i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della loro attività non trasferiscono automaticamente all’associazione la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera professionale, che in tal caso rimane in capo al singolo associato al pari della conseguente legittimazione attiva nei confronti del cliente. Tuttavia, gli accordi degli aderenti ad una associazione professionale possono investire quest’ultima della titolarità di rapporti contrattuali la cui esecuzione venga delegata alle persone dei singoli associati; conseguentemente, in tale ipotesi, la legittimazione attiva compete allo studio associato.

 

Corte d’Appello Napoli, Sezione 7 civile Sentenza 28 giugno 2018, n. 3233

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

SEZIONE CIVILE VII, (già terza BIS)

riunita in camera di consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

dott. Stefano Chiapetta – Presidente

dott.ssa Erminia Baldini – Consigliere

dott.ssa Lucia Minauro – Consigliere relatore

ha emesso la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile di appello iscritto nel ruolo generale degli affari contenziosi sotto il numero d’ordine 2568 dell’anno 2012, promosso

da

(…) (c.f. (…)) elettivamente domiciliata in Casoria alla via (…), presso lo studio dell’avv. Gi.Fr., dal quale è rappresentata e difesa (c.f. (…);

– APPELLANTE –

contro

(…) e (…) con sede in (…) alla Via (…) P.IVA (…), in persona del legale rappresentante arch. (…), elett. dom. in Napoli alla via (…) presso lo studio dell’avv. Pa.Va. dalla quale è rapp. e dif. giusta mandato a margine dell’atto di citazione (c.f. (…));

avverso la sentenza n. 3533/2012, emessa dal Tribunale di Napoli il 17.2.2012 e pubblicata in data 23.3.2012;

OGGETTO: prestazione d’opera intellettuale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Il giudizio di primo grado

Con atto di citazione notificato il 9.7.2008, lo (…) conveniva in giudizio (…), chiedendone la condanna al pagamento della somma Euro 12.000,00, a titolo di compenso per prestazioni professionali svolte in suo favore da parte dell’architetto (…) per conto dello studio istante.

Assumeva l’attore che il detto compenso fosse dovuto, in particolare, per l’espletata attività di progettazione relativa: a due moduli siti nel “(…) della (…)” in M.; al locale “(…)”, sito in C. alla via (…); all’arredamento dell’appartamento del (…) del (…), sito in (…), alla via (…).

Deduceva inoltre di non aver mai ottenuto il pagamento del compenso da parte della committente (…), nonostante gli inviti rivoltile, a mezzo raccomandata A.R. del 17.7.2007 e fax del 5.9.2007.

Si costituiva (…), contestando il difetto di legittimazione passiva e rilevando che le ragioni creditorie attenessero a prestazioni erogate in favore di altri soggetti.

Chiedeva quindi il rigetto della domanda e la condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c. Veniva dunque espletata l’attività istruttoria: (…) rendeva l’interrogatorio deferitole ed erano escussi i testi indicati da parte attrice.

La causa era dunque riservata in decisione ed il Tribunale di Napoli, con la sentenza gravata così provvedeva:

“1) condanna (…) a pagare in favore dello (…), in persona del legale rappresentante arch. (…), la somma di Euro 12.000,00 oltre interessi legali a partire dal 17.7.2007 sino al soddisfo, nonché oltre accessori previdenziali e tributari, se documentati a mezzo fattura e non detraibili;

2) rigetta la domanda riconvenzionale proposta da (…);

3) condanna (…) al pagamento in favore dello (…), in persona del legale rappresentante arch. (…), delle spese di lite, che liquida in Euro 200,00 per spese, Euro 900,00 per diritti ed Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali, nonché oltre accessori previdenziali e tributari, se documentati a mezzo fattura e non detraibili, con attribuzione al procuratore, avv. Pa.Va. dichiaratasi antistataria”.

Il giudizio di appello

Con atto d’appello notificato in data 30.05.2012, (…) proponeva appello avverso la sentenza in epigrafe indicata.

A sostegno dell’impugnazione, con un primo motivo, l’appellante deduceva la carenza in capo allo (…) della titolarità attiva del rapporto controverso, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di prime cure, dichiarata la tardività della detta eccezione, aveva omesso la pronuncia sul punto.

