In tema di interpretazione del contratto, l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volonta’ degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento e’ censurabile in sede di legittimita’ soltanto per vizio di motivazione, nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure puo’ risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. Per sottrarsi al sindacato di legittimita’, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, si’ che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimita’ che sia stata privilegiata l’altra.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 11 settembre 2018, n. 22032

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8718-2014 proposto da:

(OMISSIS), rappresentata e difesa dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in (OMISSIS);

– ricorrente e controricorrente all’incidentale –

contro

(OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in (OMISSIS);

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 222/2014 della CORTE DI APPELLO di GENOVA, pubblicata il 19/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 3-12.10.2006, (OMISSIS) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di La Spezia (OMISSIS) e (OMISSIS).

L’attrice premetteva che, succedendo al padre (OMISSIS), era divenuta proprietaria di un appartamento sito in Via (OMISSIS), che il de cuius aveva acquistato da (OMISSIS) nel 1971. L’appartamento faceva parte di un edificio costruito a seguito di nulla osta comunale. La Soprintendenza ai Monumenti di Genova, con nota del 5.12.1969, aveva prescritto che tutta l’area libera dovesse essere asservita alla costruzione con atto regolarmente trascritto e che la vegetazione esistente dovesse essere rispettata, conservata ed incrementata e che, al fine di rinfoltire la cornice verde attorno all’edificio, si dovessero piantare 50 alberi di alto fusto, alti almeno m. 3.50. (OMISSIS) e (OMISSIS), nell’atto di acquisto del terreno su cui avrebbero dovuto edificare (rogito Notaio (OMISSIS) del 31.12.1969), convenivano, mediante una pattuizione inserita al paragrafo 9), secondo le prescrizioni del Comune di Levanto, fatte in sede di approvazione del progetto, di asservire alla erigenda costruzione tutto il terreno acquistato e avente una superficie catastale di mq. 2.061. Dopo aver ultimato la costruzione, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno poi realizzato opere per destinare a parcheggio l’area circostante l’edificio, in forza di autorizzazione comunale. In base a tali premesse, (OMISSIS) cosi’ concludeva: a) sentir dichiarare che il terreno di proprieta’ di (OMISSIS) e (OMISSIS), residuato dalla costruzione del fabbricato, e’ asservito a quest’ultimo e con destinazione a verde, come pure all’appartamento dell’attrice; b) sentir accertare e dichiarare che le trasformazioni eseguite, giusta condono n. 764 del 13.4.1999 e permesso a costruire n. 3 dell’1.2.2005 del Comune di Levanto, sono illegittime; c) condannare i convenuti a rimuovere i lastricati, ricostituendo il manto naturale di terreno e ponendo a dimora gli alberi di alto fusto gia’ esistenti; d) condannare i convenuti al risarcimento del danno subito e subendo per mancata fruibilita’ del terreno, con liquidazione secondo le risultanze di causa e /o in via equitativa.

Si costituivano in giudizio i convenuti, contestando sotto vari profili l’esistenza dell’asservimento.

Con sentenza n. 990/2009, depositata il 30.9 2009, il Tribunale di La Spezia riconosceva il fondamento delle domande attoree, in quanto con atto Notaio (OMISSIS) del 31.12.1969 era stata costituita la servitu’ in cui “l’utilitas e’ rappresentata dall’amenita’ del fondo dominante, destinato ad essere circondato dal verde per effetto della compressione dello ius aedificandi”. Pertanto, condannava i convenuti a rimuovere i lastricati, a ricostituire il manto erboso e a porre nuovamente a dimora le piante gia’ esistenti, nonche’ al pagamento delle spese processuali.

Avverso tale sentenza proponevano appello (OMISSIS) e (OMISSIS), affermando che la loro comune intenzione non fosse quella di costituire una servitu’ prediale negativa a carico del terreno da essi acquistato, bensi’ quella di manifestare una volonta’ prodromica alla formazione di un atto d’obbligo con il Comune di Levanto. L’unico soggetto legittimato a pretendere l’adempimento dell’obbligo di asservimento sarebbe stato il Comune di Levanto, il quale, invece, vi aveva rinunciato, dando l’assenso alla realizzazione dei parcheggi. In ogni caso, si negava che la (OMISSIS) fosse succeduta al padre (OMISSIS) nella titolarita’ della servitu’ negativa, ovvero che il trasferimento dell’appartamento avesse implicato ex lege il trasferimento della servitu’, che riguardava invece il fondo (nell’atto di acquisto di (OMISSIS) non era fatta menzione della servitu’).

