In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformita’, ove l’acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non e’ preclusa la possibilita’ di agire per la risoluzione del contratto, ove sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia tempestivamente provveduto, ovvero se la stessa abbia arrecato un notevole inconveniente.

Corte di Cassazione|Sezione 6 2|Civile|Ordinanza|14 ottobre 2020| n. 22146

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16902-2018 proposto da:

(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) SRL, FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 114/2018 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI di SASSARI;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dal controricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 1767/2010 il Tribunale di Sassari accoglieva la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) (ora (OMISSIS) s.r.l.) volta a sentire accertata la responsabilita’ della convenuta ai sensi dell’articolo 1519 quater c.c., per difetto di conformita’ del bene venduto (Renault Vel Satis) preesistente alla consegna, e per l’effetto condannarla, in via principale, alla sostituzione con altra autovettura nuova ovvero di tipo diverso e di valore equivalente e, in via subordinata, alla risoluzione del contratto di compravendita del 7 ottobre 2002 con la conseguente restituzione del prezzo versato.

In citazione (OMISSIS) affermava di aver acquistato l’autovettura nel 2002 dalla (OMISSIS) s.r.l., e che sin dai primi mesi successivi all’acquisto, si verificava la fuoriuscita di fumo nero dal veicolo, che provocava la perdita di potenza del motore, fino all’arresto, costringendo l’attore a sollecitare il soccorso stradale per recarsi in officina ed usufruire di una vettura di cortesia.

Nonostante diverse riparazioni (circa cinque alla data del 19 dicembre 2003) il veicolo continuava a presentare tale difetto, ragion per cui l'(OMISSIS) chiedeva al venditore la sostituzione dell’auto con altra nuova, negata dalla (OMISSIS) in quanto la stessa contestava il proprio inadempimento, assumendo che la concessionaria (OMISSIS) s.p.a. aveva risolto i problemi legati al difetto lamentato.

Nel 2004, ripetendosi nuovamente l’inconveniente descritto, consegnata l’auto alla (OMISSIS), che la sottoponeva ad altri sette interventi di riparazione, Michele (OMISSIS) decideva di agire in giudizio citando davanti al Tribunale di Cagliari la (OMISSIS).

A seguito di chiamata in manleva proposta dalla convenuta, il contraddittorio veniva integrato nei confronti della (OMISSIS) s.p.a., concessionaria della Renault, incaricata dalla convenuta della riparazione dell’auto, nonche’ della (OMISSIS) S.p.A.

Istruita la causa, il Tribunale accertava che il vizio dell’auto dipendeva dal cattivo funzionamento del programma di gestione della valvola EGR, e pertanto riteneva la (OMISSIS) responsabile per il difetto di conformita’, nonche’ per la mancata riparazione del bene viziato entro tempi congrui e per il diniego opposto alla richiesta di sostituzione dell’autovettura.

Data l’impossibilita’ di sostituire il bene, in quanto fuori commercio, il Tribunale dichiarava risolto il contratto di compravendita e condannava il rivenditore alla restituzione del prezzo. Infine, in accoglimento delle domande di manleva formulate dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), dichiarava la (OMISSIS) s.p.a. tenuta a manievare gli altri convenuti.

Quest’ultima appellava la sentenza dinanzi alla Corte di Cagliari sul presupposto di una duplice violazione dell’articolo 1519 quater c.c., sia con riferimento al comma 9, posto che l'(OMISSIS), avendo accettato il rimedio della riparazione dell’auto ed essendo i vari rimedi tra loro alternativi, aveva sostanzialmente rinunciato ad avvalersi degli ulteriori rimedi previsti dalla norma, sia con riferimento al comma 8, nei termini in cui il Tribunale, nel condannare il venditore alla restituzione del prezzo, non aveva tenuto conto dell’uso che del bene era stato fatto.

Peraltro, assumeva un’errata valutazione del materiale istruttorio, in quanto da esso era desumibile che l’ultima riparazione era stata effettuata dopo che il veicolo aveva percorso ventimila chilometri, e dunque, in tempi congrui rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado.

