Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 31 ottobre 2017, n. 25837

La condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia puo’ costituire un “caso fortuito”, ed escludere integralmente la responsabilita’ del custode ai sensi dell’articolo 2051 c.c., quando abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode.

 

 

Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo:

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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 31 ottobre 2017, n. 25837

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11304/2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore Sig.ra (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1144/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/07/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2006 (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Como il condominio del fabbricato sito a (OMISSIS), denominato “(OMISSIS)”, esponendo che nel 2004, mentre usciva dall’ascensore condominiale del suddetto fabbricato, inciampo’ nel dislivello formatosi tra il pavimento della cabina dell’ascensore e quello del piano di arresto, cadde, e riporto’ lesioni personali.

Invoco’ pertanto la responsabilita’ ex articolo 2051 c.c., del condominio convenuto, e ne chiese la condanna al risarcimento del danno.

Il condominio si costitui’ e, oltre a negare la propria responsabilita’, chiamo’ in causa il proprio assicuratore della responsabilita’ civile, la (OMISSIS) s.p.a. (olim, (OMISSIS) s.p.a.).

2. Con sentenza 25.6.2008 n. 1610 il Tribunale di Como rigetto’ la domanda.

La Corte d’appello di Milano, adita dal soccombente, con sentenza 19.3.2013 n. 1144 rigetto’ il gravame.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:

(-) l’appellante aveva riproposto le difese del primo grado, “senza censurare in modo specifico le argomentazioni con cui il tribunale le ha disattese”;

(-) il dislivello tra l’ascensore ed il piano di calpestio, sia che fosse stato di 5 cm (come ritenuto dal Tribunale), sia che fosse stato di 8 cm (come asserito dall’attore) “non poteva rappresentare un’insidia”, ma anzi rappresentava una situazione “ricorrente e probabilissima”;

(-) la causa del sinistro andava percio’ individuata nella condotta distratta della vittima, perche’ era suo onere “verificare il piano di calpestio che (anda)va ad impegnare”;

(-) l’ascensore non presentava anomalie;

(-) la vittima conosceva tutte le caratteristiche dell’ascensore, in quanto inquilino del fabbricato;

(-) la vittima aveva una patologia alla gamba destra che ne limitava la capacita’ di deambulazione, e cio’ avrebbe dovuto indurlo a particolare attenzione e cautela nell’uscire dall’ascensore;

(-) la domanda non poteva essere accolta nemmeno ai sensi dell’articolo 2043 c.c., sia perche’ tale profilo di responsabilita’ non era stato tempestivamente invocato; sia perche’ non vi era alcun nesso di causa tra l’anomalo arresto dell’ascensore ed il danno.

3. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

Hanno resistito con controricorso sia il Condominio “(OMISSIS)” che la (OMISSIS).

Il ricorso venne assegnato in un primo momento alla Sesta Sezione di questa Corte, per essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., nel testo vigente ratione temporis (ovvero anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito nella L. 25 ottobre 2016, n. 197).

La Sesta Sezione di questa Corte, con ordinanza 11.12.2015, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, perche’ fosse discussa in pubblica udienza.

Quindi, sopravvenute le modifiche di cui al Decreto Legge n. 168 del 2016, cit., la causa e’ stata assegnata alla Terza Sezione civile di questa Corte, affinche’ fosse trattata e decisa in camera di consiglio, ai sensi del novellato articolo 380 bis c.p.c., comma 1.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sul rito applicabile.

1.1. Preliminarmente deve rilevarsi come il ricorso oggetto del presente giudizio sia stato assegnato a questa Sezione, per essere deciso in camera di consiglio ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1, dopo che la sezione di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1, cui era stato in un primo momento assegnato, ha ritenuto di spogliarsene.

Tuttavia l’articolo 380 bis c.p.c., comma 3, (nel testo novellato dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, articolo 1 bis, comma 1, lettera (e), convertito dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), stabilisce che se la sezione di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1, (cosiddetta “sezione filtro”) ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dalla legge per la decisione del ricorso in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., “rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice”.

Occorre, dunque, preliminarmente stabilire se il presente ricorso possa essere trattato senza discussione orale e deciso in camera di consiglio ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1, sebbene provenga da una precedente camera di consiglio ex articolo 380 bis c.p.c., ipotesi per la quale la legge parrebbe consentire soltanto il rinvio alla pubblica udienza.

