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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 4 gennaio 2018, n. 80

in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformita’ ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’articolo 1667 c.c., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorche’ il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, essendosi altresi’ precisato (cfr. Cass. n. 19146/2013) che l’accettazione dell’opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell’onere della prova, nel senso che, fino a quando l’opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente e’ sufficiente la mera allegazione dell’esistenza dei vizi, gravando sull’appaltatore l’onere di provare di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, mentre, una volta che l’opera sia stata positivamente verificata, anche “per facta concludentia”, spetta al committente, che l’ha accettata e che ne ha la disponibilita’ fisica e giuridica, dimostrare l’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, giacche’ l’articolo 1667 c.c., indica nel medesimo committente la parte gravata dall’onere della prova di tempestiva denuncia dei vizi ed essendo questo risultato ermeneutico in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova.


Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 4 gennaio 2018, n. 80

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1601-2012 proposto da:

(OMISSIS) s.n.c., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3561/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata l’8/9/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per il ricorrente.

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata il 20 maggio 1994, (OMISSIS) propose opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti da (OMISSIS) per crediti concernenti l’esecuzione di opere presso la sua abitazione.

L’opponente eccepi’ anzitutto la nullita’ della notificazione del decreto; dedusse poi l’infondatezza della pretesa creditoria nel merito, lamentando la presenza di vizi e difformita’ nelle opere e nel materiale utilizzato, e concluse per la revoca del decreto e la condanna dell’impresa appaltatrice in via riconvenzionale al risarcimento dei danni.

(OMISSIS) si costitui’ eccependo l’inammissibilita’ dell’opposizione in quanto tardiva e l’infondatezza delle ragioni di contestazione del credito.

Il Tribunale di Frosinone, dopo aver esperito consulenza onde accertare l’esatta consistenza e la regolare esecuzione dei lavori, dichiaro’ inammissibile l’opposizione per tardivita’.

La sentenza fu appellata dal (OMISSIS), il quale ripropose le stesse doglianze gia’ poste a fondamento dell’opposizione. L’impresa appaltatrice si costitui’ proponendo appello incidentale per l’accoglimento delle conclusioni di merito gia’ svolte in primo grado.

La Corte d’Appello di Roma accolse l’appello principale per quanto di ragione, revocando il decreto ingiuntivo; ridusse quindi, nel merito, l’ammontare del credito dell’impresa.

A fondamento della propria decisione, e ritenuta tempestiva l’opposizione, la Corte accerto’ anzitutto nel merito che a seguito della denunzia di vizi inviata all’impresa in corso d’opera ed al contenzioso che ne era insorto, il committente era receduto dal contratto intimando all’impresa l’immediata liberazione del cantiere per consentire la prosecuzione dei lavori, mentre quest’ultima aveva preteso il saldo del corrispettivo.

Quindi richiamo’ gli esiti della c.t.u. esperita in primo grado valutandoli unitamente alla cospicua corrispondenza intervenuta fra le parti ed alle riproduzioni fotografiche dei lavori contestati – per ricavarne l’entita’ del giusto corrispettivo per i lavori eseguiti dall’impresa, dal quale poi detrasse i costi relativi alle opere affette da vizi e l’importo pari agli esborsi effettuati dal committente per eseguire alcuni interventi emendativi.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) s.n.c. sulla base di un unico motivo.

Il (OMISSIS) ha depositato controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre dare atto che le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 10648/2017, si sono pronunziate sulla questione di massima importanza, in relazione alla quale questa Sezione con precedente ordinanza interlocutoria aveva rinviato la causa a nuovo ruolo, in attesa proprio dell’intervento delle Sezioni Unite.

In tal senso si e’ quindi affermato il principio per il quale in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilita’ di applicazione della sanzione della improcedibilita’, ex articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilita’ del giudice perche’ prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio.

Nella fattispecie, la copia notificata si rinviene nella stessa produzione del controricorrente, il che impedisce, alla luce di quanto affermato da questa Corte nella sua piu’ autorevole composizione, che possa pronunciarsi l’improcedibilita’ del ricorso.