Con un secondo motivo, l’appellante deduceva la propria carenza di titolarità passiva nei rapporti controversi, rilevando che le attività professionali espletate dall’arch. (…), relativamente ai moduli presso il “Polo della Qualità” ed al locale “(…)” di Casoria, erano state svolte in favore della (…) s.r.l. e della (…) s.a.s., società nelle quali ella rivestiva la qualità, rispettivamente, di amministratore e di socio accomandante. Deduceva di aver agito, per la prima, come legale rappresentante e, per la seconda, quale mandataria e di non aver affatto commissionato, né allo (…), né all’arch. (…) i lavori presso gli uffici del Console del Panama.

Censurava dunque la sentenza impugnata, nella parte in cui aveva interpretato le risultanze probatorie come idonee a provare le asserzioni della parte appellata.

Contestava infine, considerandola arbitraria, la quantificazione del compenso operata dal Giudice di primo grado.

Si costituiva lo (…) degli arch. (…) ed (…), che impugnava l’appello come formulato perché inammissibile ed improponibile e, comunque, infondato e ne chiedeva il rigetto, con vittoria di spese, diritti ed onorari anche del presente grado di giudizio.

Rilevava l’appellante che il Giudice di primo grado aveva, come tempestivamente eccepito, accertato il tardivo deposito del fascicolo di parte convenuta, dichiarando tardiva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, sollevata ben oltre il termine di cui all’art. 180 c.p.c.. Il Giudice di I grado aveva, inoltre, motivato in maniera esaustiva in ordine al rigetto della detta eccezione, reiterata nel presente grado di giudizio.

Quanto alla asserita carenza di legittimazione passiva, la parte appellata rilevava che (…) non aveva mai dichiarato a quale titolo avesse conferito gli incarichi allo Studio appellato, provvedendo anche a versare un anticipo sul corrispettivo totale da pagare, con assegno tratto sul suo conto personale. Inoltre, le testimonianze rese dai testi avevano confermato pienamente le affermazioni contenute nella domanda azionata in primo grado, mentre l’appellante, in quello stesso grado del giudizio, alcuna prova, né documentale né testimoniale, aveva offerto al fine di contrastare quanto ex adverso allegato e dimostrato.

All’udienza dell’8.2.2018, la causa veniva trattenuta in decisione, con l’assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di memorie conclusionali.

L’infondatezza dell’appello

Va premesso che, con i primi due motivi di impugnazione, si contesta la titolarità attiva e passiva del rapporto controverso.

Ne consegue che possono dirsi acquisiti i dati neutri dell’avvenuto conferimento e del regolare espletamento dell’incarico professionale, consistito nello studio e nella progettazione di due moduli siti nel “(…) della (…)” in (…), la progettazione e l’arredamento del locale “(…)” sito in (…), nonché la progettazione per l’arredamento dell’appartamento del Console del (…) in (…).

Rimangono in contestazione, da un lato, la circostanza, accertata dal giudice di primo grado, che il detto incarico fu conferito all’odierno appellato “(…)” e non al solo architetto (…) e, dall’altro, l’assunto secondo cui lo stesso incarico, come pure statuito dal giudice di prime cure, fu conferito dall’appellante, (…), in proprio e non in qualità di legale rappresentante, di mandataria o di mera intermediaria di altri soggetti (presunti reali titolari del lato passivo dei relativi rapporti professionali).

Ritiene la Corte che entrambi gli abbrivi di merito del giudizio di primo grado risultino condivisibili, in quanto fondati, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, su argomentazioni e valutazioni del compendio probatorio valide e congruenti, sia sul piano logico, che sul piano giuridico, come meglio si specificherà in prosieguo.

Infine, quanto al terzo motivo di appello, formulato peraltro genericamente, ritiene la Corte che la quantificazione del compenso dovuto, operata dal giudice di primo grado, non si rivela, come si vedrà, affatto arbitraria, sia in quanto fondata sulle pattuizioni delle parti, sia in quanto congrua, anche con riferimento ai parametri tariffari, al pregio dell’opera ed al decoro della professione.

La legittimazione ad causam dello studio professionale

In odine al primo motivo di appello, va preliminarmente chiarito che, secondo quanto statuito dalla Suprema Corte, “i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della loro attività non trasferiscono automaticamente all’associazione la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera professionale, che in tal caso rimane in capo al singolo associato al pari della conseguente legittimazione attiva nei confronti del cliente” (Cass., Sez. I, 17 febbraio 2016, n. 3128). Tuttavia, “gli accordi degli aderenti ad una associazione professionale possono investire quest’ultima della titolarità di rapporti contrattuali la cui esecuzione venga delegata alle persone dei singoli associati; conseguentemente, in tale ipotesi, la legittimazione attiva compete allo studio associato” (cfr. Cass., Sez. I, 4 marzo 2016, n. 4268).

