Corte di Cassazione, Sezione 6 1 civile Ordinanza 5 dicembre 2017, n. 29000

in caso di domanda di ripetizione di indebito oggettivo l’onere della prova grava sul creditore istante, il quale e’ tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, e quindi sia l’avvenuto pagamento, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass. 13 novembre 2003, n. 17146; sull’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento, ad es.: Cass. 14 maggio 2012, n. 7501; Cass. 10 novembre 2010, n. 22872): spettava pertanto al ricorrente documentare, attraverso gli estratti conto, gli addebiti illegittimamente attuati in suo danno e le somme indebitamente riscosse dalla banca in dipendenza di essi.

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Corte di Cassazione, Sezione 6 1 civile Ordinanza 5 dicembre 2017, n. 29000

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29484-2016 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1081/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 25/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/10/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n.136/2016 del Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 27 maggio 2005 (OMISSIS) evocava in giudizio la (OMISSIS) s.p.a. domandando l’accertamento della nullita’ parziale del contratto di apertura di credito in conto corrente da lui concluso con il predetto istituto di credito con riferimento alle clausole aventi ad oggetto la misura degli interessi, la capitalizzazione trimestrale, la commissione di massimo scoperto, le valute, nonche’ le competenze e remunerazioni a carico del correntista; l’istante chiedeva, altresi’, la rideterminazione del saldo finale e la condanna della banca alla restituzione degli importi indebitamente percepiti.

Nella resistenza dell’istituto di credito il Tribunale di Crotone accoglieva la domanda e condannava la parte convenuta alla corresponsione della somma di Euro 28.765,62, oltre interessi legali.

2. – La pronuncia era riformata dalla Corte di appello di Catanzaro, la quale, con sentenza 5 giugno 2016, accoglieva il gravame e rigettava la domanda proposta dal correntista.

3. – A quest’ultima decisione (OMISSIS) oppone un ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Resiste con controricorso alla (OMISSIS). Sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I tre motivi sui cui il ricorrente fonda il ricorso possono riassumersi come segue.

1.1. – Primo motivo: nullita’ della sentenza o del procedimento per violazione degli articoli 324, 329, 342 e 346 c.p.c.. L’istante lamenta la violazione del giudicato che si sarebbe formato sulle statuizioni di primo grado non espressamente impugnate dalla banca: in particolare deduce essere divenuto irretrattabile l’accertamento della nullita’ della clausola che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi. Assume, in particolare, l’istante che “la genericita’ dei motivi di appello correlati alle statuizioni precise, chiare e concise della sentenza di primo grado (…) unitamente alla omessa riproposizione delle eccezioni istruttorie sulla produzione degli estratti conto bancari e sull’ammissione della c.t.u. contabile, palesano pacifica e tacita acquiescenza su tali questioni, in particolare sulla statuizione di nullita’ della capitalizzazione trimestrale degli interessi”. La Corte di merito, secondo il ricorrente, non aveva inteso riscontrare il vizio di inammissibilita’ dell’appello da lui denunciato e aveva in conseguenza deciso su questioni non impugnate specificamente da controparte, come la nullita’ della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e l’ammissione della consulenza tecnica per il calcolo delle somme da restituire.

1.2. – Secondo motivo: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. La sentenza impugnata viene censurata in quanto la Corte di appello avrebbe omesso di esaminare il dato della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi operata dalla banca nel periodo ricompreso tra il 3 gennaio 1993 e il 18 aprile 2005: capitalizzazione che era stata accertata in prime cure dal Tribunale. Risultava conseguentemente impropria, ad avviso del ricorrente, l’affermazione formulata dalla Corte di merito quanto alla inapplicabilita’ dei criteri suppletivi di cui all’articolo 117, comma 4, t.u.b. (Decreto Legislativo n. 385 del 1993): infatti, il giudice di primo grado non aveva operato la rideterminazione degli interessi debitori, ma aveva accertato la nullita’ della clausola anatocistica. Aggiunge l’istante che l’omessa valutazione del contratto di conto corrente e della richiamata clausola aveva inciso sulla motivazione della sentenza impugnata, che risultava essere “nulla, incoerente e illogica”.

