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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 27 giugno 2007, n. 14853
Una clausola siffatta, inserita in un contratto di assicurazione fideiussoria o cauzionale, del tipo suindicato, in quanto preclude al garante l’opponibilita’ al beneficiario delle eccezioni spettanti al debitore principale ai sensi dell’articolo 1945 c.c. risulta invero incompatibile con il principio di accessorieta’ che caratterizza la fideiussione (sent. n. 6499/90; n. 6607/92; n. 3940/95), e vale per converso a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (sulla cui legittimita’, in quanto espressione del principio dell’autonomia negoziale, v. Cass. n. 7341/87; n. 6496/91; n. 12341/92; n. 3519/94; 5129/97) specificamente di un contratto autonomo di garanzia di tipo cauzionale.
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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 27 giugno 2007, n. 14853
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDUCCIA Gaetano – Presidente
Dott. DURANTE Bruno – Consigliere
Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
HI. S.A., in persona del suo procuratore rag. Co. Si., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato BENITO P PANARITI, che la difende unitamente agli avvocati DEGLI ANGELI GIOVANNI, DAL BORGO ARCANGELO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
RA. -. RI. AD. DI. SI. – SPA, in persona dei legali rappresentanti dr. Sp. Ca. e sig. Bu. Lu., elettivamente domiciliata in ROMA LUNG.RE MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, che la difende unitamente agli avvocati MITTIGA ZANDRI PATRIZIA, ZUCCHINALI PAOLO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del ministro pro tempore, e l’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli Uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li difende ope legis;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 956/03 della Corte d’Appello di MILANO, terza sezione civile, emessa il 17/12/02, depositata il 21/03/03, R.G. 2821/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/07 dal Consigliere Dott. Camillo FILADORO;
udito l’Avvocato Pierfrancesco BRUNO (per delega Avv. Salvatore TRIFIRO’);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 17 dicembre 2002-21 marzo 2003 la corte d’appello di Milano accoglieva l’appello proposto da RA. Ri. Ad. di. si. s.p.a. avverso la decisione del locale tribunale del 10 aprile 2000, condannando la societa’ appellata HI. s.a. al pagamento in favore della compagnia di assicurazione degli interessi legali sulla somma di euro 195.039,95 dal 12 febbraio 1994 al 17 giugno 1997 e sull’importo di euro 27.748,20 dal 12 febbraio 1994 al 13 novembre 1997.
Osservava la corte territoriale che la societa’ HI. s.a., con sede in Svizzera, aveva stipulato con la RA. una polizza fideiussoria con la quale veniva garantita all’ufficio IVA di Livorno la restituzione delle somme che detto Ufficio avesse indebitamente rimborsato ad HI. a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972articolo 38 il tutto sino alla concorrenza di lire 354.001.000, oltre interessi per un triennio calcolati al 12% annuo.
Il 15 settembre 1993 l’Ufficio IVA di Livorno aveva notificato ad HI. avviso di rettifica per l’anno 1990, sul presupposto dell’avvenuto accertamento di operazioni di compravendita immobiliari inesistenti, con addebito di imposta per lire 352.669.000 e dei correlativi interessi.
Poiche’ HI. non aveva ottemperato al pagamento, la RA. in forza della polizza fideiussoria aveva versato all’Amministrazione finanziaria per imposte ed interessi la somma complessiva di lire 431.386.000.
Secondo quanto stabilito dal giudice penale e dalla commissione tributaria di primo grado di Livorno, le operazioni di compravendita, ritenute inesistenti dall’Ufficio, erano, in realta’, effettivamente avvenute ed erano regolari sicche’ il rimborso conseguito in un primo tempo da HI. si era rivelato incontestabilmente dovuto.
La RA. aveva pertanto convenuto in giudizio dinanzi al tribunale di Milano la HI. chiedendo il rimborso di quanto pagato quale rivalsa per l’equivalente importo corrisposto all’Ufficio IVA di Livorno in forza della summenzionata polizza fideiussoria.
Chiamata in causa l’Amministrazione delle finanze si era costituita in giudizio eccependo la carenza di giurisdizione dell’autorita’ giudiziaria ordinaria, l’incompetenza per territorio del giudice adito, la carenza di legittimazione attiva di HI. a richiedere il rimborso della somma pagata da RA..
