e’ possibile distinguere, con riferimento all’efficacia dell’atto sul rapporto preesistente, tra una transazione semplice ed una transazione novativa: con la specificazione che si ha transazione semplice nelle ipotesi in cui le parti si limitano a modificare alcuni aspetti del rapporto preesistente, il quale, per quanto non ha formato oggetto di considerazione, permane immutato, si ha, invece, transazione novativa nell’ipotesi in cui le parti conseguono invece l’estinzione integrale del precedente rapporto, il quale viene sostituito con quanto scaturisce dall’accordo transattivo. Piu’ in particolare, l’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilita’ tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtu’ della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti, con la conseguenza che, al di fuori dell’ipotesi in cui sussista un’espressa manifestazione di volonta’ delle parti in tal senso, il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero se esse si siano limitate ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto, il quale si pone come causa dell’accordo transattivo che, di regola, non e’ volto a trasformare il rapporto controverso.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 27 giugno 2018, n. 16905

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26390/2016 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), tutte nella loro qualita’ di eredi, con beneficio di inventario, del Sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SPA, quale procuratore di (OMISSIS) SRL, in persona del suo procuratore speciale Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3870/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/04/2018 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Al precetto intimatogli il 21 (o, in altri atti) 22 aprile 2008 da (OMISSIS) spa – quale mandataria di (OMISSIS) spa, succeditrice dell’originaria mutuante – e fondato su contratto di mutuo del 12/11/1993 stipulato con la dante causa della precettante (OMISSIS) spa si oppose, con atto di citazione notificato il 12-13/05/2009, (OMISSIS), contestando l’esistenza e l’efficacia del titolo esecutivo ed eccependo la prescrizione del credito e l’erroneita’ della somma precettata e dei conseguenti accessori, anche alla stregua della transazione intercorsa il 27/05/1999.

2. Esclusa dall’opposta la valenza novativa alla transazione ex adverso dedotta ed addotta la risoluzione in forza di comunicazione del marzo 2003 di avvalimento della clausola risolutiva espressa, l’adito Tribunale di Roma rigetto’ l’opposizione e condanno’ l’opponente alle spese con sentenza n. 24767/09.

3. Questa fu peraltro gravata di appello da (OMISSIS), a mezzo della sua procuratrice generale (OMISSIS), con richiesta di declaratoria dell’illegittimita’ dell’opposto precetto: per erroneita’ dell’esclusione del carattere novativo dell’accordo transattivo in cui (OMISSIS) srl non era subentrata, riferendosi i crediti oggetto di cessione alle sole sofferenze e non anche alla transazione che aveva regolato il rapporto; per mancata considerazione del carattere parziale dell’inadempimento del debitore; per erroneita’ della qualificazione quale clausola risolutiva espressa di quella che, nella detta transazione, aveva previsto la risoluzione per il caso di inadempimento anche di una sola delle obbligazioni ivi contenute; per estraneita’ dei crediti oggetto di transazione alla cessione dei crediti ed irrilevanza della nota del 06/03/2003 ai fini della risoluzione della transazione, in quanto quella avrebbe dovuto essere firmata dalla succeditrice della cedente e non dalla cessionaria; per erroneita’ della sorta capitale residua richiesta – anche in dipendenza del riconosciuto intervenuto pagamento di almeno nove delle rate del piano di ammortamento – e, cosi’, degli accessori su di quella calcolati.