1.3. – Terzo motivo: violazione o falsa applicazione dell’articolo 1283 c.c.. Assume il ricorrente che una volta acquisito il contratto di conto corrente che conteneva la disposizione afferente la capitalizzazione trimestrale degli interessi, andava ammessa una consulenza tecnica contabile al fine di rideterminare i rapporti di dare e avere tra le parti al netto degli interessi anatocistici. In tal senso, il giudice di appello si era discostato dagli insegnamenti di cui alla sentenza n. 24418/2010 delle Sezioni Unite di questa Corte.

2. – I tre motivi si prestano a una trattazione congiunta e risultano essere infondati.

La Corte di appello ha rigettato la domanda restitutoria dell’odierno ricorrente rilevando che quest’ultimo aveva mancato di produrre tempestivamente gli estratti conto, i quali erano stati trasmessi al consulente tecnico dopo che erano spirati i termini di cui all’articolo 184 c.p.c.. Secondo il giudice distrettuale, il ricorrente, quale attore in ripetizione, era del resto tenuto ad allegare e provare l’ammontare esatto delle somme che assumeva essere state indebitamente riscosse dalla banca, nonche’ l’inesistenza della causa giustificativa del pagamento.

Ora, in caso di domanda di ripetizione di indebito oggettivo l’onere della prova grava sul creditore istante, il quale e’ tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, e quindi sia l’avvenuto pagamento, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass. 13 novembre 2003, n. 17146; sull’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento, ad es.: Cass. 14 maggio 2012, n. 7501; Cass. 10 novembre 2010, n. 22872): spettava pertanto al ricorrente documentare, attraverso gli estratti conto, gli addebiti illegittimamente attuati in suo danno e le somme indebitamente riscosse dalla banca in dipendenza di essi.

Alla luce di cio’, le deduzioni del ricorrente vertenti sulla mancata valorizzazione, da parte della Corte di merito, della nullita’ della clausola anatocistica, non colgono evidentemente nel segno. La questione sollevata con tali deduzioni risulta essere infatti priva di decisivita’, giacche’ la domanda di ripetizione non avrebbe potuto essere comunque accolta, in mancanza di riscontri ritualmente acquisiti quanto alla materiale percezione di interessi anatocistici da parte della controcorrente. Pure non rilevante e’, del resto, la censura vertente sulla asserita erroneita’ del richiamo, da parte della Corte di appello, alla non operativita’ dei criteri suppletivi previsti dall’articolo 117 t.u.b. per l’ipotesi di mancata determinazione della misura dell’interesse (misura che la sentenza impugnata ha ritenuto convenuta contrattualmente, ritenendo cosi’ inoperante l’eterointegrazione disciplinata dal cit. articolo 117, comma 7). Sul punto, l’istante ha opposto che il Tribunale non avesse rideterminato la misura degli interessi passivi: ma – a prescindere dal rilievo per cui la Corte di merito ha inteso giustamente evidenziare come il conteggio elaborato dal consulente tecnico (il quale si basava sull’applicazione dei tassi sostitutivi) non potesse essere recepito (essendo stato specificamente convenuto, come si e’ detto, il tasso debitore) – appare comunque assorbente, nell’economia della decisione impugnata, il dato della mancata documentazione degli indebiti pagamenti, giacche’ in ragione di tale situazione processuale la domanda di ripetizione non poteva avere fondamento.

Quanto, poi, all’assunto per cui la banca non avrebbe riproposto, in appello, le proprie eccezioni in ordine ad una tale carenza probatoria, e’ sufficiente osservare che e’ la stessa sentenza impugnata (a pagg. 5 s.) a dar conto di come l’odierna controricorrente avesse dedotto, nel proprio atto di appello, che l’attore non aveva assolto all’onere che a lui faceva capo e che “del tutto inammissibilmente era stata disposta c.t.u. per colmare le lacune probatorie incombenti sull’attore”.

3. – Il ricorso va dunque respinto.

4. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in 5.000,00 per compensi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in 100,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.