il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null’altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l’inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto)”. Si rivela così la reciproca fungibilità, quanto a presupposti e ad effetto, tra diffida ad adempiere e recesso.

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Corte d’Appello|Milano|Sezione 4|Civile|Sentenza|22 settembre 2022| n. 2946

Data udienza 14 luglio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

SEZIONE QUARTA CIVILE

nelle persone dei seguenti magistrati:

dr. Alberto Massimo Vigorelli – Presidente

dr. Maria Teresa Brena – Consigliere

avv. Paola Ambruosi – Giudice Ausiliario rel

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. 2063/2020 promossa in grado d’appello

DA

(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in VIA (…) 23848 OGGIONO presso lo studio dell’avv. CO.DA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti,

APPELLANTE

CONTRO

(…) (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in VIALE (…) 20125 MILANO presso lo studio dell’avv. SI.AL., che lo rappresenta e difende come da delega in atti,

APPELLATO

avente ad oggetto: Vendita di cose immobili

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(…) conveniva innanzi al Tribunale di Lecco (…) al fine di sentire accertare, ex art. 1454 c.c., l’intervenuta risoluzione del contratto preliminare intervenuto fra le parti e chiedendo la condanna della convenuta al pagamento del doppio della caparra, o in via subordinata la restituzione della caparra versata oltre al rimborso delle spese sostenute pari ad Euro 15.372,00.

Assumeva l’attore che in data 23/06/2015 stipulava con la cugina (…) un contratto preliminare di compravendita dell’immobile sito in Comune di Valmasino (SO) in via (…), per il prezzo complessivo di Euro 75.000 e versando contestualmente la somma di Euro 15.000,00 a titolo di caparra confirmatoria. (…), in atti, dichiarava di avere la piena ed esclusiva proprietà dei locali promessi in vendita e che ” in qualità di coerede ha ritirato dai rimanenti eredi la quota di spettanza della c.d. casa di Filorera e relative pertinenze…mediante scrittura privata che verrà convertita in procura irrevocabile o rogito notarile soltanto a seguito della presentazione della denuncia di successione di (…)…”.

Difatti il predetto immobile, a seguito della morte del proprietario (…), era caduto in comunione ereditaria fra la convenuta (…) ed altri sei comproprietari con i quali la convenuta aveva già stipulato, qualche giorno prima, altro contratto preliminare teso all’acquisto delle quote di tutti gli altri eredi.

Ad ogni modo all’attore era concesso sin da subito il possesso dell’immobile, dovendosi però accollare tutte le spese per le opere necessarie alla ristrutturazione e manutenzione dell’immobile promesso in vendita.

Senonché, trascorsi due anni dalla stipula del preliminare di cui è causa senza riuscire a ad addivenire alla stesura del contratto definitivo nonostante i ripetuti solleciti in tal senso, in data 10/05/2017 (…) inviava alla convenuta diffida ad adempiere ex art. 2454 c.c. invitandola alla consegna della documentazione necessaria al rogito e a comparire innanzi al notaio Dott. (…) per il giorno 23/06/2014 per la stipula del contratto definitivo di compravendita, diffida rimasta senza alcun riscontro.

Pertanto (…) introduceva il presente giudizio.

Si costituiva (…) eccependo preliminarmente l’improcedibilità della domanda avversa per mancato esperimento della negoziazione assistita ex art. 3 D.L. n. 132 del 2014 e nel merito il rigetto delle domande attoree, assumendo che il mancato perfezionamento della compravendita non sarebbe ad essa imputabile, bensì al rifiuto ingiustificato delle altre coeredi di cederle le loro quote di proprietà.

In via riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attore al pagamento della somma di Euro 4.000,00 a titolo di indennizzo per il mancato godimento del bene promesso in vendita.