Nelle more del giudizio, l’Amministrazione restituiva a RA. l’importo capitale in precedenza corrisposto, ma nulla corrispondeva per gli interessi maturati dal pagamento eseguito dalla compagnia di assicurazione (11 febbraio 1994) sino alla data delle restituzioni (avvenute in due riprese: 17 giugno 1999 e 13 novembre 1997).
Il tribunale di Milano rigettava la domanda di RA. ravvisando a carico della societa’ attrice una condotta rilevante sotto il profilo dell’articolo 1227 c.c., comma 2, per non avere – dopo la (pur legittima) esecuzione del pagamento – proposto ricorso alla commissione tributaria per la restituzione degli importi indebitamente versati.
Avverso tale decisione RA. proponeva appello.
HI. costituendosi in giudizio negava la fondatezza dell’impugnazione, deducendo l’esistenza di una transazione tra le parti ed una “sorta di cessione di credito pro soluto” da HI. a RA..
L’Amministrazione delle finanze si richiamava alle difese gia’ svolte.
Con la sentenza sopra richiamata la corte d’appello accoglieva integralmente le domande di RA., condannando HI. al pagamento degli interessi nella misura richiesta.
Avverso tale decisione HI. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due distinti motivi.
Resistono, con distinti controricorsi, RA. ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.
La RA. ha depositato anche memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la societa’ ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c., comma 2, in relazione all’articolo 112 c.p.c., nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia.
Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, sin dal primo grado di giudizio HI. aveva dedotto un comportamento negligente di RA., colpevole – secondo la prospettazione della societa’ – di non avere richiesto immediatamente alla Amministrazione finanziaria nei modi previsti dalla legge, il rimborso di quanto versato all’Ufficio IVA di Livorno.
Anche se nelle difese RA. mancava un esplicito richiamo alla disposizione di cui all’articolo 1227 c.c., comma 2, HI. aveva tempestivamente dedotto i presupposti di fatto di tale eccezione.
Pertanto, il giudice avrebbe dovuto applicare direttamente la norma ora richiamata.
Anche a prescindere da questa argomentazione, la Compagnia di assicurazione avrebbe avuto comunque il diritto (ed il dovere) di richiedere all’amministrazione delle finanze il rimborso di quanto versato, con la maggiorazione degli interessi, avendo effettuato un pagamento risultato poi indebito.
Quanto meno con riferimento agli interessi, precisa la societa’ ricorrente, viene a cessare l’autonomia del contratto di garanzia rispetto al contratto principale, con la conseguenza che in caso di pagamento, che risulti poi non dovuto, il riequilibrio delle posizioni puo’ ottenersi solo attraverso il sistema della rivalsa.
In effetti, sottolinea la ricorrente, la corte territoriale non aveva affrontato il vero problema che la causa poneva: che consisteva nell’individuare quale delle due societa’ dovesse attivarsi per la riscossione degli interessi.
Con il secondo motivo la societa’ ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., comma 2.
I giudici di appello avevano affermato che per la prima volta, in appello, HI. avrebbe dedotto la esistenza di una transazione sulle ragioni di credito della Compagnia di assicurazioni e la esistenza di una cessione “pro soluto” a RA. dei crediti vantati da HI. nei confronti della amministrazione delle finanze.
Questa affermazione contrastava con il fatto e sin dalla comparsa conclusionale del 10 febbraio 2000 e nella memoria di replica, HI. aveva dedotto la sopravvenienza di tali circostanze (la transazione era stata raggiunta in data 7 maggio 1997 quindi dopo l’instaurazione del giudizio di primo grado (13 maggio 1996) e la relativa documentazione era stata depositata nei termini perentori assegnati dal giudice istruttore, ai sensi dell’articolo 184 c.p.c.).
Non vi era stata, infine, pronuncia sulla domanda di condanna dell’amministrazione finanziaria, proposta seppure in via del tutto subordinata, da HI..