Si costituiva in appello (OMISSIS) per chiedere il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata; si costituivano altresi’ la (OMISSIS) s.p.a. e la (OMISSIS) s.r.l., rilevando, la prima, che l’appellante non aveva impugnato la statuizione della domanda relativa all’accoglimento della domanda di manleva e, la seconda, che lo stesso non aveva impugnato la statuizione relativa alla domanda di regresso; entrambe chiedevano l’accoglimento dell’appello.

A seguito del fallimento della (OMISSIS) s.p.a. il giudizio veniva interrotto e, quindi, riassunto dalla (OMISSIS) s.p.a.; il fallimento (OMISSIS) non si costituiva e rimaneva, dunque, contumace.

Esaurita la trattazione della causa, la Sezione distaccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 114/2018 respingeva l’appello della (OMISSIS) s.p.a. e confermava integralmente la sentenza del giudice di primo grado.

Dagli atti di causa emergeva, infatti, che a piu’ di un anno e mezzo di distanza dall’acquisto il problema perdurava, ragion per cui non era imputabile alcun addebito all’attore, il quale ritenendo di non poter piu’ confidare nelle soluzioni prospettate dal venditore, aveva fondatamente agito in giudizio; d’altra parte prima di esercitare la propria azione, aveva richiesto la sostituzione del bene, ma questa era stata negata dalla (OMISSIS) s.p.a.

Considerata la “considerevole somma” spesa dall’attore e le numerose riparazioni non risolutive apportate al veicolo senza che venisse individuata la causa del guasto, ben poteva considerarsi il bene come presentante un difetto di conformita’ non lieve, tale da giustificare la risoluzione del contratto.

Prive di pregio erano poi le censure relative all’alternativita’ dei rimedi; dalla semplice lettura della norma era facilmente ricavabile come i rimedi previsti a tutela del consumatore fossero rimedi formulati in modo progressivo tali da garantire, in un primo momento, la conservazione del contratto e, quando cio’ sia impossibile, da permettere al consumatore di ottenere la riduzione del prezzo o la risoluzione.

La Corte giudicava altresi’ infondate le affermazioni relative alla congruita’ temporale entro cui le riparazioni erano state effettuate, statuendo che la norma non fissava un termine oltre il quale i rimedi primari non potessero piu’ considerarsi congrui, ma stabiliva solo i parametri per valutare tale congruita’, tra cui la necessita’ di non arrecare notevoli inconvenienti al consumatore e la presa in considerazione della natura del bene e dello scopo per cui e’ stato acquistato.

Sulla base di cio’ non poteva definirsi congruo il tempo impiegato per riparare il difetto del veicolo, dal momento che l’auto e’ un bene che serve normalmente a far fronte ad esigenze quotidiane e che la riparazione piu’ duratura – ma non definitiva – si era avuta solo nel 2005, quando la controversia aveva gia’ avuto inizio ed in via stragiudiziale era stata gia’ richiesta la sostituzione, a distanza di quasi tre anni dall’acquisto, il che induceva a ritenere che fosse stato superato “ogni limite di ragionevolezza”, tenuto conto “degli intuibili disagi sopportati dall’acquirente”.

Da ultimo, con riferimento alla doglianza relativa alla pretesa violazione dell’articolo 1519 quater c.c., comma 8, la Corte disattendeva le censure della (OMISSIS) richiamando la normativa comunitaria e la sentenza del 17 aprile 2008 della CGUE secondo cui “in presenza di una non conformita’ al prodotto di grado rilevante che richieda la sostituzione del bene, resta escluso per il venditore di pretendere dal consumatore una indennita’ per l’uso di tale bene”.

Nel caso di specie, trascorso piu’ di un anno senza che il problema fosse risolto e senza che fosse stata accettata la richiesta di sostituzione fatta dall'(OMISSIS), alcuna responsabilita’ era a lui imputabile sicche’ l’uso che egli aveva fatto dalla macchina non poteva essere posto a suo carico mediante la diminuzione di prezzo.

Confermata integralmente la sentenza di primo grado, dunque, la Corte rigettava l’appello e condannava la (OMISSIS) s.p.a. e la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento delle spese di lite. Propone oggi ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.p.a. affidandosi a due motivi di ricorso.

