concorre in qualita’ di “extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, il legale o il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell’imprenditore o dell’amministratore di una societa’ in dissesto, fornisca a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi, ovvero svolga un’attivita’ diretta a garantire l’impunita’ o a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui progetto delittuoso.

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Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|25 ottobre 2022| n. 40323

Data udienza 12 luglio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere

Dott. CUOCO Michele – Consigliere

Dott. BIFULCO Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 11/10/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. EPIDENDIO Tomaso, che ha concluso chiedendo;

Il Proc. Gen. conclude, riportandosi alla requisitoria scritta gia’ depositata, per l’annullamento con rinvio limitatamente all’aggravante del danno di rilevante gravita’ per la posizione di (OMISSIS) e inammissibilita’ nel resto; inammissibilita’ per il ricorso di (OMISSIS);

udito il difensore:

L’avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per.

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Bologna riformava parzialmente in senso favorevole agli imputati, limitatamente alla determinazione dell’entita’ del trattamento sanzionatorio e alla durata delle pene accessorie fallimentari, la sentenza con cui il tribunale di Rimini, in data 8.11.2017, aveva condannato, ciascuno alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), imputati dei reati fallimentari loro rispettivamente ascritti ai capi A); Al); G) ed H) dell’imputazione, in relazione al fallimento della societa’ “(OMISSIS) Sas di (OMISSIS)”, dichiarato dal tribunale di Rimini con sentenza del 720 maggio 2009.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione tutti i predetti imputati, con autonomi atti di impugnazione.

2.1. In particolare il (OMISSIS) e la (OMISSIS), imputati, in concorso con il (OMISSIS), dei fatti distrattivi, aventi ad oggetto un immobile, sito in (OMISSIS), di cui ai capi Al), G) ed H) dell’imputazione, nel ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS), lamentano, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza resa dalla corte territoriale, nella parte in cui, discostandosi dal materiale probatorio in atti, il giudice di appello ha ritenuto che l’alienazione dell’immobile in precedenza indicato, pacificamente di proprieta’ personale del coimputato (OMISSIS), socio accomandatario della societa’ fallita, avvenuta a seguito di compravendite simulate con il contributo dei ricorrenti, come meglio descritto nei capi G) e H), abbia avuto una finalita’ distrattiva in pregiudizio dei creditori della societa’ fallita.

A differenza di quanto affermato dal giudice di appello tale finalita’ non puo’ desumersi dall’accertamento della natura simulata di negozi giuridici cui sono pervenuti i giudici civili con sentenza del tribunale di Rimini passata in giudicato, per cui, al di la’ della realizzazione di condotte materiali di natura simulatoria poste in essere dai ricorrenti, non si puo’ pervenite all’affermazione di responsabilita’ di questi ultimi. senza che la corte territoriale abbia adeguatamente motivato circa l’effettiva consapevolezza e volonta’ da parte dei prevenuti che il bene personale del (OMISSIS) sia stato sottratto al patrimonio del fallito, per recare pregiudizio ai creditori sociali.

Dopo avere premesso che le dichiarazioni del (OMISSIS) non possono essere utilizzate, in quanto prive di riscontri, ex articolo 192, c.p.p., non potendosi ritenere tali le dichiarazioni per nulla confessorie del (OMISSIS) e della (OMISSIS), i ricorrenti, insistono piu’ volte su di un aspetto, a loro avviso, non valutato adeguatamente dalla corte territoriale: l’operazione di vendita simulata dell’immobile oggetto della contestata attivita’ distrattiva, legittima in quanto la simulazione dei negozi giuridici e’ consentita dall’ordinamento, non aveva alcuna finalita’ distrattiva, ma, come rivelato dallo stesso (OMISSIS), soggetto ritenuto degno di fede dalla corte di appello, dai ricorrenti e dal teste (OMISSIS), venne portata a compimento esclusivamente per esigenze personali dello stesso (OMISSIS), il quale, nel momento in cui procedette alla prima vendita simulata con il (OMISSIS), stava meditando di porre fine al matrimonio con la signora (OMISSIS), in ragione di una relazione sentimentale che lo legava a una dipendente del locale da lui gestito, per cui temeva che in caso di separazione l’abitazione potesse rimanere nella disponibilita’ della moglie e del figlio minore.

In questo contesto non e’ possibile ritenere la (OMISSIS), in pregiudizio della quale venne ideata ed eseguita l’intera operazione, creditrice della societa’ fallita, come erroneamente affermato dalla corte territoriale.

Al tempo stesso risulta del tutto indimostrato che il (OMISSIS) e la (OMISSIS), in qualita’ di soggetti estranei al fallimento, abbiano operato con la consapevolezza di aiutare il (OMISSIS) a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa, in quanto, come si e’ gia’ detto, essi, pur ammettendo di essere consapevoli della natura fittizia dei due atti di compravendita, intervenuti, il primo, tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS); il secondo, tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), avevano ritenuto che l’intera operazione fosse finalizzata a sottrarre l’abitazione alle pretese della moglie del (OMISSIS).

Anche la terza vendita simulata, conclusasi tra la (OMISSIS) e (OMISSIS), fratello della moglie del (OMISSIS), il 4.12.2009, in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, ad avviso dei ricorrenti rientra, come chiarito dallo stesso (OMISSIS), nel disegno di impedire che il bene potesse essere aggredito dalla moglie e del resto lo stesso (OMISSIS) ha dichiarato di essere stato indotto al trasferimento dell’immobile senza alcuna conoscenza della procedura fallimentare, ma solo perche’ “c’era la paura di perdere la casa, cioe’ che la proprietaria potesse cacciare via il bambino e mia sorella”.

