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Va pertanto ricordato che “lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non e’ elemento essenziale per il riconoscimento della qualita’ di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attivita’ di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicita’ dell’attivita’ esercitata, intesa quale proporzionalita’ tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest’ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben puo’ essere presente anche in una societa’ cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci”. Tant’e’ che “anche tale societa’ ove svolga attivita’ commerciale puo’, in caso di insolvenza, essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’articolo 2545 terdecies c.c.”
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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Sentenza 13 aprile 2017, n. 9567
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) coop. a r.l., in persona del l.r.p.t. (OMISSIS), anche in proprio, rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), elettera dom. in Roma, preso lo studio della seconda, in (OMISSIS), come da procura calce all’atto;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) coop. a r.l., in persona del cur. fallim. p.t., rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS), elettera dom. in Roma, presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), alla (OMISSIS), come da procura in calce all’atto
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza App. Milano 5 luglio 2013, n. 2754/2013 in R.G. 1130/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 7 febbraio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;
udito l’avvocato (OMISSIS) per il controricorrente;
udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) coop. a r.l ed anche il suo legale rappresentante in proprio ( (OMISSIS)) impugnano la sentenza App. Milano 5.7.2013, n. 2754 in R.G. n. 1130/2013 con cui e’ stato rigettato il proprio reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della cooperativa, gia’ resa da Trib. Milano 1.3.2013, n. 212/13 su istanza di (OMISSIS).
2. Ritenne la corte d’appello che: a) non c’erano stati vizi nel procedimento di notifica L. Fall., ex articolo 15, benche’ l’istanza fosse stata denominata come precetto (in realta’ coincideva con il ricorso del creditore), ne’ la notifica era errata (essa era avvenuta ai sensi dell’articolo 143 c.p.c., alla legale rappresentante, posta la infruttuosita’ del tentativo presso la sede sociale e alla residenza); b) la cooperativa aveva svolto in concreto e sistematicamente attivita’ commerciale’, nel settore della compravendita dei libri d’arte e con intermediazione di servizi di consulenza aziendale e marketing, a nulla rilevando l’iscrizione all’Albo nazionale delle cooperative e la certificazione del MISE, mancando percio’ ogni attinenza con l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate; c) a seguito di attivita’ ispettive della Guardia di Finanza la cooperativa era stata dichiarata decaduta dalle agevolazioni proprie dei soggetti svolgenti attivita’ mutualistica; d) l’insolvenza a sua volta non era contraddetta dalla sussistenza di un solo creditore istante, posto che si erano insinuati crediti per oltre 1 milione e 82 mila Euro in privilegio e quasi 800 mila Euro in chirografo, con esposizione verso i dipendenti, omesso versamento di ritenute al 31.12.2012, avvisi di accertamento nel frattempo pervenuti per le annualita’ 2007-2008 con contestazioni di oltre 8,3 milioni e rispettivamente oltre 22,6 milioni di Euro, mentre l’unico attivo erano opere d’arte di difficile valutazione e senza rilevanza dei valori di libro delle stampe, mancando atti certi sui prezzi d’acquisto di altri beni.
3. Il ricorso e’ su tre motivi, ad esso resistendo con controricorso il fallimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 24 Cost., comma 2 e articolo 111 Cost., avendo la societa’ fallita subito il procedimento notificatorio dell’istanza di fallimento ai sensi dell’articolo 143 c.p.c., in capo alla legale rappresentante, ma senza che previamente fossero stati adempiuti validamente gli altri incombenti della notifica diretta alla societa’ ex articolo 140 c.p.c., in contraddizione con la circostanza che questo secondo procedimento risultava esperito con successo con riguardo alla sentenza di fallimento poi cosi’ notificata.
2. Con il secondo, motivo si censura l’errato riconoscimento dei requisiti di fallibilita’ della cooperativa sociale a prevalente scopo, mutualistico, ai sensi degli articoli 2511 c.c. e segg. e L. n. 381 del 1991, articolo 1, come emerge dallo statuto e dai bilanci, dalla certificazione del MISE e dal relativo parere.
3. Con il terzo motivo si contesta la violazione della L. Fall., articolo 5, in punto di insolvenza e di equilibrio, che vi sarebbe stato, tra attivo e passivo.
