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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 7 febbraio 2018, n. 2957
rientrano nella competenza per materia del giudice di pace tutte le controversie nelle quali siano in discussione i limiti quantitativi e qualitativi dell’esercizio delle facolta’ spettanti ai condomini, restando escluse solo quelle nelle quali si controverta circa l’esistenza (o l’inesistenza) del diritto stesso di usare le cose comuni per determinati fini. In tal senso, mentre ad es. e’ stata affermata la competenza del tribunale a conoscere della controversia avente ad oggetto la sussistenza o meno d’un divieto di far un determinato uso di spazi comuni, asseritamente imposto dal regolamento di condominio (Cass. n. 7547 del 31/03/2011), e’ stata ritenuta rientrare nella competenza per materia del giudice di pace la lite sulle modalita’ d’uso dell’area condominiale, come quando si discuta se essa sia utilizzabile per una determinata finalita’ (Cass. n. 21910 del 27/10/2015 relativa alla collocazione di tavolini e sedie). Nel caso di specie, si verte in una fattispecie della seconda tipologia, avendo le due delibere impugnate a oggetto il divieto di fare solo determinati usi di aree comuni.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1953-2014 proposto da:
CONDOMINIO di (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso la Sig.ra (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2422/2013 del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata il 30/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2017 dal Consigliere RAFFAELE SABATO.
RILEVATO
che:
1. Con ricorso al giudice di pace di Cagliari depositato in data 18 giugno 2010 (OMISSIS) e (OMISSIS), condomini dello stabile sito in (OMISSIS), hanno impugnato la Delib. assembleare 21 maggio 2010 con cui era stato stabilito che le aiuole e spazi verdi condominiali dovessero essere lasciati liberi da qualsiasi ingombro, a seguito della quale l’amministratrice aveva provveduto autonomamente a rimuovere i vasi e le piante del signor (OMISSIS) ivi collocate.
2. Alla prima udienza, svoltasi in data 05/11/2010, e’ stata dichiarata la contumacia del condominio, costituitosi nel corso dell’udienza seguente in data 17/12/2010.
4. Con ulteriore ricorso depositato in data 15/10/2010 i predetti condomini hanno impugnato la successiva delibera assembleare del 06/09/2010, con cui sono stati determinati il divieto di utilizzare le aiuole condominiali per piantarvi essenze vegetali, di deporre vasi o materiali sugli spazi comuni e nei pressi di taluni pilastri, nonche’ la recisione della pianta rampicante collocata nell’aiuola condominiale a ornamento del balcone del signor (OMISSIS); con la delibera e’ stata altresi’ decisa la conclusione di una transazione di una causa.
5. Con sentenza depositata il 20/02/2012 il giudice di pace ha dichiarato la propria incompetenza ai sensi dell’articolo 7 c.p.c., comma 3, fissando termine per la riassunzione dinanzi al tribunale di Cagliari.
4. I signori (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno impugnato la decisione con appello al tribunale di Cagliari, sostenendo, sulla resistenza del condominio:
a) l’inammissibilita’ dell’eccezione d’incompetenza sollevata nel giudizio di primo grado, in quanto tardiva, essendo stata proposta l’eccezione e rilevata l’incompetenza oltre la prima udienza, in violazione degli articolo 38 e 311 c.p.c.;
b) l’infondatezza dell’eccezione medesima, sia con riferimento alla materia, essendo nel caso di specie in contestazione non la titolarita’ del diritto di proprieta’ sulle parti comuni, ma la liceita’ o meno delle limitazioni imposte dall’assemblea al diritto di godimento delle cose comuni da parte dei condomini, sia con riferimento al valore, avendo gli appellanti indicato il medesimo in una somma inferiore a Euro 5.000.
