la domanda di risarcimento del danno per responsabilità aggravata a norma dell’articolo 96 c.p.c., non attiene al merito della controversia, (i cui termini, con riferimento all’oggetto ed alla “causa petendi” delle domande rispettivamente proposte dalle parti, restano immutati) e, pertanto, puo’ essere formulata per la prima volta anche all’udienza di precisazione delle conclusioni, in quanto la parte istante, sovente solo al termine dell’istruttoria, e’ in grado di valutarne la fondatezza e/o di determinare l’entita’ del danno subito.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 8 giugno 2018, n. 14911

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16935/2015 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), considerati domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. (OMISSIS), considerati domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 79/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 16/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 4-3-2010 la Corte di Appello di Catania dichiaro’ inammissibile l’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza 2-4-2003 del Tribunale di Caltagirone di accoglimento della domanda revocatoria ordinaria proposta con citazione 22-12-1999 dall’ (OMISSIS) in relazione ad atti di donazione posti in essere in data 5-1-1995 da (OMISSIS) in favore degli appellanti (rispettivamente figli e moglie di quest’ultimo).

La Corte di Appello ritenne che gli appellanti non avevano provveduto ad integrare il contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario (OMISSIS), come disposto da propria ordinanza del 6.6.2008 sul rilievo che dalla relata di notifica negativa dell’ordinanza risultava che (OMISSIS) era deceduto in data (OMISSIS) e che l’atto avrebbe dovuto essere notificato ai suoi eredi, adempimento che non era stato compiuto.

Con ordinanza 6844/2012 la S.C., decidendo sul ricorso proposto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), casso’ la detta sentenza, con rinvio alla Corte d’appello di Catania, per non essersi quest’ultima attenuta al principio secondo cui “con riguardo al giudizio di appello, qualora una medesima persona fisica cumuli in se’ la qualita’ di parte in proprio e quale erede di altro soggetto gia’ parte nel giudizio di primo grado, e’ esclusa la necessita’ della integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, quale erede, se la stessa sia gia’ costituita in giudizio in proprio, ravvisandosi, in tale fattispecie, unicita’ della parte ín senso sostanziale”.

In seguito a citazione in riassunzione 8-9-2012 da parte di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti dell’ (OMISSIS), la Corte d’Appello di Catania con sentenza 17-12/16-1-2015 ha rigettato l’appello, condannando inoltre gli appellanti al pagamento in favore dell’appellata della somma di Euro 40.000,00 a titolo di risarcimento danni per responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c., nonche’, valutata la soccombenza in base all’esito complessivo della lite, al pagamento delle spese processuali dell’intero giudizio.

In particolare la Corte territoriale, nell’esaminare l’unica doglianza formulata, ha ritenuto, innanzitutto, compiuta ed esaustiva l’allegazione dei fatti da parte dell’attrice (OMISSIS); nello specifico ha evidenziato che quest’ultima aveva esposto di essere creditrice del disponente (OMISSIS) per rilevanti importi (almeno Euro 190.000,00) e di avere dovuto iniziare due giudizi per conseguire il pagamento delle somme dovute, nelle more dei quali il (OMISSIS) aveva donato con quattro atti pubblici, rogati tutti il 51-1995, il proprio patrimonio alla moglie ed ai figli.

La Corte, inoltre, ha ritenuto provata, in ordine all’elemento oggettivo della spiegata azione revocatoria, sia la sussistenza delle ragioni creditorie dell’attrice (giudizialmente azionate) sia la sussistenza ed entita’ degli atti di disposizioni, che, come prospettato dall’attrice (senza specifica e tempestiva contestazioni sul punto da parte dei convenuti), investivano sostanzialmente l’intera consistenza patrimoniale del debitore medesimo; non poteva, pertanto, dubitarsi del pregiudizio alle ragioni del debitore, essendosi venuta a determinare una apprezzabile riduzione della garanzia patrimoniale generica (riduzione sussistente anche quando l’atto di disposizione impugnato sia tale da rendere anche solo piu’ difficile la soddisfazione in via esecutiva delle ragioni creditorie); nel caso di specie il debitore, sul quale incombeva il relativo onere, non aveva provato che, nonostante gli atti di disposizione, il suo patrimonio era comunque in grado di garantire senza difficolta’ il soddisfacimento delle ragioni del creditore.

