Corte di Cassazione, Sezione 4 penale Sentenza 14 febbraio 2018, n. 7188

Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumita’ fisica dei lavoratori – si e’ peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi de rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicche’ la sua responsabilita’ puo’ essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtu’ di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalita’, dell’abnormita’ e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (Sez. 4, n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli, Rv. 261946 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme comportamento del lavoratore che, per l’esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).

Corte di Cassazione, Sezione 4 penale Sentenza 14 febbraio 2018, n. 7188

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 27/3/2017 della CORTE DI APPELLO DI MILANO;

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

Udite le conclusioni del PG Dott.ssa OLGA MIGNOLO che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 27/3/2017, confermava la sentenza con cui il Tribunale di Monza il 21/3/2016 all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) alla pena di mesi 4 di reclusione, con la concessione dei doppi benefici per il reato p. e p. dall’articolo 113 c.p., articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3, in relazione all’articolo 583 c.p., Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 18, comma 1, lettera f), g), articolo 37, comma 1, articolo 91, comma 1, lettera a), articolo 92, comma 1, lettera b), d) ed e) articolo 96, comma 1, lettera g), articolo 97, comma 1 e articolo 146, perche’, con cooperazione colposa con altri imputati, cagionavano a (OMISSIS), lesioni personali gravi consistite in: “politrauma da precipitazione, con frattura bacino e milza con conseguente incapacita’ di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, nonche’ nella violazione delle sopra citate norme; in particolare (OMISSIS), in qualita’ di amministratore Unico della societa’ (OMISSIS) Srl (impresa affidataria dei lavori), per avere omesso di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati alla ditta (OMISSIS) di (OMISSIS), in quanto le opere provvisionali a protezione del vano ascensore in entrambe le scale non garantivano la sicurezza dei lavoratori, essendo i parapetti in parte mancanti, di altezze non adeguate, privi di tavola fermapiede, e, nella maggioranza dei casi, le fodere in legno erano state inchiodate dall’interno del vano ascensore (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 97, comma 1). In (OMISSIS).

Questo per quanto riguarda l’imputazione del (OMISSIS), a seguito dello stralcio disposto nel corso dal giudizio nei confronti di altri due imputati, oltre (OMISSIS) che, giudicato unitamente al (OMISSIS), non proponeva impugnazione.

L’incidente sul lavoro si verificava nel cantiere di (OMISSIS), alle ore 15,30 circa del (OMISSIS), dov’era in corso la costruzione di un edificio ad uso residenziale multiabitativo affidati dalla COOP. (OMISSIS) S.R.L. in appalto alla (OMISSIS) srl – di cui era amministratore unico l’odierno ricorrente – che a sua volta, con contratto del 18/2/2010, ebbe a subappaltare alla societa’ (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) l’esecuzione dei lavori di fornitura dello stabile. A sua volta (OMISSIS), con contratto del 9/4/2010, subappaltava alla ditta individuale (OMISSIS) di (OMISSIS), per cui lavorava al nero l’infortunato, l’esecuzione degli intonaci rustici sugli esterni, la formazione del cappotto esterno e le relative finiture. Pacifico e’ che vi fosse un coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori, ai sensi del D.Lgs., articolo 89, lettera e) nominato dalla societa’ committente COOP. (OMISSIS) S.R.L.:

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati

nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con un primo motivo deduce violazione di legge, sostanziale e processuale, per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale; anche con specifico riferimento all’erronea applicazione del principio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”. Tale principio si doveva inserire, nel contesto decisorio, secondo il ricorrente, come limite al convincimento anche del giudicante di secondo grado, che non poteva piu’ contentarsi di una motivazione soltanto “plausibile”, come in effetti risulta quella resa nella motivazione della sentenza de quo.

Con un secondo motivo lamenta violazione di legge, sostanziale e processuale, per carenza e manifesta illogicita’ della motivazione colpevolizzante.

Il ricorrente eccepisce in primo luogo il mancato raggiungimento, nel corso del giudizio, del grado di sufficienza probatoria necessaria per pervenire ad una dichiarazione di responsabilita’ del (OMISSIS).

Ci si duole che i giudici di appello avrebbero confermato la dichiarazione di responsabilita’ dell’imputato senza tener conto della mancata piena identificazione della persona offesa del reato, identificata in modo dubbio, quale presunto dipendente della ditta (OMISSIS).