1.2. A tale quesito, tuttavia, deve darsi risposta affermativa.

Il Decreto Legge n. 168 del 2016, cit., ha elevato da due a tre le possibili forme di definizione del ricorso per cassazione che non sia di competenza delle Sezioni Unite, ovvero:

(a) con decisione in camera di consiglio da parte della sezione “filtro”, ex articoli 375 e 380 bis c.p.c., quando il ricorso sia:

(a’) inammissibile;

(a”) manifestamente infondato;

(a”’) manifestamente fondato;

(b) con decisione in camera di consiglio da parte della sezione semplice, ex articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis c.p.c., comma 1, come ipotesi “ordinaria”;

(c) con decisione in pubblica udienza da parte della sezione semplice, ex articolo 375 c.p.c., comma 2, secondo periodo, e articolo 379 c.p.c., quando:

(c’) il ricorso ponga una questione di diritto di particolare rilevanza;

(c”) il ricorso le sia stato rimesso dalla sezione “filtro” in esito alla camera di consiglio.

La riforma, in definitiva, ha modulato il rito applicabile in base al contenuto del ricorso per come rilevabile ad una sommaria delibazione: per i ricorsi di pronta soluzione e’ previsto il rito camerale dinanzi alla sezione filtro; per i ricorsi non di pronta soluzione, ma che nemmeno pongano questioni di rilievo nomofilattico, e’ previsto il rito camerale dinanzi alla sezione semplice; per i ricorsi che pongono questioni di rilievo nomofilattico e’ prevista la pubblica udienza dinanzi alla sezione semplice.

La legge ha poi previsto una possibilita’ di conversione del rito, ma solo unidirezionale: mentre, infatti, i ricorsi assegnati alla sezione semplice non possono da questa essere trasferiti alla sezione filtro (ad esempio, perche’ privi di rilievo nomofilattico o manifestamente infondati), non e’ vero il contrario: la sezione filtro puo’ infatti spogliarsi del ricorso assegnatole, evidentemente quando lo ritenga non inammissibile, ne’ manifestamente fondato od infondato.

1.3. La riforma appena riassunta e’ stata dichiaratamente voluta dal legislatore allo scopo di snellire e razionalizzare il lavoro della Corte di cassazione.

E poiche’ le norme di legge vanno interpretate in modo coerente col loro scopo, non e’ possibile interpretare l’articolo 380 bis c.p.c., comma 3, nel senso che tutti i ricorsi dei quali la “sezione filtro” si sia spogliata, debbano essere trattati sempre e comunque con la forma processuale dell’udienza pubblica.

Si e’ visto, infatti, che la “sezione filtro” puo’ rimettere il ricorso alla sezione semplice in due casi: o quando il ricorso abbia rilievo nomofilattico, ovvero quando non sia inammissibile od infondato in modo manifesto.

Nel primo caso la trattazione del ricorso in pubblica udienza e’ ragionevole e coerente con la ratio della legge; nel secondo caso (ricorso non manifestamente inammissibile/fondato/infondato, ma comunque privo di rilievo nomofilattico) la trattazione in pubblica udienza non solo non si giustifica razionalmente, ma sarebbe incoerente con la ratio legis, che e’ quella di riservare alla pubblica udienza le sole questioni di diritto che abbiano interesse generale dal punto di vista nomofilattico.

Deve pertanto concludersi che la previa assegnazione del ricorso alla sezione di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1, nel caso in cui quest’ultima ritenga che non ricorrano le condizioni di legge per la decisione del ricorso nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., non impedisce la decisione del ricorso da parte della sezione semplice in camera di consiglio anziche’ in pubblica udienza, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., comma 1.

2. Il primo motivo di ricorso.

2.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 2051 c.c..

Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha rigettato la domanda sul presupposto che il gradino formato dalla cabina dell’ascensore rispetto al piano di calpestio non potesse costituire un’insidia.

Questa affermazione, ad avviso del ricorrente, costituisce una violazione dell’articolo 2051 c.c., perche’ la responsabilita’ del custode prescinde dall’esistenza di una insidia o trabocchetto, e comunque non e’ onere dell’attore provare l’esistenza dell’una o dell’altro; l’attore che invoca la responsabilita’ del custode ha il solo onere di dimostrare che il danno sia derivato da una “anomalia” della cosa oggetto di custodia.