La Corte, poi, in ordine alla sussistenza anche dell’elemento soggettivo della proposta azione, ha evidenziato che la consapevolezza in capo al debitore di arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori era stata desunta dal primo Giudice non solo dalla conoscenza della propria esposizione debitoria nei confronti dell’ (OMISSIS) ma anche dalla specifica cronologia degli eventi (piu’ atti coevi posti in essere dopo la concessione di d.i. per Euro 90.000,00 e nella pendenza degli ulteriori giudizi iniziati per conseguire i pagamenti).

La Corte, infine, ha ritenuto sussistere la responsabilita’ aggravata degli appellanti, che, a fronte di richieste di pagamento avanzate dall’appellata sin dal 1994 (tutte riconosciute con sentenze passate in giudicato), ha resistito nel presente giudizio in mala fede, senza disporre di valide ragioni da opporre alla giuste pretese avversarie e al solo fine di ostacolare la realizzazione del credito; ha quindi equitativamente liquidato il danno in Euro 40.000,00, tenendo presente che, come desunto dalla documentazione in atti proveniente dalla (OMISSIS) (concessionaria riscossione tributi), l’appellata non aveva potuto disporre della liquidita’ necessaria per far fronte ai propri obblighi tributari.

Avverso detta sentenza (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per Cassazione, affidato a sette motivi.

L’ (OMISSIS) resiste con controricorso, illustrato anche da successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. (ratione temporis vigente) e articolo 2697 c.c., si dolgono che la Corte territoriale, affermando – sulla base di una mancata specifica contestazione – che gli atti di disposizione investivano sostanzialmente l’intero patrimonio del debitore, abbia invertito le regole probatorie di cui al citato articolo 2697 c.c., senza considerare che l’attrice aveva l’onere di provare detta circostanza (genericamente, come richiesto dall’articolo 115 c.p.c., ante riforma L. n. 69 del 2009, contestata da essi ricorrenti).

Il motivo e’ infondato.

Non v’e’, invero, ragione per discostarsi dal principio, piu’ volte espresso da questa S.C., secondo cui “in tema di revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda piu’ incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualita’ patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’eventus damni” (Cass. 1902/2015; conf. 8931 del 2013; 7767/07).

Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano – ex articolo 360 c.p.c., n. 5 – l’omesso esame, da parte della Corte d’Appello, di fatti decisivi emergenti dalla produzione documentale effettuata all’udienza del 22-9-2004.

Il motivo e’ inammissibile.

Come gia’ chiarito da questa Corte, invero, l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. 8053/2014; Cass. 21152/2014).

Nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato), limitandosi a sostenere, in modo generico e senza alcuna precisazione, l’omesso esame di “fatti” emergenti dalla detta produzione documentale; cosi’ proposto, il motivo si risolve nella denunzia di omesso esame di documentazione, e quindi nella denunzia (inammissibile in questa sede) di omesso esame di risultanze istruttorie.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c. e articolo 345 c.p.c., comma 1, articolo 347 c.p.c., comma 1, nonche’ – ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., per omessa pronuncia su eccezioni formulata da parte appellante rispetto alla domanda ex articolo 96 c.p.c., si dolgono che la Corte d’Appello abbia ritenuto ammissibile detta domanda (prima parte del motivo), o non sia pronunciata sulla stessa (seconda parte); al riguardo deducono che parte appellata aveva formulato per la prima volta la domanda ex articolo 96 c.p.c., solo in sede della comparsa di costituzione del nuovo difensore del 4-3-2008 nel giudizio di appello n. 942/2004, e non anche in seno alla comparsa di costituzione depositata nelle forme e nei termini di cui all’articolo 347 c.p.c..

Il motivo e’ infondato.