La natura distrattiva delle vendite simulate viene contestata dai ricorrenti anche sotto un ulteriore profilo, non considerato dalla corte territoriale, in quanto entrambe vennero realizzate in un periodo temporale in cui difettavano indici di fraudolenza, desumibili dallo stato di decozione o di quasi decozione della societa’, inesistenti come si evince dalla relazione del curatore fallimentare, posto che l’unico credito vantato nei confronti di quest’ultima dal sig. (OMISSIS) (di importo pari a 103.000,00 Euro, mentre nelle casse sociali vi erano ben 1.217.000,00 Euro), divenne esecutivo solo nel maggio del 2008, dunque successivamente alla stipula del primo contratto di vendita simulata del 23.7.2007, mentre quando si concluse la seconda vendita simulata, il 12.3.2008, la societa’ in questione aveva gia’ incamerato la cifra di 800.000,00 Euro in forza di un contratto preliminare di vendita stipulato con la “(OMISSIS) s.r.l.” di (OMISSIS).

2.2. Il (OMISSIS), imputato dei fatti distrattivi di cui ai capi A) e A1) dell’imputazione, in qualita’ di amministratore di fatto della societa’ fallita, nel ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS), articola sei motivi di ricorso.

Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’accertamento degli elementi costitutivi necessari per l’integrazione del reato di cui al capo A), in relazione al quale la corte territoriale, disattendendo una specifica richiesta difensiva sul punto, in relazione ai fatti distrattivi contestati nel suddetto capo, non ha operato alcuna distinzione tra la fase della vendita degli immobili rientranti nel patrimonio della fallita e la fase di gestione degli introiti derivanti da tale vendita, ritenendo il (OMISSIS) responsabile di entrambi i fatti distrattivi, laddove la fase della gestione degli introiti deve essere ascritta esclusivamente al coimputato (OMISSIS), che ha definito la sua posizione in sede di patteggiamento, come del resto evidenziato nella decisione resa al riguardo in sede cautelare dal tribunale del riesame di Bologna, nonche’ nel decreto con cui il pubblico ministero ha disposto la revoca del sequestro preventivo del fabbricato e del terreno acquistati dal (OMISSIS) a mezzo della “(OMISSIS) s.r.l.”

Da tali provvedimenti, infatti, si evince che il patrimonio della societa’ fallita era stato reintegrato attraverso la corresponsione di denaro pari al controvalore del complesso immobiliare alienato, che, detratto dell’importo del mutuo residuo, risultava pari a oltre 1.200.000,00 Euro, ossia una somma che, come precisato dallo stesso curatore fallimentare, dal (OMISSIS) e dal suo socio (OMISSIS), era di consistenza tale da consentire il saldo del debito sociale nei confronti dell’unico debitore (OMISSIS), pari a 103.000,00 Euro.

Quanto all’operazione che ha condotto all’acquisto dei cespiti della societa’ fallita da parte di (OMISSIS), attraverso una serie di societa’ riconducibili a quest’ultimo, il ricorrente evidenzia come sia fallace l’assunto accusatorio secondo cui i beni sono stati alienati per un prezzo inferiore al loro valore commerciale, allo scopo di evitare azioni revocatorie, in modo da procurare un depauperamento della societa’ fallita.

Dalle risultanze processuali (dichiarazioni teste (OMISSIS) e dello stesso (OMISSIS)), si evince l’esatto contrario, in quanto le operazioni di vendita si sono esaurite nella cessione definitiva degli immobili alla societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” del (OMISSIS), a mezzo della societa’ “(OMISSIS) s.a.s”, sempre riconducibile a quest’ultimo, risultante formale acquirente dei cespiti, attraverso la fittizia interposizione di altra societa’, la “(OMISSIS) s.r.l.”, creata al precipuo scopo di indurre il (OMISSIS) a versare alla societa’ fallita un ulteriore importo a titolo di pagamento dell’I.V.A., per cui i beni immobili della “(OMISSIS) sas” sono stati venduti ad un prezzo effettivamente corrisposto notevolmente superiore a quello inizialmente concordato con la “(OMISSIS) s.r.l.”, con conseguente vantaggio economico per la societa’ venditrice, e, in ogni caso, da ritenersi congruo, come emerge dalle dichiarazioni rese al riguardo dal (OMISSIS), dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), legale rappresentante di “(OMISSIS) s.r.l.”.

Ne’ il (OMISSIS) vantava alcun diritto di credito nei confronti della fallita, in quanto, come si evince dalla relazione del curatore fallimentare, l’unico creditore era il signor (OMISSIS), il quale vantava un credito pari ad Euro 103.291,38 derivante dalla compravendita del medesimo cespite perfezionatasi nel 2002.

Rileva inoltre il ricorrente la completa mancanza di prove in ordine al concorso del (OMISSIS) nell’attivita’ distrattiva del prezzo ricavato dalla vendita dei cespiti della societa’ fallita addebitabile esclusivamente al (OMISSIS), unico soggetto dotato del potere di spesa, dunque in grado di disporre delle somme in questione, non potendosi desumere tale concorso dalla circostanza che il (OMISSIS) avrebbe partecipato alla costituzione della “(OMISSIS) s.r.l.”.