Con sentenza n. 222/2014, depositata il 19.2.2014, la Corte d’Appello di Genova, respinta la tesi degli appellanti che la volonta’ delle parti fosse diretta alla formazione di un atto d’obbligo con il Comune, ha poi accolto l’appello, compensando interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Secondo la Corte d’Appello sarebbe stato onere dell’attrice-appellata di provare l’esistenza della servitu’, provvedendo alla produzione in giudizio del parere della commissione edilizia e del parere favorevole del Comune di Levanto.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base di quattro motivi, cui hanno resistito, con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno a loro volta proposto ricorso incidentale, sulla base di un motivo, cui ha resistito la ricorrente principale con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, la ricorrente principale deduce la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, in quanto la Corte d’Appello interpretando il patto n. 9) del contratto del 31.12.1969 (che recitava: “secondo le prescrizioni del Comune di Levanto fatte in sede di approvazione del progetto i compratori asserviscono alla erigenda costruzione tutto il terreno con il presente atto acquistato e precisamente avente una superficie catastale di mq 2601”) – avrebbe violato i canoni e i’ criteri interpretativi di cui all’articolo 1362 c.c. che non autorizza, ai fini interpretativi della volonta’ delle parti, la ricostruzione di essa con l’introduzione di elementi o rifermenti a documenti non invocati dalle stesse. Il Giudice, dunque, qualora il dato letterale sia equivoco e insufficiente, deve utilizzare gli altri parametri di interpretazione indicati dalla legge, che non sono mai pero’ l’introduzione di elementi o riferimenti non menzionati dalle parti. Nel caso di specie, il puro e semplice dato letterale non consentiva di individuare la volonta’ delle parti, per cui la Corte territoriale avrebbe dovuto utilizzare il criterio logico della ricerca della comune intenzione delle parti (che si assume omessa) per verificare se il rinvio per relationem di cui al patto 9) potesse essere alle future prescrizioni del Comune in sede di approvazione, atteso che non vi erano prescrizioni precedenti del Comune. Del resto, ne’ il parere della commissione edilizia, ne’ il parere favorevole del Comune per l’invio del progetto alla Soprintendenza costituivano atti esterni di approvazione del progetto, bensi’ atti istruttori e interni del procedimento, mentre il rinvio dei contraenti alle prescrizioni era riferito a quelle fatte in sede di approvazione. E la stessa Corte di merito, nel compensare le spese di lite, stante l’obiettiva difficolta’ di interpretare il contratto de quo, si era evidentemente resa conto che il senso letterale delle parole non era chiaro.

1.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente principale ha lamentato la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1363 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, poiche’ il Giudice di merito ha richiamato l’articolo 1363 c.c., che invece era inapplicabile al caso di specie, in quanto la clausola da interpretare era solo una.

1.3. – In ragione della loro connessione logico-giuridica, in due motivi vanno esaminati congiuntamente. Essi non sono fondati.

1.4. – In tema di interpretazione del contratto, l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volonta’ degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento e’ censurabile in sede di legittimita’ soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure puo’ risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006). Per sottrarsi al sindacato di legittimita’, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, si’ che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimita’ che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003).

1.5. – Nella specie, procedendo ad una analitica e coordinata lettura della clausola n. 9) del contratto inter partes del 31.12.1969, la Corte distrettuale ha correttamente e logicamente (e quindi incensurabilmente) individuato la volonta’ comune espressa in tale clausola, in virtu’ della quale “secondo le prescrizioni del Comune di Levanto fatte in sede di approvazione del progetto i compratori asserviscono alla erigenda costruzione tutto il terreno con il presente atto acquistato e precisamente avente una superficie catastale di mq 2601”.