4. Il primo motivo e’ infondato. Dalla sentenza impugnata emerge che l’istanza di fallimento e il decreto di convocazione camerale erano stati inutilmente oggetto di notifica gia’ tentata dal creditore presso la sede legale della societa’, rinvenuta “chiusa e inoperativa”, con analoga infruttuosita’ dell’adempimento presso la residenza anagrafica in (OMISSIS) della legale rappresentante, che “da informazioni assunte in loco risulta da anni trasferita altrove”, secondo la relata dell’ufficiale giudiziario, cio’ determinando – come riconosciuto dai ricorrenti – il rinvio dell’udienza prefallimentare ad una terza convocazione, autorizzata dal giudice ed espletata ai sensi dell’articolo 143 c.p.c., alla amministratrice. Tali circostanze comprovano la correttezza dell’iter seguito, in relazione al procedimento notificatorio imposto per le societa’ dall’articolo 145 c.p.c. (Cass. 1165/2017), poiche’ il rito proprio della notifica a persone di residenza dimora o domicilio sconosciuti e’ oggetto di espresso richiamo da parte dell’u.c. articolo cit., che rinvia all’articolo 143 c.p.c., in capo alla persona fisica che rappresenti l’ente, senza dunque imporre un adempimento ai sensi dell’articolo 140 c.p.c., in capo alla societa’, per la quale, anche nel caso concreto, vi era stato un verbale di “vane ricerche” (Cass. 19457/2012, 6693/2012). Ne’ assume alcun rilievo la circostanza della materiale ricezione della successiva sentenza di fallimento, notificata ai sensi dell’articolo 140 c.p.c., alla societa’, la cui effettiva ricezione ha solo determinato l’effetto pratico di una sanatoria di un procedimento peraltro – non previsto dall’articolo 145 c.p.c. e comunque attiene a vicende non storicamente coincidenti con quelle di cui ha dato atto l’ufficiale giudiziario all’epoca dell’instaurazione del procedimento L. Fall., ex articolo 15, come conseguente a ricerche ordinarie condotte in loco e non altrimenti contestate dalle parti.
5. Il secondo motivo e’ infondato. Anche la corte d’appello ha correttamente opposto ai dati formali dell’iscrizione della cooperativa all’albo nazionale e alla certificazione del MISE i risultati di un’indagine concernente la natura dell’effettiva attivita’ svolta, unitamente alla sua incidenza connotativa sui requisiti di mutualita’ ovvero anche commercialita’. Quest’ultima e’ stata pienamente provata non solo per la totale estraneita’ di complesse e onerose operazioni speculative di acquisto e rivendita di oggetti d’arte (per oltre 1 milione di Euro) rispetto alla pretesa vocazione mutualistica (oltre che con le finalita’ del reinserimento lavorativo di persone svantaggiate), ma altresi’ in virtu’ delle proporzioni di rischio assunte con riguardo alla intermediazione di servizi di consulenza aziendale e marketing, procurati da terzi e poi ricollocati nel mercato, come poi censurato dall’Agenzia delle Entrate in sede di contestazione di decadenza dalle agevolazioni di settore. Va pertanto ricordato che “lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non e’ elemento essenziale per il riconoscimento della qualita’ di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attivita’ di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicita’ dell’attivita’ esercitata, intesa quale proporzionalita’ tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest’ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben puo’ essere presente anche in una societa’ cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci”. Tant’e’ che “anche tale societa’ ove svolga attivita’ commerciale puo’, in caso di insolvenza, essere assoggettata a fallimento in applicazione dell’articolo 2545 terdecies c.c.” (Cass. 6835/2014, 14250/2016). Va solo aggiunto, con riguardo al caso di specie, che a maggior ragione la predetta commercialita’ risulta esattamente affermata allorche’, prescindendo dalle enunciazioni dell’oggetto sociale e dai requisiti iscrizionali, nonche’ dal parere ministeriale (elementi non vincolanti), l’attivita’ dell’ente – indagata ai fini fallimentari in contraddittorio con i creditori – risulti contaminata da rilevanti operazioni che, per natura e complessita’, appaiano incompatibili con lo scopo mutualistico. Esse oltretutto, nella vicenda, non risultano ne’ ipotizzate di una qualche strumentalita’ occasionale rispetto alle principali finalita’ dell’ente, ne’ circoscritte a singole deviazioni di gestione ed in realta’ appaiono, nell’accertamento condotto dal giudice di merito, prive di qualunque giustificazione rispetto alla rivendicata esenzione concorsuale.
6. Il terzo motivo e’ inammissibile. La censura si risolve, al di la’ della sua rubrica, nella denunzia di un vizio di motivazione e, pur osservandosene l’erroneita’ per un profilo (ove invoca, nella sostanza, il criterio patrimonialistico nello scrutinio dell’insolvenza, ma non lo raccorda ad uno stato anche formale di liquidazione dell’ente), se ne ravvisa l’inammissibilita’. Invero “La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass. s.u. 8053/2014).
Il ricorso va dunque rigettato, con disciplina delle spese regolata alla stregua del criterio della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimita’, liquidate in Euro 10.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.