2.2. Prima di esaminare nel merito la censura appena riassunta, deve rilevarsi come la Corte d’appello, al foglio 11 (numerato come “pag. 2”), terzo capoverso, della propria sentenza, abbia affermato che l’appellante (OMISSIS) col proprio atto d’appello si era “limitato a riproporre le difese del precedente grado, senza censurare in modo specifico le argomentazioni (…) con cui il tribunale le ha gia’ disattese”. Occorre dunque stabilire se, con tale affermazione, la Corte d’appello abbia inteso dichiarare l’appello inammissibile per genericita’, ex articolo 342 c.p.c., ovvero abbia pronunciato un mero obiter dictum.

Nel primo caso, infatti, il ricorso per cassazione dovrebbe ovviamente essere dichiarato inammissibile, perche’ estraneo alla ratio decidendi. Ritiene questa Corte che il passo sopra trascritto costituisca un mero obiter dictum, e non una autonoma ratio decidendi.

E’ la stessa Corte d’appello, infatti, nello stesso foglio 11, secondo capoverso, a riassumere in modo analitico le doglianze proposte dall’appellante, e nelle pagine successive ad esaminarle nel merito. Dunque la Corte d’appello ha ben inteso quali fossero le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, e le ha anche esaminate: tanto e’ vero che il dispositivo della sentenza dichiara di “respingere” l’appello, e non lo ha dichiarato inammissibile.

La sentenza qui impugnata fu dunque una pronuncia di rigetto nel merito, ed il primo motivo di appello, pertanto, puo’ essere esaminato nel merito, perche’ non puo’ dirsi estraneo alla effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

2.3. Il motivo e’ tuttavia infondato.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda ritenendo che unica causa del danno fu la distrazione della vittima.

Questa affermazione e’ in se’ corretta.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che la responsabilita’ di cui all’articolo 2051 c.c., va esclusa quando venga dimostrata dal custode l’esistenza d’un caso fortuito; che il caso fortuito puo’ consistere anche nel fatto della vittima (c.d. “fortuito incidentale”); che la condotta della vittima puo’ rappresentare tanto una concausa del danno, quanto causa esclusiva di esso, ad esempio nell’ipotesi di uso improprio della cosa altrui (tra le tante, in tal senso, Cassazione n. 11526/2017; Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016; Sez. 3, Sentenza n. 18317 del 18/09/2015; Sez. 3, Sentenza n. 9547 del 12/05/2015; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 20619 del 30/09/2014).

Pertanto l’affermazione compiuta dalla Corte d’appello, in se’, non viola l’articolo 2051 c.c., poiche’ e’ esatto in linea teorica che la condotta colposa della vittima del danno, a determinate condizioni (delle quali si dira’ affrontando il secondo motivo di ricorso), esclude la responsabilita’ del custode.

2.4. Poiche’ il principio teorico affermato dalla Corte d’appello fu in se’ corretto, non rileva che la sentenza impugnata abbia ritenuto di corroborarlo affermando che il dislivello tra il pavimento della cabina dell’ascensore e il piano circostante “non potesse rappresentare un trabocchetto o un’insidia” (cosi’ la sentenza, foglio 11, quarto capoverso).

E’ vero, infatti, quanto dedotto dal ricorrente, ovvero che la responsabilita’ del custode di cui all’articolo 2051 c.c., sussiste sia quando il danno sia provocato da cose insidiose, sia quando sia provocato da cose non insidiose, non seagenti, non pericolose.

Che la cosa fonte di danno fosse “insidiosa” (ovvero oggettivamente pericolosa e soggettivamente non percepibile) e’ infatti circostanza che puo’ rilevare sul piano processuale della prova della colpa della vittima, non sul piano sostanziale della sussistenza della responsabilita’ del custode. Cio’ vuol dire che tanto maggiore era la prevedibilita’ del pericolo, tanto minore sara’ la scusabilita’ della condotta della vittima, e viceversa (Sez. 3, Sentenza n. 4279 del 19/02/2008).

Tuttavia nel caso di specie il riferimento all’inesistenza d’una “insidia o trabocchetto” compiuto dalla Corte d’appello non fu la vera ratio decidendi: per quanto gia’ detto, infatti, la domanda venne rigettata dal giudice d’appello sul presupposto della ricorrenza d’un caso fortuito, rappresentato dalla colpa esclusiva della vittima. Quell’affermazione pertanto, per quanto inesatta, non costituisce il fondamento giuridico della decisione d’appello, e non la rende percio’ scorretta sotto questo aspetto.

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli articoli 1227, 2043 e 2051 c.c..

