al fine di vincere la presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza, posta dalla L. Fall., articolo 67, comma 1, n. 1 (nel testo “ratione temporis” vigente), grava sul convenuto l’onere della prova contraria, la quale non ha contenuto meramente negativo, e non puo’ quindi essere assolta con la sola dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato d’insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui e’ stato posto in essere l’atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa.

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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 26 febbraio 2018, n. 4505

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. FERRO Massimo – rel. est. Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., e per essa (OMISSIS) s.p.a., in persona del procuratore spec., come da procura spec. Notaio (OMISSIS) in Milano rep. (OMISSIS), rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS), elettera dom. presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), in (OMISSIS), come da procura a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l. in a.str., in persona dei commissari liquidatori p.t., rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS), elettera dom. presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), in (OMISSIS), come da procura a margine dell’atto:

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Catania 9.2.2011, n. 134, R.G. 87/2006;

viste le memorie delle parti;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 28 novembre 2017 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

(OMISSIS) s.r.l., e per essa (OMISSIS) s.p.a., ricorre per cassazione contro la sentenza App. Catania 9.2.2011, n. 134, R.G. 87/2006, che ha parzialmente accolto l’appello di (OMISSIS) s.r.l. in a.str. ex L. n. 95 del 1979, avverso la sentenza Trib. Catania 11.1.2005, n. 15/2005 di declaratoria di inefficacia dell’atto costitutivo di ipoteca 1.3.1995 gia’ iscritta in favore di (OMISSIS) s.p.a. (cedente successivamente il credito per cui si procede ex articolo 58 TUB), insinuato al passivo della procedura e poi opponente allo stato passivo, cosi’ ammettendo il relativo credito in chirografo;

la corte ha ritenuto fondata la eccezione di revocabilita’ in via riconvenzionale opposta dai commissari, ai sensi della L. Fall., articolo 67, comma 1, n. 3, quanto alla iscrizione d’ipoteca volontaria 1.3.1995, collegata alla convenzione interbancaria 9.2.1995 con la quale un pool di istituti, e fra essi (OMISSIS), consolidavano in favore di tutte le societa’ del ” (OMISSIS)” le preesistenti esposizioni, contestualmente concedendo nuove aperture di credito; i presupposti dell’azione, cosi’ esercitata, consistevano nella collocazione temporale dell’operazione, conclusa il 1.3.1995 e dunque nel biennio rispetto alla dichiarazione dello stato d’insolvenza del 21.3.1996 e nella natura dei crediti garantiti con l’ipoteca della debitrice, annoverabili quali debiti preesistenti non scaduti, a fronte di un elemento negativo – la inscientia decoctionis non provato dalla banca ed anzi affiancato dalla prova positiva della consapevolezza della banca della effettiva lesivita’ della ipoteca rispetto al comune ceto creditorio;

in sei motivi, la banca censura la sentenza, per: 1) violazione dell’articolo 183 c.p.c. e vizio di motivazione, non avendo considerato le preclusioni formatesi in primo grado con riguardo alla domanda riconvenzionale della procedura e violazione analoga dell’articolo 342 c.p.c., per inammissibilita’ dell’appello, in cui erano assenti motivi specifici; 2) violazione della L. Fall., articolo 67, oltre che vizio di motivazione, poiche’ spettava alla procedura provare preesistenza e mancata scadenza dei debiti per cui era stata costituita la garanzia; 3) violazione della L. Fall., articolo 67 e vizio di motivazione, poiche’ l’ipoteca garantiva sia debiti scaduti che altri contestualmente creati, come riconosciuto da altra sentenza della medesima corte d’appello; 4) erroneo riconoscimento nella condotta della banca dell’elemento soggettivo dell’azione L. Fall., ex articolo 67; 5) violazione dell’articolo 2855 c.c., oltre che vizio di motivazione, quanto alla mancata ammissione della prelazione ipotecaria sul credito di Lit 25.131.539.400 derivante dall’avviso di liquidazione della relativa imposta; 6) erroneita’ della condanna alle spese del merito;

Ritenuto che:

Il primo motivo, per un profilo, e’ inammissibile, dovendosi ribadire che “anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte e’ anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilita’ diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di Cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha affermato che il ricorrente, ove censuri la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’inammissibilita’, per difetto di specificita’, di un motivo di appello, ha l’onere di trascrivere il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria ad evidenziarne la genericita’, e non puo’ limitarsi a rinviare all’atto medesimo)” (Cass. 16664/2012); cosi’ per Cass. 27740/2017 il ricorso e’ “inammissibile ex articolo 366 c.p.c., n. 6, difettando comunque di specificita’, in quanto non sono stati riportati in ricorso i motivi di appello proposti, laddove, invece, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c., conseguente alla declaratoria di inammissibilita’ dell’atto di appello per genericita’ dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi cosi’ come formulati dall’appellante”;

