Il notaio che, chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, ometta di accertarsi dell’esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull’immobile, risponde del danno patito dall’acquirente, essendo comunque tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma secondo, cod. civ., a nulla rilevando se sia configurabile anche una responsabilità del venditore che abbia garantito la libertà del bene da ipoteca, vincoli o pesi di altra natura.

Corte d’Appello Milano, Sezione 2 civile Sentenza 21 febbraio 2019, n. 810

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

Sezione seconda civile

nelle persone dei seguenti magistrati:

dr. Alberto Massimo Vigorelli – Presidente

dr. Valter Colombo – Consigliere

dr. Letizia Ferrari da Grado – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. 2575/2017 promossa in grado d’appello

DA

(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in VIALE (…) ROMA presso lo studio dell’avv. FE.MA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all’avv. GI.ST. ((…)) VIALE (…) 00198 ROMA;

APPELLANTE

CONTRO

(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in VIA (…) 00193 ROMA presso lo studio dell’avv. PA.MA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti

(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in VIA (…) 28838 STRESA presso lo studio dell’avv. DI.CA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti

APPELLATI/APPELLANTI IN VIA INCIDENTALE

(…) (C.F. (…))

APPELLATO/CONTUMACE

Avente ad oggetto: Altri istituti relativi alle successioni

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto ritualmente notificato (…) ha proposto tempestivo appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Varese n. 54 del 26 gennaio 2017 che, in parziale accoglimento delle domande svolte (…), ha condannato (…) ed il notaio (…) a pagare all’attore la somma di Euro 14.000,00 a titolo di risarcimento danni, ha respinto ogni domanda formulata nei confronti del convenuto (…) ed ha altresì respinto la domanda formulata dall’attore e volta ad ottenere la condanna di (…) al pagamento delle quote del canone di locazione a lui spettanti in quanto coerede.

Con atto di citazione notificato in data 18 marzo 2011, (…) ha proposto azione di petizione di eredità ai sensi degli artt. 533 e 534 c.c. nei confronti di (…), (…) e (…), assumendo l’illiceità del trasferimento della proprietà dell’appartamento sito in (…), Via (…).

Secondo l’attore il diritto di proprietà del 50% dell’immobile di cui sopra, caduto nella successione del padre (…), deceduto il 22.12.1998, doveva essere devoluto agli eredi legittimi, tra cui l’attore medesimo, ma era invece stato fraudolentemente alienato a (…) dalla convenuta (…), sorella del de cuius, nonché proprietaria del restante 50% del bene, che si era falsamente affermata proprietaria piena ed esclusiva del suddetto immobile.

Con la sentenza di primo grado il giudice ha accertato la fondatezza delle doglianze attoree riscontrando tanto la falsità delle dichiarazioni rese in sede di compravendita immobiliare da parte di (…), quanto la responsabilità professionale a titolo extracontrattuale del notaio (…), per non aver svolto le opportune verifiche circa la titolarità dell’immobile oggetto di vendita, condannando dette parti al risarcimento del danno in favore di (…) come in esordio indicato.

Avverso la sentenza del Tribunale di Varese il notaio (…) con l’unico motivo di appello ha dedotto l’erroneità della decisione di prime cure per aver il giudice riscontrato profili di responsabilità professionale a suo carico.

Si sono tempestivamente costituiti in giudizio (…) e (…) che hanno entrambi proposto appello incidentale avverso la sentenza impugnata, mentre è stato dichiarato contumace (…) raggiunto da rituale notifica dell’atto di citazione, ma non costituitosi.

Con appello incidentale (…) ha chiesto il rigetto dell’appello principale ed ha lamentato, con il primo motivo, l’erroneità della sentenza appellata per aver il Tribunale rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità in capo a (…), con il secondo motivo, l’erroneità della decisione nella parte in cui ha considerato la stessa (…) priva del diritto di alienare l’immobile sito in (…) nonché consapevole della mancanza di legittimazione a tal fine.

Infine, con ultimo motivo di gravame la (…) ha impugnato la condanna al pagamento delle spese di causa in favore del convenuto (…) posto che quest’ultimo non è stato da lei chiamato in causa.

Con appello incidentale (…) ha chiesto il rigetto dell’appello principale e di quello incidentale proposto dalla (…), nonché la riforma della sentenza del Tribunale di Varese nella parte in cui ha rigettato la richiesta di restituzione delle somme corrispondenti alla quota dei canoni di locazione allo stesso spettante in qualità di coerede del defunto padre (…).

