la disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 1, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali. Ne consegue che, in quest’ultimo caso, il tasso-soglia sara’ dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dall’articolo 2, comma 4, sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andra’ effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. cosi’ come rilevato nei suddetti decreti. Dall’accertamento dell’usurarieta’ discende l’applicazione dell’articolo 1815 c.c., comma 2, di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensi’ in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’articolo 1224 c.c., comma 1. Alla stregua di ciò, deve ritenersi che la valutazione di usurarieta’ vada compiuta anche con riferimento agli interessi di mora, ma che non possa essere parametrata al TSU individuato per gli interessi corrispettivi, bensi’ ad una “soglia” costituita dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori (come rilevata dai decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 1), moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dalla L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 4; con la precisazione che, in caso di accertata usurarieta’ del tasso contrattualmente previsto, gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensi’ in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’articolo 1224 c.c., comma 1.

Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Ordinanza|16 maggio 2022| n. 15505

Data udienza 23 febbraio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9268/2020 proposto da:

(OMISSIS) Srl, in persona legale rappresentante, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) Spa, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) Srl;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5172/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/02/2022 dal cons. DANILO SESTINI.

RILEVATO IN FATTO

che:

la (OMISSIS) s.r.l. convenne in giudizio il (OMISSIS) Societa’ Cooperativa, in cui si era fusa per incorporazione la (OMISSIS) s.p.a., per sentir dichiarare la nullita’ del contratto di leasing stipulato il 29.9.2005, deducendo – fra l’altro – che lo stesso era viziato da clausole usurarie e, altresi’, che aveva natura finanziaria ed era nullo “per mancanza dei requisiti specifici, necessari alla consapevole sottoscrizione” da parte dell’attrice;

il Banco convenuto resistette alla domanda e richiese, in via riconvenzionale, che fosse dichiarata la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’esercizio di una clausola risolutiva espressa (o, in subordine, che ne venisse dichiarata la risoluzione ex articolo 1453 c.c.), con condanna della Immobiliare al rilascio del complesso immobiliare e al pagamento dell’importo di 230.982,34, oltre interessi convenzionali di mora dal 1.9.2016 al saldo;

il Tribunale di Milano rigetto’ la domanda dell’attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiaro’ il contratto risolto ex articolo 1456 c.c., e condanno’ la Immobiliare sia all’immediato rilascio del compendio che al pagamento della somma richiesta dal Banco;

pronunciando sul gravame della soccombente, la Corte di Appello di Milano ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado, accertando che il contrato di leasing era “affetto da nullita’ parziale con riferimento alla clausola determinativa degli interessi moratori, pattuiti al tasso del 8,1289% superiore al tasso soglia del periodo” e ha rideterminato la somma dovuta dalla (OMISSIS) in Euro 227.710,50 in linea capitale, “oltre interessi di mora calcolati ex articolo 1284, comma 1 al tasso legale sino alla data del 31 agosto 2016 in Euro 113,79 oltre interessi di mora sempre al tasso legale dalla data del 2.9.2016 al saldo”;

la Corte ha affermato (con richiamo a Cass. n. 27742/18) che “i tassi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, articolo 2, comma 4, vanno qualificati ipso iure come usurari”; che, “ai fini del calcolo del superamento del taso soglia, non possono sommarsi gli interessi corrispettivi a quelli moratori”; che il primo ed il terzo motivo dell’appello erano dunque fondati poiche’ il tasso di mora era stato convenuto nell’8,129% a fronte di un tasso soglia del’8,025%, che pertanto risultava superato, in misura assoluta, per 0,1039 punti percentuali e, in misura percentuale, per 11,29/0;

ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.r.l., affidandosi a tre motivi; ha resistito il (OMISSIS) s.p.a., con controricorso contenente ricorso incidentale basato su un motivo;

la trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380 bis.1. c.p.c.;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

