integra l’illecito amministrativo previsto dalla L. n. 350 del 2003, articolo 4, comma 49 bis, l’importazione dall’estero di prodotti recanti un’etichetta raffigurante un marchio idoneo, in assenza di precise indicazioni sulla esatta provenienza o della dichiarazione di impegno a rendere tali informazioni in fase di commercializzazione, a trarre in inganno anche un consumatore esperto sull’effettiva origine del prodotto.La “fallace indicazione” di provenienza o di origine dei prodotti presentati in dogana per l’immissione in commercio integra l’illecito amministrativo previsto dalla L. n. 350 del 2003, citato articolo 4, comma 49 bis, qualora, a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise (e non necessariamente ingannevoli), il consumatore e’ indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti. La disposizione di cui alla L. n. 350 del 2003, articolo 4, comma 49 bis, e’ dunque finalizzata ad evitare fraintendimenti in capo al consumatore in ordine all’origine non italiana del prodotto e, pertanto, in tale ottica, vengono sanzionate, in via amministrativa, tutte le condotte idonee a ingenerare situazioni di incertezza eventualmente derivanti anche soltanto dalla carenza di “indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera” e tanto a tutela non soltanto del “made in Italy”, ma anche di un’adeguata informazione del consumatore sul prodotto da acquistare: ove l’uso del marchio possa determinare fraintendimenti in ordine all’origine del prodotto e indurre il consumatore a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana vi e’, invero, l’obbligo per l’azienda importatrice, esportatrice o che commercializza la merce di accompagnare la merce con indicazioni comunque sufficienti ad evitare qualsiasi errore incolpevole del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, indicazioni nel caso di specie non presenti.

Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Ordinanza|23 giugno 2022| n. 20226
Data udienza 8 giugno 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredan – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16431/2017 proposto da:

Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce all’atto di costituzione di nuovo difensore;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2173/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 20/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/06/2022 dal cons. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 2173/2016, depositata in data 20/12/2016, ha riformato la decisione di primo grado che aveva respinto l’opposizione della (OMISSIS) srl avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 310/2013, emessa dalla Camera di Commercio di Firenze nei confronti della (OMISSIS) per il pagamento di Euro 170.000,00, stante la violazione della L. n. 350 del 2003, articolo 4, comma 49 bis, accertata dall’Agenzia delle Dogane, consistita nell’avere messo in commercio calzature con marchio “(OMISSIS)”, in modo da indurre il consumatore, stante la dicitura con nome italiano, senza ulteriori “visibili” indicazioni dell’origine cinese, a ritenere che fossero di origine italiana, con conseguente violazione del “made in Italy”.

In particolare, i giudici d’appello, dichiarata la carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Dogane, hanno annullato l’ordinanza ingiunzione, rilevando che il marchio e l’origine del prodotto sono concetti diversi e completamente indipendenti tra loro, cosicche’ ogni impresa “e’ libera di utilizzare il marchio che preferisce per distinguere i propri prodotti”, con il solo limite dato dalla non confondibilita’ del segno con il marchio altrui e un nome italiano per contraddistinguere un prodotto non e’, nell’attualita’, indicativo dell’origine italiana dello stesso; inoltre, all’interno della tomaia delle calzature, era presente la dicitura “made in China” e comunque nulla indicava l’origine italiana delle stesse.

Avverso la suddetta pronuncia, la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Firenze propone ricorso per cassazione, notificato il 20/6/2017, affidato a un motivo nei confronti di (OMISSIS) srl (che non svolge difese). Il PG ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 350 del 2003, articolo 4, comma 49 bis, essendo stato, con detta disposizione, sanzionato come illecito amministrativo l’uso del marchio, pur legittimo, con modalita’ tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia italiano quando non lo e’ realmente e, nella specie, il marchio “(OMISSIS)”, che richiama un nome e cognome di persona italiani, avrebbe dovuto, a prescindere dall’ingannevolezza o decettivita’ ed anche in assenza di diciture ulteriori del tipo “Made in Italy” o bandiere o grafiche tricolori, essere accompagnato da indicazioni sull’origine estera del prodotto, il tutto, peraltro, in un ambito, quale quello tessile, nel quale l’Italia gode di una fama internazionale indiscutibile, con conseguente indebito vantaggio con inganno dei consumatori.

