Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiche’ gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese puo’ essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione

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Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Ordinanza|10 gennaio 2023| n. 335

Data udienza 15 novembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUBINO Lina – Presidente

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina – rel. Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13994/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. (OMISSIS), domiciliati per legge in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) S.R.L., e per essa (OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura alle liti rilasciata con atto per notar Dott. (OMISSIS) del 23.11.2017, rep. n. (OMISSIS) e racc. n. (OMISSIS), dall’avv. (OMISSIS), domiciliata per legge in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro n. 514/2019, pubblicata in data 13 marzo 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero opposizione ex articolo 615 c.p.c. alla esecuzione immobiliare intrapresa da (OMISSIS) s.p.a. In forza di contratto di mutuo stipulato in data 4 settembre 1997, deducendo l’indeterminatezza della somma indicata nell’atto di precetto, la violazione del divieto di anatocismo, nonche’, limitatamente alle rate scadute in data successiva al 31 dicembre 2000, la violazione del Decreto Legge n. 394 del 2000, articolo 1.

Sospesa la procedura esecutiva ed introdotta la fase di merito, il Tribunale di Castrovillari, espletata una consulenza tecnica d’ufficio e una consulenza tecnica integrativa, accolse parzialmente l’opposizione, rideterminando il credito di (OMISSIS) s.p.a. alla data del 5 agosto 2005 in Euro 30.429,99, “oltre interessi convenzionali adeguati al tasso soglia sulla somma di Euro 29.933,25 dalla data di notifica del ricorso in opposizione (5 agosto 2005) fino al soddisfo”, e ponendo le spese di lite, unitamente a quelle di c.t.u., per meta’ a carico degli opponenti e compensandole per la restante parte.

2. (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnarono la decisione e la Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato il gravame, ponendo definitivamente le spese di c.t.u. a carico di entrambe le parti e condannando gli appellanti al pagamento delle spese per l’intero quanto al primo grado ed al secondo grado.

I giudici di appello hanno, preliminarmente, osservato che non potevano trovare applicazione, nella vicenda sottoposta al loro esame, le norme dettate dalla L. n. 154 del 1992 e dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, per essere il rapporto bancario sorto in data 4 settembre 1997, in data antecedente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 342 del 1999, con cui era stato modificato il Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 120.

Dando atto che si discuteva di mutuo fondiario, avente ad oggetto la concessione in prestito di una somma pari a Euro 30.987,41, da restituirsi mediante il pagamento di mensilita’ costanti e posticipate al tasso annuo dell’8,75 per cento, assoggettato alla disciplina introdotta dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 161 la Corte ha evidenziato, sulla base di quanto previsto, in caso di ritardato pagamento, dall’articolo 2, lettera b), del contratto e in esito alla c.t.u. espletata, che aveva escluso la violazione della L. n. 108 del 1996 con riferimento ai primi tre trimestri, che il tasso moratorio previsto in contratto non potesse ritenersi superiore al tasso soglia al momento della sua pattuizione, cosicche’ non era ravvisabile usura originaria e, quindi, nullita’ della pattuizione contrattuale ex articolo 1815 c.c.

Ha, quindi, confermato la decisione del Tribunale che aveva determinato, alla data del 5 agosto 2005, il credito vantato dalla Banca in dipendenza del mutuo del 4 settembre 1997, escludendo la capitalizzazione e rideterminando gli interessi dei periodi in cui il tasso soglia era stato superato, entro i limiti del tasso soglia e senza tenere conto delle risultanze della consulenza tecnica integrativa.

La Corte ha, infine, aggiunto all’importo cosi’ calcolato la somma di Euro 496,74 a titolo di diritti ed onorari di precetto, “oltre interessi convenzionali adeguati al tasso soglia…. dalla data di notifica del ricorso in opposizione (5.8.2005) fino al soddisfo”, dichiarando assorbita ogni altra questione.

3. (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per la cassazione della suddetta decisione, sulla base di sei motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex articolo 380-bis.1. c.p.c..

(OMISSIS) s.r.l. e, per essa (OMISSIS) s.p.a., resiste con controricorso.