4. Anche nel grado di appello (OMISSIS), nella detta qualita’, contesto’ partitamente le ragioni dell’originario opponente e la Corte di appello capitolina, con sentenza 16/06/2016, n. 3870, rigetto’ il gravame, in particolare: escludendo il carattere novativo della intervenuta transazione, sulla base della disamina delle pattuizioni ivi contenute, sia pure negando rilevanza al richiamo, operato dal primo giudice, all’articolo 1976 c.c.; qualificando come valida clausola risolutiva espressa quella contenuta nella transazione stessa, dovendo riferirsi il tenore letterale della relativa pattuizione soltanto a ben determinate od evincibili obbligazioni a carico del debitore; concludendo per la piena legittimazione ad agire in capo ad (OMISSIS) spa, quale mandataria di (OMISSIS) srl, quale conseguenza della qualificazione dell’accordo transattivo del 27/05/1999 e dell’inadempimento a quest’ultimo da parte del debitore, dal che era dipeso l’azionamento del credito originario oggetto della cessione; disattendendo l’eccezione di carenza di legittimazione a spiccare la nota del marzo 2003 (di avvalimento della clausola), sia perche’ tardiva, sia per la presenza di numerosi altri atti giudiziali e stragiudiziali di ratifica; respingendo anche la doglianza sulla corretta entita’ del credito per la genericita’ delle repliche dell’opponente alle analitiche puntualizzazioni della precettante (per la presenza di valide quietanze riferibili a solo sei e non nove rate; per la produzione di un conteggio analitico relativo al mutuo fondiario n. 17296, oggetto di lite; per la negazione del carattere satisfattivo del versamento di Euro 4.251.665,83).

5. Per la cassazione di detta sentenza di appello hanno proposto ricorso, quali eredi accettanti con beneficio di inventario di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), affidandosi a tre gruppi di motivi; resiste con controricorso l’intimata; e, per la pubblica udienza del 18/04/2018, le parti depositano memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre esaminare separatamente le censure mosse dalle ricorrenti in relazione a ciascuno dei tre gruppi di motivi, ovvero a ciascuno dei motivi come articolati in separate doglianze.

2. Vanno cosi’ esaminate le doglianze ricondotte dalle ricorrenti ad un unitario primo motivo (da pag. 7 del ricorso), su tre distinti profili relativi – in estrema sintesi – al carattere novativo del negozio transattivo intercorso tra i rispettivi danti causa, con cui si deducono, in ogni caso ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1230 c.c. e dei principi e norme che disciplinano la novazione anche in relazione al negozio transattivo”; “violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. e piu’ in generale dei principi e norme che disciplinano l’interpretazione del contratto anche in relazione al negozio transattivo e agli articoli 1230, 1232 c.c.”; “violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. e piu’ in generale dei principi e norme che disciplinano l’interpretazione del contratto anche in relazione alla clausola che ha previsto che le “condizioni” della transazione non integrassero novazione dei rapporti originari, nonche’ in relazione all’articolo 1186 c.c., ed in relazione all’articolo 116 c.p.c.”; ma tali doglianze sono infondate.

3. Al riguardo, giova premettere che (tra le ultime, Cass. 22/02/2018, n. 4314) e’ possibile distinguere, con riferimento all’efficacia dell’atto sul rapporto preesistente, tra una transazione semplice ed una transazione novativa: con la specificazione che si ha transazione semplice nelle ipotesi in cui le parti si limitano a modificare alcuni aspetti del rapporto preesistente, il quale, per quanto non ha formato oggetto di considerazione, permane immutato (Cass. 13/06/1980, n. 3769); si ha, invece, transazione novativa nell’ipotesi in cui le parti conseguono invece l’estinzione integrale del precedente rapporto, il quale viene sostituito con quanto scaturisce dall’accordo transattivo (Cass. n. 4008 del 2006).

4. Piu’ in particolare (Cass. 11/11/2016, n. 23064), l’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilita’ tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtu’ della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti, con la conseguenza che, al di fuori dell’ipotesi in cui sussista un’espressa manifestazione di volonta’ delle parti in tal senso, il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero (Cass. 14/07/2011, n. 15444) se esse si siano limitate ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto, il quale si pone come causa dell’accordo transattivo che, di regola, non e’ volto a trasformare il rapporto controverso.

5. A tale premessa va soggiunta l’altra, sulla consolidata giurisprudenza di legittimita’ in base alla quale, in materia di ermeneutica contrattuale (tra molte: Cass. ord. 29/03/18, n. 7794):

– l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed e’ insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimita’ avere ad oggetto non gia’ la ricostruzione della volonta’ delle parti, bensi’ solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31/03/2006, n. 7597; Cass. 01/04/2011, n. 7557; Cass. 14/02/2012, n. 2109; Cass. 29/07/2016, n. 15763);

– pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimita’ (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715);

– di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimita’, non e’ necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicche’, quando di una clausola siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044).