Sul punto il difensore richiama le argomentazioni dell’atto di appello nonche’ quelle di altro difensore dell’imputato, laddove lamentava il mancato espletamento di qualsiasi accertamento volto a dirimere ogni dubbio sull’identificazione dell’infortunato.

Tale incertezza coinvolgerebbe la posizione lavorativa svolta dalla vittima, non essendo possibile stabilire per quale impresa lavorasse, ne’ quali compiti avesse.

In ogni caso, ribadisce il ricorrente, i giudici di appello avrebbero completamento tralasciato ogni valutazione sulla circostanza che il lavoratore non era mai stato assunto, regolarmente o di fatto, dal (OMISSIS). Il coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori, (OMISSIS), era nominato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 89, lettera e), dalla societa’ committente Coop. (OMISSIS) Srl, mentre il (OMISSIS) era l’amministratore della (OMISSIS) Sri, impresa appaltatrice affidataria dei lavori, pertanto il (OMISSIS) non era nominato dal (OMISSIS) ma dal committente. Il (OMISSIS) si limitava a nominare in data 15/2/2010 il direttore tecnico del cantiere di (OMISSIS). La Corte distrettuale – si lamenta – non avrebbe assolutamente valutato la circostanza che l’Ispettore del lavoro giunto in cantiere dopo l’incidente non rilevava delle vere proprie “mancanze”, stante l’esistenza di un adeguato POS e la nomina del responsabile della sicurezza.

Il ricorrente ribadisce che la ditta (OMISSIS) non aveva dipendenti e non era sottoposta, pertanto, all’obbligo del POS, ma solo, alla nomina di un preposto coordinatore.

In ogni caso, poi, il ricorrente rileva che, in relazione al verbale redatto il 16/6/2010 dal coordinatore per la sicurezza in occasione dei controlli del cantiere, la mancata chiusura dello stesso cantiere dopo due giorni, stesse a significare che le misure richieste era state adottate e le protezioni erano state tempestivamente poste in opera.

L’incidente avveniva il terzo giorno dopo il soprarichiamato verbale, pertanto, secondo il ricorrente, sarebbe logico ipotizzare che le protezioni adottate a seguito del verbale, erano state rimosse dagli operai delle altre ditte per lavorare piu’ comodamente.

La circostanza che il (OMISSIS), dopo la segnalazione del 16 giugno, relativa alla necessita’ di integrare le protezioni in prossimita’ del vano ascensore, inviata a tutte le aziende coinvolte nei lavori, non avesse fatto seguire nessuna altra comunicazione e, soprattutto, non avesse chiuso il cantiere avendone la facolta’, avrebbe significato che le necessarie protezioni erano state adottate.

Del resto, continua il ricorrente, il (OMISSIS) non avendo dipendenti diretti, legittimamente ed in buona fede avrebbe preso atto di non aver ricevuto nessuna altra comunicazione dal (OMISSIS).

Il (OMISSIS), infatti, poteva solo raccomandare agli altri di eseguire quanto impartito, dal momento che la (OMISSIS) era committente, senza dipendenti, ed aveva affidato tutti i lavori edili, esclusi gli impianti idraulici ed elettrici, alla (OMISSIS), che a sua volta subappaltava ad (OMISSIS) l’intonacatura.

Infine, rileva il ricorrente che il contratto di assicurazione stipulato dal (OMISSIS) non copriva i dipendenti del cantiere, per espressa imposizione della compagnia assicurativa e le ditte (OMISSIS) e (OMISSIS) sono tenute a rispondere del risarcimento dei danni causati, in qualita’ di ditte esecutrici dei lavori. Inoltre la corte di appello non avrebbe adeguatamente motivato sul presunto e arbitrario scambio dei cartellini tra gli operai della ditta (OMISSIS).

Il (OMISSIS) deduce, ancora, che la condotta del lavoratore sarebbe stata del tutto imprudente e che, certamente, non vi era alcuna possibilita’ di controllo del lavoratore, da parte dell’odierno imputato.

L’ispettore del lavoro, intervenuto nel cantiere dopo l’incidente, non avrebbe rilevato mancanze, avrebbe ritenuto adeguato il POS, ed avrebbe verificato l’esistenza del responsabile della sicurezza e di tutto quanto relativo.

Nel verbale del 16/6/2010, il coordinatore della sicurezza dava presenti in cantiere tre operai dell'(OMISSIS), tutti regolamenti assunti, mentre il 18.6.2010, gli operai con premeditazione eludevano la sorveglianza delle persone in cantiere, utilizzando, uno di loro, un cartellino appartenente ad altra persona.