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato l’articolo 1227 c.c., attribuendo alla vittima la responsabilita’ esclusiva dell’accaduto. Infatti la condotta della vittima in tanto puo’ escludere la responsabilita’ del custode in quanto abbia i caratteri di autonomia, eccezionalita’, imprevedibilita’, inevitabilita’. Nel caso di specie, tuttavia, il condominio non aveva mai offerto alcuna prova che la condotta della vittima avesse avuto tali requisiti; ed in ogni caso quella condotta, anche a volerla ritenere colposa, avrebbe potuto avere al massimo l’efficacia di una concausa del danno, ma non di causa esclusiva dell’accaduto. Infatti senza il dislivello tra il pavimento dell’ascensore e il terreno circostante la caduta mai si sarebbe potuta verificare.

3.2. Il motivo e’ fondato.

La responsabilita’ del custode, per i danni causati dalla cosa che e’ in sua custodia, e’ esclusa quando questi dimostri “il caso fortuito”: cosi’ stabilisce l’articolo 2051 c.c..

Il codice civile non da’ la definizione di “caso fortuito”: nondimeno, per millenaria tradizione giuridica, con quell’espressione si designa l’evento che non poteva essere in alcun modo previsto o, se prevedibile, non poteva essere in alcun modo prevenuto.

Gia’ un rescritto dell’imperatore Augusto, inviato ai prefetti del pretorio Fusco e Destro (e tramandato dal Codex Iustiniani, Libro IV, Titolo XXIV, § 6, De casu fortuito) sanci’ che quae fortuitis casibus accidunt, cum praevideri non potuerint (…), nullo bonae (idei judicio praestantur.

Il precetto passo’ tal quale nel diritto intermedio (casus fortuitus non est sperandus, et nemo tenetur divinare), e da questo pervenne immutato all’eta’ delle codificazioni, ed ai codici attuali.

In questi, tuttavia, fu conservato il precetto (il debitore e’ liberato dal caso fortuito: si vedano ad esempio l’articolo 1492 c.c., comma 3, in tema di perimento della cosa venduta; articolo 1637 c.c., in tema di accollo da parte dell’affittuario del rischio di caso fortuito; articolo 1686 c.c., comma 3, in tema di responsabilita’ del vettore; articolo 1805 c.c., in tema di responsabilita’ del comodatario), ma se ne oblio’ la giustificazione (il “cum praevideri non potuerint” del rescritto augusteo), probabilmente perche’ ritenuta dal legislatore ovvia e scontata.

“Caso fortuito”, dunque, per la nostra legge e’ quell’evento che non poteva essere previsto (ad esempio, un terremoto). Ed al caso fortuito e’ equiparata la forza maggiore, ovvero l’evento che, pur prevedibile, non puo’ essere evitato (ad esempio, un evento atmosferico).

3.3. La condotta della vittima d’un danno causato da una cosa custodia, pertanto, in tanto puo’ escludere la responsabilita’ del custode, in quanto possa reputarsi “caso fortuito”; e puo’ reputarsi tale quando fu imprevedibile da parte del custode (tra le piu’ recenti, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 18317 del 18/09/2015).

3.4. Ma una condotta imprevedibile della vittima non e’ necessariamente una condotta colposa, ne’ e’ vero il contrario.

I giudizi di “negligenza” della vittima, e di “imprevedibilita’” della sua condotta da parte del custode, non si implicano a vicenda.

Il primo va compiuto guardando al danneggiato, e comparando la condotta da questi concretamente tenuta con quella che avrebbe tenuto una persona di normale avvedutezza, secondo lo schema di cui all’articolo 1176 c.c..

Il secondo va compiuto invece guardando al custode, e valutando con giudizio ex ante se questi potesse ragionevolmente attendersi una condotta negligente da parte dell’utente delle cose affidate alla sua custodia.

Potremo dunque avere condotte del danneggiato prudenti e imprevedibili, prudenti e prevedibili, imprudenti ed imprevedibili, imprudenti e prevedibili.

Le prime due ipotesi non escludono mai la colpa del custode; la terza ipotesi la esclude sempre; la quarta ipotesi puo’ escluderla in parte.

3.5. La eterogeneita’ tra i concetti di “negligenza della vittima” e di “imprevedibilita’” della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, cio’ non basta di per se’ ad escludere la responsabilita’ del custode.

Questa e’ infatti esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito e’ un evento che praevideri non potest.

L’esclusione della responsabilita’ del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento:

(a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente;

(b) che quella condotta non fosse prevedibile.