Ha resistito con controricorso (OMISSIS), mentre la (OMISSIS) s.r.l. e il Fallimento (OMISSIS) non hanno svolto difese in questa fase.

Con il primo motivo di ricorso si denunzia la “violazione e falsa applicazione dell’articoli 1519 quater c.c., comma 5 e comma 9, lettera a) in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere ritenuto l’accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto dal professionista per l’eliminazione del difetto di conformita’ del bene di consumo, estintivo del diritto del consumatore di esigere altri rimedi, oltre quello ricevuto”.

Sostiene la (OMISSIS) s.p.a. che il consumatore, avendo accettato la proposta del venditore di una nuova riparazione che avrebbe portato all’eliminazione del difetto e al ripristino della conformita’, avrebbe esaurito i rimedi a propria disposizione, ma nonostante cio’, la Corte territoriale, nell’addivenire alla risoluzione del contratto, avrebbe disatteso le disposizioni dell’articolo 1519 quater c.c., commi 5 e 7, ritenendo non vincolante la circostanza dell’accettazione della riparazione.

La norma, che stabilisce i rimedi distinguendoli in primari e secondari, limita la pretesa del consumatore nel senso che quando il consumatore accetta il rimedio offerto dal professionista esaurisce i rimedi a propria disposizione senza possibilita’ di avvalersi anche degli altri.

L'(OMISSIS) pertanto, tenendo una condotta contraria al principio di buona fede, avrebbe chiesto la risoluzione dopo aver accettato la riparazione offerta dal professionista, solo perche’ questa era stata eseguita oltre il termine congruo.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la “violazione e falsa applicazione dell’articoli 1519 quater c.c., comma 8 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere tenuto conto, nella determinazione dell’importo da restituire a seguito della risoluzione del contratto, dell’uso che e’ stato fatto del bene di consumo, ritenendo invece che la norma vada interpretata nel senso che andrebbe esclusa un’indennita’ per l’uso di tale bene quando sullo stesso si siano manifestati difetti di conformita’ di grado tale da richiedere la sostituzione”. Parte ricorrente ritiene del tutto errata la decisione della Corte d’appello nella parte in cui si e’ fondata sull’interpretazione dell’articolo 1519 quater c.c., comma 8 resa dalla Corte Eurounitaria, secondo cui ogni volta che il difetto di conformita’ del bene sia di entita’ tale da giustificarne la sostituzione resterebbe precluso al giudice di tenere conto dell’uso dello stesso nella determinazione della somma da restituire o ridurre.

Alla luce del considerando 15 della direttiva n. 44 del 1999 e del tenore letterale del comma 8, anche alla luce della dottrina che parte ricorrente richiama, il riferimento a quanto affermato dalla Corte di Giustizia sarebbe del tutto inconferente nel caso di specie. I principi affrontati dalla Corte di Giustizia attenevano al rimedio della sostituzione del bene e dunque non potevano essere mutuati all’ipotesi della risoluzione del contratto; peraltro, la stessa Corte riteneva pacifico che l’indennita’ si applicasse all’ipotesi della risoluzione del contratto.

Condividendo le statuizioni del giudice del merito si perverrebbe a una sistematica negazione dell’applicazione dell’articolo 1519 quater c.c., comma 8, in quanto in tutte le ipotesi in cui il vizio del bene legittimi il consumatore a chiedere la risoluzione, lo stesso vizio lo legittimerebbe a chiedere anche la sostituzione.

Il primo motivo di ricorso non e’ fondato.

Nella disciplina consumeristica il legislatore, nell’ottica di dare risalto al principio di conservazione del contratto, ha optato per una gerarchia dei rimedi a tutela del consumatore, distinguendo rimedi primari e rimedi secondari, e imponendo al consumatore di attenersi a tale gerarchizzazione, ma lasciandolo libero di scegliere il rimedio per lui piu’ conveniente, una volta rispettato l’ordine dei rimedi in via progressiva.