Tale circostanza andrebbe letta in una visione favorevole al (OMISSIS).

Non vi sarebbe prova, ne’ indizi plurimi precisi e concordanti sulla responsabilita’ di quest’ultimo, sarebbe del tutto indimostrato un suo diretto coinvolgimento.

Con un terzo motivo vengono dedotti, cumulativamente, violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento agli articoli 133 e 62 bis c.p..

Il ricorrente lamenta la carenza ed illogicita’ della motivazione che non indicherebbe con chiarezza gli elementi specifici, ex articolo 133 c.p. da cui trarre la valutazione di gravita’ dei fatti contestati e di elevata capacita’ a delinquere.

Non sarebbe stata considerata la modesta gravita’ dei fatti a carico del ricorrente ne’ sarebbero state valutate, nella determinazione della sanzione, le modalita’ e circostanze delle azioni.

La motivazione sarebbe carente ed illogica nell’attribuzione di un’eccessiva rilevanza a carico del (OMISSIS), mentre avrebbero dovuto essere considerate le qualita’ personali e professionali dello stesso e la sua totale incensuratezza.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile in quanto non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si e’ nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni gia’ devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che in questa sede non viene in alcun modo sottoposta ad autonoma ed argomentata confutazione.

E’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravarne, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita’, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, da momento che quest’ultima non puo’ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c) alla inammissibilita’ della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 de 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E ancora di recente, questa Corte di legittimita’ ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilita’ delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita’ delle doglianze che, cosi’ prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).

2. In proposito, va ricordato che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimita’, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonche’ corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimita’.

La censura sulla mancata piena identificazione della parte offesa e’ stata adeguatamente risolta dalla sentenza impugnata con adeguata ed esaustiva motivazione.

La corte di appello precisa che e’ stata pienamente accertata l’identita’ del lavoratore infortunato, tramite le dichiarazioni di (OMISSIS), nominativo corrispondente a quello con cui inizialmente era stata identificata la persona offesa, subito dopo l’infortunio.

Il teste chiariva di aver lavorato a nero per la ditta (OMISSIS), per una settimana, alcuni mesi prima dell’incidente e di avere fornito le copie dei suoi documenti. Affermava, inoltre, che la persona infortunata era un suo connazionale egiziano, con il quale aveva condiviso l’abitazione, privo di permesso di soggiorno. Lo stesso (OMISSIS) confermava di essere lui l’infortunato, ma di non avere preso parte allo scambio di persona, essendo incosciente dopo l’incidente.

Evidentemente, come ritiene l’impugnata sentenza, in occasione dell’incidente era stato fornito il falso nominativo dell’altro lavoratore, munito di permesso di soggiorno, al fine di evitare ulteriori conseguenze penali.

Lo stesso (OMISSIS), incosciente nell’immediatezza della caduta, ripresa conoscenza, inizialmente non smentiva il proprio datore di lavoro temendo conseguenze anche a suo carico per l’irregolarita’ della sua presenza in Italia.

Tale scambio di persona dava luogo ad un altro procedimento penale che, poi, si concludeva con l’assoluzione degli imputati.

Tra l’altro nessuna delle parti in causa nel corso del procedimento negava che la persona infortunata fosse (OMISSIS).

Non corrisponde al vero, quindi, l’affermazione che non siano stati compiuti accertamenti sull’identita’ della vittima dell’infortunio, che, anche se non regolarmente assunta, svolgeva attivita’ in nero per conto della ditta che eseguiva le opere in subappalto.

3. La responsabilita’ del (OMISSIS) risulta chiaramente accertata in qualita’ di legale rappresentante della ditta appaltatrice (OMISSIS) srl, che a sua volta, con contratto del 18/2/2010, ebbe a subappaltare alla societa’ (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) l’esecuzione dei lavori di fornitura dello stabile. A sua volta (OMISSIS), con contratto del 9/4/2010, subappaltava alla ditta individuale (OMISSIS) di (OMISSIS), per cui lavorava al nero l’infortunato, l’esecuzione degli intonaci rustici sugli esterni, la formazione del cappotto esterno e le relative finiture. Pacifico e’ che vi fosse un coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori ai sensi dell’articolo 89 lettera e) del Dlgs. nominato dalla societa’ committente COOP. (OMISSIS) S.R.L..

La sentenza e’ in linea con le disposizioni normative in tema di impresa affidataria dei lavori (vedasi il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 89, comma 1, lettera i), che definisce “impresa affidataria” l’impresa “titolare del contratto di appalto con il committente” e articolo 97, stesso decreto, che attribuisce al datore di lavoro dell’impresa affidataria tutti previsti dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26).