Contraddittoria, al riguardo, appare la motivazione della corte territoriale, laddove, da un lato, attribuisce al ricorrente il ruolo attivo di colui che preleva personalmente delle somme di denaro dalle casse della societa’ fallita; dall’altro, individua il (OMISSIS) come beneficiario di un pagamento tramite assegni circolari disposto in suo favore dal (OMISSIS),

escludendosi, cosi’, all’evidenza, che il ricorrente potesse autonomamente operare sul conto corrente della societa’, circostanza, quest’ultima, smentita da tutti gli atti processuali.

Del resto e’ lo stesso curatore fallimentare ad affermare che la distrazione del denaro sia avvenuta ad opera del (OMISSIS).

La corte territoriale, inoltre, sembra non escludere l’ipotedi di una bancarotta preferenziale, in favore del (OMISSIS), trovando giustificazione l’incasso del denaro da parte di quest’ultimo in compensi per attivita’ professionali svolte nell’interesse della societa’, fallita, tesi che il ricorrente sostiene si evince dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal (OMISSIS), dal (OMISSIS), dal (OMISSIS), dal coimputato, poi assolto, (OMISSIS), collaboratore dello studio del (OMISSIS), dalla Dott.ssa (OMISSIS), nonche’ dai report delle pratiche legali seguite dallo studio del (OMISSIS), in favore sia del (OMISSIS) che della societa’ da quest’ultimo amministrata e dai frontespizi dei fascicoli penali relativi ai procedimenti dal medesimo patrocinati nell’interesse del (OMISSIS).

Senza tacere che l’assenza di un diretto coinvolgimento del ricorrente nella pretesa spartizione delle somme presenti nel conto della societa’ fallita, risulta accertata nella citata ordinanza del tribunale del riesame di Bologna.

Rileva, infine, il ricorrente che la mancata fatturazione dell’importo di 57.000,00 Euro versati al (OMISSIS), non appare un dato significativo, trovando giustificazione nella circostanza riferita dal (OMISSIS) che egli aveva corrisposto compensi anche in nero.

Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del dolo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto, sulla base delle osservazioni gia’ svolte con il primo motivo di ricorso non e’ possibile affermare che il (OMISSIS) abbia operato con la consapevolezza e la volonta’ di aiutare l’imprenditore in dissesto a a pregiudicare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimita’, dissesto, peraltro, nel caso in esame, per le ragioni gia’ esposte, nemmeno configurabile.

Del resto a contrastare la tesi accusatoria basterebbe rilevare che, come si evince dalle dichiarazioni del teste (OMISSIS), fu proprio il ricorrente a consigliare al (OMISSIS) di vendere l’immobile per saldare l’unico creditore.

Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’accertamento degli elementi costitutivi necessari per l’integrazione del reato di cui al capo A1).

Il ricorrente ripropone le censure articolate dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), con riferimento alla impossibilita’ di ricondurre a una finalita’ distrattiva la vendita simulata dell’immobile di proprieta’ personale del (OMISSIS), rispondente alle gia’ evidenziate esigenze personali di quest’ultimo; alla utilizzazione delle dichiarazioni del (OMISSIS), in quanto prive di adeguati elementi di riscontro; alla qualifica di creditrice della societa’ attribuita alla moglie del (OMISSIS).

Con particolare riferimento alla posizione del (OMISSIS), il ricorrente svaluta la circostanza valorizzata dalla corte territoriale che il (OMISSIS), la (OMISSIS), collaboratrice in passato del (OMISSIS), e il (OMISSIS) si conobbero proprio nello studio del ricorrente, evidenziando come dall’istruttoria dibattimentale sia emerso che l’iniziativa di concludere l’operazione simulata di compravendita, sia partita da un’iniziativa del solo (OMISSIS), sulla base del rapporto personale che aveva stretto con il (OMISSIS) e la (OMISSIS), senza alcuna ingerenza del (OMISSIS), come del resto desumibile dagli stessi capi di imputazione contestati alla (OMISSIS) e alla (OMISSIS), G) ed H), in cui le operazioni fittizie vengono addebitate come commesse esclusivamente da questi ultimi e dal (OMISSIS).

L’affermata responsabilita’ del (OMISSIS) per il menzionato fatto distrattivo appare, pertanto, assolutamente in contrasto con i principi da tempo affermati nella giurisprudenza di legittimita’ in tema di concorso dell’extraneus nella condotta distrattiva del fallito.

Con il quarto motivo di ricorso l’imputato lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta applicazione della L. Fall., articolo 219, comma 1.

Il ricorrente contesta innanzitutto l’affermazione della corte territoriale secondo cui, sul punto non sarebbe stato articolato alcun motivo di appello, stante l’effetto totalmente devolutivo dell’appello e dei motivi nuovi, con cui si trattava diffusamente la non riferibilita’ al ricorrente non solo della situazione di dissesto, ma anche l’entita’ complessiva del dissesto.

Inoltre, l’affermazione della corte territoriale, secondo cui l’entita’ dei valori distratti dal (OMISSIS) e’ certamente inferiore a quella dei valori distratti dal (OMISSIS), dimostra non solo che la questione di cui si discute era stata posta, ma anche che va escluso qualsivoglia danno di rilevante gravita’, che si verifica, come affermato dalla Corte di Cassazione, solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravita’ quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale che, complessivamente considerato, sia di entita’ altrettanto grave, circostanza nel caso in esame da escludere, anche in considerazione della mancata quantificazione del danno subito dalla parte civile.