Il tribunale di Lecco con sentenza 234/2020 resa l’11/07/2020 ha respinto l’eccezione di improcedibilità della domanda avanzata dalla convenuta, ponendo la responsabilità dell’inadempimento in capo alla promittente venditrice ritenendo che “le problematiche fra i comproprietari rientrano nella sfera di imputabilità della promissaria venditrice”. Ritenendo inoltre l’inadempimento grave, posto che dopo svariati anni dalla stipula del contratto preliminare la convenuta non era stata in grado di trasferire la proprietà dell’immobile promesso in vendita.

Ha pertanto condannato (…) al pagamento del doppio della caparra, pari ad Euro 30.000,00 in favore dell’attore rigettando altresì la domanda riconvenzionale di parte convenuta poiché non era stato provato che la mancata tempestiva riconsegna dell’immobile le avesse cagionato un danno patrimoniale.

Con atto ritualmente notifica (…) ha proposto appello chiedendo in riforma della sentenza impugnata, in via preliminare di accertare l’improcedibilità della domanda attorea ai sensi dell’art. 3 D.L. n. 132 del 2014 conv. in L. n. 162 del 2014 e, per l’effetto, sospendere il giudizio per l’espletamento della procedura di negoziazione assistita.

Nel merito il rigetto delle avverse domande e in via riconvenzionale, chiedendo la condanna di (…) al pagamento in suo favore della somma di Euro 4.000,00 a titolo di indennizzo per il mancato godimento dei beni promessi in vendita.

Si costituiva (…) chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata e in via subordinata ex art. 346 c.p.c. reiterando le domande svolte in primo grado.

Quindi la causa, sulle conclusioni come in atti precisate, all’udienza del 7/04/2022 è stata posta in decisione con l’assegnazione termini per il deposito di memorie conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’appellante si duole della mancata declaratoria di improcedibilità della domanda.

Assume infatti che il mancato esperimento del tentativo di negoziazione assistita – prima dell’introduzione del giudizio – avrebbe determinato l’improcedibilità della domanda ritenendo che essendo la somma richiesta da (…) inferiore ad Euro 50.000,00, la vertenza avrebbe dovuto soggiacere all’obbligo previsto dall’art. 3 D.L. n. 132 del 2014.

Il motivo deve essere rigettato.

Come ritenuto dal tribunale l’oggetto del giudizio è l’accertamento della richiesta risoluzione di diritto del contratto in essere fra le parti essendo le domande risarcitorie e restitutorie svolte da (…) dipendenti dall’accoglimento o meno della domanda principale di risoluzione del contratto.

Il giudice di prime cure ha dunque correttamente ritenuto la materia sottratta alla normativa di cui al D.L. n. 132 del 2014 poiché la risoluzione del contratto ha come principale effetto quello di far venire meno il vincolo contrattuale, liberando le parti dalle obbligazioni contratte. L’accertata risoluzione poi legittimerà, in favore della parte in danno della quale si è prodotta, il diritto ad ottenere un risarcimento del danno causato.

Con il secondo motivo l’appellante lamenta l’inefficacia della diffida ad adempiere per mancanza di valida procura

Insiste l’appellante nel ritenere inefficace la diffida ad adempiere inviatale da (…) in data 10/05/2017 poiché sottoscritta unicamente dal difensore dell’appellato e priva di procura speciale in forma scritta.

Afferma poi che il giudice avrebbe erroneamente ritenuto tardiva l’eccezione – svolta in conclusionale – sollevata dall’appellante di mancanza di data certa della procura, depositata da (…) in data 4/04/2018 nel corso della prima udienza.

La censura va disattesa.

L’assunto dell’appellante secondo cui la procura doveva essere allegata alla diffida ad adempiere non può essere condiviso, giacché la necessità che la procura a formulare una diffida ad adempiere abbia forma scritta (SSUU 14492/10) non implica che la stessa vada allegata alla diffida, essendo sufficiente che la stessa sia “portata a conoscenza del debitore con mezzi idonei” (Cass. 1447/78) e sempre salvo il diritto del destinatario della stessa diffida di farsene rilasciare copia ai sensi dell’art. 1393 c.c. (Cassazione civile sez. II, 07/05/2018, n.10860).