Come emerge innanzitutto dal dato normativo, e come pacificamente si afferma in dottrina, nel caso di non conformita’ del bene al contratto, il consumatore e’ tenuto a chiedere in un primo momento la sostituzione ovvero la riparazione del bene, e solo qualora cio’ non sia possibile, ovvero sia manifestamente oneroso, e’ legittimato ad avvalersi dei cd. rimedi secondari, che non sono altro che la riproposizione in materia consumeristica delle tradizionali azioni edilizie.

E’ proprio la previsione della subordinazione di una classe di rimedi ad un’altra che impedisce di ritenere che essi siano alternativi, in quanto l’unico onere imposto al consumatore e’ che egli debba avvalersi prima dei rimedi primari e, solo una volta che questi si rivelino inidonei a risolvere il problema, e’ dato ricorrere ai cd. rimedi secondari.

D’altra parte, che la scelta di un rimedio non comporti la preclusione per il consumatore ad avvalersi successivamente degli altri si ricava agevolmente dalla lettura della norma in esame, la quale stabilisce al comma 7 che “il consumatore puo’ richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 6; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore”, denotando in tal modo la progressivita’ dei rimedi predisposti dal legislatore a tutela dell’acquirente.

Dell’articolo 1519 quater c.c., comma 5 (oggi 130 cod. cons.) dispone che le riparazioni o le sostituzioni debbano essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non debbano arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale e’ avvenuto l’acquisto.

In base ad un’interpretazione estensiva della disciplina dell’articolo 3, par. 3 della direttiva 1999/44, resa dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5250/2015, e che oggi appare utile richiamare, la riparazione e la sostituzione di un bene non conforme devono essere effettuate non solo senza spese, ma anche entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore. Questo triplice requisito e’ l’espressione della manifesta volonta’ del legislatore dell’Unione di garantire al consumatore una tutela effettiva. A cio’, inoltre deve aggiungersi, che nel valutare la congruita’ del termine la stessa norma impone di parametrarsi alla “natura del bene e (a)llo scopo” per il quale esso e’ stato acquistato.

Alla luce di quanto esposto ritiene il Collegio che la Corte d’Appello ha fatto una corretta applicazione dell’articolo 1519 quater c.c., commi 5 e 7, avendo considerato legittima la richiesta di risoluzione del contratto da parte dell'(OMISSIS), non avendo la venditrice provveduto a riparare o sostituire il veicolo in un congruo termine, e cio’ malgrado l’attore si fosse attivato per ottenere in via stragiudiziale la sostituzione del bene, che e’ stata negata dalla odierna ricorrente senza una valida giustificazione, pur in presenza di difetti che rendevano il bene inidoneo all’ordinario uso, e senza che i vari tentativi di riparazione inizialmente compiuti si fossero rivelati in grado di porre rimedio ai problemi sorti.

Questa Corte ha di recente affermato che (Cass. n. 10453/2020) in tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformita’, ove la sostituzione o riparazione del bene non siano state impossibili ne’ siano eccessivamente onerose, il consumatore, scaduto il termine congruo per la sostituzione o riparazione, senza che il venditore vi abbia provveduto, ovvero se le stesse abbiano arrecato un notevole inconveniente, puo’ agire per la riduzione del prezzo o per la risoluzione del contratto, pur in presenza di un difetto di lieve entita’.

In tale ottica, ed avuto riguardo al caso in esame, occorre prendere atto della circostanza che dall’acquisto del veicolo alla domanda giudiziale erano trascorsi due anni nei quali la vettura era stata sottoposta a numerosi interventi di riparazione, sicche’ tenuto conto della natura e dello scopo per cui era stata acquistata l’auto, la Corte di merito ha ritenuto, mediante un corretto ed esaustivo iter logico-argomentativo, e con apprezzamento in fatto, non sindacabile in questa sede, che tale situazione avesse superato “ogni limite di ragionevolezza” anche in relazione agli “intuibili disagi sopportati dall’acquirente”, il che conforta la valutazione di infondatezza del mezzo di gravame.

Va pertanto affermato il seguente principio di diritto.

In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformita’, ove l’acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non e’ preclusa la possibilita’ di agire per la risoluzione del contratto, ove sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia tempestivamente provveduto, ovvero se la stessa abbia arrecato un notevole inconveniente.