6. Il tribunale di Cagliari con sentenza depositata il 30/07/2013 ha accolto l’appello, affermando l’erroneita’ della decisione di primo grado quanto al diniego della competenza, giacche’ la relativa questione era preclusa non essendo stata l’incompetenza tempestivamente eccepita dal convenuto, ne’ rilevata d’ufficio dal giudice. Nel merito ha ritenuto comunque sussistente la competenza del giudice di pace per materia (rientrando l’oggetto delle delibere assembleari nella previsione ex articolo 7 c.p.c., comma 4, n. 2)) e per valore (essendo preclusa la questione per mancato appello incidentale quanto alla Delib. 6 settembre 2010 e, quanto al petitum risarcitorio, avendo gli attori indicato il valore della controversia in una somma inferiore a Euro 5000). Ha dichiarato infine fondato l’appello nel merito, disponendo l’annullamento delle Delib. 21 maggio 2010 e Delib. 6 settembre 2010 siccome contrastanti con gli articoli 1102 e 1136 c.c., quanto rispettivamente alle decisioni concernenti l’uso delle aiuole e spazi comuni nonche’ la transazione della lite in assenza di maggioranza ove non poteva comprendersi il voto del signor (OMISSIS), e condannando il condominio al risarcimento dei danni per Euro 849,29 nei confronti del signor Sa battini per la rimozione e distruzione delle piante di sua proprieta’, oltreche’ alla somma, equitativamente determinata, di Euro 3.000, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
7. – Avverso la predetta decisione il condominio ha proposto ricorso per cassazione, articolato su cinque motivi e illustrato da memoria. Hanno resistito i signori (OMISSIS) e (OMISSIS) con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo il condominio deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione all’articolo 38 c.p.c., articolo 167 c.p.c., commi 1 e 2, articoli 311 e 320 c.p.c., sostanzialmente lamentando l’erroneita’ della statuizione del tribunale in ordine alla preclusione del rilievo dell’incompetenza, essendo stato esso tempestivo in quanto come prima udienza deve intendersi quella di prima effettiva trattazione alla quale si era costituito il condominio, non anche la precedente udienza di mero rinvio. Con il secondo motivo il condominio deduce poi violazione delle norme sulla competenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 2), in relazione all’articolo 7 c.p.c., lamentando sussistere l’incompetenza per materia del giudice di pace, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, non derivando dalle delibere adottate – quanto ai divieti e loro attuazione – una mera limitazione del diritto sulle parti comuni (come si confa’ alle controversie in materia di modalita’ o misura dell’uso dei servizi condominiali attribuite al giudice di pace) ma una radicale negazione di esso, con competenza del tribunale. Con il terzo motivo il condominio reitera la doglianza di cui al secondo, stavolta in relazione agli articoli 7 e 10 c.p.c., lamentando avere errato il tribunale, oltre che il riferimento normativo per fissare la competenza per valore, anche la qualificazione della domanda, di natura risarcitoria indeterminabile, per la cui limitazione non poteva valere la dichiarazione di valore di cui alla corresponsione del contributo unificato, avente mera valenza fiscale.
2. I tre motivi sono strettamente connessi; il secondo e’ infondato e il terzo e’ inammissibile, per cui il loro esser disattesi determina l’assorbimento del primo, concernente una ratio alternativa di decisione costituita dalla preclusione delle questioni di incompetenza.
3. In ordine al secondo motivo va data continuita’ alla giurisprudenza di questa corte, per la quale rientrano nella competenza per materia del giudice di pace tutte le controversie nelle quali siano in discussione i limiti quantitativi e qualitativi dell’esercizio delle facolta’ spettanti ai condomini, restando escluse solo quelle nelle quali si controverta circa l’esistenza (o l’inesistenza) del diritto stesso di usare le cose comuni per determinati fini. In tal senso, mentre ad es. e’ stata affermata la competenza del tribunale a conoscere della controversia avente ad oggetto la sussistenza o meno d’un divieto di far un determinato uso di spazi comuni, asseritamente imposto dal regolamento di condominio (Cass. n. 7547 del 31/03/2011), e’ stata ritenuta rientrare nella competenza per materia del giudice di pace la lite sulle modalita’ d’uso dell’area condominiale, come quando si discuta se essa sia utilizzabile per una determinata finalita’ (Cass. n. 21910 del 27/10/2015 relativa alla collocazione di tavolini e sedie). Nel caso di specie, si verte in una fattispecie della seconda tipologia, avendo le due delibere impugnate a oggetto il divieto di fare solo determinati usi di aree comuni.
4. In ordine al terzo motivo, poi, deve rilevarsi come, a sostegno dell’affermazione della competenza per valore del giudice di pace sulla domanda risarcitoria, la sentenza impugnata abbia posto due diverse rationes decidendi: una, oggetto del motivo, per la quale la parte avrebbe indicato a fini fiscali il valore inferiore a Euro 5.000, l’altra, sostanzialmente non impugnata (se non per stigmatizzare che la norma citata era quella dell’articolo 14 e non dell’articolo 7 c.p.c.), per cui “in mancanza di indicazione o dichiarazione la causa si presume di competenza del giudice adito” (cosi’ articolo 14 c.p.c., comma 1). Tale seconda ratio non essendo stata contestata, il motivo riguardante la sola ratio concorrente e’ inammissibile (cfr. ad es. Cass. n. 9752 del 18/04/2017).