La Corte poi osserva che, con racc. datata 10/05/2017, pervenuta alla destinataria il 22/05/2017, l’avv. (…), in nome e per conto di (…), ha diffidato la promittente venditrice a presentarsi il 9/06/2017 dinanzi al Notaio per la stipula del definitivo, con avvertimento che, in difetto, il contratto si sarebbe dovuto intendere risolto ex art. 1454 c.c., con diritto ad ottenere la restituzione delle somme versate nonché il risarcimento dei danni conseguenti.

Orbene, va rilevato che questa diffida è stata redatta dal difensore e che alla stessa non è stata allegata una procura. Tuttavia, va anche evidenziato che deve trovare applicazione nel caso di specie l’art. 1393 c.c., in virtù del quale il terzo può esigere che il rappresentante giustifichi i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da atto scritto, che gliene dia una copia da lui firmata.

Nel caso di specie, a fronte della diffida, la promittente venditrice è rimasta silente, non avendo provveduto ad adempiere alla stessa, né a chiedere al rappresentante giustificazione dei suoi poteri. D’altro canto, va anche rilevato che, ove il rappresentante agisca senza potere, l’atto dallo stesso compiuto può essere sempre ratificato dall’interessato con l’osservanza delle forme previste per la sua conclusione ex art. 1399 c.c..

Sul punto, la S.C. ha ritenuto che “l’attore, con la sottoscrizione della procura ad litem, a margine o in calce alla citazione, fa proprio il contenuto negoziale di quest’ultimo atto, e quindi le dichiarazioni di natura negoziale in esso contenute (nella specie, la S.C. ha affermato che la sottoscrizione della procura ad litem implica la ratifica della diffida ad adempiere fatta in nome della parte e richiamata in citazione, escludendo che, a detto fine, occorra l’espresso conferimento nella procura del potere di ratifica della dichiarazione negoziale)” (Cass. Sez. III, 18.11.2002, n. 16221; nello stesso senso, Cass., sez. II, 14.10.2010, n. 21229).

Nel caso di specie, con l’atto introduttivo in primo grado, (…) ha ricostruito la cronologia dei fatti, richiamando espressamente l’infruttuoso spirare del termine di cui alla diffida ad adempiere del 10/05/2017, deducendo l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto e chiedendo alla promittente venditrice la restituzione del doppio della caparra.

È, quindi, evidente che la procura conferita dall’appellato al proprio legale per la proposizione dell’azione è idonea a ratificare anche la diffida ad adempiere posta in essere dal rappresentante.

La diffida in questione è, inoltre, regolare anche dagli altri punti di vista, visto che contiene espressa intimazione ad adempiere (indicando il nome del Notaio, la data e l’ora di comparizione dinanzi allo stesso, nonché la documentazione necessaria per la stipula) e visto che viene concesso un termine di 15 giorni.

A ciò si aggiunga, comunque, che il promittente acquirente, alla prima udienza, ha altresì depositato copia della procura speciale conferita al proprio legale per provvedere alla diffida ad adempiere. Pertanto tutte le avverse doglianze, anche relative alla certezza della data – peraltro sollevate tardivamente solo con la comparsa conclusionale dall’appellante – risultato essere prive di pregio.

Con il terzo motivo l’appellante si duole della decisione del primo giudice che ha ritenuto l’inadempimento grave e ad essa imputabile.

L.(…) che il tribunale avrebbe errato a non considerare il carattere incolpevole del proprio inadempimento male interpretando l’art. 11 del contratto preliminare ove è espressamente previsto che “Qualora per motivi non dipendenti dai firmatari della presente scrittura privata non fosse possibile dar corso a quanto pattuito, fra gli stessi non si applicano pensali o sanzioni ma semplicemente il rimborso delle spese vive sostenute…”.

Assume infatti l’appellante che l’inadempimento non sarebbe ad essa addebitabile poiché la mancata sottoscrizione del contratto definitivo sarebbe esclusivamente dovuta alle coeredi che, senza alcun motivo, si rifiutavano di cedere all’appellante le loro quote di proprietà dell’immobile nonostante l’intervenuto contratto preliminare. Pertanto, secondo la tesi, la fattispecie rientrerebbe nell’art. 11 del preliminare di cui sopra.