2. Preliminarmente, la ricorrente ha dato atto di avere notificato il ricorso al procuratore domiciliatario Avv. (OMISSIS) della (OMISSIS) srl, societa’ cancellata dal Registro delle Imprese, in data 24/4/2015, nelle more del giudizio di appello (anzi immediatamente dopo la proposizione dell’atto di appello), senza che l’evento estintivo fosse stato dichiarato dal procuratore di detta societa’ appellante, in conformita’ a quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite, nella sentenza n. 15295/2014, secondo cui “L’incidenza sul processo degli eventi previsti nell’articolo 299 c.p.c., (morte o perdita di capacita’ della parte) e’ disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattivita’ del mandato alla lite in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’articolo 300 c.p.c. – il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando cosi’ stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione”, cosicche’ il procuratore costituito per i giudizi di merito di soggetto giuridico deceduto o estinto puo’ ricevere la notifica della sentenza o dell’atto di impugnazione per cassazione.

Le Sezioni Unite hanno ancorato, ai fini dell’incidenza sul processo degli eventi interruttivi di cui all’articolo 299 c.p.c., al principio di ultrattivita’ del mandato alla lite l’effetto di stabilizzazione della posizione giuridica di una societa’ estinta, che solo grazie ad una fictio iuris viene considerata come ancora esistente rispetto alle altre parti ed al giudice; l’ultrattivita’ della procura alla lite comporta quindi che il procuratore costituito continui a rappresentare la parte, la quale per il suo tramite viene percio’ considerata esistente e capace. E’ stato dunque temperato il rigore del principio di diritto espresso, quanto agli effetti processuali dalla sentenza n. 6070/2013 delle Sezioni Unite, secondo la quale, anche qualora l’evento non fosse stato fatto constare nei modi di legge o si fosse verificato quando non era piu’ possibile farlo constare, nel corso del processo, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della societa’ cancellata, deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilita’, dai soci o nei confronti dei soci, non potendo “la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo e’ occorso”.

La pronuncia (cfr. Cass. 23141/2014 e 15762/2016), che ha “capovolto il principio, per cui l’esigenza di stabilita’ del processo debba intendersi limitata al grado di giudizio in cui l’evento interruttivo e’ occorso, per sancire l’opposta regola dell’ultrattivita’ del mandato”, e’ stata ritenuta di portata generale, in quanto originata proprio da un’ordinanza di rimessione che aveva evidenziato le problematiche conseguenti alla estensibilita’ alle vicende successorie delle persone fisiche dei principi affermati dalle S.U. nella sentenza n. 6070/2013, espressamente in materia societaria, e comportanti la drastica sanzione dell’inammissibilita’ dell’impugnazione.

3. Il PG ha chiesto l’accoglimento del ricorso, osservando che, nella specie, l’indicazione come marchio distintivo di un nome chiaramente e tipicamente italiano, “apposto, per di piu’, su di un prodotto in cui l’eccellenza italiana e’ del tutto notoria a livello mondiale (come pure la diffusione e il successo su scala planetaria del prodotto stesso)” e’ idonea ad indurre il consumatore a supporre l’origine italiana di tale prodotto, cosicche’ sarebbe stato necessario inserire sul prodotto indicazioni, precise ed evidenti, sull’origine e provenienza estera.

4. Tanto premesso, la censura e’ fondata.

La L. n. 350 del 2003, articolo 4, comma 49 bis, nel testo modificato per effetto del Decreto Legge n. 135 del 2009, articolo 16, conv. nella L. n. 99 del 2009, prevede che “costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalita’ tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa Europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari,…. Il contravventore e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 ad Euro 250.000”.

La sanzione pecuniaria amministrativa e’ irrogata dalla Camera di Commercio industria ed artigianato, una volta ricevuto il rapporto da parte dell’Agenzia delle Dogane.

Il comma 49, della stessa legge sanziona, invece, come reato “l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine, costituisce reato ed e’ punita ai sensi dell’articolo 517 c.p.”. Si individua, in particolare, come falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” “su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa Europea sull’origine” e come “fallace indicazione” quella in cui, “anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci”, vi sia l’uso di segni, figure, o quant’altro che “possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49 bis”.

La norma di cui all’articolo 4, comma 49 bis, citato si inquadra dunque nell’ambito della tutela del Made in Italy, al fine osteggiare le attuali tendenze di delocalizzazione di marchi nazionali di lunga tradizione imprenditoriale. Con la L. 24 dicembre 2003, n. 350, si sono infatti emanate disposizioni a tutela del “made in Italy” per dettare una piu’ efficace tutela della produzione nazionale contro atti di contraffazione o condotte idonee ad indurre in inganno il pubblico in ordine all’origine italiana di prodotti.