Il giudice d’appello ha, in particolare, affermato che, “assorbente nella interpretazione della volonta’ delle parti del contratto del 31.12.1969 ex articoli 1362 e 1363 c.c., secondo l’appellata e il primo giudice costitutivo invece della dedotta servitu’ alla clausola 9 e non di un semplice impegno a compiere nei confronti del Comune di Levanto l’atto di asservimento solitamente redatto per ottenere il consenso dell’ente pubblico all’edificazione richiesta con il progetto approvato, e’ la considerazione che le stesse, pur igtlz essendo al corrente della nota della Soprintendenza pervenuta al Comune il 19.12.1969 e cioe’ anteriormente alla stipula del contratto, fanno riferimento nella clausola 9 non gia’ ad essa, ma alle prescrizioni del Comune di Levanto in sede di approvazione del progetto e cioe’ necessariamente, essendo il nulla osta comunale del 6.1.70 successivo al contratto, al parere della commissione edilizia risalente al 13.8.69 (vedi doc. 4-5 di parte (OMISSIS))”. E che sebbene tale parere non fosse stato prodotto in giudizio, cosi’ come l’affermato parere favorevole del Comune del 24.9.1969, pur essendo cio’ onere dell’appellata – “e’ evidente che essendo di diversi mesi anteriore alla nota della Soprintendenza non puo’ ad essa fare riferimento, ben potendo invece richiedere l’atto di asservimento di cui trattasi”. Da cio’, l’accoglimento dell’appello in mancanza di prova della volonta’ delle parti di costituire una servitu’ con la clausola 9) del contratto del 31.12.1969.

1.6. – Tali valutazioni si sottraggono al sindacato di legittimita’, avendo la Corte territoriale proceduto alla ricostruzione della comune intenzione dei contraenti, nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale poste dagli articoli 1362 e 1363 c.c., sulla base del tenore letterale e di una lettura della clausola in esame, ovviamente riferita anche al contenuto dell’accordo negoziale (da cui la clausola medesima non e’ stata meramente estrapolata, con conseguente infondatezza di entrambe le lamentate violazioni di legge di cui ai motivi primo e secondo), con una motivazione esauriente ed immune da vizi logici.

2. – Con il terzo motivo, la ricorrente principale deduce la “violazione o falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4”, in quanto il Giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti. La ricorrente ha invocato l’esistenza della servitu’ in base al contratto di compravendita del Notaio (OMISSIS) del 31.12.1969 e della pattuizione n. 9), non ha mai invocato ne’ il parere della commissione edilizia, ne’ il parere del Comune di Levanto, trattandosi di atti interni del procedimento di approvazione del progetto, che si estrinseca solo con il rilascio del nulla osta a costruire. Pertanto, la decisione del Giudice d’Appello, basata sulla mancata produzione in giudizio di quei documenti facenti parte dell’istruttoria amministrativa, viola il principio dispositivo della prova e del contraddittorio, con un error in procedendo che porta all’annullamento della sentenza impugnata.

2.1. – Il motivo non e’ fondato.

2.2. – A giudizio della Corte distrettuale, la ricorrente non ha assolto all’onere probatorio, sulla stessa incombente (in ragione della specifica domanda proposta), di dimostrare l’esistenza della servitus inaedificandi gravante sul terreno delle controparti a vantaggio del proprio fondo. Infatti (a seguito dell’interpretazione della clausola contrattuale in oggetto) il Collegio e’ pervenuto (correttamente, come detto) alla conclusione che, dalla pattuizione inserita al paragrafo 9) del contratto di compravendita del 31.12.1969, prodotto in giudizio dalla ricorrente, non e’ posssibile stabilire il contenuto della dedotta servitu’ che puo’ essere determinato solo facendo riferimento alle prescrizioni del Comune di Levanto fatte in sede di approvazione del progetto.

E’ evidente dunque che – lungi dal violare il principio della disponibilita’ delle prove ex articolo 115 c.p.c. – la Corte distrettuale, desumendo l’infondatezza della domanda dalla mancata produzione in giudizio delle suddette prescrizioni, si sia limitata a fare applicazione della regola per cui actore non probante, reus a bsolvitu r.

