziale tra -tutte- le parti in causa della disciplina italiana costituita dal codice dei Beni Culturali (che, peraltro, non prevede alcuna specifica limitazione della sua efficacia entro i confini nazionali) e dal codice civile ne consegue che tale condotta appare costituire illecito determinante un danno risarcibile ex artt. 2043 e 2059 c.c., laddove il danno è costituito, in primo luogo, dallo svilimento dell’immagine e della denominazione del bene culturale (perché riprodotti e usati senza autorizzazione e controllo rispetto alla destinazione) e, in secondo luogo, dalla perdita economica patita dall’Istituto museale (per il mancato pagamento del canone di concessione e dei corrispettivi di riproduzione).

Sotto quest’ultimo profilo occorre evidenziare che ancorché il bene culturale, di per sé considerato -secondo la più autorevole dottrina- come entità immateriale distinta dal supporto materiale cui inerisce e costituente un valore identitario collettivo destinato alla fruizione pubblica, costituisca un bene giuridico meritevole di tutela rafforzata (anche a livello costituzionale) secondo l’ordinamento, tuttavia lo stesso non possiede evidentemente un’autonoma soggettività cosicché si verifica una scissione tra l’oggetto di tutela rispetto alla lesione dell’immagine (i.e. il bene culturale) e il soggetto deputato, quale titolare del potere concessorio/autorizzatorio rispetto alla sua destinazione, ad agire per la sua tutela e a ricevere l’eventuale risarcimento del conseguente danno non patrimoniale (i.e. l’Amministrazione consegnataria del bene). Ciò che giustifica la legittimazione attiva delle odierne reclamanti rispetto alla domanda cautelare rispetto al pregiudizio non patrimoniale (pacifica invece risultando la legittimazione con riguardo alla cautela rispetto al pregiudizio di natura prettamente patrimoniale).

Sull’attualità del periculum della condotta illecita delle resistenti.

A giudizio del Collegio, mentre non sussiste un irreparabile pregiudizio di carattere patrimoniale conseguente alla mancata corresponsione del canone di concessione da parte delle resistenti (tanto più in ragione dell’assoluta capienza del Gruppo (…), leader a livello europeo nel settore del commercio di giocattoli), sussiste, invece, un irreparabile e imminente danno non patrimoniale costituito dallo svilimento dell’immagine e del nome dell’opera “Uomo Vitruviano” determinato dal perpetuarsi dell’utilizzo incontrollato a fini commerciali della riproduzione dell’opera da parte delle società reclamate del gruppo (…).

Invero, l’irreparabilità del danno (a fronte di un risarcimento per equivalente nel futuro ed eventuale giudizio di merito), in questo caso, è costituita dalla gravità della lesione perpetrata per anni all’immagine e al nome del bene culturale, danneggiato irrimediabilmente per il solo fatto di essere stato (e continuare a esserlo) oggetto di una riproduzione indiscriminata ovvero senza il necessario e preventivo vaglio da parte dell’Amministrazione consegnataria circa l’appropriatezza della destinazione d’uso e delle modalità di utilizzo del bene in rapporto al suo valore culturale.

E proprio la circostanza che nel corso degli anni – e di questo giudizio – gli effetti lesivi della condotta illecita attribuibile alle società reclamate non si siano attenuati, ma, al contrario, si siano addirittura aggravati in ragione del perdurare dell’illecito (e della conseguente sempre maggiore diffusione dei prodotti (…) sul mercato) attribuisce al pregiudizio in questione anche il carattere dell’imminenza.

In questa prospettiva è priva di pregio la tesi, sostenuta dalla società reclamate, secondo cui il periculum in mora sarebbe del tutto carente avendo il Gruppo (…) iniziato l’attività già dal 2009 nella totale indifferenza delle controparti.

Ciò in quanto: i) non sussiste alcun onere o obbligo per le reclamanti di effettuare un controllo costante sul mercato -tradizionale e online- al fine di verificare periodicamente la presenza di prodotti illecitamente riproducenti l’immagine e il nome dei numerosissimi beni culturali custoditi nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, ivi compreso il disegno di Leonardo da Vinci; ii) non sono emersi elementi di prova per ritenere che il Ministero della Cultura e le Gallerie dell’Accademia di Venezia fossero stati ad effettiva conoscenza del commercializzazione del puzzle (…) ritraente l’immagine dell’opera di Leonardo in un momento significativamente antecedente rispetto a quello di invio della diffida del 2019; iii) non sussistono elementi per ritenere attribuibile alla tolleranza o all’inerzia delle odierne parti reclamanti il periodo di tempo trascorso tra l’invio della diffida al Gruppo (…) e il deposito del ricorso cautelare dinanzi a questo Tribunale, avendo le prime documentato di aver dapprima intavolato una trattativa con la controparte per la composizione bonaria della lite e successivamente -constatata l’impossibilità di una transazione e la complessità della materia- di aver richiesto un parere alla Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura e successivamente all’Avvocatura dello Stato. I provvedimenti oggetto della cautela.

Accertata la sussistenza dei requisiti della cautela in via d’urgenza e passando dunque all’esame degli strumenti della cautela richiesti dalle reclamanti, il Collegio ritiene che sia senz’altro fondata la domanda di inibitoria ai sensi degli artt. 6, 7 e 10 c.c..

L’inibitoria, rimedio di carattere generale e tipico della tutela dei diritti della personalità, costituisce nella fattispecie principale strumento di cautela, per così dire rivolta verso il futuro, nella misura in cui consente di imporre alle società reclamate di astenersi dal perseverare nella condotta illecita sopra descritta al fine di evitare l’aggravamento ulteriore del danno non patrimoniale.

