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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 8 maggio 2017, n. 11184

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, l’utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte del singolo condomino in assenza del consenso degli altri condomini, ai quali resta precluso l’uso, anche solo potenziale, della “res”, determina un danno “in re ipsa”, quantificabile in base ai frutti civili tratti dal bene dall’autore della violazione

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 8 maggio 2017, n. 11184

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9905/2013 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO DI (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 457/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/03/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS) difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

  1. – La vicenda oggetto della causa trae origine dai lavori con i quali (OMISSIS), proprietaria di un appartamento all’ultimo piano facente parte del Condominio dell’edificio di via (OMISSIS), occupo’ una parte del sottotetto del fabbricato, ponendolo in collegamento col proprio appartamento attraverso una scala interna realizzata praticando un’apertura nella soletta del detto sottotetto.
  2. – La Corte di Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, accogliendo le domande proposte dal Condominio nei confronti della (OMISSIS), dichiaro’ la natura condominiale del sottotetto e l’illegittimita’ delle opere eseguite dalla (OMISSIS), condannando quest’ultima alla rimozione di tali opere, al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento del danno (liquidato in Euro 4.000,00).
  3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre (OMISSIS) sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso il Condominio dell’edificio di via (OMISSIS).

La ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex articolo 360 c.p.c., n. 3), nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex articolo 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello erroneamente interpretato gli atti negoziali prodotti (atto costitutivo del condominio, regolamento contrattuale condominiale, titoli di provenienza della proprieta’ della (OMISSIS)), pervenendo cosi’ alla conclusione del difetto di un titolo che stabilisse la natura giuridica del sottotetto e della necessita’ di fare ricorso al criterio sussidiario della destinazione oggettiva del bene all’uso comune.

Il motivo non e’ fondato.

Va premesso che la fattispecie per cui e’ causa e’ soggetta, ratione temporis, alla disciplina di cui all’articolo 1117 c.c., comma 1, n. 1, nel testo anteriore a quello introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, a tenore del quale costituiscono parti comuni dell’edificio, se il contrario non risulta dal titolo, il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, etc., “e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’e’ ragione di discostarsi, in tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio e’, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, puo’ ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto puo’ considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidita’, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (Cass., Sez. 6 – 2, n. 17249 del 12/08/2011). In particolare, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicche’, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, puo’ applicarsi la presunzione di comunione ex articolo 1117 c.c., comma 1; viceversa, allorche’ il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidita’ l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento (Cass., Sez. 2, n. 6143 del 30/03/2016; Sez. 2, n. 24147 del 29/12/2004; Sez. 2, n. 8968 del 20/06/2002).

Nella specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto.

Prima i giudici di merito hanno motivatamente escluso che i titoli prodotti dalle parti attribuissero la proprieta’ del sottotetto alla (OMISSIS). Sul punto, i giudici hanno sottolineato che, seppure dai titoli non risulta che il sottotetto dell’edificio sia di proprieta’ comune dei condomini, dall’atto di acquisto della (OMISSIS) non risulta affatto che il sottotetto sia stato trasferito in proprieta’ alla stessa. Le doglianze mosse in proposito dalla ricorrente si risolvono in censure di merito relative all’interpretazione di atti negoziali, interpretazione che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimita’, quando – come nella specie – non risultano violati i canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’articolo 1362 c.c. e segg., e la motivazione della sentenza impugnata (nella specie esaustiva: cfr. p. 2-3) e’ esente da errori logici e giuridici (cfr., ex multis, Cass., Sez. L, n. 17168 del 2012; Sez. 2, n. 13242 del 2010).

Una volta escluso che dai titoli possa ricavarsi la proprieta’ del sottotetto, esattamente i giudici di merito hanno fatto applicazione del criterio sussidiario della destinazione del bene dettato dall’articolo 1117 c.c., comma 1, n. 1, (nel testo vigente ratione temporis), ritenendo il sottotetto di proprieta’ condominiale per il fatto di essere destinato all’uso comune (tale uso comune i giudici di merito hanno dedotto dal fatto che il locale e’ costituito da un unico spazio comune compreso tra la scala A e quella B, con accesso dalla scala condominiale; e dal fatto che in esso sono collocate tubazioni condominiali, parti dell’impianto condominiale di riscaldamento centralizzato e dell’antenna centralizzata TV, nonche’ il vano tecnico dell’ascensore installato nella scala B).

La statuizione della sentenza impugnata sul punto e’ conforme alla giurisprudenza di questa Corte e risulta esente dai dedotti vizi di legittimita’.

  1. – Il secondo motivo – col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex articolo 360 c.p.c., n. 3), nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex articolo 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello omesso di dichiarare il difetto di legittimazione attiva del condominio, senza considerare che quest’ultimo aveva esercitato l’azione di rivendicazione relativamente ad una porzione di stabile esclusa dalle parti comuni – rimane assorbito nel rigetto della prima censura.
  2. – Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello condannato la (OMISSIS) al risarcimento del danno per l’occupazione del sottotetto, in assenza della prova di qualsiasi pregiudizio economico ed erroneamente ritenendo che il danno fosse in re ipsa.

La censura non e’ fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, l’utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte del singolo condomino in assenza del consenso degli altri condomini, ai quali resta precluso l’uso, anche solo potenziale, della “res”, determina un danno “in re ipsa”, quantificabile in base ai frutti civili tratti dal bene dall’autore della violazione (Sez. 2, n. 19215 del 28/09/2016).

Sul punto, va precisato che, a seguito della occupazione illegittima della cosa comune da parte di un condomino, le facolta’ dominicali del condominio possono risultare compromesse sia per il venir meno di un pregresso godimento del bene, sia per l’impossibilita’ di trarre in futuro dalla res le utilita’ che la stessa e’ idonea a produrre in base a calcoli di tipo figurativo. Tale danno, qualificabile in entrambi i casi come “lucro cessante” (interrotto o impedito), in tanto ricorre in quanto la parte comune sia suscettibile di utilizzazione e sia di natura potenzialmente fruttifera, potendosi da essa ricavare una utilita’.

Nella specie, la Corte territoriale si e’ adeguata al richiamato principio di diritto ed ha verificato la natura potenzialmente fruttifera del locale occupato dalla (OMISSIS). Esattamente, percio’, ha ritenuto la sussistenza del danno in re ipsa, peraltro liquidato in misura minima, neppure contestata dalla ricorrente.

  1. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
  2. – Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.