In estrema sintesi, il datore di lavoro della impresa affidataria e’ tenuto a verificare l’idoneita’ tecnico professionale delle imprese subappaltatrici e dei lavoratori autonomi, con le modalita’ di cui all’Allegato 17 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 e a fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici del cantiere e sulle misure di prevenzione e protezione, nonche’ a coordinare gli interventi di prevenzione e protezione, cooperando alla loro applicazione e verificando le condizioni di sicurezza dei lavori ad essa affidati.

Nel caso che ci occupa l’appaltatore (o impresa affidataria) (OMISSIS), rispetto ai subappaltatori, si poneva con il ruolo di committente e datore di lavoro.

Ebbene, come si diceva poc’anzi, costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte quella che vuole, in materia di responsabilita’ colposa, che il committente di lavori dati in appalto (impresa appaltante rispetto all’appaltatore, o appaltatore rispetto ai subappaltatori) debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertandosi che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneita’ prescritti dalla legge, ma anche della capacita’ tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attivita’ commissionata ed alle concrete modalita’ di espletamento della stessa Egli ha l’obbligo di verificare l’idoneita’ tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosita’ dei lavori affidati (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in un caso relativo alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della copertura di un fabbricato, nella quale e’ stata ritenuta la responsabilita’ per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza).

E’ pur vero che e’ stato di recente precisato – e va qui riaffermato – che in tema di infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non puo’ tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacita’ organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificita’ dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonche’ alla agevole ed immediata percepibilita’, da parte del committente, di situazioni di pericolo (cfr. Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016 dep. il 2017, Vettor, Rv. 270100 in una fattispecie in tema di appalto di lavori di pulizia all’interno dell’azienda, in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto la responsabilita’ del committente in relazione al reato di lesioni colpose, per aver dato incarico ad un lavoratore di pulire il piazzale della ditta usando soda caustica, senza assicurarsi che il datore di lavoro appaltatore avesse spiegato al dipendente la necessita’ di cambiare gli indumenti contaminati dalla predetta sostanza pericolosa; conf. Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi ed altri, Rv. 264974-75).

Rimane anche fermo il principio che, qualora il lavoratore presti la propria attivita’ in esecuzione di un contratto d’appalto, il committente e’ esonerato dagli

obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine (cosi’ la condivisibile Sez. 3, n. 12228 del 25/2/2015, Cicuto, Rv. 262757 che, in applicazione del principio, ha escluso che potesse andare esente da responsabilita’ il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall’alto di un operaio operante su un lucernaio).

Tuttavia va anche ribadito – ed e’ il caso che ci occupa – che il committente e’ titolare di una autonoma posizione di garanzia e puo’ essere chiamato a rispondere dell’infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (cfr. Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012 dep. il 2013, Bracci, Rv. 255282, in un caso di inizio dei lavori nonostante l’omesso allestimento di idoneo punteggio).

Vale anche l’ulteriore precisazione che il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un’unica ditta appaltatrice (c.d. cantiere “sotto – soglia”), e’ titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilita’ per l’infortunio, sia per la scelta dell’impresa – essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dal Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, articolo 3, comma 8, – sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (cosi’ Sez. 4, n. 23171 del 9/2/2016, Russo ed altro, Rv. 266963, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilita’ a titolo di omicidio colposo del committente, il quale aveva omesso non solo di verificare l’idoneita’ tecnico professionale della ditta appaltatrice, in relazione alla entita’ e tipologia dell’opera, ma anche di attivare i propri poteri di inibizione dei lavori, a fronte della inadeguatezza dimensionale dell’impresa e delle evidenti irregolarita’ del cantiere).

Ebbene l’appaltatore, a sua volta committente dei subappaltatori, (OMISSIS) s.r.l., e il suo legale rappresentante, avrebbero dovuto tenere un’attivita’ vigile di controllo e, proprio in conseguenza dei rilievi formulati dal coordinatore della sicurezza (OMISSIS) Stefano, appena tre giorni prima dell’incidente, doveva accertarsi che gli stessi venissero adempiuti.

Dalle risultanze processuali e’ emerso, invece, che i lavori venivano eseguiti in dispregio delle disposizioni normative, con l’utilizzo di lavoratori in nero, addirittura privi di permesso di soggiorno e senza che venisse effettuato alcun controllo sulla regolarita’ degli stessi, da parte della ditta appaltatrice che si disinteressava anche delle problematiche di sicurezza che gli venivano sottoposte espressamente, come la mancanza di presidi anticaduta nel vano ascensore, dove poi si sarebbe verificato il grave incidente.

