In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa.
Tribunale|Benevento|Sezione 2|Civile|Sentenza|25 marzo 2020| n. 587
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBVNALE DI BENEVENTO
SEZIONE SECONDA CIVILE
IL TRIBVNALE DI BENEVENTO
in composizione monocratica, in persona del Giudice Dott. Luigi GALASSO, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 2438/2014 R.G.A.C.,
TRA
CONDOMINIO “PALAZZO (…)”, posto in San Giorgio del Sannio, alla Piazza (…) in persona dell’amministratore p.t., rapp.to e difeso, giusta procura a margine dell’atto di citazione, dall’Avv. Ma.MI., nel cui studio è elett.te dom.to;
ATTORE
E
So.Gi., rapp.to e difeso, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall’Avv. Ag.GU., nel cui studio è elett.te dom.to;
CONVENUTO
Avente ad oggetto: “Responsabilità professionale”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Condominio “Palazzo (…)”, posto in San Giorgio del Sannio, alla Piazza (…) traeva in giudizio, innanzi a questo Tribunale, So.Gi., chiedendo accertarsi “la mala gestio dell’amministratore So.Gi. in relazione alla vicenda di cui alla sentenza n. 57/2007 resa dal Giudice di Pace di San Giorgio del Sannio in data 04/09/2007”, e condannare il medesimo convenuto a pagare al condominio la somma di Euro 13.187,46, quale risarcimento del danno materiale, oltre al risarcimento del danno morale. Spese vinte, da attribuirsi.
Il SO. aveva svolto la funzione di amministratore del condominio sino alla nomina, in data 15 Ottobre 2013, del successore, Ia.Ge..
Nel corso dell’assemblea dell’indicata data del 15 Ottobre 2013, i condomini e lo IA. apprendevano che era stata emessa una sentenza a carico del condominio ed a favore di La.Ro..
L’amministratore riceveva, poi, dall’Avv. Mi.MA., la richiesta del pagamento della somma complessiva di Euro 6.240,97, dovuta per effetto della sentenza.
Il SO., quindi, consegnava copia della sentenza medesima: essa era stata emessa dal Giudice di pace di San Giorgio del Sannio, e recava il numero 57/2007.
Il provvedimento era stato reso esecutivo il 17 Aprile 2012, e notificato allo stesso SO. il 14 Giugno 2012, insieme all’atto di precetto.
Il condominio risultava essere rimasto contumace.
Il SO. aveva omesso di informare il condominio della notificazione dell’atto di citazione, così come di resistere.
Egli, inoltre, non aveva comunicato la notificazione della sentenza e del precetto: cosicché la decisione passava in giudicato.
L’amministratore avrebbe potuto costituirsi in giudizio anche senza un delibera assembleare (art. 1131, co. 2, c.c.), ed aveva, inoltre, infranto il dovere di informare l’assemblea condominiale (art. 1131, commi 3 e 4, c.c.).
Il SO., mandatario dei condomini, non aveva osservato la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.).
Egli rispondeva del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, consistente nel turbamento morale e psicologico, nel dispiacere e nel disagio.
2. Si costituiva So.Gi..
L’amministratore del condominio aveva agito contro di lui senza essere stato autorizzato dall’assemblea.
La citazione introduttiva del giudizio innanzi al Giudice di pace era stata notificata “per compiuta giacenza, presso l’edificio condominiale in San Giorgio del Sannio alla Piazza (…) il SO. non era domiciliato in quel luogo (né, come si leggeva nella sentenza, alla Via (…)), bensì, per l’attività professionale, in San Giorgio del Sannio, alla Via (…).
Egli aveva appreso del giudizio unicamente al momento della “notifica della sentenza divenuta inappellabile”.
La sentenza, a causa dell’inesistenza della notificazione, non era valida: e, del resto, “non è stata mai portata seriamente ad esecuzione dall’attrice”.
Il danno era stato liquidato in modo erroneo e generico.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’amministratore del condominio ha agito in forza di deliberazione dell’assemblea, riunitasi in data 31 Gennaio 2014: il verbale è stato prodotto.
Il convenuto, con la terza memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c., afferma che “Nel verbale prodotto ex adverso, a giustifica rispetto all’eccezione svolta, non vi è traccia di incarico legale riferito alla presunta responsabilità professionale del vecchio amministratore riferita alla sentenza e/o atto di precetto della sig.ra LA.”.
