in tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa, la liquidazione del danno morale va necessariamente operata con criteri equitativi, il ricorso ai quali e’ insito nella natura del danno e nella funzione del risarcimento, realizzato mediante la dazione di una somma di denaro compensativa di un pregiudizio di tipo non economico

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 27 dicembre 2017, n. 30956

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7069/2016 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6816/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero appello nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultimo in qualita’ di titolare della (OMISSIS), avverso la sentenza n. 19316, depositata il 30 settembre 2010, con la quale il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda proposta dai (OMISSIS) e volta ad ottenere il risarcimento del danno previo accertamento incidentale dei reati di diffamazione e di offesa alla memoria del defunto principe (OMISSIS) – asseritamente subito dagli attori a seguito della pubblicazione dei libri ” (OMISSIS)” e ” (OMISSIS)” scritti da (OMISSIS) ed editi da (OMISSIS), titolare della (OMISSIS), caratterizzati da contenuti – a loro avviso – lesivi dell’onore e della reputazione del loro avo e della famiglia (OMISSIS) in generale.

Resistette al gravame la sola (OMISSIS), chiedendone il rigetto mentre il (OMISSIS), nella dedotta qualita’, resto’ contumace.

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 6816/2015, pubblicata il 10 dicembre 2015, accolse il gravame e, per l’effetto, in totale riforma dell’impugnata sentenza, condanno’ in solido gli appellati al pagamento, in favore degli appellanti, della somma di Euro 30.000,00, a titolo di risarcimento dei danni, nonche’ alle spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso la sentenza della Corte territoriale e nei confronti dei soli (OMISSIS), (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo, cui hanno resistito con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

La proposta del relatore e’ stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ex articolo 380 bis c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Con l’unico motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Omessa ovvero insufficiente motivazione (articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli articoli 2043 e 2059 c.c., nonche’ articolo 360 c.p.c., n. 5)”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto dimostrato il danno non patrimoniale ricorrendo alla prova presuntiva, senza che gli attori abbiano neppure tentato di dimostrare l’impossibilita’ di fornire specifica prova del danno.

2.1. Il motivo e’ inammissibile nella parte in cui denuncia “omessa o insufficiente motivazione”, cosi’ come indicato nella rubrica del motivo, senza che vi sia, peraltro, al riguardo specifica argomentazione nell’illustrazione del mezzo, evidenziandosi che, alla luce del testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, non e’ piu’ configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che

il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullita’ della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo articolo 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E cio’ in conformita’ al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la gia’ richiamata riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cosi’ come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, la ricorrente, lungi dal proporre doglianze nel rispetto del paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’articolo 360 del codice di rito, ripropone, come del resto chiaramente indicato nella rubrica del motivo all’esame, inammissibilmente lo stesso schema censorio del n. 5 nella sua precedente formulazione, inapplicabile come gia’ sopra evidenziato – al caso di specie.

2.2. Il motivo e’, invece, infondato in relazione alle censure veicolate ex articolo 360 c.p.c., comma 1.

Si osserva che, secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, al quale va data continuita’ in questa sede, il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, non e’ in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento (Cass., ord., 24/09/2013, n. 21865) prova che puo’ essere data anche a mezzo di presunzioni semplici (v. Cass. 14/05/2012, n. 7471; Cass. 18/11/2014, n. 24474, Cass. 31/07/2015, n. 16222).

A quanto precede deve aggiungersi che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito puo’ attribuire rilevanza anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti piu’ idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta, pertanto, al giudice di merito valutare l’opportunita’ di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimita’ (Cass. 11/05/2007, n. 10847; Cass. 2/04/2009, n. 8023; Cass. 6/06/2012, n. 9108; v. anche Cass., ord., 8/01/2015, n. 101).

Inoltre, questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che, in tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa, la liquidazione del danno morale va necessariamente operata con criteri equitativi, il ricorso ai quali e’ insito nella natura del danno e nella funzione del risarcimento, realizzato mediante la dazione di una somma di denaro compensativa di un pregiudizio di tipo non economico (Cass. 5/12/2014, n. 25739; v. anche Cass. 16/07/2002, n. 10268, secondo cui la liquidazione del danno morale conseguente alla lesione dell’onore o della reputazione e’ rimessa alla valutazione equitativa del giudice).

Nel caso di specie la Corte di merito ha affermato che i fatti narrati nei libri oggetto di causa e riportati a p. 6 della sentenza impugnata “denunciano condotte turpi oltre che illecite attribuite al principe (OMISSIS), e pertanto gravemente infamanti per la memoria dell’asserito autore di tali nefandezze e lesive del decoro e del prestigio di tutta la famiglia”, che “i fatti riferiti dalla (OMISSIS), oltre che di dubbio interesse pubblico, sono rimasti a livello di mera enunciazione non essendo stato indicato dalla scrittrice alcun elemento, sia pure indiziariamente valutabile, a sostegno delle gravi accuse formulate ed espresse anche senza rispetto del limite della continenza”, che gli epiteti utilizzati con riferimento al principe (OMISSIS), di per se’ dotati di efficacia lesiva e travalicanti i requisiti minimi di forma che devono caratterizzare l’esercizio del diritto di critica, “pur se specificamente riferiti a persona ormai defunta, determinando il travisamento dell’identita’ personale e dei tratti salienti di essa, esplicano pregiudizievoli riflessi sul decoro degli eredi a causa della falsa raffiguraZione delle qualita’ morali del comune ascendente di questi ultimi” e che, tenuto conto delle considerazioni appena riferite e “in assenza di un interesse pubblico alla conoscenza di vicende di carattere del tutto personale e familiare, le storie “vere” narrate nei due libri sono da ritenere senza alcun dubbio diffamatorie della memoria del principe (OMISSIS) infangando la dignita’ della famiglia intera, con conseguente lesione dell’integrita’ morale di cui devono rispondere… l’autrice dei due libri e l’editore che ha diffuso le pubblicazioni”.

La medesima Corte, precisato che, trattandosi di danno conseguenza, il danno morale non puo’ ritenersi danno in re ipsa ma va allegato e dimostrato anche con il ricorso alla prova presuntiva, ove non sia possibile fornire prova specifica dello stesso, ha affermato che “la prova del pregiudizio subito puo’ agevolmente desumersi sulla base dei presumibili effetti negativi che i libri in questione erano idonei a produrre sugli attori per effetto della divulgazione delle disonorevoli quanto indimostrate condotte attribuite ad un illustre rappresentante di una famiglia notoriamente nobile, antica e prestigiosa come quella romana dei (OMISSIS)” e ha ritenuto che “il pubblico disdoro correlato alla divulgazione dell’immagine di un ascendente degli attori raffigurato come persona dedita a commettere stupri ed incesti, come in fin dei conti si sostiene nei divulgati scritti, abbia prodotto, secondo un criterio di normalita’, una particolare sofferenza morale nei soggetti lesi” ed ha, infine, precisato che “la natura stessa del danno impone una liquidazione mediante criteri equitativi che devono tener conto, da un lato, della gravita’ degli addebiti mossi all’ascendente degli attori e del conseguente disonore derivato alle persone degli eredi, dall’altro della mancata allegazione di elementi per valutare l’effettiva diffusione dei due libri, che puo’ comunque ritenersi ben modesta risultando editi da una casa editrice di livello locale”.

Cosi’ motivatamente decidendo, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati.

3. Il ricorso va, pertanto, conclusivamente rigettato.

4. Le spese del presente giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.