5. E’ infondato, poi, il quarto motivo (indicato, per evidente refuso, con la lettera c) dopo che anche il precedente era indicato con la stessa lettera); con esso il condominio lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione all’articolo 1102 c.c., contestando che – nella parte in cui la sentenza impugnata ha statuito che regolamentare l’uso delle parti comuni vietando l’apposizione di vasi, essenze vegetali, materiali per il giardinaggio ecc. svilirebbe a tal punto il diritto di comunione sulle parti comuni da impedire l’uso di tutti i partecipanti su esse – vi sia stata affermazione di una regula iuris difforme da quella contemplata dalla citata disposizione.
6. In argomento, va premesso che la decisione del tribunale appare in continuita’ con la giurisprudenza di questa corte (v. Cass. n. 27233 del 04/12/2013) per cui l’articolo 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante puo’ servirsi della cosa comune purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile; ne consegue che, i suddetti limiti possono essere resi piu’ rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge (fermo restando che non e’ consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni).
Nel caso di specie, l’affermazione del tribunale, secondo la quale sarebbero illegittime (il tribunale adopera la categoria della nullita’, cio’ che non rileva ai fini dell’impugnazione – ma cfr. Cass. sez. U n. 4806 del 07/03/2005) le delibere in questione in quanto impedirebbero ai singoli condomini di porre proprie piante a dimora nelle aiuole comuni (con rimozioni di arbusti privati), ravvisando nelle delibere un intento emulativo e un abuso di maggioranza, con statuizione secondo cui sarebbe la piantumazione in questione espressione del diritto di ciascun condomino di migliorare l’uso delle aiuole ex articolo 1102 c.c., non contrasta con la retta interpretazione di questa norma, pur essendo eventualmente opinabile nel merito. In tal senso, sotto la veste di impugnazione per violazione di legge, il motivo si traduce in una istanza di riesame dell’apprezzamento fattuale operato dal tribunale, inesigibile da questa corte di legittimita’ al di fuori del sindacato sulla motivazione (oggi ridotto al “minimo costituzionale” dell'”omesso esame” di cui al testo del riformato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile alla presente controversia ratione temporis).
7. Analogamente, stante il mancato accoglimento dei precedenti motivi, va rigettato il quinto – con cui e’ stata dedotta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) (sic), in relazione all’articolo 96 c.p.c., comma 3 – in quanto non sussisterebbe alcuna temerarieta’ nelle posizioni del condominio, peraltro vittorioso in prime cure.
In argomento, va data continuita’ alla giurisprudenza di questa corte (cfr. Cass. 29 settembre 2016 n. 19285) secondo cui l’articolo 96 c.p.c., comma 3, nel testo introdotto con la L. 18 giugno 2009, n. 69 che consente al giudice – anche d’ufficio – di condannare il soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata, configura una responsabilita’ “non risarcitoria (o, comunque, non esclusivamente tale) e, piu’ propriamente, sanzionatoria, con finalita’ deflattive” (cosi’ Corte Cost. n. 152 del 2016, richiamata anche da Cass. sez. U n. 16601 del 5 Luglio 2017), presupponendo comunque la mala fede o colpa grave della parte soccombente (cfr. Cass. n. 3003 del 11/02/2014).
Rispetto alla regula iuris in parola non si pone in contrasto la sentenza impugnata, che del resto viene contestata in quanto non sussisterebbe, ad avviso del ricorrente, la colpa grave nell’agire in giudizio, visto anche l’esito favorevole del giudizio di prime cure. Emerge dunque evidente, come per il precedente motivo, che anche in questo caso il ricorrente, apparentemente deducendo una violazione di legge, in effetti sollecita un riesame di merito circa il sussistere o il non sussistere in concreto del presupposto soggettivo per l’applicabilita’ della sanzione, cio’ che e’ precluso in sede di legittimita’. Cio’ posto, solo per completezza puo’ ricordarsi che non rileva ai fini anzidetti il fatto che, in primo grado, l’odierno ricorrente soccombente in appello fosse stato vittorioso (peraltro su profili processuali): come precisato ad es. da Cass. n. 11917 del 07/08/2002 presupposto della condanna al risarcimento dei danni ex articolo 96 c.p.c., disciplina oggi completata dalla sanzione del comma 3 che ne condivide il presupposto stesso, e’ la totale soccombenza, che va considerata in relazione all’esito del giudizio in cui viene pronunciata la condanna, senza che si debbano considerare gli esiti dei precedenti gradi di giudizio.
8. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza. Trattandosi di ricorso notificato dopo il 30/01/2013, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 cit., comma 1 bis.
P.Q.M.
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 1.500 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 cit., comma 1 bis.