Anche la detta censura deve essere disattesa

Correttamente il tribunale ha ritenuto che “le problematiche tra i comproprietari rientravano nella sfera di imputabilità della promissaria venditrice”, rientrando nella sua esclusiva sfera di competenza il contenzioso in essere con gli altri comproprietari dell’immobile da essa promesso in vendita all’appellato.

E’ principio pacifico in giurisprudenza che “Nel contratto preliminare di vendita di cosa altrui, ovvero il negozio con il quale il promittente venditore si obbliga a procurare al promissario acquirente, mediante la stipulazione del definitivo, l’acquisto della proprietà della cosa, la prestazione può essere eseguita, indifferentemente, o con l’acquisto del bene dall’effettivo proprietario da parte del promittente per poi ritrasferirlo al promissario, ovvero attraverso un trasferimento diretto tra l’effettivo proprietario e l’acquirente” (da ultimo Corte di Appello di Roma del 22.05.2017, Cfr. anche Corte di Cassazione SU n. 11624/2006).

Applicando il suddetto principio al caso di specie, (…), per adempiere agli obblighi assunti con il preliminare avrebbe dovuto acquistare l’immobile dalle coeredi per poi trasferirlo all’odierno appellante.

E’ pacifico che l’appellante disattendendo gli obblighi posti a suo carico, non ha procurato l’acquisto della proprietà in capo ad (…) e si è quindi resa inadempiente.

Il Tribunale, dunque, ha interpretato il contratto preliminare senza incorrere in violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 c.c. e segg. e con motivazione esente da errori logici e giuridici.

In particolare, la Corte evidenzia che nel preliminare era detto espressamente che l’immobile promesso in vendita apparteneva anche ad altri eredi dell’appellante che “in qualità di coerede, ha ritirato dai rimanenti eredi la quota di spettanza della c.d. casa di Filorere e relative pertinenze… sollevando gli stessi da ogni incombenza e spesa di manutenzione, mediante scrittura privata che verrà convertita in procura irrevocabile o rogito notarile a seguito della presentazione della denuncia di successione di (…) mancando, allo stato, i requisiti di proprietà per il trasferimento dell’immobile”.

Il preliminare pertanto costituiva un promessa di vendita di cosa parzialmente altrui, pienamente valida, dalla quale è scaturito l’obbligo del promittente venditore di procurare al promissario acquirente l’acquisto della proprietà, obbligo non assolto da (…) dovendosi ascrivere ad essa la mancata stipula, risultando la sentenza impugnata conforme alla giurisprudenza della suprema Corte, secondo cui il contratto preliminare di compravendita di cosa parzialmente altrui è valido, e obbliga il promittente venditore, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la quota di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche di quella rimanente (o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva), rimanendo tale contratto assoggettato all’ordinario regime risolutorio per il caso di inadempimento dell’obbligazione assunta dal promittente venditore (Cass., Sez. U, n. 11624 del 18/05/2006; conf., Sez. 2, n. 4164 del 02/03/2015; Cass., Sez. 2, n. 26367 del 29/12/2010; Cass. sez. II, 04/09/2017, n.20701).

Quanto alla gravità dell’inadempimento, scrupolosamente, ai fini dell’accoglimento della domanda di risoluzione d’un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1453 c.c., il primo giudice ha accertata l’esistenza del contratto, dell’inadempimento valutandone la gravità avuto riguardo all’interesse del promissario acquirente (art. 1455 c.c.).