2. Con l’unico motivo la ricorrente denunzia violazione di legge e vizio di motivazione lamentando l’integrale acquisizione dell’elaborato peritale redatto nel giudizio di primo grado da parte del giudice d’appello.

La societa’ evidenzia in proposito come lo stesso consulente avesse specificato in premessa che fra le parti non esisteva “un regolare, specifico e dettagliato contratto” cosi’ come “un progetto che indichi le opere da eseguirsi, la loro natura, quantita’ e qualita’ dei materiali da impiegare”, ne’ tantomeno “atti o documenti contabili…, od un computo metrico dettagliato dei lavori e della caratteristiche dei materiali impiegati”, ma unicamente “una scrittura privata… nella quale sono indicati alcuni lavori ed i relativi prezzi per la esecuzione”; sicche’, aveva proseguito l’ausiliario, ai lavori eseguiti – ed a quelli “contestati, gia’ demoliti e ricostruiti dal proprietario”-sarebbero stati applicati i prezzi di mercato ovvero quelli indicati nel tariffario della regione Lazio, mentre per la misurazione si sarebbero utilizzati gli atti di causa, fra i quali le fatture emesse dalla nuova impresa appaltatrice ed una relazione tecnica di parte prodotta dal committente.

Su tale base si duole poi del fatto che il consulente abbia attribuito determinati valori alle opere di emenda eseguite in proprio dal committente, con valutazione acriticamente recepita dalla corte d’appello; e che non sia stata adeguatamente accertata la sussistenza dei vizi lamentati dal committente – relativi ad opere gia’ sostituite da oltre un quinquennio al momento dell’effettuazione della consulenza applicando poi, ai fini di liquidare il valore dei relativi costi di eliminazione, documenti del tutto incongrui (quali la perizia di parte prodotta dal committente e le fatture emesse dalla nuova impresa, con costi esorbitanti ed assolutamente difformi da quelli originariamente pattuiti dalle parti).

Osserva, infine, che alle conclusioni tratte dal consulente egli aveva rivolto specifiche e dettagliate osservazioni, in ordine alle quali la Corte d’Appello aveva omesso di pronunziarsi (come gia’ il Tribunale, che tuttavia aveva arrestato la propria decisione ad una questione di rito).

Nella parte in cui deduce una violazione di legge il motivo appare inammissibile.

Esso non risulta infatti dedotto mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ne’ esplicita le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata in asserito contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, cosi’ come previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (in termini fra le altre Cass. n. 635/2015; Cass. n. 16132/2005).

Ma anche ove, con sforzo interpretativo volesse reputarsi che sia stata denunziata la violazione dell’articolo 2697 c.c., in punto di riparto dell’onere della prova, per essersi ravvisata l’esistenza dei vizi, sulla base delle sole risultanze della CTU, che in tal modo avrebbe surrettiziamente esentato il committente dall’onere di fornire la dimostrazione dell’esistenza e dell’entita’ dei vizi, valga il richiamo ai precedenti di questa Corte per i quali (cfr. Cass. n. 936/2010) in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformita’ ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’articolo 1667 c.c., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorche’ il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, essendosi altresi’ precisato (cfr. Cass. n. 19146/2013) che l’accettazione dell’opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell’onere della prova, nel senso che, fino a quando l’opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente e’ sufficiente la mera allegazione dell’esistenza dei vizi, gravando sull’appaltatore l’onere di provare di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, mentre, una volta che l’opera sia stata positivamente verificata, anche “per facta concludentia”, spetta al committente, che l’ha accettata e che ne ha la disponibilita’ fisica e giuridica, dimostrare l’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, giacche’ l’articolo 1667 c.c., indica nel medesimo committente la parte gravata dall’onere della prova di tempestiva denuncia dei vizi ed essendo questo risultato ermeneutico in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova.

Ne consegue che nel caso di specie, in assenza di un’accettazione dell’opera da parte del committente, a fronte dell’allegazione del (OMISSIS) della presenza di vizi realizzativi, era appunto onere dell’appaltatore dimostrare invece la corretta esecuzione dell’opera.