4. La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. cod. proc civ..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione i ricorrenti deducono la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in riferimento all’articolo 2504-bis c.c., come novellato dal Decreto Legislativo n. 6 del 2003, in riferimento al Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 58 nonche’ in riferimento all’articolo 110 c.p.c. e all’articolo 111 c.p.c.”. Sostengono che la Corte territoriale, nel rigettare la richiesta di dichiarazione di contumacia della (OMISSIS) s.p.a., dagli stessi avanzata in appello, a fronte della costituzione in giudizio della (OMISSIS) s.p.a., ha violato le disposizioni normative evocate, posto che dalla stessa comparsa di costituzione depositata da quest’ultima in appello si evinceva che la (OMISSIS) s.p.a. (parte processuale originaria) era stata incorporata per fusione nella (OMISSIS) s.p.a. in forza di rogito notarile del 20 ottobre 2008, rep. n. (OMISSIS); trattandosi di fusione per incorporazione successiva al Decreto Legislativo n. 6 del 2003, che aveva novellato l’articolo 2504-bis c.c., la stessa doveva inquadrarsi come vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che pertanto conservava la propria identita’. Di conseguenza, avrebbe dovuto essere dichiarata la contumacia di (OMISSIS) s.p.a. (quale incorporante di (OMISSIS) s.p.a.), nei cui confronti avrebbe dovuto essere pronunciata la sentenza. Soggiungono che, pur volendo accedere alla parificazione della fusione per incorporazione ad una successione universale mortis causa, dovrebbe comunque considerarsi societa’ incorporante la (OMISSIS) s.p.a., da individuarsi quale successore a titolo universale nel processo.

1.1. La censura e’ infondata.

1.2. Come e’ stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 21970 del 2021, la fusione per incorporazione non prospetta una mera vicenda modificativa, ma determina, invece, una vera e propria dissoluzione o estinzione giuridica, contestuale ad un fenomeno successorio. In particolare, “la fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della societa’ incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarita’ dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della societa’ incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici gia’ riguardanti i soggetti incorporati”.

Di conseguenza, “la prosecuzione dei rapporti giuridici nel soggetto unificato fonda la legittimazione attiva dell’incorporante ad agire e proseguire nella tutela dei diritti e la sua legittimazione passiva a subi’re e difendersi avverso le pretese altrui, con riguardo ai rapporti originariamente facenti capo alla societa’ incorporata; viceversa quest’ultima, non mantenendo la propria soggettivita’ dopo l’avvenuta fusione e la cancellazione dal registro delle imprese, neppure vanta una propria autonoma legittimazione processuale attiva o passiva”.

Le Sezioni Unite hanno pure sottolineato che: “In ragione del subentro omnicomprensivo in tutte le situazioni giuridiche attive e passive delle societa’, incorporate o fuse, da parte della societa’ in esito della fusione, questa va assimilata alla successione universale fra persone fisiche. In via di principio, percio’, alla fusione, divenuta efficace in corso di causa, in mancanza di disposizioni derogatorie troverebbe applicazione il regime degli articoli 110 e 300 c.p.c., con l’interruzione del processo e la sua prosecuzione dal successore universale o in suo confronto, previa riassunzione, quale fenomeno riconducibile al “venir meno” della parte, di cui all’articolo 110 c.p.c. Tuttavia, in presenza di fusione sopraggiunta nel corso del giudizio, la dizione dell’articolo 2504-bis c.c. – secondo cui in tutti i rapporti giuridici delle societa’ incorporate “anche processuali” vi e’ una “prosecuzione” dell’incorporante – vale ad evitare ex lege l’interruzione stessa, dato che l’incorporata ne prosegue senza soluzione di continuita’ i rapporti, anche processuali”.

1.3. Alla stregua dei superiori principi, essendo incontestato che la (OMISSIS) s.p.a., nel corso del giudizio, e’ stata incorporata per fusione, in forza di rogito notarile del 20 ottobre 2008, nella (OMISSIS) s.p.a. e che la (OMISSIS), come accertato dal giudice d’appello, ha incorporato con atto notarile del 14 dicembre 2008 la (OMISSIS) s.p.a., a sua volta cessionaria Decreto Legislativo n. 385 del 1993, ex articolo 58 di (OMISSIS) s.p.a., con decorrenza dal 1 novembre 2008, e’ del tutto evidente che la (OMISSIS) s.p.a., costituitasi in appello e nei cui confronti e’ stata emessa la sentenza qui impugnata, essendo subentrata nella titolarita’ del rapporto dedotto in giudizio, e’ stata correttamente ritenuta legittimata a resistere.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “Nullita’ della sentenza o del procedimento ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in riferimento all’articolo 112 c.p.c.” e lamentano l’erroneita’ di quanto riportato a pag. 7 della sentenza impugnata, la’ dove si legge: “Dalla disamina degli atti risulta che la domanda e’ stata promossa nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS) s.p.a. per mutamento di denominazione sociale) che con comparsa depositata il 12.10.2005 si e’ costituita in giudizio in quanto: “…societa’ cessionaria con effetto dal 1 gennaio 2000 anche a norma del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 58 del ramo d’azienda della cedente Societa’ (OMISSIS) s.p.a. nuova denominazione sociale del (OMISSIS) s.p.a.”.