Sul punto la suprema Corte ha da tempo affermato che l’interesse di cui all’art. 1455 c.c., non si identifica con l’interesse alla risoluzione, ma consiste nell’interesse all’adempimento (Sez. 2, n. 4311 del 28/06/1986). Dunque “La gravità dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c. va commisurata all’interesse che la parte adempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto e non alla convenienza, per detta parte, della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all’adempimento” (Cassazione civile sez. III, 20/02/2018, n. 4022)

Pertanto l’interesse richiesto dall’art. 1455 c.c., non può che consistere nell’interesse della parte non inadempiente alla prestazione rimasta ineseguita: interesse che deve presumersi (con presunzione semplice, ex art. 2727 c.c.) vulnerato tutte le volte che l’inadempimento sia stato di rilevante entità, ovvero abbia riguardato obbligazioni principali e non secondarie (Sez. 3, Sentenza n. 8063 del 14/06/2001).

Nella fattispecie l’inadempimento alle obbligazioni assunte da (…) è tale da aver alterato irrimediabilmente il nesso di interdipendenza che le lega e dunque non potrà che essere ritenuto grave, poiché sia quantitativamente sia qualitativamente ha compromesso l’equilibrio tra le controprestazioni impedendo al promissario acquirente di conseguire l’utilità che si attendeva dal contratto preliminare di cui è causa.

Alcun inadempimento poi potrà essere pertanto addebitato all’appellato.

Il mancato versamento del secondo acconto del prezzo non possiede il requisito della gravità ai fini di cui è causa considerato che, peraltro, non risulta che (…) abbia mai sollecitato il pagamento e che, al contrario, su esplicita richiesta del promittente acquirente in tal senso non ha provveduto a comunicare i propri estremi bancari utili per procedere al pagamento del quale (…), come documentalmente in atti, ha subito manifestato la propria disponibilità.

A ciò si aggiunga che, come risulta dall’art. 5 del contratto preliminare il versamento dell’ulteriore importo di Euro 30.000,00 avrebbe dovuto avvenire “contestualmente con la consegna della denuncia di successione…” denuncia mai consegnata all’appellato.

Con il quarto motivo l’appellante si duole della condanna alla restituzione del doppio della caparra.

Assume infatti che il tribunale avrebbe errato laddove ha accertato l’intervenuta risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1454 c.c. a far data dal 23/06/2015 e che pertanto il promittente acquirente non avrebbe avuto diritto alla restituzione del doppio della caparra poiché “Nessun esercizio della facoltà di recedere e nessun accertamento dell’intervenuto recesso ex art. 1385 comma 2 c.c. tali da poter giustificare la restituzione del doppio della caparra (a titolo risarcitorio) si rinvengono, dunque nel caso di specie”.

Il motivo deve essere respinto.

Nella fattispecie in esame, il promittente acquirente ha chiesto una pronuncia di mero accertamento della risoluzione del contratto preliminare di compravendita, prodottasi in via stragiudiziale attraverso l’inutile decorso del termine fissato nella diffida ad adempiere (art. 1454 c.c., comma 3). Su questa base, ha chiesto poi di ottenere il doppio della caparra versata. Per conseguire tale scopo ha correttamente reputato di non aver bisogno di esercitare il diritto di recesso, che sarebbe stato una specie di illogico bis in idem, avendo l’appellato già conseguito l’obiettivo di sciogliersi dal vincolo contrattuale attraverso la diffida ad adempiere congiuntasi all’inutile decorso del termine. Infatti, non ha esercitato il recesso.

Si tratta quindi di vedere se sia protetto dal diritto positivo l’abbinare la ritenzione della caparra, o del doppio della caparra, all’effetto risolutorio scaturente non dal recesso, bensì dalla diffida ad adempiere cui si congiunge l’inutile decorso del termine. La disposizione da applicare è l’art. 1385 c.c., comma 2, nella sua prima parte: “se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra”.

Sul punto la Suprema Corte ha da ultimo ritenuto che “Conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione di un contratto cui è acceduta la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso e la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra (o alla corresponsione del doppio di quest’ultima), in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio”. (Cassazione civile sez. II, 08/06/2022, n. 18392)

Per la giurisprudenza, dunque, la parte non inadempiente, che in presenza dell’inadempimento della controparte (poi accertato in giudizio) si è giovata dell’effetto risolutorio del contratto attraverso la diffida ad adempiere, cui si è congiunto l’inutile decorso del termine, non deve perciò perdere il diritto di ritenere la caparra in funzione di liquidazione del danno predeterminata, forfettaria e sganciata dall’onere della prova. Non deve perderlo solo perché non può più esercitare una facoltà (quella di recedere dal contratto), che non ha più bisogno di esercitare.