Con il quinto motivo di ricorso l’imputato lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di determinazione dell’entita’ del trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessiva, e di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione del comportamento collaborativo assunto dall’imputato, che ha sempre prestato il proprio consenso alla rinnovazione mediante lettura degli atti del dibattimento, a seguito del mutamento del collegio giudicante, e che ha rinunciato in sede di appello a far valere qualsivoglia eccezione per l’omessa notifica all’avv. (OMISSIS).

Con il sesto motivo di ricorso l’imputato lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in quanto nella determinazione dell’entita’ del trattamento sanzionatorio, la corte territoriale ha ritenuto aumentarsi la pena di mesi sei di reclusione per l’ulteriore aggravante di aver commesso piu’ fatti di bancarotta, che mai e’ stata contestata al ricorrente, ne’ ritenuta dal tribunale, che ha applicato al (OMISSIS) solo la circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1, sicche’ nel caso in esame si e’ verificata la violazione del divieto della reformatio in peius di cui all’articolo 597 c.p.p., comma 3.

3. I proposti ricorsi non possono essere accolti, per le seguenti ragioni. In via preliminare si osserva che, ricorrendo nel caso in esame una “doppia conforme”, in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, nell’affrontare le questioni poste dal ricorrente si procedera’ a una lettura congiunta delle due sentenze, costituendo esse un unico complessivo corpo decisionale (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 37295 del 12.6.2019).

4. Cio’ posto, inammissibili appaiono i ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS), sotto un duplice profilo.

Da un lato, i ricorrenti non tengono nel dovuto conto che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).

E invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita’ il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.

In questa sede di legittimita’, infatti, e’ precluso il percorso argomentativo seguito dai menzionati ricorrenti, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita’, quale e’ quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).

Dall’altro, le censure articolate dai due imputati si risolvono anche nella semplice reiterazione di quelle gia’ dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, con la cui motivazione sul punto i ricorrenti, in realta’ non si confrontano, dovendosi, pertanto, le stesse considerare non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).

Del resto va sottolineato come i giudici di merito, con motivazione approfondita e dotata di intrinseca coerenza logica, attraverso una valutazione complessiva delle risultanze processuali, alla quale i ricorrenti oppongono una propria lettura fortemente parcellizzata, abbiano dimostrato che il (OMISSIS) (il quale ha definito la propria posizione con il rito alternativo del patteggiamento), con la collaborazione non solo del (OMISSIS), come si vedra’ meglio nel prosieguo della presente trattazione, vero ispiratore dell’intera operazione, ma anche della (OMISSIS) e del (OMISSIS), abbia posto in essere un’operazione complessa, che prevedeva una vendita simulata per sottrarre i beni immobili di cui ai capi di imputazione alla garanzia dei creditori e, in particolare, per quel che riguarda la (OMISSIS) e il (OMISSIS), l’immobile sito in (OMISSIS), attraverso una serie di vendite simulate, secondo una sequenza iniziata con la vendita dal (OMISSIS) al (OMISSIS); proseguita con una seconda alienazione del bene da quest’ultimo alla (OMISSIS) e conclusasi con la terza vendita, sempre dello stesso immobile, dalla (OMISSIS) a (OMISSIS), fratello della moglie del (OMISSIS), che durante il succedersi degli atti di compravendita aveva continuato a vivere nella suddetta abitazione.

Sul punto si osserva che da tempo risalente la giurisprudenza di legittimita’ ha evidenziato, con argomentazioni assolutamente condivisibili, come rientri nella nozione di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 1), la condotta del fallito che, mediante atti o contratti simulati, faccia apparire come non piu’ suoi beni che continuano ad appartenergli, in modo da celare una situazione giuridica che consentirebbe di assoggettare detti beni all’azione esecutiva concorsuale (cfr. Cass., Sez. 5, n. 46692 del 03/10/2016, Rv. 268637; Cass., Sez. 5, n. 128 del 08/02/1968, Rv. 107576; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 44901 del 13/09/2017, Rv. 271621; Cass., Sez. 5, n. 46921 del 15/11/2007, Rv. 237981).

Si tratta della condotta, come rilevato dal giudice di primo grado, qualificabile in termini di occultamento, che risulta contestata ai ricorrenti, posto che il bene immobile di cui si discute non e’ mai uscito “dalla sfera di controllo della (OMISSIS)” e del compagno (OMISSIS), “ma solo dalla titolarita’” formale di quest’ultimo (cfr. p. 67 della sentenza di primo grado).

Al tempo stesso va menzionato il costante e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il dolo del concorrente “extraneus” (tali sono la (OMISSIS) e il (OMISSIS)) nel reato proprio del fallito consiste nella volontarieta’ della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della societa’ che puo’ rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosita’ della condotta per gli interessi dei creditori (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, Rv. 278156; Cass., Sez. 5, n. 26501 del 31/03/2021, Rv. 281555).

Orbene, i ricorrenti non contestano la natura simulata degli atti di vendita, deducendo, tuttavia, che, consentendo l’ordinamento la conclusione di negozi giuridici simulati, dalla natura fittizia delle cessioni immobiliari non e’ possibile ricavare l’illiceita’ dell’intera operazione e, soprattutto, la consapevolezza da parte loro della finalita’ distrattiva perseguita dal (OMISSIS), essendo convinti, come rivelato loro dallo stesso (OMISSIS), che la suddetta operazione avesse lo scopo di sottrarre l’immobile alle pretese della (OMISSIS), compagna del (OMISSIS) e madre del figlio di quest’ultimo, in caso di separazione.