All’udienza tenuta in data 18.09.2018 i procuratori delle parti a ciò invitati hanno precisato le conclusioni come in epigrafe trascritte, quindi la causa, all’esito del disposto scambio delle memorie di cui all’art. 190 c.p.c., è passata in decisione.

L’appellante principale ha impugnato la decisione di primo grado per aver il giudice riscontrato inadempienze nell’attività professionale del notaio che ha redatto l’atto di compravendita dell’immobile in oggetto ed in particolare per non aver egli svolto il controllo anagrafico che, secondo il giudice, gli avrebbe permesso di accertare chi fossero i veri eredi di (…).

Secondo l’appellante il giudice non si sarebbe avveduto del fatto che, essendo il de cuius nato in F., la verifica anagrafica avrebbe dovuto seguire una procedura particolarmente lunga quale quella contenuta nelle norme del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, che avrebbe determinato un rinvio indeterminato nel tempo dell’atto di compravendita ed un conseguente ingiustificato rallentamento nella circolazione di beni e diritti.

Inoltre, (…) ha evidenziato che la giurisprudenza ritiene il notaio tenuto a svolgere controlli e accertamenti necessari sull’immobile oggetto di compravendita sino a risalire al primo atto antecedente il ventennio precedente rispetto a quello in cui si stipula e non oltre.

L’appello principale è infondato e deve essere respinto.

Questa Corte ritiene corretta ed esente da vizi logico-motivazionali la decisione del giudice di primo grado che ha adeguatamente valutato il comportamento tenuto dal notaio rispetto a ciò che era esigibile da un professionista che operasse con adeguata diligenza.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel senso di ritenere che “rientra tra gli obblighi del notaio, che sia richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare …, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti ed, in particolare, l’estrazione delle cosiddette “visure” catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale attività per concorde volontà delle parti, dettata da motivi di urgenza o da altre ragioni” (Cass. n. 13015/2006).

L’orientamento della Suprema Corte è chiaramente volto ad evidenziare che, nonostante la prestazione del notaio sia un obbligazione di mezzi e non di risultato, il suo ruolo gli impone di garantire la sicurezza dei traffici giuridici ed a tal fine è tenuto a svolgere ogni controllo necessario per garantire il raggiungimento del risultato voluto dalle parti, che, nel caso di compravendita immobiliare, è certamente quello di realizzare il valido trasferimento del bene.

Il giorno 17.10.2008, con atto a rogito del notaio (…), notaio in R. (repertorio n. (…), Raccolta n. (…)), (…) ha trasferito a (…) la proprietà dell’appartamento sito in (…), Via C. n. 44, con relativa pertinenza, per la somma complessiva di Euro 160.000,00 (cfr. doc. 1 fascicolo di primo grado parte appellante).

Nel suddetto atto, nel ricostruire i trasferimenti subiti dall’immobile oggetto di vendita al fine di risalire al titolo di acquisto della proprietà in capo alla venditrice, è riportato che “in data 22 dicembre 1998 decedeva il signor (…)G. lasciando sua unica erede legittima la propria sorella (…)L. (den. Succ. 36 vol. 1599, trascritta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Varese il 15 gennaio 2008 al n. 484 di formalità), la quale, così è divenuta unica piena proprietaria” (cfr. doc n. 5 fascicolo di primo grado (…)).

Dalla documentazione in atti è stato possibile riscontrare che la citata affermazione non corrisponde a verità in quanto, alla morte di (…), chiamati all’eredità erano i figli legittimi di costui e cioè (…), A.(…), entrambi di nazionalità francese, il coniuge di seconde nozze S.A.S. (morta nel maggio 2010) ed il figlio che il de cuius ha avuto da quest’ultima, E.J.E.(…), all’epoca minorenne, di nazionalità irlandese.

Il notaio avrebbe potuto facilmente avvedersi della falsità della dichiarazione fatta dalla (…) nonché della denuncia di successione, infatti, sarebbe stato sufficiente richiedere il certificato anagrafico storico per rendersi conto che, vista la presenza di eredi legittimari, (…) non poteva essere unica erede del fratello G..

D’altronde questa verifica era sicuramente esigibile dal professionista e, diversamente da quanto da lui sostenuto, nel caso di specie non avrebbe nemmeno comportato un particolare dispendio di tempo, infatti, il de cuius non era nato in F., come il (…) ha dichiarato nell’atto di impugnazione, bensì a Novara.

Pertanto, la ricerca del certificato storico anagrafico del de cuius doveva essere svolta, comunque, in Italia e non all’estero.

In ogni modo, appare opportuno evidenziare che, quand’anche fosse stato necessario svolgere un controllo secondo le modalità indicate nel D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, questo non avrebbe certamente costituito un arbitrario rallentamento dei traffici giuridici, come sostenuto dall’appellante, in quanto si tratta di un atto indispensabile per assicurare la certezza e la sicurezza dei traffici giuridici.