Osserva il Collegio:
1. I due motivi possono essere congiuntamente esaminati, in quanto tra loro connessi, e vanno disattesi.
2. Per costante giurisprudenza di questa S.C., alla cd. assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale), che e’ una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione, caratterizzata dall’assunzione dell’impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le norme contenenti la disciplina legale tipica della fideiussione solo se non derogate dalle parti (sent. n. 3444/88; n. 6499/90; n. 11038/91; n. 3519/94; 3552/98).
Portata derogatoria viene in particolare riconosciuta alla clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilita’, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito “a semplice richiesta” o “senza eccezioni”.
Una clausola siffatta, inserita in un contratto di assicurazione fideiussoria o cauzionale, del tipo suindicato, in quanto preclude al garante l’opponibilita’ al beneficiario delle eccezioni spettanti al debitore principale ai sensi dell’articolo 1945 c.c. risulta invero incompatibile con il principio di accessorieta’ che caratterizza la fideiussione (sent. n. 6499/90; n. 6607/92; n. 3940/95), e vale per converso a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (sulla cui legittimita’, in quanto espressione del principio dell’autonomia negoziale, v. Cass. n. 7341/87; n. 6496/91; n. 12341/92; n. 3519/94; 5129/97) specificamente di un contratto autonomo di garanzia di tipo cauzionale.
Ed infatti, giova notare, sotto tale ultimo profilo, che, in un contratto del menzionato tipo, la clausola di pagamento a semplice richiesta del creditore-beneficiario – che preclude al fideiussore, derogando alla regola dell’articolo 1945 c.c., l’opponibilita’ delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale – assicura, per tale via, al creditore garantito una disponibilita’ di denaro immediata, con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale, dato che in entrambi i casi il creditore ha la possibilita’ di realizzare il suo credito sui beni oggetto della garanzia mediante un atto unilaterale costituito, nel primo caso, nella richiesta della somma assicurata e, nel secondo, dall’incameramento della cauzione (sent. n. 3940/95).
Nel caso di specie, ha rilevato la corte d’appello, la polizza cauzionale in oggetto garantiva all’ufficio IVA di Livorno la restituzione delle somme che detto ufficio avesse indebitamente rimborsato ad HI. ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972articolo 38 bis.
Dopo che in sede penale e davanti alla commissione tributaria le operazioni immobiliari contestate ad HI. erano risultate in tutto e per tutto regolari (perche’ effettivamente avvenute) il rimborso di quanto pagato da RA. era incontestabilmente dovuto dall’Amministrazione finanziaria.
La corte territoriale, esaminata la clausola contrattuale, ha quindi ritenuto che la menzionata previsione integrasse una clausola di pagamento “a prima richiesta”, diretta a creare una disponibilita’ monetaria a favore dell’amministrazione finanziaria, in virtu’ di un suo unilaterale comportamento, analoga a quella che sarebbe stata assicurata dall’incameramento di una cauzione; ha conclusivamente affermato che il contratto aveva natura di atipico contratto autonomo di garanzia di tipo cauzionale, con conseguente preclusione della facolta’ della societa’ garante di opporre eccezioni relative al rapporto base, alla stregua dei suesposti principi.
E tale interpretazione del contratto, in quanto sorretta da congrua motivazione, si sottrae al sindacato di legittimita’.
3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 10188 del 15 ottobre 1998, 1 ottobre 1996 n. 8592, 3519 del 1994, 4966 del 1992) la polizza fideiussoria prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972articolo 38 bis al fine di consentire al contribuente il rimborso delle eccedenze IVA risultanti dalla dichiarazione annuale in forma accelerata (ossia senza preventivo riscontro della spettanza) e consistente nell’obbligo per la societa’ di assicurazione di versare le somme richieste dall’ufficio IVA, a meno che non vi abbia gia’ provveduto il contribuente, configura un contratto autonomo di garanzia che, diversamente dal modello tipico della fideiussione, e’ connotato dalla non accessorieta’ dell’obbligazione di garanzia rispetto all’obbligazione garantita.
Solo il pagamento del debito garantito in data anteriore alla richiesta di garanzia rende questa inoperante.
E’ consentito cioe’ al garante unicamente di eccepire che il pagamento e’ stato gia’ eseguito dal debitore principale prima della richiesta di garanzia, incidendo tale fatto sulla stessa genesi causale del rapporto.