Tale ultimo assunto, tuttavia, risulta smentito in tutta evidenza, come sottolineato dalla corte territoriale con argomentare logicamente ineccepibile, dalla circostanza che a conclusione della sequenza innanzi indicata il bene e’ pervenuto formalmente in capo al fratello della (OMISSIS), sicche’ la finalita’ dell’operazione non poteva che essere quella di sottrarre il bene in questione alle ragioni del ceto creditorio, tenuto conto della qualita’ del (OMISSIS) di socio accomandatario della societa’ fallita “(OMISSIS) Sas di (OMISSIS)”, in quanto tale tenuto a garantire con il proprio patrimonio sia i debiti della societa’ fallita, sia i suoi personali creditori, essendo stato dichiarato fallito anche in proprio (cfr. p. 57 della sentenza di primo grado).

Da questo punto di vista appare irrilevante la genericita’ dell’affermazione della corte territoriale, che ha individuato come creditrice del (OMISSIS) la (OMISSIS), senza indicarne le ragioni, dovendosi ritenere comunque corretta la soluzione cui e’ pervenuto il giudice di appello, in quanto, come opportunamente evidenziato dal tribunale, le operazioni simulate poste in essere con il concorso della (OMISSIS) e del (OMISSIS), “sono state evidentemente orientate alla distrazione” (rectius, all’occultamento) “del bene dai creditori e non certo dalla compagna” (cfr. pp. 67-68 della sentenza di primo grado), mettendo in pericolo le ragioni del ceto creditorio della societa’ fallita (e anche dei creditori personali del (OMISSIS)).

La corte territoriale, inoltre, ha desunto con motivazione dotata di intrinseca coerenza logica la finalita’ fraudolenta degli atti simulati da una serie di elementi di fatto, tra i quali assumono indubbio rilievo l’ammissione di entrambi i ricorrenti di essere stati remunerati dal (OMISSIS) per svolgere il loro ruolo di parti fittizie degli indicati contratti di compravendita (il che rende del tutto irrilevante l’eccezione difensiva, invero generica, sulla inutilizzabilita’ delle dichiarazioni del (OMISSIS), oggettivamente riscontrate da tali ammissioni); la circostanza che la (OMISSIS) ha acquistato l’immobile di cui si discute, senza pagarne il prezzo, prima della dichiarazione di fallimento, e lo aveva rivenduto al fratello della (OMISSIS), sempre senza ricevere alcun corrispettivo, alcuni mesi 12 dopo la suddetta dichiarazione; l’ulteriore circostanza, invero significativa, che a indicare al (OMISSIS) le persone da utilizzare per la suddetta operazione fu proprio l’avv. (OMISSIS), con il quale la (OMISSIS) in passato aveva collaborato e al quale il Fiorentini si era rivolto, come riconosciuto da quest’ultimo, chiedendogli se vi fosse “la possibilita’ di svolgere un lavoro di qualsivoglia tipo, compresa una attivita’ “illecita”, non avendo lui un lavoro “lecito” (cfr. pp. 11-15 della sentenza oggetto di ricorso).

A fronte di tale percorso argomentativo, in conclusione, non puo’ che ribadirsi la natura meramente reiterativa e fattuale delle censure difensive.

Alla dichiarazione di inammissibilita’, segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilita’ dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere questi ultimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita’ (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

5. Quanto al ricorso presentato nell’interesse del (OMISSIS), va osservato che esso si pone ai confini della inammissibilita’.

Iniziando a esaminare i primi tre motivi di ricorso, va premesso che nel caso in esame al (OMISSIS) vengono addebitati, in concorso con il (OMISSIS), la (OMISSIS) e il (OMISSIS), i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui ai capi A) e Al) dell’imputazione, in qualita’ di artefice della complessiva operazione volta a pregiudicare le garanzie poste a tutela dei creditori della fallita “(OMISSIS) Sas di (OMISSIS)”

5.1. L’impianto accusatorio, ricostruito dalla corte territoriale, con riferimento, in particolare, ai fatti di cui al capo A), evidenzia come la societa’ fallita avesse acquistato gli immobili indicati nel suddetto capo d’imputazione, dall’ (OMISSIS), ex socio del (OMISSIS), senza pagare l’intero prezzo pattuito, per poi farne oggetto di plurime cessioni.

Nello stesso periodo in cui veniva alienato fittiziamente al (OMISSIS) l’immobile di cui si e’ detto nelle pagine precedenti, anche il fabbricato e il terreno di cui al capo A) venivano promessi in vendita alla societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, di (OMISSIS), che aveva corrisposto all’atto della stipula del preliminare di vendita del 19.6.2007, la somma di circa 800.000,00 Euro.

Il contratto, tuttavia, non era stato registrato e gli immobili venivano nuovamente venduti alla “”(OMISSIS)”, societa’ formalmente intestata a Mularoni Veronique Marthe, un’estetista, priva di esperienza in campo imprenditoriale, persona di fiducia del (OMISSIS), dietro la quale si celavano proprio quest’ultimo e il (OMISSIS).

Infatti, come riferito dal maresciallo Filardi nel corso della sua deposizione testimoniale, le indagini, svolte anche attraverso una rogatoria internazionale, avevano accertato che unico socio della “(OMISSIS)” era una societa’ di diritto inglese, la “Euro Costruction Group Ltd”, a sua volta posseduta dalla “Multi Trust Advisor SA”, societa’ con sede in Svizzera, alla quale il (OMISSIS) e il (OMISSIS) avevano conferito l’incarico fiduciario di costituire, tramite l’indicata societa’ inglese, la “(OMISSIS)”.