Dalle su indicate pronunce della Corte di legittimità, emerge con chiarezza che gli studi professionali associati ben possono essere considerati autonomi centri di imputazione di rapporti contrattuali anche con riferimento ai crediti nascenti dalle prestazioni eseguite dai componenti dell’associazione, ove in tal senso deponga la volontà degli associati stessi. Ne consegue, in punto di legittimatio ad causam, che, qualora venga accertata detta concorde volontà, lo studio professionale associato sarà legittimato ad agire anche sul piano processuale; in caso contrario, i singoli professionisti manterranno la titolarità del contratto d’opera (e la conseguente legittimazione ad causam) mentre il fenomeno associativo rimarrà circoscritto unicamente alla gestione congiunta e riparto di proventi e spese.

Peraltro, sempre secondo quanto statuito dalla Suprema Corte, trattasi di questione inerente alla titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che, pur attenendo al merito della causa, non costituisce eccezione in senso stretto, ma mera difesa e – non rientrando nei poteri dispositivi delle parti – può essere anche rilevata d’ufficio dal giudice (cfr. Corte di Cassazione Sezioni Unite 16 febbraio 2016, n. 2951, secondo cui: “la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché la relativa allegazione e prova incombe sull’attore salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto, le cui contrarie deduzioni od argomentazioni hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia valga a rendere non contestati i fatti allegati dalla controparte o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme solo, in caso di tardiva costituzione, le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti, potendo il giudice rilevare dagli atti la carenza di titolarità anche d’ufficio).

Orbene, se, come giustamente rilevato dall’appellante, la carenza della titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio poteva essere anche rilevata dal giudice d’ufficio, tuttavia la stessa doveva risultare dagli atti, attesa la tardività della proposta questione, peraltro sfornita di qualsiasi specifica allegazione o prova.

Dall’esame degli atti, si evince, invece, chiaramente la sussistenza della titolarità attiva dei rapporti sostanziali dedotti in giudizio in capo allo studio appellato.

Va a questo punto considerato che, secondo quanto prescritto dall’art. 36 cod. civ., l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da questi personalmente curati. Ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato – cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici – rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi.” (cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 15694 del 15/07/2011). Tale principio, pienamente condivisibile, va applicato anche in questa sede, non essendo state svolte dalla parte appellante osservazioni idonee a farlo ritenere superabile ed emergendo dagli atti indici, già evidenziati dal giudice di prime cure, chiaramente sintomatici del conferimento dell’incarico professionale ad oggetto allo (…), del quale l’architetto (…) risulta legale rappresentante. Basti considerare, in proposito, il contenuto della deposizione del teste (…), il quale, in qualità di collaboratore dello studio, ha chiarito che: l’attività di progettazione era stata svolta proprio presso lo studio professionale; egli stesso si era recato diverse volte sui cantieri del “(…)”; ogni attività era stata svolta dalla figlia per conto dello studio. La testimonianza di (…), padre dell’architetto (…), lungi dall’apparire, come sostenuto da parte appellante, inattendibile (perché in parte “de relato” ed in parte influenzata dal detto rapporto di parentela) si rivela assolutamente credibile, in quanto precisa, logica e coerente, oltreché riscontrata dalle ulteriori risultanze probatorie, sia testimoniali (si veda la deposizione della teste (…), segretaria del Console del Panama, la quale ha riferito che presso gli uffici oggetto dell’incarico professionale, si era recato, per il progetto di arredamento, un gruppo di persone, unitamente all’architetto (…)), che documentali (dalla documentazione prodotta nel fascicolo di parte di primo grado dell’appellato emerge anche la chiara ed esplicita indicazione dello (…), sia quanto alla corrispondenza intervenuta ante causam tra le parti, sia quanto agli studi grafici effettuati nell’espletamento dell’opera professionale prestata, alcuni dei quali recavano l’intestazione dello studio). Né, d’altro canto, parte appellante ha fornito allegazioni od elementi probanti in senso contrario, idonei a scalfire quanto asserito e dimostrato dall’appellato, essendosi limitato a dedurre, peraltro solo in sede di memorie di replica, e genericamente, il difetto di legittimatio ad causam e ad processum dello studio.