N. B.: controllare relata notifica della sentenza

Considerato, quanto al ricorso principale, che:

il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 394 del 2000, articolo 1, “interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, contenente disposizioni in materia di usura” convertito in L. n. 24 del 2001. Violazione e falsa applicazione articolo 644 c.p., e articolo 1815 c.c., nonche’ violazione e falsa applicazione articolo 117 TUB”; rilevato un errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata, la ricorrente lamenta che la Corte si e’ posta in contraddizione con i principi espressi da Cass. n. 27742/2018 (che pure ha dichiarato di voler seguire) ed evidenzia che ha violato anche il principio espresso da Cass., S.U. n. 24675/17 in quanto non ha ipotizzato “affatto la possibilita’ di un azzeramento ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1815 c.c., comma 2, stante la riscontrata usura originaria e le conseguenti nullita’ che ne derivano”, con cio’ “omettendo di applicare agli interessi di mora (gli) stessi principi applicati per gli interessi corrispettivi, nell’ipotesi riscontrata di usura pattizia/convenzionale originaria”;

col secondo motivo (che deduce “omessa, carente e insufficiente motivazione. Mancata considerazione dell’articolazione e deduzione in diritto svolta da parte attrice/appellante odierna ricorrente. Omesso esame o insufficiente motivazione circa fatti decisivi per il giudizio”), la ricorrente si duole che la Corte, nel ritenere inammissibile (per genericita’) il motivo di appello concernente la sussistenza di un contratto finanziario derivato, non abbia considerato che “l’articolo 6 del contratto di leasing, c.d. clausola di indicizzazione, nel suo essere oscura e indeterminata e’ per cio’ stesso lesiva degli (…) obblighi di informazione, trasparenza ed adeguatezza”, risultando pertanto nulla; che il giudice di prime cure aveva contraddetto l’evidenza di un elaborato peritale di parte in cui si parlava della clausola di indicizzazione; che la censura mossa dall’appellante era “ben determinata e specifica corredata dal supporto di citazioni giurisprudenziali conferenti al caso di specie”; evidenzia che l’inciso con cui la Corte aveva osservato che, “in ogni caso (…), ad abundantiam” la previsione della indicizzazione era comunque legittima valeva a contraddire la dichiarata inammissibilita’ (giacche’ il giudice di appello aveva mostrato di aver compreso la portata della censura);

il terzo motivo denuncia “omessa, insufficiente e carente motivazione in ordine all’accoglimento della domanda riconvenzionale. Omesso rilievo delle nullita’ del contratto di leasing e della inadeguatezza dello stesso a legittimare l’azione riconvenzionale della convenuta/appellata odierna resistente. Omesso esame o insufficiente motivazione circa fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Violazione dell’articolo 1526 e 1383 c.c.”; premesso che la clausola risolutiva espressa su cui il Banco aveva fondato la domanda riconvenzionale doveva “ritenersi nulla in maniera insanabile per aver violato l’inderogabilita’ dell’articolo 1526 c.c.”, la ricorrente lamenta che “la Corte di Appello adita ha omesso ogni esame della clausola incisa da nullita’, non si e’ neppure premurata di leggerla e di valutarne la portata derogatoria rispetto all’articolo 1526 c.c., cosi’ violando il disposto di quest’ultimo, oltreche’ delle norme sopra e meglio indicate”.

Considerato, quanto al ricorso incidentale, che:

l’unico motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, articolo 2, e articolo 1284 c.c., nonche’ degli articoli 1224, 1382 e 1384 c.c.; assume la ricorrente incidentale che “gli interessi moratori non possono essere oggetto di valutazione comparativa sic et simpliciter con il c.d. “tasso soglia”, giacche’ non costituiscono componente dei TEGM periodicamente annualmente rilevati a partire dal Decreto Ministeriale 23 settembre 1996, secondo i criteri disposti da Banca d’Italia e, dunque, difetta il necessario ed imprescindibile presupposto di simmetria ed omogeneita’ dei termini di raffronto. E’ pertanto doveroso tener conto del necessario rilievo dei D.M., secondo cui la maggiorazione contrattuale stabilita nell’ipotesi di mancato pagamento e’ mediamente pari a 2,1 punti percentuali, come indicato da Banca d’Italia nei propri chiarimenti del 03/07/2013 (…). In quanto costituenti la predeterminata quantificazione del danno derivante dall’inadempimento, gli interessi moratori rientrano nell’alveo della previsione di cui all’articolo 1382 c.c., e, pertanto, possono essere fatti oggetto di valutazione di eventuale (manifesta) eccessivita’ ai sensi dell’articolo 1384 c.c.”; premesso che “il Legislatore ha definitivamente confermato che gli interessi corrispettivi e quelli moratori soggiacciono a differenti discipline”, rileva inoltre che, “ove si sostenga che la verifica del superamento del tasso soglia antiusura riguardi anche gli interessi moratori sarebbe quanto meno incoerente ed illogico utilizzare, a tal fine, “soglie” determinate con riferimento ai soli interessi corrispettivi”; aggiunge che, nel caso in esame, il tasso di mora pattuito era “pari alla media del trimestre solare precedente del tasso Euribor 3 mesi, maggiorato di sei punti percentuali” e che, considerato che alla data di stipula del contratto il parametro di riferimento Euribor era pari al 2,1289%, tale valore, sommato allo spread di sei punti, determinava un tasso di mora alla data della sottoscrizione del contratto pari al 8,1289%; ne conclude che “la specifica “soglia”/parametro di riferimento per la pattuizione di interessi usurari risulta pari all’11,1750% (TEGM leasing 3 trimestre 2005 pari al 5,3500% + 2,1 mora -1,5), quindi di gran lunga piu’ elevata rispetto al tasso mora pattuito in contratto (8,1289%)”.

