Al leasing traslativo, al quale si applica la disciplina della vendita con riserva di proprieta’, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, mentre quest’ultimo, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, al concedente la norma riconosce, oltre al risarcimento del danno, il diritto ad un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto, che costituisce la remunerazione del godimento dei beni medesimi e del deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilita’ come nuovo ed al logoramento per l’uso.

 

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di leasing si consiglia la lettura del seguente articolo: Il contratto di leasing o locazione finanziaria

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 28 agosto 2007, n. 18195

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – rel. Presidente

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. LEVI Giulio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S. S.R.L., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione sig. Pe. Gu., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DI PIETRALATA 320, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, che la difende unitamente agli avvocati CORRADO PASQUALE, MARINA KRAUSS, quest’ultima con studio in – ISSO (BG), Via Roma n. 3, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FI. S.P.A.;

– intimata –

e sul 2 ricorso n. 24974/03 proposto da:

FI. S.P.A., in persona del procuratore speciale Dott. Ra. Al., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DORA 2, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE LIUZZO, difesa dall’avvocato BRUNO SANTAMARIA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

S. S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1581/02 della Corte d’Appello di MILANO, terza sezione civile, emessa il 15/01/02, depositata il 14/06/02, R.G. 2965/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/06/07 dal Consigliere Dott. Francesco TRIFONE;

udito l’Avvocato COSTA Michele (per delega Avv. SANTAMARIA Bruno, depositata in udienza);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i gravami.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto monitorio del 4 luglio 1994 il presidente del Tribunale di Monza ingiungeva alla societa’ S. s.r.l. di pagare alla societa’ Fi. s.p.a. la somma di lire 111.731.895 a titolo di canoni, interessi convenzionali e penale relativamente ad un contratto di leasing, che assumeva si era risolto di diritto per l’inadempimento dell’utilizzatore societa’ ingiunta.

La societa’ S. s.r.l. proponeva opposizione, con la quale contestava la legittimita’ del decreto perche’ emesso senza la idonea prova scritta, e, in via riconvenzionale, ai sensi dell’articolo 1526 c.c. chiedeva la condanna della societa’ di leasing alla restituzione delle rate riscosse, sostenendo che si trattava di trattava di leasing traslativo.

La societa’ opposta contrastava l’opposizione e, in via subordinata, chiedeva la condanna della societa’ S. s.r.l. al pagamento della somma di cui all’ingiunzione.

Il Tribunale rigettava l’opposizione.

Sull’impugnazione della societa’ soccombente provvedeva la Corte d’appello di Milano con la sentenza pubblicata il 14 giugno 2002, che, qualificato il contratto intercorso tra le parti come leasing traslativo, in riforma della decisione del Tribunale, riconosceva il diritto dell’utilizzatore alla restituzione dei corrispettivi; determinava la somma dovuta dall’utilizzatore alla societa’ di leasing a titolo di penale e di equo compenso, operava la compensazione dei rispettivi crediti, condannava la societa’ Fi. s.p.a. a pagare alla societa’ S. s.r.l. la differenza di euro 15.394,29 e condannava la societa’ Fi. s.p.a. alle spese del doppio grado del giudizio.

Ai fini che ancora interessano i giudici dell’appello consideravano che:

a) il valore commerciale dei beni oggetto del leasing e la loro durata ben superiore a quella del contratto costituivano i due elementi per la qualificazione del rapporto come leasing traslativo;

b) non essendo consentito ai contraenti, nel leasing traslativo, stabilire convenzionalmente che, in caso di risoluzione del contratto, il concedente ha diritto di trattenere, a titolo di indennita’ per equo compenso, l’importo delle rate pagate, la societa’ Fi. s.p.a. non poteva fare propri i relativi importi versati dalla societa’ utilizzatrice;

c) l’equa remunerazione per il godimento dei beni andava determinata in ragione di lire 1.600.000 mensili per la durata di quaranta mesi;

d) la somma di lire 30.000.000, pagata dalla societa’ S. s.r.l., andava imputata a canoni in precedenza non corrisposti e non ad interessi per ritardato pagamento di canoni scaduti;

e) la penale a carico della societa’ utilizzatrice in conseguenza dell’avvenuta risoluzione del contratto, pattuita nella misura dei due terzi del corrispettivo totale del leasing, andava ridotta all’importo del 20% del corrispettivo medesimo.

Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso principale la societa’ S. s.r.l., che ha affidato l’accoglimento dell’impugnazione a quattro motivi.

Ha resistito con controricorso la societa’ Fi. s.p.a., che ha proposto impugnazione incidentale sulla scorta di due motivi.

La societa’ ricorrente principale ha presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (articolo 335 c.p.c.).

Con il primo motivo dell’impugnazione incidentale – il cui esame deve per logica priorita’ precedere quello delle altre censure, trattandosi di definire la questione concernente la qualificazione del contratto ed il corrispondente suo regime giuridico – la societa’ Fi. s.p.a., deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’articolo 1526 c.c. assume che “il giudice del merito avrebbe errato sia nel ritenere che il contratto di leasing stipulato dalle parti fosse da inquadrare nello schema del leasing traslativo e non piuttosto in quello del leasing di godimento; sia nel ritenere che, pur qualificato il negozio come leasing traslativo, dovesse rendersi ad esso applicabile la disciplina di cui al comma 2, della suddetta norma dell’articolo 1526 c.c. stante la previsione pattizia per la quale.

Sostiene, in particolare, che, pur nella considerazione della qualificazione di leasing traslativo assunta dal giudice del merito, l’applicabilita’ ad esso della norma di cui all’articolo 1526 c.c. e’ esclusa da “un filone dottrinario e giurisprudenziale che e’ di diverso avviso” da quello prevalente e che la esclusione sarebbe dovuta derivare anche dalla ulteriore considerazione che, non avendo la norma codicistica natura imperativa ed inderogabile, di essa, nel caso di specie, si sarebbe dovuto fare applicazione.

La censura non puo’ essere accolta per nessuno dei due profili in cui essa e’ stata articolata.

Quanto al primo profilo – premesso che ai negozi atipici o innominati possono legittimamente applicarsi, oltre le norme generali in materia di contratti, anche le norme regolatrici dei contratti nominati, quante volte il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate dalla seconda serie di norme – osserva questa Corte che costituisce principio ormai pacifico e risalente nella giurisprudenza di legittimita’ (ex plurimis: Cass., sez. un., n. 65/93; Cass., n. 9417/2001; Cass., n. 9161/2002; Cass., n. 6151/2003; Cass., n. 12823/20003; Cass., n. 18229/2003) che la risoluzione della locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore non si estende alle prestazioni gia’ eseguite, in base alle previsioni dell’articolo 1458 c.c., comma 1, in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica, ove si tratti di leasing cosiddetto di godimento, pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto, e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi. La risoluzione si’ sottrae, invece, a dette previsioni, e resta soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall’articolo 1526 c.c., con riguardo alla vendita con riserva di proprieta’, ove si tratti di leasing cosiddetto traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto, rispetto al quale la concessione in godimento assume valore strumentale.

Di conseguenza, e’ stato precisato che, in ordine all’intenzione delle parti tradotta nell’accordo negoziale, l’indagine giudiziale deve mirare ad accertare se, in concreto, i beni concessi in leasing abbiano esaurito le potenzialita’ di cui erano capaci nel periodo di durata del contratto; a verificare il rilievo del patto di opzione per le parti; a stabilire se i canoni versati abbiano costituito il solo corrispettivo del godimento dei beni e siano stati corrispondenti al valore di consumazione economica dei beni in uso ovvero se abbiano avuto anche la funzione di costituire una frazione del prezzo per il definitivo acquisto.

La suddetta indagine, da condurre sulla scorta delle clausole contrattuali in ordine al tipo di negozio posto in essere dalle parti, rientra, pertanto, nei poteri del giudice del merito e risolve una tipica quaestio facti, che non e’ rivedibile, in sede di legittimita’, se non per violazione dei criteri ermeneutici ovvero per vizio di motivazione.

Orbene, nel caso in esame, la statuizione del giudice del merito ha fatto buon governo della legge e della logica circa la qualificazione del contratto nel catalogo del c.d. leasing traslativo, che e’ stata desunta dai due elementi concorrenti dell’oggettivo valore commerciale dei beni oggetto del contratto e della notevole loro residuale entita’ sfruttabile anche oltre la scadenza del rapporto, elementi rispetto ai quali alle rate e’ stata riconosciuta la prevalente funzione di vero e proprio prezzo di vendita, piuttosto che quella di esclusivo corrispettivo del godimento per l’uso fattone dall’utilizzatore.

