Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 6 ottobre 2011, n. 20484

Quando, nel corso dell’esecuzione del contratto d’appalto, il committente abbia richiesto all’appaltatore notevoli ed importanti variazioni del progetto, il termine di consegna e la penale per il ritardo, pattuiti nel contratto, vengono meno per effetto del mutamento dell’originario piano dei lavori; perché la penale conservi efficacia, occorre che le parti di comune accordo fissino un nuovo termine. In mancanza, incombe al committente, che persegua il risarcimento del danno da ritardata consegna dell’opera, l’onere di fornire la prova della colpa dell’appaltatore.

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con partilare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 6 ottobre 2011, n. 20484

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 32247/05 ) proposto da:

CO. An. , in proprio e quale legale rappresentante della CA. HO. s.r.l., rappresentato e difeso dagli Avv.ti BERTI DE MARINIS Giampietro e Angelo Torrelli del foro di L’Aquila, in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Prof. Maria Claudia Ioannucci in Roma, via Maria Adelaide n. 12;

– ricorrente –

contro

AN. Fu. , in proprio e quale socio accomandatario e legale rappresentante della CO. AN. s.a.s. di AN. FU. & C, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Prof. MOSCARINI Lucio V. del foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Sesto Rufo n. 23;

– controricorrente –

nonche’ sul ricorso incidentale (R.G.N. 474/06) proposto dal controricorrente nei confronti del ricorrente e su quello incidentale (R.G.N. 4809/06) proposto dallo stesso controricorrente nell’ambito del ricorso principale, avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 924 depositata il 10 novembre 2004.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16 giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Giampietro Berti De Marinis e Angelo Torrelli, per parte ricorrente, e Lucio Valerio Moscarini, per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso – previa riunione dei ricorsi – per l’accoglimento del quarto, quinto e sesto motivo del ricorso An. , con assorbimento degli altri motivi anche del ricorso Ca. .

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, depositato avanti al Presidente del Tribunale di L’Aquila, la ditta AN. chiedeva ed otteneva – con ordinanza del 14.2.1991 – sequestro conservativo, sino alla concorrenza della somma di lire 1.000.000.000, in danno della CA. HO. s.r.l. e a garanzia delle proprie ragioni creditorie, di cui al contratto di appalto concluso fra le medesime parti in data (OMESSO), in virtu’ del quale la resistente le aveva commissionato la costruzione di un albergo in (OMESSO), localita’ (OMESSO).

Introdotto dall’ AN. il giudizio di merito, nel quale si costituiva il CO. , nella qualita’ di legale rappresentante della Ca. Ho. eccependo l’inadempienza contrattuale dell’appaltatore per vizi e difformita’ dell’opera realizzata, spiegando, altresi’, riconvenzionale, il Tribunale adito, con sentenza non definitiva del 13.1/22.2.1992, convalidava il sequestro conservativo autorizzato, decisione che veniva confermata anche dalla Corte di appello di L’Aquila avanti alla quale il CO. impugnava il provvedimento.

Acquisita la documentazione prodotta ed espletata c.t.u., anche in rinnovazione, il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, dichiarava la societa’ convenuta inadempiente in ordine agli obblighi assunti con il contratto di appalto del (OMESSO) e successive modifiche dei lavori, di cui alle due scritture private dell'(OMESSO) e (OMESSO) e per l’effetto la condannava al pagamento della complessiva somma di lire 493.722.000, respinta la riconvenzionale spiegata.

In virtu’ di rituale appello interposto dalla CA. HO. s.r.l. e dai CO. in proprio, la Corte di appello di L’Aquila, nella resistenza dell’impresa AN. , che proponeva appello incidentale, accoglieva l’appello principale e quello incidentate e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condannava AN. , in proprio e quale titolare della s.a.s., al pagamento in favore dell’appellante della somma di complessivi euro 309.683,00, oltre interessi, e il CO. , in proprio e quale rappresentante della Ca. Ho. a corrispondere alla controparte l’importo di euro 128.546,00, oltre ad interessi, dichiarando compensati i predetti crediti sino alla reciproca concorrenza, interamente compensate fra le parti le spese di lite. Con ordinanza ex articoli 287 e 288 c.p.c. l’importo dovuto dall’ AN. veniva corretto in euro 323.627,32, inficiata da mero errore di calcolo la somma originariamente indicata.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che erroneamente il giudice di prime cure aveva determinato il credito dell’impresa AN. per decimi di garanzia commisurandolo ai lavori risultanti dagli stati di avanzamento, andando, di converso, commisurato all’importo effettivamente dovuto come risultante dalla contabilizzazione finale, per cui all’originario importo di lire 245.000.000, veniva riconosciuto quello minore di lire 209.159.771.