6. Su queste premesse, l’accertamento relativo alla natura ed alla portata dell’accordo transattivo integra un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimita’ se la relativa motivazione sia immune da vizi logici e giuridici (per tutte: Cass. 13/05/2010, n. 11632): e deve qualificarsi come effettivamente incensurabile allora la ricostruzione della corte territoriale di esclusione del carattere novativo della transazione, sulla base di elementi univoci e, francamente, nella presente fattispecie tutt’altro che implausibili, a sostegno della persistenza di una fonte originaria accanto ad altra integrativa, quali appunto la stretta correlazione con le obbligazioni originarie desunta dai quattro elementi riportati dalla gravata sentenza (pag. 7, con richiamo a quelli esaminati dal tribunale), specificamente esaminati e ribaditi anche alla luce delle contestazioni dell’appellante (OMISSIS), ritenuti i primi di gran lunga prevalenti su quelli in contrario addotti da questi.

7. Puo’ ora esaminarsi il gruppo di doglianze ricondotte dalle ricorrenti ad un unitario secondo motivo (da pag. 21 del ricorso), su quattro profili separatamente indicati ed in estrema sintesi vertenti sull’invalidita’ per genericita’ della clausola risolutiva espressa e sulla non invocabilita’ di quella da parte della cessionaria, con cui si deducono, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1456 c.c. e piu’ in generale dei principi secondo cui resta estranea alla citata norma la clausola redatta con generico riferimento a tutte le obbligazioni contenute nel contratto”; “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1456 c.c., in relazione ai principi e norme che disciplinano l’interpretazione del contratto”; “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1456 c.c., in relazione al comportamento successivo della parte contraente non inadempiente e, quindi, in relazione ad un comportamento con il quale la parte non inadempiente ha manifestato la sua volonta’ di rinunciare agli effetti della risoluzione”; “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1456 c.c., anche in relazione all’articolo 2697 c.c. ed agli articoli 115 e 116c.p.c.”.

8. In via preliminare, va rilevata l’inammissibilita’ delle denunzie riferite a tali ultime norme (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598, che riprende Cass. 11892 del 2016): la violazione dell’articolo 2697 c.c., si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 c.p.c., e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato “valutazione delle prove”. Infine, quanto a questa, la prospettazione di una violazione dell’articolo 116 c.p.c., non puo’ mai abilitare la parte a dolersi della concreta valutazione degli elementi probatori: cio’ che invece e’ sempre precluso in sede di legittimita’, a maggior ragione dopo la novella dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimita’ sulla motivazione (Cass. Sez. U. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto – se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite istituzionalmente riservati al giudice del merito (tanto corrispondendo a consolidato insegnamento, su cui, per tutte, v. Cass. Sez. U., n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti).

9. Cio’ posto e riscontrata la non corrispondenza del gruppo di motivi al paradigma appena ricostruito, va rilevato come, in linea di principio, la giurisprudenza di questa Corte sia ferma (da ultimo, v. Cass. ord. 11/03/2016, n. 4796) nel ritenere che la clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o piu’ obbligazioni specificamente determinate, sicche’ va qualificata nulla per indeterminatezza dell’oggetto la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facolta’ di dichiarare risolto il contratto per “gravi e reiterate violazioni” dell’altro contraente “a tutti gli obblighi” da esso discendenti, in quanto detta locuzione nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento puo’ dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell’importanza dell’inadempimento dell’altra.

10. E tuttavia la corte territoriale, anche in questo caso interpretando l’accordo tra le parti, ha concluso nel senso della chiara identificabilita’ delle obbligazioni oggetto di quella clausola e, a stretto rigore, le ricorrenti non si sono dolute – se non altro in modo idoneo nel ricorso e non valendo alcuna puntualizzazione successiva dell’erroneita’ di tale interpretazione secondo i canoni richiamati sopra, al secondo alinea del paragrafo 5, non adducendo quale specifica violazione delle regole in tema di ermeneutica contrattuale sia stata violata, mentre comunque la conclusione della corte non puo’ – con ogni evidenza – considerarsi implausibile: di conseguenza, la sua interpretazione della clausola qualificata come idoneamente risolutiva espressa, risulta incensurabile in questa sede.