Anche il secondo motivo di ricorso non e’ fondato.

Non ignora il Collegio che di recente questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in virtu’ del nesso sinallagmatico che connota il contratto di vendita (nella specie di un’autovettura) ed in dipendenza degli effetti retroattivi riconducibili alla risoluzione contrattuale (ai sensi dell’articolo 1458 c.c. in correlazione con l’articolo 1493 c.c.) nella determinazione del prezzo da restituire al compratore dell’autovettura che abbia agito vittoriosamente in redibitoria si deve tenere conto dell’uso del bene fatto dal medesimo, dovendosi, sul piano oggettivo, garantire l’equilibrio anche tra le reciproche prestazioni restitutorie delle parti ed evitare un’illegittima locupletazione dell’acquirente, ove lo stesso abbia continuato ad utilizzare il bene (ancorche’ accertato come viziato e non completamente idoneo al suo uso) determinandone una progressiva e fisiologica perdita di valore (Cass. n. 16077/2020).

Ne’ risulta pienamente pertinente il richiamo all’interpretazione dell’articolo 3 direttiva 1999/44/CE, in attuazione della quale e’ stata emanata la norma in esame, autorevolmente data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha statuito che risulta in contrasto con la corretta interpretazione che permetta al venditore che abbia alienato un bene di consumo viziato da un difetto di conformita’, di pretendere dal consumatore un’indennita’ per l’utilizzo del bene fatto fino alla data della sua sostituzione (Corte Giustizia UE, 17 aprile 2008, Euro 404-06), atteso che nel caso esaminato dai giudici di Lussemburgo si faceva riferimento all’uso avvenuto sino alla sostituzione, senza quindi potersi pianamente estendere il principio anche alla diversa ipotesi della risoluzione.

Tuttavia, nella fattispecie, la conclusione sfavorevole alla ricorrente e’ stata supportata dalla sentenza impugnata con un puntuale riferimento alla concreta situazione di fatto, nella quale il malfunzionamento dell’autovettura si era manifestato con un’intensita’ ed una frequenza tali da richiedere reiteratamente il soccorso stradale e, quindi, da non permettere di arrivare autonomamente in officina. E’ stato altresi’ ricordato come nel solo primo anno dall’acquisto si fossero resi necessari circa cinque interventi di riparazione, che gia’ nel dicembre del 2002 era stata richiesta, ma senza esito la sostituzione del veicolo, essendosi resi necessari, sino alla data di inizio della controversia (nel 2004 a circa due anni dall’acquisto) altri due interventi in officina.

Alla luce della situazione di fatto, come emersa dall’istruttoria e’ stato pertanto reputato che, in assenza di adesione alla richiesta di sostituzione, fosse risultato impossibile per l'(OMISSIS) un uso regolare del veicolo, in quanto “disturbato” dai continui malfunzionamenti.

Tale accertamento fattuale impedisce di ritenere che sia stato fatto un uso “proprio” del bene, alla luce di quanto affermava l’articolo 1519 ter c.c., oggi trasposto nell’articolo 129, comma 2, uso che legittimerebbe il versamento di un’indennita’ compensativa.

In particolare, la non conformita’ della vettura dell'(OMISSIS) emerge dalla lettura delle lettere a) e c) di tale comma, che parametrano la conformita’ del bene acquistato dal consumatore all’idoneita’ “all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo” e alla presentazione “delle qualita’ e prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore puo’ ragionevolmente aspettarsi”, elementi che entrambi, ad avviso della Corte distrettuale difettavano.

Il motivo in definitiva dev’essere disatteso in quanto ancorche’ denunzi una violazione dell’articolo 1519 quater c.c. da parte della Corte d’appello, in realta’ investe prevalentemente le valutazioni di fatto della vicenda, aspirando ad ottenere un nuovo esame dei fatti di causa che, tuttavia, non e’ ammesso dinanzi a questa Corte.

Il ricorso dev’essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per gli intimati che non hanno svolto attivita’ difensiva.

Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis, se dovuto.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.