Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 9 novembre 2017, n. 26517

Ma l’accertamento della diligenza della condotta del medico forma oggetto dell’accertamento della colpa, ed in tema di responsabilita’ medica non e’ onere dell’attore provare la colpa del medico, ma e’ onere di quest’ultimo provare di avere tenuto una condotta diligente.

 

 


Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 9 novembre 2017, n. 26517

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13073-2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 2917/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’improcedibilita’ in subordine rigetto;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nel 1994 convennero dinanzi al Tribunale di Viterbo (OMISSIS), esponendo – per quanto in questa sede ancora rileva – che:

(-) a (OMISSIS) (OMISSIS) era affetto – come si sarebbe accertato in seguito – da un epitelioma alle mucose buccali;

(-) il (OMISSIS) si fece visitare da (OMISSIS), dermatologo;

(-) (OMISSIS) non solo non si avvide della natura maligna della malattia, ma consegno’ al paziente un referto istopatologico nel quale si escludeva la presenza di neoplasie;

(-) la malattia, non tempestivamente curata, progredi’ e condusse a morte (OMISSIS), che decedette il (OMISSIS).

Dedussero che tale condotta del sanitario fu imperita e negligente, in quanto se egli avesse saputo tempestivamente diagnosticare la malattia, essa si sarebbe potuta curare piu’ prontamente, e piu’ efficacemente.

Chiesero la condanna del convenuto al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza della morte del loro congiunto.

2. (OMISSIS) si costitui’ eccependo che:

(-) quando il paziente fu da lui visitato non presentava alcuno dei sintomi tipici dell’epitelioma, ma solo una escoriazione della mucosa dovuta alla protesi dentaria;

(-) l’unica prestazione medica da lui eseguita fu la sutura della suddetta escoriazione;

(-) non aveva mai ne’ disposto, ne’ eseguito, alcun esame istopatologico sui tessuti del paziente;

(-) dopo il suddetto intervento non ebbe piu’ occasione di visitare il paziente.

3. Il Tribunale di Viterbo con sentenza 14 gennaio 2003 n. 42 accolse la domanda.

La Corte d’appello di Roma, adita dal soccombente, con sentenza 21 maggio 2013 n. 2917 rigetto’ il gravame.

Ritenne la corte d’appello che:

(a) la storia clinica del paziente e i sintomi da questi presentati, al momento della prima visita eseguita da (OMISSIS), avrebbero dovuto indurre quest’ultimo almeno a sospettare la possibilita’ dell’esistenza d’un epitelioma, ed a disporre quindi esami piu’ approfonditi;

(b) era onere del convenuto, in applicazione dei principi sul riparto dell’onere della prova, dimostrare di avere eseguito quell’esame, ovvero di averlo consigliato al paziente, prova che invece manco’.

4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS), con ricorso fondato su due motivi; resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), anche nella veste di eredi di (OMISSIS), deceduta nelle more del giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Va preliminarmente disattesa la richiesta, compiuta dal Procuratore Generale nella pubblica udienza del 13 settembre 2017, di improcedibilita’ del ricorso, sul presupposto che ad esso fosse allegata una copia incompleta del provvedimento impugnato.

Dall’esame degli atti, infatti, si rinviene allegata al fascicolo del ricorrente una copia integrale del provvedimento impugnato.

1.2. I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilita’ del primo motivo di ricorso, sul presupposto che nel caso di c.d. “doppia conforme” non e’ prospettabile in sede di legittimita’ il vizio di omesso esame del fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., comma 5.

L’eccezione e’ infondata.

Questa Corte ha gia’ stabilito che le regole sulla c.d. “doppia conforme”, di cui all’articolo 348 ter c.p.c. si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto che le ha introdotte, ossia ai giudizi introdotti in grado di appello dal giorno 11 settembre 2012 in poi (Sez. 5, Sentenza n. 26860 del 18/12/2014).

Il giudizio di appello deciso dalla sentenza oggi in esame, invece, venne introdotto nell’anno 2003, sebbene si sia poi concluso soltanto un decennio appresso.