In altre parole, con la citata sentenza gli ermellini hanno definitivamente sancito che, fermo definitivamente quell’effetto risolutorio stragiudiziale, “la conclamata poliedricità funzionale della caparra ben può emergere a questo punto come “limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto” (così, Cass. SU 553/2009). Siffatta pretesa si congiunge così all’esercizio stragiudiziale del potere di risolvere il contratto attraverso il meccanismo della diffida, seguita dall’inutile decorso del termine, e si sgancia dal recesso che non è più necessario. Infatti, l’effetto sostanziale di quest’ultimo è stato anticipato senza residui dal predetto meccanismo. Come infatti è stato precisato da Cass. SU 553/2009 (par. 4.2), in adesione a ricostruzioni dottrinali: “il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null’altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l’inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto)”. Si rivela così la reciproca fungibilità, quanto a presupposti e ad effetto, tra diffida ad adempiere e recesso…”

Con il quinto motivo (…) si duole del mancato accoglimento della propria domanda svolta in via riconvenzionale, tesa ad ottenere il danno patrimoniale causato dall’occupazione senza titolo, per circa otto mesi, dell’immobile da parte dell’appellato.

Secondo la tesi, il contratto preliminare si sarebbe risolto il 9/06/2017 così come indicato nella diffida ad adempiere ma (…) avrebbe continuato ad occupare l’immobile “traendo da tale godimento un ingiustificato arricchimento”, causando un danno all’appellante che non avrebbe potuto dare in locazione a terzi il bene oltre ad aver subito lo spossessamento dell’immobile che nonostante la risoluzione sarebbe rimasto nella disponibilità dell’appellato senza che questi versasse alcun equivalente pecuniario.

Il motivo va disatteso.

Il tribunale ha rigettato la richiesta così svolta ritenendo che non fosse stata fornita alcuna prova che la mancata restituzione dell’immobile avesse causato un danno all’odierna appellante.

Sul punto si osserva preliminarmente che (…) ha richiesto un danno relativo ad un immobile di cui non è proprietaria se non pro quota. Quindi il danno dovrebbe essere parametrato alla sua unica quota.

Ma questa Corte non può accertare che l’appellante, titolare appunto solo di una quota del bene di cui è causa, avrebbe potuto ottenere dei frutti civili dal bene procedendo ad affittarlo a terzi. In realtà (…) ha concesso il possesso al cugino (…) con la tolleranza degli altri eredi ma non può vantare un danno che vada oltre il suo diritto di comproprietà; nell’eventualità, essendo un diritto di proprietà pro quota non potrebbe fondare alcun tipo di danno.

Ad ogni modo l’odierna appellante, proprietaria solo di una quota parte dell’immobile conteso, non ha fornito alcuna prova che avrebbe fatto fruttare la sua quota, ricavando da essa dei frutti civili.

Tanto ritenuto e considerato, la Corte conclude per il rigetto dell’appello.

Le spese del grado seguono la soccombenza integrale dell’appellante e sono liquidate come da dispositivo. Sussistendone i presupposti, la Corte applica il doppio contributo a carico dell’appellante.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Lecco n. 234/2020 pubblicata l’11/07/2020

– Rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza n. 234/2020 emessa dal Tribunale di Lecco l’11/07/2020

– Condanna (…) al pagamento in favore di (…) delle spese di lite del grado che liquida nella somma di Euro 9.515,00 oltre al rimborso delle spese generali e oneri di legge;

– Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall’art. 1, comma 17 della Legge.

Così deciso in Milano il 14 luglio 2022.

Depositata in Cancelleria il 22 settembre 2022.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.