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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 21 dicembre 2016, n. 26609

al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dalla norma dell’articolo 1117 cod. civ., con riguardo ai beni in essa indicati, occorre fare riferimento all’atto costitutivo del condominio, cioe’ al primo atto di trasferimento di una unita’ immobiliare dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se da esso emerga o meno la volonta’ delle parti di riservare a uno dei condomini la proprieta’ di beni che, per ubicazione e struttura, siano potenzialmente destinati all’uso comune. Conseguentemente, quando, in occasione del primo atto di frazionamento della proprieta’ di un edificio, la destinazione obbiettiva di un bene potenzialmente comune non sia contrastata dal titolo (come, nella specie, accertato dal giudice territoriale con statuizione che ha resistito all’impugnativa proposta con il primo mezzo di ricorso), tale bene nasce di proprieta’ comune e la comunione sullo stesso non puo’ piu’ venire meno per effetto dell’ occupazione senza titolo da parte di un singolo condomino.

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 21 dicembre 2016, n. 26609

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24317-2012 proposto da:

COMUNE DI SARZANA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 280/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 09/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega orale dell’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che si riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento 1 motivo del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Sarzana e’ proprietario, per acquisto dall’originario costruttore, dell’intero fabbricato posto in via dei (OMISSIS), ad eccezione di due appartamenti che il medesimo costruttore aveva trattenuto per se’ e successivamente ha venduto, uno, ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) e, l’altro, ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS).

Nel porticato posto al piano terra del suddetto fabbricato il Comune ha realizzato delle unita’ abitative da destinare agli sfrattati. I condomini suddetti hanno chiesto al tribunale di La Spezia, per quanto qui ancora interessa, la condanna del Comune alla rimozione di tali unita’ abitative e alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, deducendo la natura condominiale del porticato in cui dette unita’ erano state realizzate.

La domanda dei condomini, disattesa in primo grado, e’ stata accolta dalla corte d’appello di Genova, la quale ha ritenuto che la presunzione di condominialita’ del porticato ex articolo 1117 c.c. risultasse vinta dal tenore letterale del titolo di acquisto del comune, nel quale, nella descrizione del piano terreno dell’immobile trasferito, si dava atto della presenza di un portico (senza precisare che avesse natura condominiale), ma si faceva riferimento (“il tutto come meglio individuato”) ad una planimetria allegata all’atto, sottoscritta dalle parti e dal notaio rogante, in cui detto portico veniva definito come “portico condominiale scala 8 mq 144,85”. La corte genovese ha altresi’ argomentato che nella perizia dell’ufficio tecnico comunale allegata come documento H all’atto notarile, e ivi richiamata, si faceva riferimento ad una “superficie di uso comune coperta posto al piano terra mq 144” e che, ai fini della valutazione di congruita’ del prezzo, la determinazione convenzionale di tale superficie (definita appunto, si sottolinea nella sentenza gravata, di uso comune) risultava diminuita di due dodicesimi, in evidente correlazione alla circostanza che due dei dodici appartamenti del fabbricato non erano di proprieta’ comunale.

Per la cassazione della sentenza d’appello il Comune di Sarzana ha proposto ricorso nei confronti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (quale erede di (OMISSIS)) e (OMISSIS) quale erede di (OMISSIS) ed (OMISSIS)).

Il ricorso si articola su due motivi.

Gli intimati hanno resistito controricorso.

La causa e’ stata discussa alla pubblica udienza del 11.10.16, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si denuncia la violazione degli articoli 1117 e 1362 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa nell’interpretazione dell’atto di acquisto del Comune, in particolare dando prevalenza alle risultanze della planimetria rispetto a quelle del testo del contratto.

Il motivo va giudicato infondato, perche’, come questa Corte ha avuto modo di chiarire (cfr. sent. n. 6764/03) le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volonta’, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l’interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la quaestio voluntatis della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto. Nella specie la corte territoriale ha dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto – con accertamento di fatto sindacabile in sede di legittimita’ soltanto sotto i profili del rispetto dei criteri legali di interpretazione e del difetto di motivazione (cfr. Cass. 12594/13) – che nell’atto di acquisto del Comune il portico per cui e’ causa sia stato considerato bene condominiale; nella sentenza gravata, infatti, si valorizza, per un verso, il rilievo che nel testo contrattuale si richiama espressamente, per la miglior identificazione del cespite compravenduto, la planimetria allegata all’atto (“il tutto meglio individuato con contorno di colore rosso nella planimetria, che, previa sottoscrizione delle parti con me notaio, si allega sub C”) e, per altro verso, il percorso argomentativo sviluppato nella perizia dell’ufficio tecnico comunale (pur essa richiamata nell’atto notarile ed al medesimo allegata) di stima della congruita’ del prezzo delle compravendita (nella quale, si evidenzia nella sentenza gravata, la superficie del porticato de quo risultava espressamente definita “di uso comune” e, ai fini della valutazione, veniva diminuita di due dodicesimi, pari al rapporto tra il numero delle unita’ immobiliari non vendute al Comune e il numero delle unita’ immobiliari costituenti il fabbricato).

Col secondo motivo si deduce il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e di travisamento dei fatti di causa, con conseguente violazione dell’articolo 1117 c.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa non rilevando che la realizzazione degli alloggi del Comune risaliva ad epoca anteriore all’acquisto delle unita’ immobiliari degli altri condomini e che, quindi, al momento di tale acquisto la destinazione del portico all’uso comune era, secondo la prospettazione del ricorrente, gia’ venuta meno.

Il motivo va disatteso.

Secondo il risalente insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. 3867/86), al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dalla norma dell’articolo 1117 cod. civ., con riguardo ai beni in essa indicati, occorre fare riferimento all’atto costitutivo del condominio, cioe’ al primo atto di trasferimento di una unita’ immobiliare dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se da esso emerga o meno la volonta’ delle parti di riservare a uno dei condomini la proprieta’ di beni che, per ubicazione e struttura, siano potenzialmente destinati all’uso comune. Conseguentemente, quando, in occasione del primo atto di frazionamento della proprieta’ di un edificio, la destinazione obbiettiva di un bene potenzialmente comune non sia contrastata dal titolo (come, nella specie, accertato dal giudice territoriale con statuizione che ha resistito all’impugnativa proposta con il primo mezzo di ricorso), tale bene nasce di proprieta’ comune e la comunione sullo stesso non puo’ piu’ venire meno per effetto dell’ occupazione senza titolo da parte di un singolo condomino. Le circostanza che gli alloggi del Comune siano stati realizzati prima che gli altri condomini acquistassero le loro unita’ immobiliari risulta dunque ininfluente ai fini della decisione; la censura di insufficienza motivazionale va dunque disattesa, alla stregua del costante orientamento di questa Corte secondo cui, per integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (anche nel testo anteriore alla modifica recata dal Decreto Legge n. 83 del 2012) e’ necessario l’omessa o insufficiente motivazione su circostanze specifiche “di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito” (cosi’ Cass. nn. 25756/14, 24092/13, 14973/06).

Il ricorso va dunque, in definitiva, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alle contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.