Per quanto sin qui esposto, il primo motivo d’appello si rivela del tutto infondato.

Il difetto di legittimazione passiva.

Anche il secondo motivo di appello, inerente all’asserito difetto di legittimazione passiva dell’appellante, si rivela infondato.

Il giudice di primo grado ha infatti correttamente interpretato e vagliato le risultanze istruttorie (documentazione prodotta dallo (…), deposizione dei testi (…), (…), (…), interrogatorio formale di (…)) dando atto, nella propria pronuncia, della convergenza delle risultanze di tutte le testimonianze e dello stesso interrogatorio reso dalla parte appellante, nonché della documentazione prodotta, al fine della dimostrazione dell’assunto che l’incarico professionale per cui è causa fu conferito allo (…) dall’odierna appellante.

Per quanto concerne i lavori di progettazione relativi ai moduli presso il Polo della Qualità, è emerso chiaramente dall’istruttoria espletata che la (…) abbia commissionato i detti lavori allo studio appellato, avendo, per sua stessa ammissione, sottoscritto i relativi progetti ed emesso assegni non intestati per il pagamento di acconti ai fornitori. Né convince la tesi sostenuta dall’appellante, secondo cui ella avrebbe agito esclusivamente in qualità di legale rappresentante della società (…) s.r.l., essendo stato precisato dal teste (…) (della cui ritenuta attendibilità già si è detto) che l’incarico fu conferito allo studio da (…) in proprio e non in qualità di legale rappresentante della detta società.

Inoltre, come si vedrà anche con riferimento agli ulteriori incarichi professionali per cui è causa, appare chiaro che il modus operandi della (…) avesse ingenerato assoluta confusione, provvedendo la stessa non solo a commissionare e seguire personalmente ogni attività, ma anche ad effettuare i pagamenti con titoli tratti dal proprio conto corrente e non dalle società.

Invero, per quanto attiene ai lavori di ristrutturazione del (…) di Casoria, come ampiamente argomentato dal giudice di prime cure, è risultato ampiamente dimostrato che lo studio appellato abbia realizzato i relativi progetti su incarico della (…).

Sul punto, va in particolare rilevato che non corrisponde a verità la circostanza, affermata dall’appellante, secondo cui il teste (…) non avrebbe confermato che fu proprio (…) a conferire l’incarico di ristrutturazione del locale “(…)” all’architetto (…). Invero, emerge chiaramente dal verbale di udienza del 25.6.2009, che il detto teste ha confermato l’indicata circostanza, articolata in primo grado dallo (…) nel capo G della propria memoria istruttoria. Inoltre, lo stesso teste ha dichiarato di essere stato pagato proprio dalla (…), anche se con assegni a firma del legale rappresentante della “(…)”, (…).

La deposizione del teste (…) converge nella medesima direzione probatoria ed ancora una volta, le difese della (…) non appaiono affatto convincenti, avendo la stessa prima sostenuto, in sede di interrogatorio, di essersi limitata a presentare l’amministratore della “(…)” all’architetto (…), per poi affermare, nell’atto introduttivo del giudizio di gravame, di aver agito nella qualità di mandataria di tale società.

Tali tesi non si appalesano convincenti, non solo in ragione dell’evidente mutamento della prospettiva difensiva dell’appellante (chiaramente originata dalle evidenze probatorie emerse nel giudizio di primo grado), che mina l’attendibilità di entrambi gli assunti di base ((…) si è limitata solo a mettere in contatto le parti, come sostenuto in sede di interrogatorio, o ha agito in qualità di mandataria, come affermato nell’atto di appello?), ma anche in virtù del citato compendio istruttorio, dal quale univocamente risulta che fu la (…) ad occuparsi dell’esecuzione dei lavori ed a commissionare i relativi incarichi. Infatti, è emerso dalle testimonianze assunte che l’appellante, come dalla stessa ammesso in sede di interrogatorio formale, ebbe addirittura a versare in favore dello (…) un acconto per i detti progetti, traendo l’assegno dell’importo di 1.000,00 Euro dal suo conto personale. In proposito, la (…), sempre in sede di interrogatorio, si contraddice e non si rivela affatto precisa e coerente, affermando, prima, di aver versato il detto acconto per la ristrutturazione del “(…)” e, poi, di averlo invece versato per i progetti relativi al Polo della Qualità. Tali incongruenze, ancora una volta, rivelano l’inconsistenza delle difese esperite dall’appellante nel primo grado di giudizio e riproposte nell’odierna fase dell’impugnazione.