Giustificano l’applicazione del rimedio tanto l’indebito uso e riproduzione dell’immagine e nome dell’opera da parte delle società reclamate tanto la sussistenza di un pregiudizio irreparabile e imminente derivante da tale condotta in capo alle parti reclamanti. Di conseguenza, (…) AG., (…) GmBH e (…) S.r.l., in persona del rispettivo legale rappresentante p.t., devono essere inibite dall’utilizzo a fini commerciali dell’immagine dell’opera “Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci e della sua denominazione, in qualsiasi forma e in qualunque prodotto e/o strumento, anche informatico sui propri siti internet e su tutti gli altri siti e social network di loro competenza.

Il Tribunale, inoltre, ritiene di determinare in Euro 1.500 la somma dovuta dalle reclamate per ogni e per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento nonché per la violazione o inosservanza successivamente constatata. Tale misura, applicabile nei casi in cui -come nella fattispecie- non si possa ricorrere ad esecuzione diretta e si abbia ad oggetto una prestazione infungibile, ha invero natura rafforzativa, atteggiandosi a strumento volto ad ottenere più velocemente la soddisfazione della cautela richiesta e l’adempimento dell’ordine da parte del debitore.

Il rimedio predisposto persegue nella fattispecie lo scopo precipuo di far sì che l’attuazione del presente provvedimento avvenga spontaneamente: la misura prevista dall’articolo 614-bis c.p.c. è infatti volta ad assicurare l’attuazione sollecita del provvedimento e, come per la condanna, è funzionale, innanzitutto, a favorire la conformazione a diritto della condotta della parte inadempiente (e, conseguentemente, ad evitare o limitare il protrarsi del danno non patrimoniale) e in secondo luogo, ad assicurare anche l’esigenza di garantire un serio ristoro di fronte al perdurare dell’inadempimento.

Inoltre, in sostanziale accoglimento della domanda delle reclamanti, dev’essere disposta la pubblicazione del presente provvedimento a cura delle reclamanti e a spese delle reclamate, per estratto e/o sintesi del contenuto, a caratteri doppi del normale, per due volte, anche non consecutive, su due quotidiani a diffusione nazionale -il Corriere della Sera e la Repubblica- e su due quotidiani a diffusione locale -Il Gazzettino e La Nuova Venezia-, anche nelle loro versioni on-line, con termine non superiore a giorni 10 dalla comunicazione per l’inserzione. Tale strumento di cautela appare giustificato, per un verso, dall’importanza e dal valore del bene culturale in questione per la collettività locale e nazionale e, per altro verso, dall’esigenza di limitare l’aggravamento della lesione della sua immagine e del suo nome derivante dalla significativa portata della condotta illecita perpetrata dal Gruppo (…) (tenuto conto del suo già riconosciuto ruolo di leader nel mercato della commercializzazione dei giocattoli e della conseguente enorme diffusione dei suoi prodotti sul mercato nazionale ed estero). Non si ritiene, per contro, necessario in questa sede cautelare disporre l’ordine di ritiro dal commercio e distruzione, che più opportunamente andranno eventualmente disposti all’esito del giudizio di merito (quale risarcimento in forma specifica), previa puntuale individuazione e ricognizione, anche al fine di assumere un provvedimento concretamente eseguibile. In conclusione, il reclamo è fondato e merita accoglimento nei termini di cui dispositivo. La soccombenza delle parti reclamate governa la regolamentazione delle spese di lite di entrambe le fasi, da liquidarsi in virtù delle tabelle accluse al D.M. 55/2014 (valore indeterminabile della lite di particolare importanza, parametri medi per tutte le quattro fasi con incremento del 30% ex art. 4 co. 2 per il numero delle parti). In ragione dell’assoluta novità delle questioni trattate e dell’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale, sussistono i presupposti per la parziale compensazione delle spese di lite per la frazione di 1/3, con condanna delle parti reclamate alla rifusione della residua frazione di 2/3.

P.Q.M.

Il Tribunale Ordinario di Venezia, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunziando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione, deduzione, così provvede: – Accoglie il reclamo e per l’effetto:

i) Inibisce a (…) AG., (…) GmBH e (…) S.r.l., in persona del rispettivo legale rappresentante p.t., l’utilizzo a fini commerciali dell’immagine dell’opera “Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci e della sua denominazione, in qualsiasi forma e in qualunque prodotto e/o strumento, anche informatico sui propri siti internet e su tutti gli altri siti e social network di loro competenza;

ii) Condanna (…) AG., (…) GmBH e (…) S.r.l., in persona del rispettivo legale rappresentante p.t., al pagamento di una penale di Euro 1.500 a favore del Ministero della Cultura e delle Gallerie dell’Accademia di Venezia per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del presente provvedimento cautelare a decorrere dal settimo giorno successivo alla comunicazione del presente provvedimento e per il caso di eventuale ripresa dell’utilizzo abusivo dopo la sospensione dell’attività illecita per ordine del Tribunale;

iii) Ordina la pubblicazione del presente provvedimento per estratto e/o sintesi del suo contenuto a cura delle parti reclamanti e a spese delle parti reclamate, a caratteri doppi del normale, per due volte, anche non consecutive, su due quotidiani a diffusione nazionale -il Corriere della Sera e la Repubblica- e su due quotidiani a diffusione locale -Il Gazzettino e La Nuova Venezia-, anche nelle loro versioni on-line, con termine non superiore a giorni 10 dalla comunicazione per l’inserzione;

– Compensa per 1/3 le spese di lite di entrambe le fasi del giudizio e condanna le reclamate al pagamento a favore delle reclamanti della residua frazione di 2/3 che liquida, per ciascuna delle due fasi, in Euro 10.197 per compenso di avvocato, oltre iva, cpa e rimborso spese generali pari al 15%.

Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 24 ottobre 2022.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.