2. Il primo motivo di ricorso.

2.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare il “fatto decisivo” rappresentato dalla circostanza che causa del decesso del paziente fu il ritardo diagnostico e terapeutico in cui incorsero gli altri medici che, dopo di lui, si occuparono del caso.

2.2. Il motivo e’ infondato.

La Corte d’appello ha esaminato il problema del nesso di causa tra la condotta ascritta al convenuto, e la morte del paziente, a p. 8 della sentenza impugnata, affermando che: “l’esecuzione di un esame istologico (se fosse stato disposto dal convenuto) avrebbe permesso di accertare l’esistenza della malattia molto prima di quanto effettivamente avvenuto”, e soggiungendo che “l’eventuale concorso anche maggioritario dei medici successivamente intervenuti non potrebbe comportare alcuna riduzione dell’obbligo risarcitorio dell’appellante”, in puntuale applicazione dell’articolo 2055 c.c..

La circostanza di fatto costituita dall’esistenza del rapporto di causalita’ tra la condotta del convenuto, quella degli altri medici che si occuparono del causa, e la morte del paziente, e’ stata dunque esaminata dalla Corte d’appello, ed il vizio di omesso esame non sussiste.

Ne’, ovviamente, e’ consentito in questa sede tornare ad esaminare se vt davvero il convenuto abbia o non abbia fornito un contributo concausale alla produzione dell’evento, trattandosi di questione squisitamente di merito, istituzionalmente sottratta all’esame di questa Corte.

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 2697 c.c..

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato le regole sul riparto dell’onere della prova, poiche’:

(-) gli attori avrebbero dovuto dimostrare che, al momento in cui il paziente si fece visitare da (OMISSIS), vi fosse una lesione “ragionevolmente interpretabile come anticamera di una situazione patologica” tumorale, e tale prova era mancata;

(-) la Corte d’appello non ha “preso posizione” sul referto datato 10 gennaio 1991, prodotto e poi sottratto dagli atti di causa, il quale era stato da lui disconosciuto, e non era a lui riferibile.

3.2. Il motivo e’ infondato.

Stabilire se determinati sintomi, ad una determinata epoca, siano stati correttamente o scorrettamente interpretati, significa accertare se il medico abbia tenuto una condotta negligente o diligente.

Ma l’accertamento della diligenza della condotta del medico forma oggetto dell’accertamento della colpa, ed in tema di responsabilita’ medica non e’ onere dell’attore provare la colpa del medico, ma e’ onere di quest’ultimo provare di avere tenuto una condotta diligente (come questa Corte viene ripetendo da molti anni: per tutti, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 589 del 22/01/1999).

3.3. La corretta applicazione, compiuta dalla Corte d’appello, dei principi sul riparto dell’onere della prova, rende inconsistente anche il secondo profilo di censura.

Il ricorrente si ostina a ripetere che gli attori avevano depositato un referto istopatologico a lui attribuito, dal quale risultava una diagnosi benigna, ma che lui non aveva mai sottoscritto quel documento, poi sparito dagli atti.

Tuttavia che un referto istopatologico negli atti vi fosse o non vi fosse; ovvero che fosse o non fosse riferibile al convenuto, sono questioni che non toccano la posizione degli attori: gli attori avevano il solo onere di allegare la colpa del convenuto; questi aveva l’onere di provare la propria assenza di colpa.

E il convenuto non poteva certo provare l’assenza di colpa limitandosi a disconoscere la sottoscrizione di quel referto istopatologico.

Delle due, infatti, l’una:

– se il referto esisteva e lui lo firmo’, il convenuto e’ in colpa per avere sbagliato la diagnosi;

– se il referto non esisteva, il convenuto e’ in colpa per non aver suggerito od ordinato esami piu’ approfonditi, ovvero per non avere fornito la prova (per quanto detto, gravante su di lui), che alla data in cui visito’ il paziente, questi non presentava alcun sintomo tale da suscitare nemmeno il piu’ piccolo sospetto che fosse affetto da una patologia tumorale.

Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha trascurato di esaminare il problema della esistenza dell’autenticita’ del suddetto referto.

4. Le spese.

4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 7.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;

(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

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Avv. Umberto Davide

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