2.1. Il motivo e’ inammissibile, in quanto le parti ricorrenti, pur facendo espresso riferimento nella rubrica ad una presunta violazione dell’articolo 112 c.p.c., omettono del tutto di illustrare le ragioni per le quali la sentenza gravata incorrerebbe nella violazione di tale disposizione normativa, di talche’ la doglianza e’ inesplicata ed incomprensibile.

3. Con il terzo motivo, denunciando la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in riferimento all’articolo 1283 c.c. ed in riferimento al combinato disposto di cui all’articolo 1815 c.c. ed alla L. n. 108 del 1996, articolo 2 per avere disatteso il giudice di primo grado l’eccezione di nullita’ dei pattuiti interessi moratori”, i ricorrenti, dopo avere posto in rilievo che avevano lamentato che la sentenza di primo grado aveva erroneamente ritenuto che l’usurarieta’ degli interessi pattuiti non concernesse i primi tre trimestri, sostengono che i giudici di appello si sono limitati a ritenere corretta in parte qua la sentenza impugnata fondandosi sulle risultanze della c.t.u.. Evidenziano, a tale riguardo, che il c.t.u. ha focalizzato la propria attenzione unicamente sugli interessi moratori, prescindendo dalla circostanza che gli stessi, essendo stati pattuiti in riferimento a rate di per se’ comprensive di interessi corrispettivi, dovevano essere considerati anche in riferimento agli interessi corrispettivi al fine di verificare l’effettivo superamento o meno del tasso soglia L. n. 108 del 1996, ex articolo 2 superamento che, nel caso in esame, era sussistente, considerato che la pattuizione degli interessi moratori aveva ad oggetto la rata nella sua interezza (sorte capitale ed interessi corrispettivi) e pertanto poneva un tasso effettivo di gran lunga al di sopra della soglia usuraria, con conseguente nullita’ della relativa pattuizione ai sensi dell’articolo 1815 c.c. Il giudice, nel quantificare la somma dovuta, avrebbe dovuto prescindere interamente dai pattuiti interessi moratori e seguire il calcolo adottato dal c.t.0 nella relazione integrativa, nella quale, attraverso una reimputazione dei versamenti effettuati, era stato conteggiato un residuo dare per sorte capitale pari ad Euro 21.543,79, oltre ad Euro 5.432,39 per interessi convenzionali.

4. Con il quarto motivo, rubricato: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in riferimento all’articolo 1283 c.c. ed in riferimento al combinato disposto di cui all’articolo 1815 c.c. ed alla L. n. 108 del 1996, articolo 2 per quanto concerne l’omessa declaratoria di nullita’ dei pattuiti interessi corrispettivi”, i ricorrenti, richiamando la sentenza di questa Corte n. 350 del 2013, secondo cui l’interesse di mora va addizionato all’interesse corrispettivo al fine della verifica del superamento o meno del tasso soglia, con travolgimento, in caso positivo, sia dell’interesse corrispettivo che dell’interesse moratorio, sostengono che tali principi rendono ancor piu’ evidente l’usurarieta’ degli interessi pattuiti che avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado e poi quello d’appello a dichiarare che non erano dovuti interessi ed a rideterminare il quantum debeatur.

4.1. Il terzo ed il quarto motivo sono infondati.

4.2. In linea generale, e’ opportuno osservare che la L. n. 108 del 1996 non ammette che la comparazione possa attuarsi tra il tasso soglia e la sommatoria degli interessi corrispettivi e moratori, giacche’ gli uni e gli altri costituiscono unita’ eterogenee, tra loro alternative (riferite l’una al fisiologico andamento del rapporto e l’altra alla sua patologia), ed e’ del tutto evidente, sul piano logico e matematico, che il debitore non debba corrispondere il cumulo di tali interessi.

Come gia’ osservato da questa Corte, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacche’ i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento: essi, pertanto, non si possono tra di loro cumulare (Cass., sez. 3, 17/10/2019, n. 26286).