RITENUTO IN DIRITTO

che:

esaminati congiuntamente il primo motivo del ricorso principale e l’unico motivo dell’incidentale, ritiene il Collegio che il primo risulti infondato, mentre il secondo debba essere accolto nei termini di seguito indicati.

Al riguardo, va dato atto che, nelle more del giudizio di legittimita’, e’ sopravvenuta la pronuncia n. 19597/2020, resa da questa Corte a Sezioni Unite, che ha affrontato le tematiche proposte dai ricorsi (o comunque agli stessi sottostanti) e che ha affermato il principio secondo cui “la disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 1, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest’ultimo caso, il tasso-soglia sara’ dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dall’articolo 2, comma 4, sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andra’ effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. cosi’ come rilevato nei suddetti decreti. Dall’accertamento dell’usurarieta’ discende l’applicazione dell’articolo 1815 c.c., comma 2, di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensi’ in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’articolo 1224 c.c., comma 1”;

alla stregua di tale arresto nomofilattico, deve ritenersi che la valutazione di usurarieta’ vada compiuta anche con riferimento agli interessi di mora, ma che non possa essere parametrata al TSU individuato per gli interessi corrispettivi, bensi’ ad una “soglia” costituita dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori (come rilevata dai decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 1), moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dalla L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 4; con la precisazione che, in caso di accertata usurarieta’ del tasso contrattualmente previsto, gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensi’ in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’articolo 1224 c.c., comma 1;

alla luce di tali criteri, il ricorso incidentale risulta dunque fondato nella parte in cui reclama (in ipotesi) che la verifica dell’eventuale usurarieta’ degli interessi moratori non venga effettuata sulla base dell’identico parametro stabilito per gli interessi corrispettivi, ma in relazione ad una soglia che tenga conto anche delle maggiorazioni rilevate per gli interessi di mora;

la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte territoriale per nuovo esame (alla stregua dei principi affermati dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite) in ordine all’eventuale usurarieta’ degli interessi moratori;

il secondo motivo del ricorso principale risulta inammissibile per totale difetto di specificita’, in quanto omette (in violazione della prescrizione di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6) di trascrivere la clausola contrattuale di indicizzazione intorno alla quale il motivo e’ costruito, svolgendo inoltre considerazioni che, pur lette alla luce degli stralci dell’atto di appello riportati in nota, non valgono a censurare adeguatamente la ratio di inammissibilita’ (per genericita’) del secondo motivo espressa dalla sentenza impugnata; ne’ risulta decisivo, al riguardo, il rilievo che la Corte territoriale abbia compiuto una considerazione “ad abundantiam”, dato che la stessa e’ da considerare tamquam non esset alla luce della precedente dichiarazione di inammissibilita’ e che, comunque, non risulta che abbia dato completa risposta al secondo motivo di appello, essendo circoscritta al rilievo che “la previsione di indicizzazione in una clausola e’ di per se’ legittima” e che “non ricorre il concetto di derivato ai sensi del Decreto Legislativo n. 58 del 1998”;

il terzo motivo del ricorso principale e’ anch’esso inammissibile per difetto di specificita’ (ex articolo 366 c.p.c., n. 6) in quanto omette di trascrivere la clausola risolutiva espressa che si assume affetta da nullita’ e non deduce per quali ragioni la clausola dovrebbe risultare nulla in quanto derogatoria della previsione dell’articolo 1526 c.c. (deduzione necessaria a fronte della pacifica derogabilita’ della norma del comma 1 desumibile dal comma 2 dell’articolo, fatta salva la possibilita’ di riduzione dell’indennita’).

P.Q.M.

La Corte, rigettato il ricorso principale, accoglie per quanto di ragione quello incidentale, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.

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