4. Come gia’ aveva ricordato il giudice di primo grado – e va ricordato che siamo di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilita’ per cui le sentenze costituiscono un tutt’uno – la culpa, specifica, in vigilando, addebitata al (OMISSIS), consiste, invero, nell’aver violato le prescrizioni comportamentali di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 97, comma 1 relative agli obblighi del datore di lavoro dell’impresa affidataria.

Orbene – come ricordato nel primo dei due gradi di merito – la dinamica dei fatti e dei rapporti contrattuali intercorrenti tra le varie societa’ coinvolte nella gestione del cantiere di (OMISSIS), non lascia residuare dubbi circa la penale responsabilita’ dell’imputato (OMISSIS), il quale rivestendo la carica di amministratore unico di (OMISSIS) Srl, e’ a ad ogni effetto di legge, identificabile quale datore di lavoro dell’impresa affidataria” ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 89, lettera i), tenuto all’osservanza delle regole di diligenza di cui al citato articolo 97.

Le sentenze di merito danno atto che dalle fonti di prova disponibili, dagli accertamenti effettuati dagli operanti nell’immediatezza del fatto, e in particolare dalle dichiarazioni del coimputato (OMISSIS) ritenute credibili sul punto, risultano acclarati: 1. l’insufficiente consistenza dei parapetti, costituiti solo da due o, con riferimento specifico al vano ascensore del terzo piano, da una sola federa in legno; 2. l’inidoneita’ degli stessi a resistere alle forze d’urto in quanto fissate con chiodi all’interno delle pareti del vano ascensore e non all’esterno; 3. la mancanza di tavola fermapiede; 4. la mancata sussistenza un sistema di verifica delle opere provvisionali; 5. la mancata nomina di un responsabile della sicurezza, individuato formalmente solo il 19 giugno 2010, percio’ in data successiva all’accaduto, nell’Ing Chiodo (OMISSIS); 6. la mancata partecipazione dell’impresa affidataria mediante il suo legale rappresentante o delegati dallo stesso, alle riunioni di cantiere se non sporadicamente (non risulta, in particolare, la partecipazione di (OMISSIS) alle riunioni dei 12 maggio 2010 e del 16 giugno 2010, nei cui verbali trasmessi per via telematica, rispettivamente in data 9 giugno ore 18.48 e 16 giugno ore 16.52 all’attenzione di (OMISSIS) e del suo Geom (OMISSIS) viene rilevata espressamente dal Geom. (OMISSIS) la necessita’ di “sistemare/integrare” i parapetti di protezione del vano ascensore).

Con motivazione congrua e priva di aporie logiche i giudici di merito sono percio’ pervenuti alla conclusione che (OMISSIS) Srl, e per essa il suo rappresentante legale odierno ricorrente, mediante le suddette mancanze, e sebbene fosse stata notiziata dai soggetti competenti del pericolo determinato dalla mancanza di idonea protezione dei vani ascensore, abbia di fatto omesso di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati alla ditta esecutrice dei lavori (OMISSIS) di (OMISSIS), e la corretta applicazione delle prescrizioni del PSC redatto da (OMISSIS), contribuendo per tal violando appunto le regole precauzionali di condotta alla cui osservanza era tenuta, a cagionare colposamente l’evento lesivo di cui (OMISSIS) e’ rimasto vittima.

Ne’ puo’ ritenersi, come sostiene il ricorrente, che la mancata chiusura del cantiere, da parte del (OMISSIS), desse la garanzia che le prescrizioni fossero state adempiute e che le protezioni fossero state arbitrariamente rimosse dai lavoratori.

5. Del tutto infondata appare anche la questione del preteso comportamento abnorme del lavoratore.

Gia’ il giudice di primo grado aveva rilevato che nel caso che ci occupa si e’ in presenza di un’indubbia concorrente condotta colposa del lavoratore infortunatosi il quale ha sicuramente violato le regole di comune prudenza nel momento in cui – insieme agli altri gessisti presenti sul luogo del fatto, che hanno riferito circa la dinamica dell’infortunio – ha utilizzato il varco del vano ascensore come passaggio dei tubi della macchina per l’intonacatura dal piano secondo f.t., al piano terzo f.t., e cio’ nonostante la sussistenza di alternative concretamente praticabili, quali il possibile smontaggio della macchina al piano sottostante e il successivo rimontaggio al piano sovrastante, ovvero la possibilita’ di passaggio dei tubi della macchina per l’intonacatura attraverso lo spazio vuoto tra le due rampe di scale contigue.