3. – Con il quarto motivo, la ricorrente principale deduce la “violazione o falsa applicazione dell’articolo 1067 c.c., comma 2, articoli 112 e 115 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4”, la’ dove il giudice del gravame, dopo aver accolto l’appello, ha dichiarato assorbita la domanda di risarcimento proposta dalla (OMISSIS), motivando poi in ordine alla stessa. Invero, la declaratoria di assorbimento di una questione non da’ luogo a una decisione sul merito, bensi’ sul rito, cosicche’ la questione assorbita potrebbe essere decisa solo dal giudice del rinvio, subordinatamente alla riforma della decisione assorbente. Orbene, nell’ipotesi in cui fosse diverso il giudizio sulla questione assorbente e si giungesse all’accertamento della servitu’, la spettanza del risarcimento andrebbe scrutinata ai sensi dell’articolo 1067 c.c., comma 2, che vieta al proprietario del fondo servente opere che si riflettano sul contenuto essenziale dell’altrui diritto, quale determinato dal titolo, e che incidano sull’estensione dell’utilitas, senza possibilita’ per il giudice di sostituire all’utilitas contrattuale altra e diversa da lui individuata.

3.1. – Il motivo e’ inammissibile.

3.2. – La Corte d’appello, rigettata la domanda principale della (OMISSIS) per mancato riconoscimento della servitu’, ritiene il “conseguente assorbimento della domanda di risarcimento dei danni da quest’ultima proposta”, osservando che, comunque, “al presunto danno derivante dalla perdita dell’amenita’, si contrappone il presumibile vantaggio derivante dalla messa a disposizione nelle immediate vicinanze di posti auto che solitamente determinano un incremento di valore degli immobili che ne possono, sia pure eventualmente a pagamento, usufruire” (sentenza pag. 5).

Orbene, premesso che la declaratoria di assorbimento di una questione non da’ luogo ad una decisione sul merito, ma di rito e, pertanto, non puo’ formarsi alcun giudicato sulla questione assorbita (Cass. n. 21472 del 2013; Cass. n. 11798 del 2011; Cass. n. 10545 del 2008), va rilevato che il giudicato si forma, oltre che sull’affermazione o negazione del bene della vita controverso, sugli accertamenti logicamente preliminari e indispensabili ai fini del deciso, quelli cioe’ che si presentano come la premessa indefettibile della pronunzia, mentre non comprende le enunciazioni puramente incidentali e in genere le considerazioni estranee alla controversia e prive di relazione causale col deciso. Dunque, l’autorita’ del giudicato e’ circoscritta oggettivamente in conformita’ alla funzione della pronunzia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicche’ ogni affermazione eccedente la necessita’ logico giuridica della decisione deve considerarsi un obiter dictum, come tale non vincolante (Cass. n. 1815 del 2012; Cass. n. 9775 del 1997).

3.3. – Le affermazioni della Corte genovese concernenti l’insussistenza del danno lamentato dalla ricorrente (nonostante l’assorbimento della questione) costituiscono certamente un obiter dictum come tale non vincolante, eccedente le necessita’ logico-giuridiche della pronuncia. Ma, proprio per questo, e’ inammissibile, per carenza di interesse, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si contesti un mero obiter dictum, che non ha influito sul dispositivo della decisione (Cass. n. 30354 del 2017).

4. – Con il motivo di ricorso incidentale, i controricorrenti, in relazione alla compensazione totale delle spese, ne deducono l’erroneita’ per “violazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, poiche’ detta compensazione, al di fuori dei casi della reciproca soccombenza, e’ ancorata a gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere esplicitamente indicate nella motivazione. Nel caso in esame, la compensazione delle spese sarebbe giustificata dall’obiettiva difficolta’ di interpretazione del contratto di compravendita del 31.12.1969, con motivazione non condivisibile, giacche’ la risoluzione della causa non e’ stata fatta discendere dalla soluzione di complesse questioni interpretative.

4.1. – Il motivo non e’ fondato.

4.2. – Va innanzitutto precisato che, ratione temporis (trattandosi di giudizio instaurato nell’ottobre 2006) deve trovare applicazione l’articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo novellato dal Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito in L. 23 febbraio 2006, n. 51, che prevedeva che le spese potessero essere compensate nel caso di soccombenza reciproca o di “altri giusti motivi esplicitamente indicati in motivazione”.

Orbene, tali giusti motivi sono stati individuati dalla Corte di merito nella “obiettiva difficolta’ di interpretazione del contratto del 31/12/1969”, con una argomentazione quindi sottratta al sindacato di legittimita’, in ragione della valutazione discrezionale operata dal giudice.

5. – Conseguono il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione tra le parti delle spese sostenute nel giudizio di cassazione. Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le impugnazioni integralmente rigettate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.