Nel verbale si legge: “Per quanto riguarda i carichi pendenti della Agenzia delle Entrate si dà mandato al legale di procedere contro il vecchio amministratore, anche per tutte le inadempienze già citate, quali il Decreto ingiuntivo, notificato in data 15-10-2013, bilanci e quant’altro, nella persona dell’avvocato Ma.Da.”.
Come si può notare, la delibera è onnicomprensiva e, dunque, l’amministratore era obbligato a promuovere, contro il SO., ogni iniziativa conseguente a quelli che il condominio poteva ritenere come inadempimenti dei doveri, derivanti dal mandato: i condomini, del resto, nell’assemblea del 15 Ottobre 2013, si erano già occupati della questione della sentenza n. 57/2007 del Giudice di pace di San Giorgio del Sannio (come si legge nel verbale: “5. NOTIFICA DELLA SENTENZA n. 57/2007. I CONDOMINI CHIEDONO ALL’AMMINISTRATORE DI FORNIRE LE COPIE DI DETTA SENTENZA PER POI GESTIRE LA SITUAZIONE CON IL NUOVO AMMINISTRATORE”).
2. Quanto alla notificazione dell’atto di citazione, con veniva introdotto il giudizio, definito dalla ripetutamente menzionata sentenza n. 57/2007 del Giudice di pace di San Giorgio del Sannio, l’adempimento non risulta validamente compiuto, perché l’atto veniva diretto (come si può leggere sulla busta del plico, che il convenuto, dopo aver richiesto il plico medesimo al difensore della LA., ha depositato) allo stesso condominio, nell’indirizzo di Via (per giunta, anziché Piazza) (…), in San Giorgio del Sannio.
Il plico non veniva consegnato ad alcuno, e restituito per compiuta giacenza.
Manca, invero, l’avviso di ricevimento, ma, in ogni caso, resta evidente l’errore nell’individuazione dell’indirizzo: non risulta (non essendo stato tale circostanza dedotta dalla parte attrice), infatti, che presso il condominio vi fossero persone addette all’amministrazione condominiale, o locali a ciò adibiti: quanto all’amministratore, egli documenta (mediante la dichiarazione di variazione di dati, presentata all’Agenzia delle Entrate), invece, che la propria sede professionale fosse in San Giorgio del Sannio, alla Via (…).
La S.C. (Cass. civ., Sez. II, 29.12.2016, ord. interlocutoria n. 27352) ha persuasivamente affermato, sulla materia, che “La notifica al condominio di edifici, in quanto semplice “ente di gestione” privo soggettività giuridica, va effettuata, secondo le regole stabilite per le persone fisiche, all’amministratore, quale elemento che unifica, all’esterno, la compagine dei proprietari delle singole porzioni immobiliari, sicché, oltre che ovunque, “in mani proprie”, l’atto può essere consegnato ai soggetti abilitati a riceverlo, invece del destinatario, soltanto nei luoghi in cui ciò è consentito dagli art. 139 e ss. c.p.c., tra i quali può essere compreso, in quanto “ufficio” dell’amministratore, anche lo stabile condominiale, ma solo a condizione che ivi esistano locali, come può essere la portineria, specificamente destinati e concretamente utilizzati per l’organizzazione e lo svolgimento della gestione delle cose e dei servizi comuni. (Nella specie, la S.C. ha disposto la rinnovazione della notifica del ricorso per cassazione al condominio, siccome nulla, giacché effettuata a mezzo posta con consegna al portiere, senza che dall’avviso di ricevimento della relativa raccomandata risultasse l’esistenza, nello stabile, di locali a servizio dell’amministrazione)”.
In conclusione, una volta che la notificazione dell’atto di citazione vada riconosciuta nulla, e mancando una prova che il SO. sapesse, comunque, della pendenza della causa, non può ritenersi che egli abbia omesso di resistere (egli poteva costituirsi anche senza deliberazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1131, co. 3, c.c., trattandosi di causa di risarcimento del danno cagionato da infortunio asseritamene provocato da una piastrella della pavimentazione del cortile condominiale), e di informare l’assemblea.
3.a La sentenza del Giudice di pace veniva depositata il 4 Settembre 2007.
Il condominio attore, nel replicare alle difese del convenuto, deduceva (memoria ex art. 183, co. 6, n. 1, c.p.c.), tra l’altro, che “invero il So. non spiega il motivo per il quale abbia notiziato il condominio dell’avvenuta notifica della sentenza in parola solo dopo oltre un anno dal ricevimento della stessa (notifica in data 14/6/2012 – comunicazione al condominio in data 15/10/2013!!)”, e che “Egli neppure ha comunicato all’assemblea quanto, poi, asserito solo nella memoria di costituzione, ovvero di non aver mai ricevuto la notifica dell’atto di citazione, perseverando, dunque, nella condotta scorretta e costringendo i condomini a sopportare delle spese che avrebbero potuto probabilmente evitare. Infatti il condominio ritrovandosi un titolo esecutivo oramai passato in giudicato, ed ignorando possibili vizi attinenti la formazione del titolo, essendo stato il So. reticente in merito, hanno provveduto ad effettuare il pagamento al fine di evitare un ulteriore aggravio di spese.”.