Quest’ultima societa’ era diventata protagonista delle fasi successive dell’operazione, effettuando, in data 28.4.2008, un riconoscimento di debito in favore della societa’ fallita, per un importo di Euro 411.918,00, con la generica causale “restituzione di somme anticipate” e stipulando, nello stesso giorno, un contratto preliminare di vendita degli immobili di cui si discute con la societa’ “(OMISSIS) Srl”, interamente posseduta dalla “(OMISSIS) s.r.l.”, del (OMISSIS), per il prezzo pattuito di Euro 1.760.000,00, di cui venivano versati 200.000,00 Euro; per poi stipulare il successivo 20.6.2008 il contratto definitivo di vendita nei confronti della “(OMISSIS) Srl”, che si era accollata il debito della “(OMISSIS)” nei confronti della societa’ fallita; infine, nello stesso giorno, la “(OMISSIS) Srl” era stata acquistata dalla “(OMISSIS) s.r.l.”, che aveva pagato il prezzo di 2.500,00 Euro per il 100% delle quote sociali, realizzandosi in tal modo l’effetto del trasferimento della proprieta’ degli immobili, che l’originario contratto preliminare di vendita non aveva prodotto.

Le risorse incamerate attraverso le varie fasi della descritta operazione erano state distratte e destinate o al pagamento di creditori personali del (OMISSIS) o in favore dell’avv. (OMISSIS), beneficiario di assegni per un totale di 18.000,00 Euro, tratti dal (OMISSIS) sul conto corrente della societa’ fallita e incassati dal ricorrente su di un conto corrente bancario a lui intestato, nonche’ di altri nove assegni circolari dell’importo complessivo di 39.000,00 Euro, che egli aveva ricevuto dal (OMISSIS), consegnandoli materialmente a (OMISSIS), suo creditore, il quale aveva provveduto a negoziarli presso un istituto bancario (cfr. pp. 25 ess.; 56 e ss. della sentenza di primo grado).

Oggetto della distrazione, frutto di un disegno unitario, erano stati, dunque, sia gli immobili siti in (OMISSIS), sia le somme di denaro, dirottate dal (OMISSIS) verso il (OMISSIS), provenienti dalla provvista creata grazie alla descritta operazione, ideata ed eseguita dal ricorrente insieme con il (OMISSIS) (circostanza evidenziata dalla corte territoriale nel rigettare il rilievo difensivo, acriticamente reiterato in questa sede, della mancata considerazione della decisione del tribunale del riesame, resa, osserva il giudice di secondo grado con logico argomentare, con riferimento alla sola distrazione delle somme di denaro e non anche dei beni immobili: cfr. p. 4).

Operazione chiaramente finalizzata a schermare la vendita del compendio immobiliare della fallita ai terzi – dunque, in primis al venditore degli anzidetti beni immobili, l’ (OMISSIS), titolare di un credito di oltre centomila Euro, non essendogli stato versato l’integrale prezzo della vendita e la cui istanza attivo’ la procedura conclusasi con la dichiarazione di fallimento della “(OMISSIS) Sas di (OMISSIS)”, ma anche al promissario acquirente (OMISSIS), che, come acutamente osservato dal giudice di primo grado, pago’ lo stesso immobile due volte (cfr. p. 59 della sentenza di primo grado) – al fine di sottrarre il patrimonio della societa’ alla garanzia dei creditori che, all’atto della dichiarazione di fallimento non avrebbero rinvenuto ne’ gli immobili, venduti, ne’ il corrispettivo distratto, mentre per esercitare la revocatoria sarebbe stato necessario dimostrare la mala fede del terzo acquirente.

Ed infatti, come dichiarato dal curatore fallimentare, nel patrimonio societario non vennero rinvenuti “ne’ il compendio immobiliare sito in (OMISSIS), ne’ il denaro incassato per la vendita di tale compendio, ne’ altro denaro risultante di spettanza della societa’ fallita” (cfr. p. 5 della sentenza di appello).

Risulta, pertanto, frutto di una lettura alternativa parcellizzata la pretesa difensiva di separare la vendita degli immobili di cui si discute dallo svuotamento delle casse della societa’ realizzato con la fuoriuscita per scopi diversi da quelli sociali del ricavato della vendita, laddove l’interpretazione delle risultanze processuali fatta propria dai giudici di merito ne evidenzia, in maniera affatto contraddittoria o manifestamente illogica, l’intima connessione, trattandosi di un’unica operazione, il cui obiettivo finale, lo si ripete, era quello di svuotare il patrimonio sociale, con pregiudizio per le ragioni del ceto creditorio.

Appaiono pertanto integrati, sotto il profilo oggettivo, gli elementi costitutivi del contestato delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare per distrazione, che, giova ricordare, e’ un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entita’ del patrimonio della societa’ in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Rv. 269562).

Essendo il bene tutelato dalla norma l’interesse dei creditori all’integrita’ dei mezzi di garanzia, vengono perseguiti, non solo i fatti che ai suddetti creditori cagionano danno, ma anche quelli che possono cagionarlo, per cui, trattandosi, come si e’ detto, di reato di pericolo, il danno non e’ un elemento costitutivo della fattispecie e il suo eventuale verificarsi rileva solo ai fini della valutazione dell’aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219 (cfr. Cass., Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Rv. 214860; Cass., Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rv. 253933).

Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non e’, pertanto, necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attivita’.

I fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si e’ realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza (cfr. Cass., Sez. U. n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266804).