per altro profilo il motivo e’ infondato, essendo appartenuta al giudizio non una domanda revocatoria svolta in via principale bensi’ la correlativa eccezione riconvenzionale, formulata dalla procedura ai sensi della L. Fall., articolo 67, comma 1, n. 3, ratione temporis applicabile; per essa la corte d’appello correttamente ha ritenuto sufficiente e tempestivo il richiamo iniziale agli elementi costitutivi dell’istituto, idoneamente esposti quali fattori integranti la revocabilita’ dell’atto costitutivo d’ipoteca per debiti almeno in parte preesistenti e non scaduti, avuto riguardo alla originaria insinuazione al passivo, come inizialmente decisa dall’organo concorsuale e oggetto di esplicita conservazione perseguita da detti commissari, cosi’ impugnanti la sentenza del tribunale al solo fine di escludere la prelazione per la revocabilita’ del relativo titolo (Cass. 26504/2013); ne consegue la irrilevanza, per un profilo, della questione dell’omessa dedotta specifica articolazione dell’appello anche quanto all’eventus damni e al consilium fraudis, stante il richiamo alla citata disposizione fallimentare;

il secondo motivo e’ infondato, poiche’ la corte d’appello, con apprezzamento di fatto non sindacabile in questa sede, ha dato conto di una esposizione debitoria, a garanzia della quale l’ipoteca venne presa, ricostruita siccome “non scaduta”, cosi’ individuandosi “quote-parti di debito capitale” dei crediti contemplati nella convenzione 9.2.1995 cui accedeva l’ipoteca 1.3.1995 ed in relazione sia allo scoperto di conto che per mutui o finanziamenti a medio termine;

il terzo motivo e’ infondato, per le stesse considerazioni esposte quanto al secondo motivo, potendosi aggiungere che anche il richiamo ad altro precedente della medesima corte d’appello non e’ stato integrato da una allegazione sufficientemente specifica per poterne predicare una portata pregiudicante, in senso stretto nemmeno invocata con la forza del giudicato; va poi ribadito, alla stregua di principio comune ai motivi secondo e terzo, che “l’esistenza di una pluralita’ di debiti garantiti da un medesimo ed unico pegno non osta alla revocabilita’ di detto pegno, ove ne ricorrano le condizioni anche con riferimento ad uno solo dei debiti garantiti, perche’ la garanzia opera per intero con riguardo a ciascun debito. La revocabilita’ dell’atto di costituzione del pegno non puo’, d’altronde, che investire tale atto nella sua interezza, per cio’ stesso privando la banca del diritto di trattenere l’oggetto del pegno e di soddisfare su di esso le proprie ragioni creditorie, destinate invece a trovare collocazione nell’ambito del passivo chirografario della procedura concorsuale. La revoca non si riferisce al credito garantito dal pegno, bensi’ all’atto costitutivo della garanzia: ragion per cui essa necessariamente implica l’obbligo della banca di restituire l’intero pegno (o il suo equivalente monetario) indipendentemente dall’importo del debito (anche) a garanzia del quale detto pegno era sorto”; (Sez. 1, 1745/2008) si tratta di considerazioni che, cosi’ come sviluppate da questa Corte avuto riguardo al petitum restitutorio, ben possono replicarsi allorche’ l’organo concorsuale persegua il diverso risultato del ripristino della par conditio creditorum – nel caso disconoscendo la causa prelatizia che l’altera nello stato passivo – che e’ comunque il fine proprio dell’istituto revocatorio, essendo comune causa petendi, indipendentemente dal suo esercizio se in forma di azione o eccezione;

il quarto motivo e’ inammissibile, posto che la corte, dato il tipo di eccezione, ha contestato alla banca la mancata prova della inscientia decoctionis ed anzi ha aggiunto che sussistevano elementi per affermare in positivo la conoscenza dello stato d’insolvenza, apprezzamenti non sindacabili, applicandosi alla prova dell’elemento soggettivo il principio per cui “al fine di vincere la presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza, posta dalla L. Fall., articolo 67, comma 1, n. 1 (nel testo “ratione temporis” vigente), grava sul convenuto l’onere della prova contraria, la quale non ha contenuto meramente negativo, e non puo’ quindi essere assolta con la sola dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato d’insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui e’ stato posto in essere l’atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa” (Cass. 17998/2009); ed inoltre “la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimita’.” (Cass. 3336/2015);

il quinto motivo e’ infondato, stante la derivativita’ della natura meramente chirografaria della spesa d’iscrizione ipotecaria, una volta confermata la revocabilita’, e dunque l’inefficacia verso la massa, nell’ambito del concorso dei crediti, della pretesa principale gia’ insinuata al passivo ipotecario, nella specie portata dall’atto contestato dalla procedura, che determina lo stesso effetto sugli accessori;

il sesto motivo e’ infondato posto che “con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione e’… limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunita’ di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti” (Cass. 19613/2017);

ne deriva che il ricorso va rigettato, con condanna alle spese, secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimita’, liquidate in Euro 7.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge.

Motivazione semplificata.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.