Con la memoria ex art. 183, co. 6, n. 3, c.p.c., poi, il condominio affermava: “la documentazione depositata dal convenuto darà sicuramente corso all’avvio di un’azione di revocazione che esula, ovviamente da ogni interesse nel presente giudizio.”.
L’amministratore, in effetti, ha, senza offrire nemmeno in questa sede alcuna giustificazione, omesso di avvisare l’assemblea per lungo tempo, ossia sinché non si svolgeva la riunione, nella quale egli veniva, infine, sostituito: la sentenza era stata notificata al SO., com’è rimasto pacifico, il 14 Giugno 2012, ma egli ne riferiva ai condomini solamente il 15 Ottobre 2013.
3.b Il provvedimento del Giudice di pace veniva notificato, col precetto, quando era oramai decorso il termine lungo per l’impugnazione: tuttavia, “In ipotesi di contumacia involontaria, la notifica della sentenza effettuata personalmente al convenuto contumace, in qualunque momento intervenuta, è idonea a far decorrere, dalla data della detta notifica, il termine breve di impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c., laddove solo in caso di omessa notifica della sentenza opera il termine decadenziale lungo di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dalla conoscenza successivamente acquisita della sentenza, ed assume rilievo la differenza tra nullità ed inesistenza della notifica dell’atto introduttivo del grado di giudizio al cui esito è stata emessa la sentenza da impugnare, con il conseguente diverso riparto dell’onere probatorio in punto di conoscenza della pendenza della lite” (Cass. civ., Sez. VI – 3, 23.1.2019, ord. n. 1893).
Il condominio, insomma, avrebbe potuto tentare l’impugnazione ex art. 327, co. 2, c.p.c.
L’omissione dell’amministratore ha cagionato il superamento del termine per la proposizione dell’appello: né sembra che si possa proporre la revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c., che presuppone una sentenza d’appello o in unico grado.
3.c.1 Desumere automaticamente, tuttavia, dall’inadempimento dei doveri specifici dell’amministratore del condominio, o di quello generale, posto dall’art. 1710, co. 1, c.c., che onera il mandatario (tale può considerarsi l’amministratore del condominio, rispetto ai condomini: cfr., ex pluribus, Cass. civ., Sez. VI – 2, 17.1.2019, ord. n. 1186) della diligenza del buon padre di famiglia, la causazione di un danno, significa omettere di valutare le conseguenze effettivamente cagionate dalla condotta, e reagire all’inadempimento con una sanzione, piuttosto che, come per legge, col risarcimento del danno.
Si legga, nella giurisprudenza della S.C., in proposito dell’inadempimento di incarichi di natura professionale (il principio è generale: ma, nel caso concreto, si aggiunga che il SO. risulta svolgere professionalmente l’attività, come si evince dalla menzionata dichiarazione di variazione di dati, presentata all’Agenzia delle Entrate), Cass. civ., Sez. III, 4.12.2018, ord. n. 31233: “Nel caso di ritardo nella consegna di immobile conseguente all’inadempimento di incarico d’opera professionale (nella specie, progettazione e direzione dei lavori di costruzione) il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost.; ne consegue che è onere del proprietario provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare l’immobile ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni, sulla base però di elementi indiziari allegati dallo stesso danneggiato, diversi dalla mera mancata disponibilità o godimento del bene”.
Si legga, poi, nella materia della responsabilità da omissione di attività difensiva legale, Cass. civ., Sez. III, 24.10.2017, sent. n. 25112: “In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa.”.
3.c.2 Nella specie, il condominio avrebbe dovuto offrire elementi, affinché potesse ritenersi più probabile che, in appello, la domanda della LA. sarebbe stata rigettata, anziché l’ipotesi opposta.
Nella sentenza del Giudice di pace si legge che La.Ro. aveva affermato che, nell’Ottobre del 2004 (la causa risale al 2005), nel percorrere il cortile condominiale, ella “inciampava in una piastrella della pavimentazione che, al passaggio dell’istante, improvvisamente si sopraelevava provocando la caduta della stessa. Aggiungeva che in seguito alla caduta accusava forti dolori e limitazioni alla spalla destra, subendo danni a persona come dalla prodotta certificazione medica”.