Parimenti privo di fondamento, nonché di rilevanza nel caso di specie, appare quanto evidenziato dall’appellante circa il c.d. “periodo di controllo” esigibile dal notaio che, secondo la giurisprudenza, deve essere limitato al ventennio antecedente il momento di stipulazione dell’atto.

Nel presente caso sarebbe stato sufficiente che il notaio svolgesse gli opportuni controlli sull’immobile alla data di morte di (…), avvenuta poco meno di dieci anni prima della stipula del contratto, affinchè si avvedesse della falsità della dichiarazione resa dalla (…) e passivamente recepita dal notaio nell’atto di compravendita.

È opportuno inoltre ricordare che la Cassazione si è espressa nel senso di ritenere che

“Il notaio che, chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, ometta di accertarsi dell’esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull’immobile, risponde del danno patito dall’acquirente, essendo comunque tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma secondo, cod. civ., a nulla rilevando se sia configurabile anche una responsabilità del venditore che abbia garantito la libertà del bene da ipoteca, vincoli o pesi di altra natura” (Cass. n. 15305/2013).

Ricorrendo ad applicazione analogica ai fatti di causa del principio ora richiamato si deve ritenere che la dichiarazione della venditrice, circa la sua qualità di unica erede del fratello, non esonerasse in alcun modo il notaio dallo svolgere ogni attività che potesse rivelarsi utile a verificare la veridicità di quanto dichiarato.

Sulla base di tutte quante le ragioni sin ora esposte questa Corte ritiene (…) responsabile ai sensi dell’art.2043 c.c. per aver violato il proprio dovere di diligenza di cui all’art. 1176 c.c. ed aver con tale comportamento causato un danno a (…) consistito nell’aver contribuito all’illegittima alienazione dell’immobile sito in (…), via C., n. 44 da parte della signora (…), proprietaria solo del 50% della suddetta abitazione.

Con il primo motivo di appello incidentale (…) ha dedotto l’erroneità della decisione di primo grado per aver il giudice rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto di (…) di accettare l’eredità paterna.

Nella specie l’appellante ha evidenziato che il giudice non si sarebbe avveduto della circostanza che l’attore, (…), alla data di notifica dell’atto di citazione non aveva la qualità di erede di (…) per avvenuto decorso del termine decennale di cui all’art. 480 c.c..

Il gravame è infondato e non può trovare accoglimento.

Come ha correttamente rilevato il primo giudice l’eccezione di prescrizione ex art. 480 c.c. proposta dalla (…) è un’eccezione non rilevabile d’ufficio, pertanto, doveva essere avanzata entro il termine di cui all’art.167, comma 2, c.p.c..

Da quanto premesso consegue la manifesta tardività dell’eccezione in parola in quanto formulata dalla (…) nella sua comparsa di costituzione depositata alla prima udienza di trattazione e dunque tardivamente

Nonostante la tardività dell’eccezione di prescrizione abbia portata assorbente questa Corte ritiene opportuno evidenziare che anche nel merito la mancanza della qualità di erede di (…) è infondata.

Dagli atti e documenti prodotti è emerso che quest’ultimo, residente in F., a seguito della morte del padre si è rivolto al notaio Rivalland, in data 22.06.1999, incaricandolo di redigere un atto pubblico nel quale prevedere la devoluzione a favore suo e dei coeredi dell’eredità del de cuius (cfr. doc. n. 1 fascicolo di primo grado parte attrice).

Siffatto comportamento costituisce accettazione tacita dell’eredità ai sensi dell’art. 476 c.c. trattandosi di un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare ed inoltre, come noto, il nostro ordinamento equipara tale modalità di accettazione a quella espressa per effetto della previsione di cui all’art. 474 c.c..

Con il secondo motivo di gravame in via incidentale (…) ha lamentato l’erroneità della decisione del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto mancante il diritto della stessa di vendere l’immobile sito in (…) in via C. n. 44.

In particolare, secondo l’appellante il giudice non avrebbe considerato la circostanza che la (…) aveva accettato l’eredità del fratello nella consapevolezza che i chiamati all’eredità non avevano intenzione di accettare e che, pertanto, a seguito di tale atto era divenuta unica proprietaria dell’immobile che aveva poi legittimamente venduto.

Il motivo di impugnazione è infondato e deve essere rigettato per le ragioni che seguono.