4. Deve escludersi pertanto, sulla base di tali premesse, che RA. avesse l’onere di proporre ricorso dinanzi alla commissione tributaria per ottenere il rimborso di quando versato (e dopo la restituzione della sorte capitale degli importi relativi ad interessi sulla stessa).
4.1. Sotto un primo profilo va qui ribadito che l’applicabilita’ della disposizione di cui al secondo comma dell’articolo 1127 c.c. deve formare oggetto di una specifica eccezione, nel caso di specie neppure genericamente dedotta: la ricorrente sul punto osserva che nel giudizio di primo grado aveva proposto tale questione almeno in punto di fatto: ma tale deduzione, del tutto generica, non e’ sufficiente ai fini dell’applicabilita’ della disposizione richiamata e della ammissibilita’ della censura (Cass. 5024/02, 7025/01, 4799/01).
4.2 Sotto altro concorrente profilo, questa volta con riferimento alla fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972articolo 38 bis, va sottolineato che mancando del tutto la accessorieta’ della garanzia, nessun rapporto diretto puo’ instaurarsi tra garante e amministrazione.
Per l’eventuale restituzione di somme versate a seguito di accertamento tributario successivamente annullato, il garante non e’ legittimato a proporre azione nei confronti dell’amministrazione finanziaria per l’eventuale rimborso (tale potendo essere solo l’intestatario della polizza) (Cass. 4966/92).
Quanto alla domanda proposta in via subordinata dalla ricorrente (di riconoscimento di HI. del diritto di essere manlevata dall’amministrazione finanziaria per le somme relative agli interessi richiesti da RA.) si rinvia a quanto esposto sub 6.
4.3 Da ultimo, si ricorda che la giurisprudenza di questa Corte e’ comunque ferma nel ritenere che il dovere di correttezza imposto al danneggiato dall’articolo 1227 c.c., comma 2 presuppone una attivita’ che avrebbe avuto il risultato certo di evitare o di ridurre il danno, ma non implica certo l’obbligo di iniziare una azione giudiziaria, non essendo il creditore tenuto ad una attivita’ gravosa o implicante rischi e spese (Cass. 21 aprile 1993 n. 4672).
5. Resta da dire in ordine alla dedotta transazione intervenuta tra le parti.
Le censure formulate sul punto dalla ricorrente sono tardive oltre che generiche. Non e’ riportato integralmente il testo della transazione il cui contenuto non sarebbe stato considerato dai giudici di appello.
La corte territoriale ha sottolineato, preliminarmente, che solo con l’atto di appello sarebbe stato prospettato questo nuovo tema di indagine.
Nonostante la novita’ della questione proposta, la corte ha voluto procedere comunque all’esame del contenuto dell’atto prodotto da RA. ed ha rilevato che lo stesso non costituiva rinunzia o transazione e non conteneva neppure una cessione “pro soluto” del credito vantato da HI. nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Si tratta, anche in questo caso, di accertamento logicamente motivato che sfugge a qualsiasi censura.
6. In ogni caso, secondo la ricorrente, i giudici di appello non avrebbero esaminato la domanda proposta da HI., sia pure in via subordinata, nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Le censure formulate con l’ultimo profilo del secondo motivo sono chiaramente inammissibili.
Gia’ il primo giudice aveva affermato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle domande avanzate da HI. nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
La pronuncia del Tribunale che aveva negato la giurisdizione del giudice ordinario in ordine a tale domanda non ha formato oggetto di impugnazione da parte di HI..
La societa’ si era, infatti, limitata a chiedere il rigetto dell’appello ed a ribadire la domanda subordinata di manleva nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della societa’ ricorrente al pagamento delle spese in favore delle due parti resistenti, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 6.100,00 (seimilacento/00), di cui 6.000,00 (seimila/00) per onorari di avvocato nei confronti della RA. e di euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00) nei confronti dell’Amministrazione Economia e Finanze e della Agenzia delle Entrate, per onorari di avvocato, oltre 100,00 (cento/00) euro per spese; oltre spese generali ed accessori di legge.