Il quadro appare poi ancora più chiaro, se si fa riferimento, infine, all’attività relativa all’incarico espletato dallo studio presso gli uffici del Console del Panama. A fronte delle generiche censure contenute nell’atto di appello – secondo le quali il giudice di primo grado avrebbe erroneamente fondato il proprio convincimento sulla testimonianza, ad avviso dell’appellante, poco conferente, di (…), segretaria del Consolato di Panama -, va evidenziato, ancora una volta, che la pronuncia impugnata si fonda su un’attenta analisi del materiale probatorio riversato in giudizio, oltre che sul contenuto della deposizione resa e sulla particolare attendibilità della detta testimone (terza rispetto alle parti); essa rileva infatti come la stessa testimone avesse, con precisione e coerenza, confermato le circostanze dedotte dallo (…) (infatti la teste ha dichiarato che: l’architetto (…), unitamente ad altri suoi collaboratori, aveva effettuato un sopralluogo nel consolato; la (…) aveva ricevuto dal Console la somma di Euro 10.000,00, tramite due assegni dell’importo di Euro 5.000,00; e quest’ultimo le aveva commissionato l’acquisto di alcuni mobili; la stessa (…) si era impegnata a mandare un architetto che si sarebbe occupato dell’arredamento). Anche il teste (…) aveva confermato poi il conferimento dell’incarico allo studio, da parte della (…), di progettare la collocazione dei mobili nell’ufficio del consolato.

Appare dunque evidente che, anche per tali lavori, come giustamente rilevato dal giudice di primo grado, risulta totalmente smentita la tesi della (…), secondo cui ella si sarebbe limitata a presentare l’architetto (…) al Console. Infatti la teste (…) non ha fatto riferimento ad alcun rapporto diretto tra il Console e lo Studio o l’architetto (…), lasciando chiaramente intendere che era la (…) ad essersi occupata di tutto.

La quantificazione del compenso

Con l’ultimo motivo di appello, (…) contesta genericamente la quantificazione degli importi operata dal giudice di primo grado, da lei ritenuta “arbitraria”.

Anche tale motivo di appello è infondato.

Come precisato dal giudice di prime cure, risulta in atti provato che, per l’esecuzione dei progetti relativi al “Polo della Qualità”, fosse stato pattuito il compenso di Euro 7.000,00, come confermato dalla stessa (…) in sede di interrogatorio formale.

Per la ristrutturazione del locale “(…)” e per il progetto di arredamento dell’ufficio del Console del Panama, gli importi liquidati risultano essere stati determinati sempre sulla base delle pattuizioni tra le parti, provate dalla deposizione del (…) e dalla documentazione prodotta da parte appellata.

Va peraltro chiarito che trattasi di importi assolutamente congrui ed anzi prossimi ai valori minimi dei compensi generalmente spettanti, come da tariffe, per prestazioni di analogo valore e pregio ed in ogni caso, gli stessi non sono mai stati contestati dalla parte appellante nel giudizio di primo grado, la quale, come già chiarito, si è limitata esclusivamente ad eccepire, prima il difetto di legittimazione passiva e, in sede di memorie di replica, il difetto della legittimatio ad causam dello studio appellato, senza mai contestare la qualità dell’opera prestata o l’importo dei compensi richiesti.

Inoltre, la misura del compenso liquidata dal primo giudice si rivela adeguata all’importanza dell’opera prestata e al decoro della professione.

Le spese processuali seguono la soccombenza, secondo la regola dettata dall’art. 91, 1 comma, c.p.c., e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Napoli – Sezione Civile 7, già 3 bis, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (…), con atto di citazione notificato in data 30.05.2012 (…) e (…), in persona del legale rappresentante arch. (…), avverso la sentenza n. 3533/2012 resa inter partes dal Tribunale di Napoli il 17.2.2012 e pubblicata in data 23.3.2012, uditi i procuratori delle parti, contrariis reiectis, così provvede:

1) rigetta l’appello;

2) condanna l’appellante (…) a rifondere alla controparte le spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi 3.777,00 Euro per compenso professionale, oltre rimborso forfetario, IVA (se e in quanto dovuta e non detraibile) e CAP, come per legge, distraendole in favore dell’avv. Pa.Va., antistatario.

Così deciso in Napoli il 12 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.