11. Quanto invece alla carenza di utile invocabilita’ della clausola risolutiva da parte della cessionaria, va osservato che l’eccezione si basa esclusivamente sulla nota del 9/10/00 di tale “Intesa” (non meglio specificata negli atti utilmente esaminabili delle ricorrenti), addotta come succeditrice della cedente (OMISSIS), ove si darebbe conto di eventi idonei a dar conto della volonta’ di quella di non avvalersi della clausola risolutiva in esame: ma al riguardo si rileva che non e’ indicato in ricorso quando e con quali espressioni tale tesi sarebbe stata – evidentemente invano sottoposta ai giudici del merito.

12. Eppure, il ricorrente che proponga in sede di legittimita’ una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138). Poiche’ tali indicazioni difettano in ricorso e la lacuna e’ inemendabile con atti successivi – la relativa doglianza e’ anch’essa inammissibile e, con essa, l’intero terzo gruppo di censure.

13. Puo’ infine esaminarsi il gruppo di doglianze ricondotte dalle ricorrenti ad un unitario terzo motivo (da pag. 33 del ricorso), su due profili separatamente indicati ed in estrema sintesi riguardanti la prova della corretta ed effettiva imputazione dei pagamenti comunque intervenuti, con cui si deducono, per ognuno ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. e piu’ in generale dei principi e norme che disciplinano l’onere della prova e la valutazione delle prove acquisite”; “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e piu’ in generale dei principi e norme che disciplinano l’onere della prova in ipotesi in cui e’ contestata l’entita’ del credito oggetto di intimazione di pagamento da parte del creditore cessionario di detto credito”.

14. Ribadita ed applicata per analoghe ragioni la conclusione di inammissibilita’ delle censure formulate ai sensi dell’articolo 2697 c.c. e articoli 115 e 116 c.p.c., secondo quanto indicato sopra al punto 8, le censure sono inammissibili, perche’ non colgono la ratio decidendi della gravata sentenza, che definisce privi di specificita’ i motivi di appello in relazione al tema effettivamente controverso quale risultante dai conteggi e dal rilievo di insussistenza di prova di tutte le rate dedotte dall’opponente, tanto da rivelarsi inidoneo a censurare la pronuncia di rigetto del tribunale.

15. Al fine dell’utile contrasto di tale ratio decidendi della corte territoriale sarebbe stato onere delle ricorrenti dimostrare, con la trascrizione delle parti salienti dell’atto di appello e dei passaggi della sentenza di primo grado che si intendevano impugnare con quello, che tale contestazione fosse invece specifica e ben riferita alla ratio decidendi del primo giudice (sommariamente ricordata dalla corte territoriale come incentrata sulla valutazione di esaustivita’ dei conteggi prodotti dall’opposta e di correttezza della somma precettata alla luce di quanto risultante effettivamente pagato dal debitore); cosa che invece non e’, con ogni evidenza, accaduta nel ricorso in esame, inemendabile – come e’ noto, per giurisprudenza consolidata con alcun atto successivo.

16. Pertanto, inammissibili gli ultimi due gruppi di motivi ed infondato il primo, il ricorso va rigettato, con condanna delle soccombenti ricorrenti – tra loro in solido, per l’evidente identita’ di posizione processuale e sulla quale non puo’ riverberare effetti la circostanza della loro qualita’ di eredi e per di piu’ accettanti con beneficio di inventario, avendo esse congiuntamente dato corso al giudizio di legittimita’ in cui sono rimaste soccombenti – al pagamento delle spese di legittimita’ in favore della controparte.

17. Va infine dato atto – mancando ogni discrezionalita’ al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra moltissime altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso da loro proposto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.