Di conseguenza, il problema relativo all’esorbitanza degli interessi corrispettivi e moratori rispetto al tasso soglia va risolto in modo differenziato. Per i primi deve ovviamente tenersi conto della L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 4, e aversi riguardo al tasso medio risultante dalla rilevazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale aumentato della meta’; per gli interessi moratori assume invece rilievo quanto precisato, di recente, dalle Sezioni Unite di questa Corte: in particolare, poiche’ la L. n. 108 del 1996 si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell’ambito del tasso effettivo globale medio (TEGM) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 1, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, il tasso-soglia sara’ dato dal TEGM, incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dall’articolo 2, comma 4 sopra citato; laddove, invece, i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andra’ effettuata tra il tasso effettivo globale (TEG) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il TEGM, cosi’ come rilevato nei suddetti decreti (Cass., sez. U, 18/09/2020, n. 19597).

Nel caso di specie, la Corte d’appello, attenendosi ai suddetti principi, non ha operato un cumulo degli interessi moratori con quelli corrispettivi, ma ha chiesto al c.t.u., come emerge dal quesito trascritto a pag. 14 del ricorso, di rideterminare il quantum dovuto, tenuto conto “dei versamenti effettuati” e “calcolando gli interessi moratori, nei limiti del tasso-soglia tempo per tempo vigente, sulla sola quota capitale delle rate scadute o a scadere”; riscontrata la “superiorita’ costante del tasso di mora contrattuale rispetto ai limiti soglia periodici vigenti, ad eccezione dei primi tre trimestri”, ha proceduto al ricalcolo delle somme dovute previa rideterminazione degli interessi moratori, riferiti ai periodi in cui il tasso soglia e’ risultato superato, entro i limiti del tasso soglia.

Dall’accertamento dell’usurarieta’ discende, infatti, l’applicazione dell’articolo 1815 c.c., comma 2, di modo che gli interessi moratori sono dovuti non nella pattuita misura usuraria, bensi’ in quella degli interessi corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’articolo 1224 c.c., comma 1, (Cass., sez. U, 18/9/2020, n. 19597). Si e’ al riguardo precisato che tale soluzione trova fondamento nella circostanza che una volta caduta la clausola degli interessi moratori resta un danno per il creditore insoddisfatto che viene automaticamente ristorato mediante la corresponsione degli interessi corrispettivi nella stessa misura dovuta per il tempo dell’adempimento in relazione alla disponibilita’ del denaro. A tale stregua, la nullita’ degli interessi moratori non determina di per se’ la nullita’ degli interessi corrispettivi, sicche’ (anche) gli interessi moratori sono dovuti nella minor misura degli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti, dall’usurarieta’ dei soli interessi moratori non dovendo invero desumersi la totale gratuita’ del contratto di mutuo, venendosi altrimenti a determinare addirittura un vantaggio patrimoniale per il debitore inadempiente (Cass., sez. U, 18/9/2020, n. 19597).

La sentenza impugnata si sottrae, dunque, ai vizi denunciati con i mezzi in esame.

5. Con il quinto motivo, denunciando la “nullita’ della sentenza o del procedimento” – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – in riferimento all’articolo 112 c.p.c., i ricorrenti lamentano che i giudici d’appello avrebbero omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di appello, con il quale avevano dedotto che il giudice di primo grado aveva erroneamente riconosciuto, in favore dell’istituto bancario, sulla somma di Euro 29.933,25 (comprensiva di capitale, interessi corrispettivi ed interessi moratori), conteggiata alla data del 5 agosto 2005, ulteriori interessi convenzionali “adeguati al tasso soglia…dalla data di notifica del ricorso in opposizione fino al soddisfo”.

Con il medesimo motivo, deducendo pure la “Nullita’ della sentenza o del procedimento – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in riferimento agli articoli 1815 e 1823 c.c. ed in riferimento all’articolo 1282 c.c.”, i ricorrenti sostengono che la nullita’ dell’articolo 2, lettera b), e dell’articolo 8 del contratto di mutuo azionato non poteva che comportare l’applicazione del tasso legale sulla sorte capitale e a far data dalla emissione della sentenza di primo grado (21 febbraio 2013) e che, in ogni caso, e’ erronea l’applicazione di ulteriori interessi in difetto di domanda giudiziale proposta dalla Banca e in assenza di liquidita’ del credito vantato dall’istituto bancario, come tale improduttivo di qualsiasi interesse.