In questo senso, di recente, si e’ gia’ espressa questa Corte, stabilendo che la mera disattenzione della vittima non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all’articolo 2051 c.c., in quanto il custode, per superare la presunzione di colpa a proprio carico, e’ tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 27/06/2016).

3.6. La condotta della vittima d’un danno da cosa in custodia puo’ dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata.

Stabilire se una certa condotta della vittima d’un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui fosse prevedibile o imprevedibile e’ un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito: ma il giudice di merito non puo’ astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima.

3.7. Nel caso di specie la Corte d’appello, come accennato, ha rigettato la domanda sul presupposto che causa della caduta fu la distrazione della vittima, e che di conseguenza ricorresse una ipotesi di “caso fortuito”, come tale idoneo ad escludere la responsabilita’ del custode di cui all’articolo 2051 c.c..

E’ giunta a tale conclusione osservando che il dislivello tra la cabina dell’ascensore ed il pavimento del piano di arresto costituisce una situazione “normale e prevedibile”; che l’ambiente in cui avvenne il fatto non era oscuro; che l’ascensore non era guasto; e che la vittima doveva essere piu’ attenta, a causa delle sue limitate capacita’ di deambulazione.

La Corte d’appello, dunque, ha reputato sussistente una ipotesi di caso fortuito prendendo in esame unicamente la condotta della vittima, qualificata come negligente, ma senza esaminare se quella condotta potesse ritenersi imprevedibile, eccezionale od anomala da parte del custode.

Cosi’ giudicando, la Corte d’appello ha effettivamente violato l’articolo 2051 c.c., perche’ ha ravvisato nella condotta della vittima un caso fortuito, senza indagare sulla sussistenza d’uno dei due elementi costitutivi di tale istituto: ovvero la prevedibilita’ di quella condotta da parte del custode.

Soluzione, quest’ultima, non condivisibile, e che finisce per condurre ad una sorta di moderno paradosso di Epimenide, in quanto delle due l’una:

-) se la condotta della vittima e’ prudente, essa e’ in grado di avvistare il pericolo ed evitarlo, ed alcun danno potrebbe mai verificarsi, sicche’ in questo caso la responsabilita’ del custode mai potrebbe sorgere;

-) se la condotta della vittima e’ imprudente, tale imprudenza escluderebbe di per se’ la responsabilita’ del custode, la quale anche in questo caso mai potrebbe percio’ sorgere.

Per questa via, si perverrebbe di fatto a ridurre drasticamente, quando non ad eliminare del tutto, la presunzione di responsabilita’ prevista dall’articolo 2051 c.c., e l’evidente assurdita’ di questo approdo rende palese la non condivisibilita’ della sua premessa, ovvero che basti la sola negligenza della vittima del danno da cose in custodia per escludere la responsabilita’ del custode (per l’affermazione, implicita, di tale principio si veda comunque gia’ Sez. 3, Sentenza n. 9547 del 12/05/2015).

3.8. Resta solo da aggiungere, a prevenire l’opinione (talora affiorata in dottrina, ma erronea) secondo cui la giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilita’ del custode, avrebbe manifestato atteggiamenti ondivaghi, che i principi sin qui riassunti non sono e non intendono essere in contrasto con la decisione adottata da Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, in una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio.

E’ vero, infatti, che in quel caso venne confermata la sentenza di merito che rigetto’ la domanda proposta da una persona che, uscendo da un ascensore, cadde a causa del dislivello (in quel caso di 20 centimentri) tra la cabina ed il pavimento. Ma in quel giudizio il ricorso, per come formulato, pose a questa Corte la questione se la condotta della vittima potesse integrare il caso fortuito, ai fini dell’articolo 2051 c.c., ed escludere integralmente la responsabilita’ del custode: quesito al quale non poteva che darsi, ovviamente, risposta affermativa.

Non fu invece oggetto del decidere, in quel giudizio, il diverso problema dei requisiti che la condotta della vittima deve possedere, per potere essere qualificata come “caso fortuito”, questione che ha invece formato oggetto del presente giudizio.

3.9. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, la quale riesaminera’ il gravame applicando il seguente principio di diritto:

La condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia puo’ costituire un “caso fortuito”, ed escludere integralmente la responsabilita’ del custode ai sensi dell’articolo 2051 c.c., quando abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode.

4. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimita’ saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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Avv. Umberto Davide

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