(…) non era chiamata all’eredità del fratello defunto stante la presenza di eredi legittimari. Come già ricordato il comportamento posto in essere da (…), nella specie l’essersi rivolto al notaio Rivalland affinchè lo stesso si occupasse di redigere un atto pubblico finalizzato a dichiarare la sua qualità di erede, costituisce accettazione tacita dell’eredità ex art. 476 c.c.. I

n ogni caso, anche qualora questo non fosse avvenuto, (…) all’epoca dell’alienazione non era erede di (…), al più ella era il soggetto al quale sarebbe stata devoluta l’eredità nel caso di rinuncia da parte dei chiamati.

Per quest’ultima ragione (…) era titolare di un interesse qualificato per agire ai sensi dell’art. 481 c.c., cioè per rivolgersi all’autorità giudiziaria al fine di ottenere la fissazione di un termine entro il quale i chiamati accettassero o rinunciassero all’eredità.

In tal caso, trascorso il termine senza che i chiamati avessero fatto pervenire una loro dichiarazione questi sarebbero decaduti dai loro diritti con la conseguenza che, solo a quel punto, (…), subentrando nella loro posizione, avrebbe potuto legittimamente accettare l’eredità e quindi vendere l’immobile oggetto di causa.

Tutto quanto sin ora detto rende evidente che (…) ha redatto una dichiarazione di successione in assenza di legittimazione, si è falsamente dichiarata unica erede di (…) e quindi unica proprietaria dell’immobile illegittimamente venduto, mentre invece era proprietaria in misura del solo 50% dell’immobile.

Con ultimo motivo di impugnazione (…) ha dedotto l’erroneità della decisione di primo grado nella parte in cui il giudice l’ha condannato insieme a (…) alla rifusione delle spese di giudizio sostenute da (…).

Detto motivo di appello è infondato e deve essere rigettato.

In particolare, posta la soccombenza di (…) e di (…), come sopra esposto, tenuto conto che la citazione in giudizio dell’acquirente dell’immobile (…) non può essere ritenuta come incauta, appare adeguata e conseguentemente la decisione del primo giudice in punto spese.

Con il primo motivo di appello incidentale (…) ha chiesto la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice ha rigettato la richiesta di restituzione della quota di canoni di locazione dell’immobile di Via C. n. 44 a lui spettanti in quanto coerede, ritenendo mancante la prova sull’an e sul quantum.

(…) ha evidenziato che nell’atto di citazione di primo grado era stata prodotta una lettera del legale di (…), datata 1.06.2007, inviata all’inquilina (…) contenente la comunicazione che allo scadere del contratto, il 15.06.2007, il canone di locazione sarebbe stato aggiornato al canone ISTAT e pertanto sarebbe stato pari ad Euro 1.574,83 a trimestre.

Sulla base di tale documentazione, secondo l’appellante, il giudice avrebbe potuto e dovuto accertare che (…) dai quattro anni precedenti la data di scadenza del contratto sino alla data dell’alienazione dell’immobile, avvenuta il 17.10.2008, quando lo stesso era ancora locato a (…), ha incassato il canone di locazione relativo all’intero immobile oggetto di causa, nonostante ella fosse proprietaria solo del 50% dello stesso.

Il motivo di gravame così formulato appare fondato.

Quanto è stato sostenuto da (…) con il proprio atto d’appello trova riscontro nella documentazione versata in atti, in particolare dalla suddetta lettera inviata dal legale di (…) all’inquilina (…).

Da quest’ultima è sicuramente possibile dedurre con certezza che l’immobile è stato locato quanto meno nei quattro anni precedenti il giugno 2007 cioè dal mese di giugno 2003.

A conferma di tale circostanza depone anche l’atto di pignoramento presso terzi che il condominio di Via (…) ha notificato a (…) al fine di pignorare i canoni di locazione e nel quale si afferma che l’immobile risultava essere stato locato a (…) a partire dal giugno 2003 (cfr. doc. 3 fascicolo di primo grado (…)).

Ulteriore elemento di prova da tenere in adeguata considerazione è la dichiarazione presente nel relativo atto di vendita stipulato dal notaio (…) in data 17.10.2008 nel quale è detto che “l’immobile in oggetto è locato alla signora (…), nata a (…) il (…) giusta contratto di locazione del 9 giugno 2003 registrato presso l’Ufficio delle Entrate di Varese il 10 giugno 2003 al n. 3025” (cfr. doc. n. 5 fascicolo di primo grado (…)). Da quest’ultimo è quindi possibile ricavare l’ennesima conferma del fatto che l’immobile è stato locato sin dal 2003, nonché che alla data dell’alienazione lo stesso era ancora occupato dall’inquilina (…).