5.1. Va, in primo luogo, escluso il vizio ex articolo 112 c.p.c., in quanto la Corte d’appello a pag. 12 della motivazione, nel rigettare l’appello, conferma la sentenza di primo grado anche nella parte in cui essa statuisce la debenza di “interessi convenzionali adeguati al tasso soglia… dalla data di notifica del ricorso in opposizione (5.8.2005) fino al soddisfo”, in tal modo, implicitamente, disattendendo le doglianze fatte valere con il motivo di gravame.

Infatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilita’ pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass., sez. 3, 29/01/2021, n. 2151).

5.2. Inammissibili sono, invece, gli ulteriori profili di doglianze dedotti con il quinto motivo (violazione degli articoli 1815, 1283 e 1282 c.c.) per inosservanza dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto i ricorrenti, pur dolendosi che il giudice del merito abbia fatto decorrere ulteriori interessi convenzionali entro i limiti del tasso soglia a far data dal 5 agosto 2005, piuttosto che interessi al tasso legale sulla sorte capitale dalla data di emissione della sentenza, pur in difetto di una domanda in tal senso avanzata dalla Banca, omettono di riportare o di trascrivere, quanto meno nelle parti rilevanti, il contenuto della comparsa di risposta depositata dalla Banca in primo grado, nonche’ di quella depositata in grado di appello, al fine di dimostrare che la Banca non avesse formulato domanda volta ad ottenere gli interessi nella misura determinata dalla sentenza impugnata, in tal modo non ponendo questa Corte nelle condizioni di poter adeguatamente valutare la censura sulla sola base del ricorso e senza fare riferimento ad atti ad esso esterni.

Neppure indicano, nel rispetto della citata disposizione normativa (Cass., sez. U, 5/07/2013, n. 16887), se tali documenti sono stati allegati al ricorso, in base alla previsione del successivo articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (Cass., sez. U, 02/12/2008, n. 28547). Come e’ stato piu’ volte ribadito, l’osservanza del requisito della specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, requisito previsto dall’articolo 366 c.p.c., n. 6, richiede “che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, poiche’ indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo e’ rintracciabile” (Cass., sez. U, 25/03/2010, n. 7161; Cass., sez. 5, 21/05/2020, n. 9341; Cass., sez. L, 04/02/2020, n. 2520; Cass., sez. L, 15/01/2020, n. 710; Cass., sez. 6-1, 07/11/2019, n. 28712; Cass., sez. 6-1, 27/06/2019, n. 17337).

6. Con il sesto motivo si denuncia la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in riferimento all’articolo 91 c.p.c.”.

I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale, dopo avere confermato la sentenza di primo grado, opera una reformatio in pejus della pronuncia, ponendo le spese di c.t.u. del primo grado a carico di entrambe le parti, laddove la sentenza di primo grado aveva compensato le stesse limitatamente alla meta’ e posto l’ulteriore meta’ a carico della (OMISSIS) s.p.a., e riliquidando le spese di lite del primo grado di giudizio in Euro 3.972,00 e ponendole a loro carico, laddove il giudice di primo grado le aveva poste “per 1/2 a carico della (OMISSIS) s.p.a. e compensandole per la restante meta’”; il tutto in violazione dell’articolo 91 c.p.c., poiche’ la sentenza di primo grado aveva, seppure in parte, accolto il ricorso in opposizione.

6.1. Il motivo e’ fondato.

6.2. Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiche’ gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese puo’ essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass., sez. 1, 13/07/2020, n. 14916).

6.3. Nel caso in esame, la Corte territoriale, in assenza di specifica impugnazione riguardante il capo della sentenza sulle spese processuali, ha erroneamente modificato la statuizione delle spese processuali del primo grado di giudizio e, pertanto, sul punto deve essere cassata.

7. Conclusivamente, vanno rigettati il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, dichiarato inammissibile il secondo motivo, e va accolto il sesto motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione oggetto della censura accolta, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo la causa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., deve escludersi la condanna degli odierni ricorrenti al pagamento, per l’intero, delle spese relative al primo grado e delle spese di c.t.u., ripristinando la statuizione prevista nella sentenza di primo grado.

Le spese del giudizio di legittimita’, in ragione del parziale accoglimento del ricorso, vanno poste a carico dei ricorrenti nella misura del 30 per cento, liquidata come da dispositivo, dovendo essere invece compensate per il resto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, dichiara inammissibile il secondo motivo ed accoglie il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata limitatamente alla censura accolta e, decidendo nel merito, ripristina la statuizione in punto di spese prevista nella sentenza di primo grado.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’ nella misura del 30 per cento, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, compensandole per il resto.

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Avv. Umberto Davide

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