Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 12 dicembre 2017, n. 29835

l’indennita’ per la perdita dell’avviamento di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 35, non compete al conduttore cessato nei casi in cui l’attivita’ di vendita sia avvenuta, in termini di prevalenza, con operatori professionali e fuori da un diretto contatto con il pubblico indifferenziato degli utenti e dei consumatori, (Sez. 3, Sentenza n. 11896 del 24/11/1998, Rv. 521053 – 01), con la conseguenza che, in caso di esercizio congiunto di vendita all’ingrosso e di vendita al minuto, il diritto all’indennita’ per la perdita dell’avviamento puo’ essere riconosciuto solo quando l’attivita’ di vendita al minuto abbia rivestito carattere di prevalenza rispetto all’altra, e sia avvenuta con modalita’ comportanti contatto diretto con il pubblico

La pronuncia in oggetto affronta anche il tema relativo all’indennita per la perdita dell’avviamento commerciale, tematica che puo essere approfondita attraverso la lettura del seguente articolo:Indennità per la perdita dell’avviamento commerciale ex art. 34 L 392/1978

Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 12 dicembre 2017, n. 29835

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. DELL’ULTRI Marco – rel. Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1234-2017 proposto da:

(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato dall’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonche’ contro

– intimati –

avverso la sentenza n. 3696/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/10/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza resa in data 25/7/2016, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e in parziale riforma della sentenza di’ primo grado, ha rigettato la domanda proposta dalla Societa’ (OMISSIS) s.r.l. per la condanna delle controparti al pagamento, in proprio favore, dell’indennita’ per la perdita dell’avviamento (di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34), in relazione a un contratto di locazione commerciale intercorso tra le parti;

che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la mancata dimostrazione, da parte della societa’ appellata, della sussistenza dei presupposti per il conseguimento dell’indennita’ rivendicata, non avendo la conduttrice fornito la prova dello svolgimento, all’interno dell’immobile locato, di un’attivita’ di vendita al dettaglio esercitata con carattere di prevalenza rispetto a quella congiuntamente esercitata all’ingrosso all’interno del medesimo locale;

che avverso la sentenza d’appello, la Societa’ (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), resistono con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’articolo 380 -bis la Societa’ (OMISSIS) s.r.l. ha presentato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 116 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’avvenuta acquisizione della prova della sussistenza dei presupposti per il conseguimento, da parte della societa’ ricorrente, dell’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale rivendicata, in contrasto con le chiare risultanze documentali acquisite agli atti del giudizio;

che il motivo e’ inammissibile.

che, al riguardo, osserva il collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’articolo 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) e’ idonea ad integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime) (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01);

che, peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01);

che, nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale) – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5) – si e’ limitato a denunciare un (preteso) cattivo esercizio, ad opera della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimita’;

che, peraltro, sulla base dell’interpretazione del complesso degli elementi istruttori acquisiti (non adeguatamente contrastata dall’odierna societa’ ricorrente), il giudice a quo, avendo accertato l’insussistenza di alcuna prova certa in ordine alla natura (al dettaglio o all’ingrosso) dell’attivita’ di vendita esercitata dalla societa’ ricorrente all’interno dell’immobile locato, si e’ correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (che il Collegio condivide e fa proprio, intendendo assicurarne continuita’) ai sensi del quale l’indennita’ per la perdita dell’avviamento di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 35, non compete al conduttore cessato nei casi in cui l’attivita’ di vendita sia avvenuta, in termini di prevalenza, con operatori professionali e fuori da un diretto contatto con il pubblico indifferenziato degli utenti e dei consumatori, (Sez. 3, Sentenza n. 11896 del 24/11/1998, Rv. 521053 – 01), con la conseguenza che, in caso di esercizio congiunto di vendita all’ingrosso e di vendita al minuto, il diritto all’indennita’ per la perdita dell’avviamento puo’ essere riconosciuto solo quando l’attivita’ di vendita al minuto abbia rivestito carattere di prevalenza rispetto all’altra, e sia avvenuta con modalita’ comportanti contatto diretto con il pubblico (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1232 del 10/02/1997, Rv. 502319 – 01);

che, con il secondo motivo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 92 c.p.c. e dell’articolo 11 disp. prel. c.c., per avere la corte territoriale erroneamente condannato l’odierna ricorrente al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio, provvedendovi, peraltro, sulla base dell’applicazione dei parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 in violazione del principio che esclude l’applicazione retroattiva delle norme di legge;

che il motivo e’ manifestamente infondato;

che, infatti – premessa la corretta applicazione, da parte del giudice a quo, del principio della soccombenza di cui all’articolo 91 c.p.c., in ordine a entrambi i gradi del giudizio (essendo la societa’ ricorrente rimasta integralmente soccombente rispetto a tutte le domande proposte nel corso del giudizio) – al caso di specie deve trovare applicazione l’orientamento fatto proprio da questa corte di legittimita’ ai sensi del quale, in tema di spese processuali, agli effetti del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 41, i nuovi parametri, in base ai quali vanno commisurati i compensi forensi in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto purche’, a tale data, la prestazione professionale non sia ancora completata, sicche’ non operano con riguardo all’attivita’ svolta in un grado di giudizio conclusosi con sentenza prima dell’entrata in vigore, atteso che, in tal caso, la prestazione professionale deve ritenersi completata sia pure limitatamente a quella fase processuale (Sez. 6 – 2, Sentenza n. 2748 del 11/02/2016, Rv. 638855 – 01);

che, viceversa, nel caso di specie, essendosi il giudizio di primo concluso con sentenza depositata in data 23/4/2013 (successivamente all’entrata in vigore del d.m. cit), correttamente il giudice a quo ha determinato le spese del doppio grado di giudizio sulla base dell’applicazione dei parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014;

che, sulla base delle argomentazioni sin qui indicate, rilevata la complessiva infondatezza del ricorso, dev’esserne pronunciato il rigetto, cui segue la condanna della societa’ ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 – quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 – bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.