Pacifico, del resto, e’ che la bancarotta per distrazione possa essere realizzata anche con un negozio a titolo oneroso, se posto in essere con la volonta’ e la consapevolezza di sottrarre il bene o il ricavato della vendita alla garanzia dei creditori (cfr. Cass., Sez. 5, n. 8607 del 28/05/1982, Rv. 155366).

Orbene la complessita’ dell’operazione posta in essere dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) rappresenta una sofisticata evoluzione di questo schema distrattivo, sulla quale la giurisprudenza di legittimita’ e’ intervenuta attraverso una serie di condivisibili arresti, dedicati proprio al concorso dell’extraneus quale artefice di articolati meccanismi distrattivi in collaborazione con il fallito.

Si e’, in particolare, affermato, con costante orientamento, che concorre in qualita’ di “extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, il legale o il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell’imprenditore o dell’amministratore di una societa’ in dissesto, fornisca a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi, ovvero svolga un’attivita’ diretta a garantire l’impunita’ o a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui progetto delittuoso (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 18677 del 08/02/2021, Rv. 281042; Cass., Sez. 5, n. 49472 del 09/10/2013; Cass., Sez. 5, n. 8276 del 06/11/2015, Rv. 267724; Cass., Sez. 5, n. 10742 del 15/02/2008, Rv. 239480).

Proprio in applicazione di tali principi e’ stata affermata la responsabilita’ a titolo di concorso del consulente di una societa’, che era stato l’ideatore di complesse operazioni di fusione per incorporazione finalizzate alla dismissione del patrimonio della fallita, predisponendo il contenuto degli atti negoziali e gestendo la definizione dei relativi rapporti economici (cfr. la gia’ citata Cass., Sez. 5, n. 18677 del 08/02/2021, Rv. 281042). Orbene la condotta del (OMISSIS) rientra a pieno titolo nel menzionato schema, in quanto, come correttamente evidenziato dal tribunale di Rimini, con valutazione condivisa dalla corte di appello, dall’istruttoria dibattimentale e’ emersa con assoluta chiarezza l’importanza del contributo del ricorrente, “consistito nell’ideare la doppia alienazione immobiliare, nell’individuare i prestanome, predisporre tutti gli atti simulati, gli schermi societari e fiduciari”, nella piena consapevolezza del conseguente effetto di depauperare il patrimonio sociale in pregiudizio delle ragioni del ceto creditorio, reso evidente dalla circostanza che il (OMISSIS) e il (OMISSIS) hanno “programmato “a tavolino” la bancarotta, facendo uscire dalla (OMISSIS) sas beni immobili, incamerando somme liquide, per poi prelevarle e destinarle a bisogni personali” (cfr. p. 60 della sentenza di primo grado).

Sul punto la motivazione della corte territoriale appare ulteriormente esaustiva, avendo il giudice di appello operato una minuziosa e articolata valutazione degli elementi a carico dell’imputato, rappresentati:

1) dalle dichiarazioni del (OMISSIS), che attribuiva al ricorrente l’idea di costituire la “(OMISSIS)”, attraverso la gia’ descritta operazione attivata in Svizzera, per sottrarre gli immobili al promissario acquirente, dichiarazioni riscontrate dagli atti acquisiti per rogatoria dalla Svizzera (non sottoposti a censura dalla difesa);

2) dalle dichiarazioni della Mularoni (del pari non contestate dal ricorrente), che, confermando quanto dichiarato dal (OMISSIS), ha ammesso di avere accettato di svolgere il ruolo di “prestanome” nella “(OMISSIS)”, dietro pagamento di un compenso, su richiesta del (OMISSIS);

3) dalla dichiarazioni di (OMISSIS) (non censurate dall’imputato), che ha affermato di avere trattato, in qualita’ di legale responsabile della “(OMISSIS) srl”, l’operazione con (OMISSIS), (OMISSIS) e la Mularoni;

4) dalle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS), il quale, premesso di essere legato da un rapporto quasi fraterno al (OMISSIS), ha ammesso: a) di aver ideato l’operazione di interposizione attraverso la creazione di uno schermo fiduciario, con apposita creazione delle societa’ in precedenza indicate e di essere socio, con delega ad operare, sia della fiduciaria svizzera, che della “(OMISSIS)”; b) di avere ricevuto dal (OMISSIS) denaro in assenza di qualsivoglia documentazione contabile e fiscale attestante le ragioni del pagamento o di annotazione in qualsivoglia scrittura contabile (ne’ della societa’ fallita, ne’ del (OMISSIS), ne’ propria), denaro proveniente proprio dalla vendita immobiliare; c) di avere deciso di nominare la Mularoni legale rappresentante della “(OMISSIS)”, pur conoscendo la totale inesperienza imprenditoriale di quest’ultima.

La corte territoriale, infine, risolve con motivazione immune dai denunciati vizi, i rilievi acriticamente riproposti con il ricorso, in relazione: 1) alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato; 2) alle giustificazioni addotte dal (OMISSIS), secondo il quale l’intera operazione sarebbe stata finalizzata a costringere il (OMISSIS) al pagamento dell’I.V.A, evidenziandone, con logico argomentare, l’inverosimiglianza; 3) ai pretesi crediti, di cui non vi e’ prova, vantati per prestazioni professionali svolte del (OMISSIS) in favore della societa’ fallita, che, ove dimostrati, avrebbero imposto di qualificare la fattispecie in termini di bancarotta preferenziale, rimanendo integra la qualificazione di bancarotta per distrazione, rileva, peraltro, correttamente il giudice di appello, anche ove si trattasse in ipotesi di crediti vantati per prestazioni professionali rese dal (OMISSIS) non nei confronti della societa’, ma del (OMISSIS) persona fisica (cfr. pp. 4-11 della sentenza di secondo grado).