Con il primo motivo d’impugnazione – deducendo l’erronea ed omessa valutazione di risultanze probatorie su un punto decisivo della controversia – la societa’ ricorrente principale critica la statuizione del giudice del merito relativamente alla circostanza che la somma di lire 30.000.000, corrisposta da essa ricorrente, doveva essere imputata a canoni in precedenza non versati e non invece agli interessi.

Assume che la decisione sul punto era stata fondata sulla sola ammissione di generica imputazione indicata dalla controparte, senza tener conto anche della puntualizzazione della stessa societa’ Fi. s.p.a., siccome si sarebbe dovuto evincere dal contenuto confessorio della pagina 3 della memoria della stessa societa’.

La censura non e’ ammissibile per la sua genericita’, in quanto, rispetto alla valutazione compiuta dal giudice di merito secondo cui la imputazione era quella corrispondente all’indicazione fattane dalla parte creditrice nella sua memoria, di questa la societa’ ricorrente non riporta il tenore del preteso contenuto confessorio, per cui il motivo non realizza il requisito dell’autosufficienza, che consenta al giudice di legittimita’ di valutare la pertinenza e la decisivita’ della censura medesima.

Con la memoria illustrativa la societa’ ricorrente principale aggiunge che, in ogni caso, l’una o l’altra imputazione nulla toglierebbero al fatto che della somma effettivamente versata alla societa’ concedente il leasing il giudice del merito avrebbe dovuto ordinare la restituzione ai sensi dell’articolo 1526 c.c. perche’, risolto il contratto, la stessa societa’ di leasing non aveva piu’ titolo per poterla trattenere.

Anche questo profilo di doglianza non e’ ammissibile, in quanto trattasi di questione non gia’ espressamente proposta con il ricorso e della quale non e’ possibile la introduzione in causa per il tramite della memoria di cui all’articolo 378 c.p.c., la quale e’ destinata esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni gia’ compiutamente svolte con l’atto introduttivo dell’impugnazione ed a confutare le tesi avversarie, ma non a specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni, che non fossero state adeguatamente prospettate o sviluppate, e tanto meno, per dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza di valersi di un congruo termine per esercitare la facolta’ di replica (da ultimo: Cass., sez. un., n. 11097/2006).

Con il terzo motivo d’impugnazione principale – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’articolo 1458 c.c. – la societa’ ricorrente principale critica la decisione di secondo grado nella parte in cui il giudice di merito ha riconosciuto il diritto della societa’ Fi. s.p.a. ad incamerare la somma di lire 69.000.000, prevista a titolo di penale a carico dell’inadempiente, ed assume che, poiche’ la risoluzione del contratto era derivata ad iniziativa di essa societa’ S. s.r.l., tutte le clausole contrattuali non potevano continuare ad essere operative.

Aggiunge, in subordine, che, pur nella riduzione operata dal giudice del merito, l’importo della penale a suo carico era eccessivo ed incongruo, non essendo motivato il parametro, cui essa era stata rapportata, della ritenuta percentuale del 20% del mancato utile lordo complessivo che la societa’ di leasing avrebbe tratto se il contratto non si fosse risolto per l’inadempimento della controparte.

Con il secondo motivo dell’impugnazione incidentale la ricorrente incidentale societa’ Fi. s.p.a. – pure deducendo la violazione di legge in relazione all’articolo 360 c.p.p., n. 3 – critica a sua volta la statuizione del giudice di merito in ordine alla disposta riduzione della penale e sostiene che la domanda di riduzione, diversamente da quello che la sentenza di secondo grado aveva affermato, non era stata formulata dalla parte interessata, onde alla pronuncia di riduzione non si sarebbe potuto pervenire d’ufficio.