Del pari erroneamente il giudice di prime cure aveva posto a carico della Ca. Ho. la somma di lire 112.950.000 per le riserve formulate dall’ AN. , di cui alla lettera racc. del 5.2.1991, ben oltre il termine previsto dall’articolo 15 del contratto (C.S.A.) e gli interessi fissati in lire 68.273.511 anziche’ in lire 33.733.117 sugli importi pagati in ritardo (come da supplemento di relazione del 19.1.1998). Riconosceva, inoltre, che il ritardo nella consegna dei lavori era imputabile all’ AN. per complessivi giorni 218, con conseguente condanna dello stesso alla corresponsione della penale di euro 22.518 (pari a lire 43.600.000), maggiorati dagli interessi e riconosceva – in parziale accoglimento della riconvenzionale spiegata per importi indebitamente corrisposti dalla committente – che l’appaltatore aveva ricevuto un importo maggiore rispetto a quanto spettante per euro 225.435,00, che pertanto doveva essere restituito. Quanto alla riconvenzionale spiegata in ordine ai vizi dell’opera, accertata la tempestivita’ della denuncia per quelli individuati dal c.t.u., nella relazione del 31.7.1996, di cui alle schede 30 e 31, ne calcolava l’ammontare in euro 61.730,00.

Aggiungeva, inoltre, che – in accoglimento dell’appello incidentale -gli interessi sulla somma spettante all’ AN. fossero da determinarsi sulla base del tasso convenzionale del 16,50%, di cui alla scrittura del (OMESSO), e con decorrenza dall'(OMESSO). Disponeva, infine, la compensazione dei crediti ex articolo 1243 c.c., sino a loro concorrenza.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di L’Aquila ha proposto ricorso per cassazione la CA. HO. , unitamente al CO. , che risulta articolato su tre motivi, al quale ha resistito l’ AN. , che ha anche proposto ricorso incidentale sviluppato su otto motivi, nonche’ ulteriore ricorso incidentale condizionato, con due motivi di doglianza, ai quali ha replicato parte ricorrente.

Ha presentato memoria illustrativa l’ AN. .

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarata la regolarita’ del contraddittorio instaurato dall’ AN. anche nei confronti del CO. sia con riferimento ai primi otto motivi del ricorso dello stesso An. , notificato alla CA. il 22.12.2005 (divenuto incidentale in quanto depositato successivamente alle controparti), sia quanto ai successivi due motivi di doglianza, di cui al ricorso incidentale condizionato, giacche’ ritualmente notificati al legale rappresentante della Ca. nella loro globalita’ con atto del (OMESSO). Infatti non si deve tenere conto dell’eccezione di inesistenza sollevata dal CO. sul punto, in quanto nella specie avrebbe comunque trovato applicazione la previsione di cui all’articolo 331 c.p.c., con obbligo per il collegio di ordinare l’integrazione del contraddittorio alla parte non raggiunta dall’atto.

Cio’ precisato, sempre in via preliminare vanno riuniti il ricorso principale e il ricorso incidentale, nonche’ l’ulteriore ricorso incidentale condizionato, a norma dell’articolo 335 c.p.c., in quanto attengono al medesimo provvedimento.

Passando ad esaminare il ricorso principale, con il primo motivo parte committente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1241 c.c., e segg., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, quanto ai capi uno, due e quattro della sentenza impugnata per avere il modus operandi della corte di merito, definito di compensazione postuma, sostanzialmente favorito l’appaltatrice avvantaggiata da un tasso di interesse convenzionale del 16,50%, mentre avrebbe dovuto applicare il criterio della c.d. compensazione impropria, con contestuale estinzione dei rispettivi debiti dall’epoca della loro coesistenza.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5, per contrasto fra motivazione e liquidazione del danno, giacche’ la corte di merito, nel conto finale, non avrebbe considerato l’importo di lire 43.910.800, pari ad euro 22,678,04, relativa al vizio determinato dalla mancata coibentazione delle pareti di cui alla scheda n. 29.

Con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere riconosciuto i vizi limitatamente a quelli definiti occulti, evidenziati in sede di c.t.u., dal momento che dalla stessa decisione emerge la tempestivita’ della denuncia, agli effetti della decadenza, dei vizi dell’opera sia in sede di verifica provvisoria del 7.9.1990 sia in sede di relazione finale della Decreto Legge in data 28.1.1991, atti entrambi svolti nel contraddittorio delle parti.