Rispetto a tale limpido argomentare, i rilievi difensivi si presentano, in realta’, per larga parte, come volti a denunciare un travisamento del fatto ovvero acriticamente reiterativi delle censure gia’ disattese dal giudice di secondo grado, dunque non scrutinabili in sede di legittimita’.

Va solo aggiunto che, con riferimento all’elemento soggettivo del delitto di cui si discute, va ribadito quanto si e’ gia’ evidenziato trattando delle posizioni della (OMISSIS) e del (OMISSIS), vale a dire che il dolo del concorrente “extraneus” nel reato proprio del fallito consiste nella volontarieta’ della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della societa’ (cfr., ex plurimis, le richiamate Cass., Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, Rv. 278156; Cass., Sez. 5, n. 26501 del 31/03/2021, Rv. 281555).

Volontarieta’ e consapevolezza desunte dalla corte territoriale, in conformita’ a quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di prova dell’elemento soggettivo del reato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908; Cass., Sez. 6, 6.4.2011, n. 16465, Rv. 250007), proprio dalla condotta posta in essere dal (OMISSIS), assolutamente in grado di rendersi conto, anche in ragione della sua specifica competenza professionale, appartenendo egli al ceto forense, dell’effetto in termini di depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, che avrebbe prodotto la complessa operazione da lui ideata e realizzata.

Allo stesso tempo la corte territoriale ha fatto buon governo del principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, ai fini della configurabilita’ del delitto di bancarotta preferenziale e’ necessario che il pagamento estingua un debito effettivo, della cui esistenza l’imprenditore e’ onerato di fornire la prova, in difetto della quale ricorre un’ipotesi di distrazione dei beni e non di diseguale trattamento dei creditori (cfr. Cass., Sez. 5, n. 32637 del 16/04/2018, Rv. 273712).

5.2. Identiche considerazioni valgono per la fattispecie distrattiva di cui al capo Al).

Sulla natura distrattiva dell’intera operazione si rimanda, per evitare inutili ripetizioni, al paragrafo n. 4 della presente trattazione, dedicato ai ricorsi presentati nell’interesse della (OMISSIS) e del (OMISSIS).

Anche il concorso del (OMISSIS) in tale operazione e’ stato oggetto di congrua motivazione da parte della corte territoriale, che ha evidenziato come le dichiarazioni accusatorie rese al riguardo del (OMISSIS), trovino conferma non solo nelle dichiarazioni del (OMISSIS), di cui si e’ gia’ detto, ma anche nella circostanza che sono stati utilizzati quali prestanome due persone strettamente legate al (OMISSIS), le quali si sono incontrate nel suo studio, al cui interno inoltre, e’ stato redatto e custodito un contratto di locazione dell’immobile, apparentemente stipulato dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), recante la firma falsa di quest’ultima, il cui scopo era, come argomenta la corte territoriale con motivazione dotata di intrinseca coerenza logica, quello di consentire alla compagna del (OMISSIS) e al figlio di vivere in quella casa, sottraendola ai creditori del fallito, contratto che lo stesso (OMISSIS) ha affermato essere stato redatto dalla sua collaboratrice di studio (cfr. pp. 15-17 della sentenza di appello).

6. Inammissibile, ai sensi articolo 606 c.p.p., comma 3, appare il quarto motivo di ricorso, che si presenta come un motivo nuovo, non dedotto con i motivi di appello, come si evince dal contenuto del relativo atto di impugnazione del 14.11.2018 presentato dall’avv. (OMISSIS) nell’interesse del (OMISSIS), del (OMISSIS) e della (OMISSIS). Trattasi, peraltro, di motivo anche versato in fatto, dunque non scrutinabile in questa sede di legittimita’.

7. Manifestamente infondato appare il quinto motivo di ricorso.

La corte territoriale, invero, ha correttamente individuato nella gravita’ della condotta, nel ruolo determinante svolto dal (OMISSIS), nella intensita’ del dolo, l’ostacolo alla concessione delle invocate circostanze ex articolo 62 bis, c.p., facendo, pertanto, corretto uso dei criteri fissati dall’articolo 133 c.p., conformemente all’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita’, che giustifica il diniego delle attenuanti generiche anche solo sulla base della gravita’ della condotta (cfr., ex plurimis, Cassazione penale, sez. IV, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. III, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172), rilevando, al tempo stesso, l’insussistenza di elementi positivi di segno contrario, con motivazione che il ricorrente contesta proponendo una valutazione alternativa di merito, anche sulla eccessiva gravita’ del trattamento sanzionatorio, non consentita in questa sede.

8. Infondato, infine, appare l’ultimo motivo di ricorso, in quanto, come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita’, in tema di reati fallimentari, nel caso in cui all’imputato siano contestati piu’ fatti di bancarotta, non e’ necessaria una contestazione esplicita della circostanza aggravante speciale di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1), tanto che ove tale contestazione manchi non si verifica alcuna violazione dell’articolo 522 c.p.p., posto che il riferimento alla predetta circostanza aggravante, in tutti i suoi elementi costitutivi, e’ implicitamente contenuto nella descrizione della pluralita’ dei reati, la cui contestazione pone l’imputato in condizione di conoscere il significato dell’accusa e di esercitare il diritto di difesa (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 33123 del 19/10/2020, Rv. 279840).

9. Al rigetto, segue la condanna del ricorrente (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta il ricorso (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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