Va, invero, ribadito il principio, gia’ espresso da questa S.C., secondo cui “la domanda di risarcimento del danno per responsabilita’ aggravata a norma dell’articolo 96 c.p.c., non attiene al merito della controversia, (i cui termini, con riferimento all’oggetto ed alla “causa petendi” delle domande rispettivamente proposte dalle parti, restano immutati) e, pertanto, puo’ essere formulata per la prima volta anche all’udienza di precisazione delle conclusioni, in quanto la parte istante, sovente solo al termine dell’istruttoria, e’ in grado di valutarne la fondatezza e/o di determinare l’entita’ del danno subito” (Cass. 3941/2002; conf. 15964/2009 e 22957/2012).

Con il quarto motivo i ricorrenti, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c., si dolgono che la Corte d’Appello, pur in presenza di una soccombenza reciproca, abbia accolto la domanda di responsabilita’ aggravata; al riguardo evidenziano che parte attrice era rimasta soccombente nel giudizio di primo grado, conclusosi con l’accoglimento della domanda subordinata di revocazione, in relazione alla proposta domanda principale di simulazione assoluta.

Il motivo e’ infondato.

Al riguardo va, invero, evidenziato che la condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilita’ aggravata per lite temeraria in sede di appello presuppone la totale soccombenza della parte in relazione all’esito del singolo grado di giudizio (conf. Cass. 19583 del 2013).

Nel caso di specie, quindi, la dedotta “soccombenza” sulla domanda di simulazione proposta in via principale in primo grado (ove peraltro poi e’ stata accolta la domanda di revocazione proposta in via subordinata) e’ irrilevante rispetto alla domanda di responsabilita’ aggravata proposta in sede di appello e relativa solo al comportamento processuale in detto grado.

Con il quinto motivo i ricorrenti, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c., si dolgono che la Corte d’Appello abbia disposto la condanna risarcitoria ex articolo 96 c.p.c., con riferimento alla condotta tenuta da parte appellante sin dalla costituzione nel giudizio di primo grado mentre la domanda ex articolo 96 c.p.c., puo’ essere formulata esclusivamente innanzi al giudice investito del grado del giudizio per il quale si pretende di dedurre tale responsabilita’ e con riferimento ai danni patiti per tale grado del giudizio.

Il motivo e’ inammissibile in quanto non correlato al decisum della Corte d’Appello, che ha correttamente incentrato il suo esame proprio sul comportamento processuale degli appellanti nel grado di appello, evidenziando al proposito “l’assoluta inconsistenza e speciosita’ del gravame interposto dagli appellanti” e la resistenza in giudizio degli stessi in mala fede, mentre il riferimento alle connesse vicende processuali e’ da ritenersi solo rafforzativo della detta decisione.

Con il sesto motivo i ricorrenti denunziano – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame di fatti decisivi ai fini della liquidazione del danno, nonche’ – ex articolo 360, nn. 3 e 4 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c.; in particolare i ricorrenti si dolgono che la Corte, pur in presenza della relativa eccezione, non abbia preso in considerazione ne’ il concorso del fatto colposo del creditore, consistito nell’avere iniziato il giudizio solo nel 1999 (a fronte degli atti di donazione del 1995) ne’ la circostanza che il risarcimento del maggior danno, sotto forma di accessori alla sorte capitale, era stato gia’ riconosciuto, in quanto, per quanto concernente le ragioni creditorie derivanti da d.i. e sentenza, erano stati calcolati rivalutazione ed interessi.

Il motivo e’ infondato, non potendo giammai costituire fatto colposo del creditore l’instaurazione non immediata del giudizio, e non rilevando in alcun modo i riconosciuti accessori della sorte capitale del credito originario con il diverso danno da responsabilita’ aggravata.

Infondato e’, infine, anche il settimo motivo del ricorso, con il quale i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., atteso che la Corte territoriale, nell’individuare la parte soccombente, ha fatto correttamente uso del principio giurisprudenziale secondo cui “il giudice di appello, allorche’ riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiche’ la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicche’ viola il principio di cui all’articolo 91 c.p.c., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado” (Cass. 7254/2014).

In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, poiche’ il ricorso e’ stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed e’ stato rigettato, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano in Euro 12.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS); da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.