Veniva, infatti, correttamente evidenziato che sul tema dell’incidenza causale della condotta negligente del lavoratore in occasione dell’infortunio di cui lo stesso rimanga vittima, la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ ha raggiunto approdi consolidati che consentono di ritenere nello specifico la condotta dell’infortunato non abnorme ne’ imprevedibile, ma anzi realizzata proprio in quanto non sussistente all’epoca dei fatti una sostanziale ed efficace vigilanza da parte dei soggetto preposti al controllo delle modalita’ esecutive delle prestazioni dei lavoratori in servizio presso il cantiere.

Va ricordato come, secondo il dictum di questa Corte di legittimita’, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, e’ esonerato da responsabilita’ saio quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilita’ per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.

Ritiene il Collegio di condividere il principio affermato da questa Sez. 4 con la sentenza n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, rv. 259321 secondo cui non esclude la responsabilita’ del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia riconducibile comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente. (Fattispecie relativa alle lesioni “da caduta” riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilita’ del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – “trabattello” – nonostante il lavoratore avesse concorso all’evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).

Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumita’ fisica dei lavoratori – si e’ peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi de rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicche’ la sua responsabilita’ puo’ essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtu’ di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalita’, dell’abnormita’ e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (Sez. 4, n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli, Rv. 261946 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme comportamento del lavoratore che, per l’esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).

In particolare, nel caso di specie, la condotta della p.o. non puo’ ritenersi abnorme in quanto pienamente inserita nell’attivita’ lavorativa specifica dell’intonacatura ed in stretta relazione proprio con la tipologia dell’intervento, seppur attuato secondo modalita’ non conformi alle regole di comune prudenza.

Peraltro la prevedibilita’ della condotta della p.o. puo’ desumersi dalla circostanza che fosse “notoria” all’interno del cantiere, da parte dei diversi soggetti coinvolti nella gestione dello stesso” sia a “prassi” della rimozione dei parapetti, sia, quanto meno conoscibile, la pratica della movimentazione della macchina per l’intonacatura mediante il varco del vano ascensore.

Non potendosi ritenere abnorme, in quanto non radicalmente, ontologicamente lontano dalie pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione dei lavoro, la condotta dell’infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento (articolo 41 c.p., comma 2) e a da determinare l’interruzione del nesso causale.

Orbene, con motivazione logica e congrua – e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimita’- la Corte territoriale ribadisce (cfr. pagg. 14-15 della sentenza impugnata) come nel caso che ci occupa non si sia stati di fronte ad un comportamento abnorme del lavoratore.

5. Manifestamente infondati sono anche i profili di gravame che attengono al trattamento sanzionatorio, che il giudice di primo grado, valutati i criteri di cui all’articolo 133 c.p. ha stimato essere quella finale di mesi quattro di reclusione (da una pena base di mesi sei di reclusione cosi’ ridotta per il rito abbreviato prescelto).

Si tratta di una pena che – come rileva la Corte territoriale – risulta certamente mite in rapporto alla gravita’ del fatto e dei danni riportati dal lavoratore e “pertanto e’ certamente conforma ai criteri di cui all’articolo 133 c.p. e adeguata in relazione alle prospettive di rieducazione” dell’imputato, al quale, come al coimputato, sono stati concessi i doppi benefici di legge.

L’obbligo motivazionale e’ dunque assolto laddove questa Corte di legittimita’ ha piu’ volte precisato che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed e’ insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor piu’, se prossima al minimo, anche nel caso – che peraltro non e’ quello che ci occupa – in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equita’ e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (cosi’ Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197; conf. Sez. 2, n. 28852 dell’8/5/2013, Taurasi e altro, Rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10/1/2013, Monterosso, Rv. 255153). Gia’ in precedenza si era, peraltro, rilevato come la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e’ necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere (cosi’ Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, Denaro, Rv. 245596).

Risultano essere state concesse anche le circostanze attenuanti generiche, ma i giudici di merito le hanno ritenuto subvalenti nel giudizio di bilanciamento rispetto alle contestate aggravanti di cui all’articolo 583 c.p. e articolo 590 c.p., comma 2.

Peraltro, va ricordato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita’ qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).

7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.

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Avv. Umberto Davide

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