Giova ricordare che con la L. 8 aprile 2010, n. 55, sull’etichettatura dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, e’ stata adottata una disciplina specifica del “Made in Italy”. In generale, l’impiego della denominazione “Made in Italy” e’ permesso esclusivamente per prodotti finiti, rispetto ai quali almeno due delle fasi di lavorazione caratterizzanti, individuate dal legislatore, abbia avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale (ad es. nel settore calzaturiero, le fasi di lavorazione caratterizzanti individuate dalla legge sono la conci, la lavorazione della tomaia, l’assemblaggio e la rifinitura compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione, articolo 1, comma 7).

Esso non puo’ essere ricondotto nel novero dei marchi collettivi, difettando per chi lo utilizza l’elemento di necessaria appartenenza ad un organismo associativo, privato o pubblico. Maggiori affinita’ si possono rinvenire piuttosto con le indicazioni di provenienza.

La giurisprudenza penale, al fine di distinguere le condotte concretanti reato da quelle configuranti solo violazioni amministrative, in tema di tutela dei prodotti dell’industria e del commercio, ha affermato che integra l’illecito amministrativo previsto dalla L. n. 350 del 2003, articolo 4, comma 49 bis, l’importazione dall’estero di prodotti recanti un’etichetta raffigurante un marchio idoneo, in assenza di precise indicazioni sulla esatta provenienza o della dichiarazione di impegno a rendere tali informazioni in fase di commercializzazione, a trarre in inganno anche un consumatore esperto sull’effettiva origine del prodotto (cfr. Cass. pen. 52029/2014). Si e’ ancora piu’ incisivamente affermato che la “fallace indicazione” di provenienza o di origine dei prodotti presentati in dogana per l’immissione in commercio integra l’illecito amministrativo previsto dalla L. n. 350 del 2003, citato articolo 4, comma 49 bis, qualora, a causa di indicazioni di provenienza insufficienti o imprecise (e non necessariamente ingannevoli), il consumatore e’ indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti (v. Cass. pen. 54521/2016 e n. 25030/2017; cfr. ance Cass. pen. 1119/2020, non massimata).

La disposizione di cui alla L. n. 350 del 2003, articolo 4, comma 49 bis, e’ dunque finalizzata ad evitare fraintendimenti in capo al consumatore in ordine all’origine non italiana del prodotto e, pertanto, in tale ottica, vengono sanzionate, in via amministrativa, tutte le condotte idonee a ingenerare situazioni di incertezza eventualmente derivanti anche soltanto dalla carenza di “indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera” e tanto a tutela non soltanto del “made in Italy”, ma anche di un’adeguata informazione del consumatore sul prodotto da acquistare: ove l’uso del marchio possa determinare fraintendimenti in ordine all’origine del prodotto e indurre il consumatore a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana vi e’, invero, l’obbligo per l’azienda importatrice, esportatrice o che commercializza la merce di accompagnare la merce con indicazioni comunque sufficienti ad evitare qualsiasi errore incolpevole del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, indicazioni nel caso di specie non presenti.

Nel caso in esame, viene in rilievo il solo illecito amministrativo contestato alla societa’ (OMISSIS).

Ora, nella specie, l’etichetta apposta sui prodotti oggetto di contestazione raffigurava il marchio italiano, un segno patronimico evocante la realizzazione ad opera di persona determinata che si sia avvalsa del know-how italiano in un settore di tradizionale e di rinomata produzione, “(OMISSIS)” (registrato nel Regno Unito), e non recava alcuna ulteriore indicazione idonea – in modo univoco – ad esteriorizzare che le calzature erano state importate dalla Cina.

E l’indicazione “made in China” stampigliata all’interno della tomaia, con minore visibilita’ del solito, non poteva certamente qualificarsi come un riferimento evidente e visibile immediatamente e quindi chiaro ed esplicito dal quale desumere, senza equivoci, la provenienza estera della merce controllata.

Ne deriva che l’opposizione del marchio aziendale con nome e cognome italiani, registrato, sulle confezioni, in assenza di diversa indicazione di origine e provenienza estera (precisamente cinese), integrava la fattispecie contestata trattandosi di condotta idonea a trarre in inganno il consumatore circa l’esatta origine geografica del prodotto.

La condotta ascritta alla (OMISSIS) avrebbe dovuto essere legittimamente sussunta in quella descritta nelle disposizioni richiamate come “fallace indicazione di origine e provenienza” dei prodotti in discorso, dal momento che la riportata indicazione non consentiva – indiscutibilmente -di comprendere che i prodotti industriali erano stati importati dalla Cina, cosi’ essendo – senza alcun dubbio – in grado di indurre in errore la platea dei consumatori sulla effettiva origine dei prodotti (cfr. Cass. 20982/2019, in fattispecie di analoga opposizione a sanzione amministrativa).

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvedera’ alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.