Nessuno dei due motivi, che vanno esaminati congiuntamente quali profili distinti e contrapposti rispetto al medesimo thema decidendum, e’ fondato per le seguenti considerazioni:

1. la risoluzione del contratto per inadempimento non toglie efficacia alla clausola penale, ma. ne costituisce il necessario presupposto di applicabilita’, posto che la norma di cui all’articolo 1382 c.c. ad essa attribuisce la specifica funzione di liquidazione preventiva del danno, funzione che, come questa Corte ha gia’ stabilito (Cass., n. 9161/2002), quale conseguente a pattuizione lecita espressione dell’autonomia privata, e’ ammessa anche nel leasing traslativo in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore;

2. come pure ribadisce in costante indirizzo questo giudice di legittimita’ (Cass., n. 7528/2002; Cass., n. 6380/2001), l’apprezzamento – in ordine sia all’eccessivita’ dell’importo fissato con la clausola penale dalle parti contraenti per il caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, sia alla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo – rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui giudizio e’ incensurabile in sede di legittimita’, se correttamente basato sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entita’ del danno subito, onde non sono fondate le contrapposte critiche delle parti sul punto, posto che nella specie l’adottato parametro di riferimento per la reductio ad aeguitatem della clausola non e’ illogico ne’ incongruo;

3. infine, sulla censura relativa all’adozione della reductio in assenza della domanda del soggetto interessato, in disparte la considerazione che la riduzione, nella specie, e’ stata effettuata in conseguenza di istanza di parte (siccome ha ritenuto il giudice del merito, affermando cio’ si ricavava “inequivocabilmente” dall’assunto difensivo della societa’ S. s.r.l.), osserva questo Collegio, in aderenza al piu’ recente indirizzo interpretativo espresso sulla questione (Cass., Sez. Un., n. 18128/2005), che il potere di riduzione ad equita’, attribuito al giudice dall’articolo 1384 c.c. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, puo’ essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e cio’ sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perche’ l’obbligazione principale e’ stata in parte eseguita.

Il ricorso incidentale, pertanto, e’ rigettato.

Con il secondo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione delle norme di cui agli articoli 99 e 345 c.p.c..

la societa’ ricorrente principale denuncia che il giudice d’appello non avrebbe dovuto esaminare la domanda con la quale la societa’ concedente il leasing aveva reclamato l’equo compenso, relativo all’utilizzazione dei beni oggetto del contratto, liquidato in complessive lire 64.000.000.

Sostiene che si tratterebbe di domanda nuova, non proposta in primo grado ed avanzata solo in appello, in ordine alla quale, peraltro, non vi sarebbe stata l’accettazione del contraddittorio.

La censura e’ fondata e l’accoglimento del motivo comporta che la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame alla medesima Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Al leasing traslativo, al quale si applica la disciplina della vendita con riserva di proprieta’, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, mentre quest’ultimo, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, al concedente la norma riconosce, oltre al risarcimento del danno, il diritto ad un equo compenso per l’uso dei beni oggetto del contratto, che costituisce la remunerazione del godimento dei beni medesimi e del deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilita’ come nuovo ed al logoramento per l’uso (Cass., n. 574/2005; Cass., n. 9161/2002; Cass., n. 2743/94; Cass., n. 8454/92).

Il risarcimento del danno ed il diritto all’equo compenso costituiscono, pertanto, azioni distinte, che adempiono a scopi diversi e che, quindi, richiedono la espressa domanda.

Orbene, nel caso di specie la societa’ Fi. s.p.a. con il ricorso per decreto ingiuntivo, che e’ l’atto in-troduttivo della presente controversia, aveva reclamato – siccome da atto la medesima sentenza impugnata in questa sede – i canoni scaduti, gli interessi convenzionali e la penale, ma non anche, per il caso di ritenuta sussistenza del leasing traslativo, l’equo compenso da liquidarsi ad opera del giudice.

Ne’ tale domanda poteva ritenersi compresa nella richiesta della somma a titolo di canoni scaduti, giacche’, rispetto alla richiesta dei canoni, il reclamo dell’equo indennizzo comporta l’accertamento giudiziale di una pretesa diversa da quella fatta valere in primo grado, che per la sua intrinseca essenza ha determinato l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione, onde e’ da escludere che si possa ritenere l’ipotesi della mera emendatio libelli.

Al giudice di rinvio e’ rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di Cassazione (articolo 385 c.p.c., comma 3).

Resta assorbito l’ultimo mezzo di doglianza dell’impugnazione principale, relativo al regime delle spese processuali del doppio grado del giudizio di merito.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il primo ed il terzo motivo del ricorso principale nonche’ il ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il quarto motivo dello stesso ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.