Pertanto, dall’accurata analisi dell’intera documentazione versata in atti è possibile concludere che a partire dal 9 giugno 2003 sino al 17 ottobre 2008 l’immobile sito in (…), in via C. 44 è stato locato alla signora (…) per l’importo di circa Euro 1.574,83 a trimestre.

Questa Corte ritiene per tali ragioni fondato il motivo di gravame formulato da (…) ed in accoglimento dello stesso dispone la condanna di (…) alla restituzione della quota di canone di locazione spettante al predetto in quanto coerede.

In punto di quantificazione si ritiene congruo procedere ad un calcolo che tenga conto di un importo trimestrale del canone di locazione calcolato per difetto in Euro 1.500,00, come peraltro richiesto dallo stesso (…), da cui si ricava che l’ammontare dovuto per ogni singola mensilità è pari ad Euro 500,00.

Moltiplicando l’importo mensile per 5 anni e 4 mesi, cioè il periodo compreso tra il 9.06.2003 e il 17.10.2008, si ottiene l’ammontare complessivamente percepito da (…) per aver locato l’intero immobile e pari ad Euro 32.000,00.

Quest’ultima era proprietaria del 50% dell’immobile, mentre (…) era divenuto titolare insieme agli altri due fratelli dei 2/3 del 50% dell’immobile originariamente di proprietà del padre defunto, mentre il restante 1/3 spettava al coniuge del de cuius.

Da ciò consegue che (…) deve essere condannata a restituire a (…) l’importo di canoni di locazione di sua spettanza e pari ad un terzo dei 2/3 del 50% di Euro 32.000,00 cioè Euro 3.555,55.

Con ultimo motivo d’appello incidentale (…) ha lamentato l’erroneità della decisione del Tribunale di Varese nella parte in cui il giudice ha detratto dal valore dell’immobile illegittimamente venduto da (…) i debiti a carico della massa ereditaria, per poi procedere al riconoscimento della quota a lui spettante a titolo di risarcimento danni. Nella specie l’appellante ha lamentato la detrazione dei debiti derivanti dal mancato pagamento delle spese condominiali dell’immobile di via (…) sull’assunto che poiché (…) ha percepito i relativi canoni di locazione era lei onerata in via esclusiva a provvedere al pagamento delle spese condominiali dell’immobile, nonché delle altre necessarie per addivenire ad un accordo transattivo con il condominio a causa del debito contratto.

Il motivo di appello formulato è privo di fondamento.

Questa Corte ritiene opportuno richiamare l’ormai granitico orientamento della Suprema Corte in tema di spese condominiali secondo cui

“i comproprietari di una unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall’art. 1294 cod. civ. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell’unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi” (Cass. 21 ottobre 2011 n. 21907).

Quanto detto consente di rigettare il motivo di impugnazione da ultimo esaminato in quanto, tanto (…) quanto i coeredi di (…), tra cui (…), in quanto comproprietari dell’immobile erano parimenti obbligati nei confronti del condominio all’adempimento degli oneri condominiali relativi alla proprietà. Pertanto, va confermata la sentenza di primo grado nella parte in cui ha correttamente detratto i debiti ereditari dal prezzo di vendita dell’immobile.

L’esito complessivo della lite in ragione della soccombenza dell’appellante principale, (…), e dell’appellante incidentale, (…), impone la condanna di questi ultimi, in solido fra loro, alla rifusione delle spese processuali del grado a favore di (…) che si liquidano come in dispositivo avuto riguardo alle tariffe di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto sia del valore della controversia, sia della attività difensiva in concreto svolta.

L’appellante principale, (…), e l’appellante incidentale, (…), in quanto soccombenti devono anche dichiararsi tenuti al versamento di somma pari all’importo del contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 – quater D.P.R. n. 115 del 2002, così come modificato dall’art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone:

1. rigetta l’appello principale proposto da (…) e l’appello incidentale proposto da (…);

2. in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da (…), condanna (…) a rifondere a (…) l’importo di Euro 3.555,55 pari alla quota di canoni di locazione dell’immobile sito in (…), in Via (…), spettante a (…) in forza della sua qualità di erede, conferma nel resto l’impugnata sentenza del Tribunale di Varese n. 54 del 2017;

3. condanna (…) e (…), in solido fra loro, alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore di (…), liquidate in Euro3.777,00, oltre rimborso forfetario del 15% e accessori di legge;

4. dichiara che sussistono i requisiti di cui all’art. 13, co. 1 quater, D.M. n. 115 del 2002, per il pagamento a carico dell’appellante principale, (…), e dell’appellante incidentale, (…), di un ulteriore importo pari a quello già versato a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Milano il 5 dicembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.