Peraltro, anche laddove si volesse attribuire rilevanza alla censurata valutazione della consulenza tecnica perche’ “non mezzo di prova”, va osservato che la Corte d’Appello di Roma ha espressamente indicato, quali fonti di prova dei vizi delle opere appaltate, “la cospicua corrispondenza tra le parti inerente le contestazioni circa i ritardi e la cattiva esecuzione dei lavori” nonche’ “allegazioni fotografiche atte a dimostrare le controverse modalita’ esecutive dei lavori appaltati”, specificando poi che la consulenza ammessa costituiva l’indispensabile strumento tecnico ausiliario per interpretare l’andamento dei lavori, la fondatezza delle contestazioni e la quantificazione delle reciproche pretese (cfr. pag. 3).

Cosi’ facendo, la Corte ha fatto buon governo del principio secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio non e’ un mezzo di prova in senso proprio ma ha la finalita’ di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze tecniche (cfr. fra le numerose altre Cass. n. 10202/2008; Cass. n. 3881/2006; Cass. n. 3191/2006).

Nella parte in cui denuncia un vizio di motivazione il motivo si sostanzia nella denunzia di omessa pronuncia sulle censure tecnico – valutative mosse dalla ricorrente avverso le determinazioni di egual natura del consulente tecnico.

Tali censure (tutte articolate e riportate per intero nel testo del ricorso) concernevano, essenzialmente, la stima del valore di alcune opere e la liquidazione di spese di ripristino (per importi poi tutti riconosciuti al committente e decurtati dal residuo corrispettivo), che la ricorrente ha contestato in quanto fondate su valori puramente ipotetici, richiamati a notevole distanza di tempo, ovvero su documentazione incongrua e sprovvista del minimo supporto probatorio.

In merito a tale profilo di doglianza, e’ noto che e’ consentito alla parte di contestare in appello le valutazioni tecniche del consulente acquisite nel giudizio di primo grado; e che il giudice, se non ha l’obbligo di motivare il diniego che puo’ essere anche implicito, e’ tuttavia tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata, sicche’ l’omesso esame di tali censure (con annesso rigetto dell’istanza di rinnovazione o di convocazione a chiarimenti del consulente) integra un vizio di motivazione (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 5339 del 18/03/2015).

Ed ancora, e’ noto che allorche’ ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate, il giudice che intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni dell’ausiliario, ove non risulti che questi a sua volta si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte, incorrendo, in tal caso, nel vizio di motivazione deducibile in sede di legittimita’ ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (cfr. Cass. n. 25862/2011; Cass. n. 10688/2008).

Nel caso di specie, la sentenza d’appello e’ priva del minimo riferimento alle pur dettagliate osservazioni critiche formulate dall’odierna ricorrente quanto alla lamentata discrasia tra l’importo delle fatture emesse dalla ditta terza incaricata di eseguire i lavori di rifacimento della pavimentazione del terrazzo e quanto invece indicato dallo stesso CTP del committente che indica un importo significativamente piu’ basso di quello ricavabile dalle fatture.

In punto ai richiamati profili di censura, infatti, la corte non svolge alcuna considerazione, limitandosi a riportare i valori stimati dal consulente, e cio’ quantunque si trattasse di profili decisivi per l’esito della controversia, perche’ essendo accertati tanto la debenza del corrispettivo da parte del committente quanto l’obbligo dell’appaltatrice di prestare la dovuta garanzia per i vizi dell’opera, il nucleo della decisione si sostanziava proprio nella quantificazione delle rispettive prestazioni, cui in effetti la corte romana e’ poi addivenuta.

Ne’, peraltro, puo’ ritenersi al riguardo esaustivo il richiamo operato dalla corte alle risultanze probatorie (le allegazioni fotografiche e la “cospicua corrispondenza”), che non offrono alcun elemento chiarificatore in tal senso per la loro genericita’. Il motivo di ricorso appare pertanto fondato e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma;

Si da’ atto che la sentenza e’ stata redatta con la collaborazione dell’Assistente di Studio Dott. Francesco Cortesi.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.