Il Giudice di pace, nella motivazione, riferiva di aver udito dei testi, i quali avevano confermato le circostanze enunziate dall’attrice, e di aver fatto svolgere una c.t.u., dalla quale era risultato il nesso eziologico tra sinistro e danni.
Il Giudice, alla luce della relazione di c.t.u., del resto “coerente con la documentazione clinica acquisita nel corso del giudizio e con gli esami eseguiti e redatta secondo corrette valutazioni”, accertava un danno biologico del 5%, un’inabilità temporanea totale di giorni ventisei ed un’inabilità temporanea parziale di giorni novantasei.
Liquidava il danno entro i limiti della propria competenza per valore (Euro 2.582,28), e condannava il condominio alle spese di lite.
Il condominio avrebbe dovuto, nel presente giudizio, verificare (pur con le ovvie difficoltà pratiche del caso, essendo trascorsi diversi anni) se l’episodio fosse accaduto, con quale dinamica e con quali conseguenze: innanzitutto, appurando chi fosse la LA. e se effettivamente la pavimentazione del cortile presentasse piastrelle sconnesse.
Nella specie, nulla di tutto ciò è stato fatto: sicché il Giudice non è in grado di comprendere se l’appello potesse sortire il risultato sperato: o, al contrario, se esso avrebbe addirittura aggravato la posizione del condominio, magari solo per le spese di lite ulteriori. 3.c.3 Si sarebbe potuto ipotizzare, comunque, un danno patrimoniale, benché minimo, consistente nell’ammontare degli interessi, maturato, può dirsi, tra il 20 Giugno 2012 (il 14 Giugno 2012 costituisce la data della conoscenza della sentenza e del precetto; ai sensi dell’art. 66 att. c.c., l’amministratore doveva avvisare i condomini della convocazione dell’assemblea almeno cinque giorni prima: sicché, escludendo lo stesso 14 Giugno 2012 per consentire allo stesso amministratore di esaminare gli atti e predisporre e spedire la convocazione, si perviene, appunto, al 20 Giugno 2012) ed il 15 Ottobre 2013.
Il condominio pagava l’intera somma, oggetto di precetto: l’importo di Euro 2.000,00, in data 10 Aprile 2014 (data di esecuzione del bonifico, disposto il giorno precedente), e l’importo residuo, pari ad Euro 4.240,97, in data 10 Luglio 2014.
Il SO. avrebbe potuto essere condannato, pertanto, alla refusione della somma corrispondente alla quota di interessi, da determinarsi come innanzi.
L’importo versato dal condominio, tuttavia, corrisponde a quello indicato nell’atto di precetto, che arrestava il calcolo degli interessi al 12 Giugno 2012: sicché la posizione del condominio medesimo non si è aggravata per effetto del trascorrere del tempo, sino al 15 Ottobre 2013, o, addirittura, sino al soddisfo.
3.c.4 Il danno non patrimoniale da turbamento morale o psicologico non può essere, nella specie, riconosciuto, essendo stato dedotto in maniera generica, si da non risultare possibile identificarne l’entità, né il preciso collegamento (in mancanza di reato o di espressa previsione legislativa) con un diritto costituzionalmente rilevante, che sia leso in maniera significativa (Cass. civ., Sez. VI – Lav., 12.11.2019, ord. n. 29206: “Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione dei diritti inviolabili della persona è risarcibile a condizione che l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale, che il danno non sia futile, ovvero non consista in meri disagi o fastidi e che, infine, vi sia specifica allegazione del pregiudizio, non potendo assumersi la sussistenza del danno “in re ipsa”.”; cfr., altresì, Cass. civ., Sez. III, 17.1.2018, sent. n. 901: “In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti”: oppure Cass. civ., Sez. III, 28.9.2018, ord. n. 23469).
4. Le spese di lite possono essere compensate, alla luce dell’accertata violazione di doveri su di lui incombenti, da parte del convenuto.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE
definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 2438/2014 R.G.A.C., promossa dal CONDOMINIO “PALAZZO (…)”, posto in San Giorgio del Sannio, alla Piazza (…) in persona dell’amministratore p.t., contro So.Gi., ogni diversa domanda, eccezione, richiesta disattesa, così decide:
1. rigetta la domanda;
2. compensa le spese di lite tra le parti.
Così deciso in Benevento il 15 marzo 2020.
Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2020.