Quanto al primo ricorso incidentale presentato dalla appaltatrice, con il primo motivo si censura il difetto di motivazione circa la determinazione del valore complessivo dell’opera realizzata, che il giudice del gravame inopinatamente, condividendo le risultanze della perizia, ha determinato in un importo minore rispetto a quello risultante dalla Relazione finale sull’andamento dei lavori, per lire 2.286.469.570, anziche’ lire 2.848.223.773.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1665 c.c., nonche’ dell’articolo 1362 c.c., e segg., in relazione agli articoli 15 e 16 del Capitolato Speciale di Appalto e al contratto sottoscritto dalle parti l'(OMESSO), per avere il giudice di merito erroneamente valutato gli accordi, nonche’ la portata dell’articolo 1665 c.c., senza tenere conto del comportamento tenuto dalla Ca. assolutamente univoco nell’accettazione dell’opera senza esprimere alcuna riserva.

Con il terzo motivo l’appaltatrice insiste nella violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c., e segg., in relazione al contenuto dell’accordo intercorso tra le parti in data (OMESSO) e di quelli successivi, nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sui medesimi punti.

Con il quarto motivo l’appaltatrice censura la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e dell’articolo 324 c.p.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice distrettuale escluso l’esistenza di giudicati interni in relazione alle pronunce adottate in sede di procedimento cautelare.

Con il quinto motivo l’appaltatrice censura la violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale 11 dicembre 1978, nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente all’imposizione di penali per ritardo nella consegna dell’opera (ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), ritenendo illogico ed irrazionale il criterio di calcolo matematico utilizzato dal giudice distrettuale, anche in violazione del Decreto Ministeriale espressamente richiamato dalle parti nel contratto di appalto.

Con il sesto motivo il ricorrente incidentale deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c., e segg., in relazione all’interpretazione degli articoli 3, 4 e 15 del Capitolato Speciale di Appalto, nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la tardivita’

dell’iscrizione delle riserve da parte dell’appaltatrice, con conseguente decadenza dai corrispettivi relativi ai lavori in essi previsti. L’ An. denuncia il diverso atteggiamento mostrato da giudicante nel computo dei termini a seconda che essi fossero a favore della committente ovvero dell’appaltatrice.

Con il settimo motivo l’appaltatore denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1667 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui ha riconosciuto alla committente il diritto al risarcimento per vizi dell’opera.

Con l’ottavo ed ultimo motivo viene dedotta la violazione, sempre sotto il profilo dell’articolo 1362 c.c., e segg., e la illogica e contraddittoria motivazione relativamente al contenuto del negozio transattivo dell'(OMESSO) da cui risulta acclarato un certo debito in favore dell’appaltatore.

Passando all’esame dell’ulteriore ricorso incidentale presentato dall’ AN. , con il primo motivo l’appaltatore si duole della compensazione operata dalla Corte distrettuale, difettando i crediti reciprocamente vantati dalle parti dei requisiti della certezza e della liquidita’, oltre ad integrare la pronuncia la violazione degli articoli 112 e 345 c.p.c. non essendo stata richiesta dalle parti.

Con il secondo motivo l’ AN. denuncia la violazione del combinato disposto dell’articolo 2909 c.c. e articolo 324 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in materia di giudicato sostanziale, nonche’ violazione dell’articolo 345 c.p.c. vecchio testo e di ogni altra norma e principio in materia di jus novorum in appello con riferimento all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per avere la Corte di merito negato efficacia di giudicato, riconosciuta invece dal giudice di prime cure, all’accertamento relativo alla decadenza del committente dalla facolta’ di denunciare i vizi non occulti dell’opera realizzata.

E’ di tutta evidenza che vada in primo luogo esaminata la questione del giudicato interno che e’ pregiudiziale ad ogni altra in quanto delimita il thema decidendum di questa fase del giudizio, investendo direttamente il primo ricorso incidentale, in particolare il quarto motivo, ove espressamente viene dedotta l’eccezione, e la prima parte del secondo motivo del ricorso incidentale condizionato, nonche’ indirettamente quello principale.

Le riflessioni sulla esistenza o meno di un giudicato interno traggono il loro spunto dalla articolata vicenda processuale che ha riguardato la fattispecie, che ha avuto avvio proprio a seguito di deposito di ricorso ex articolo 671 c.p.c., ottenuto dall’intimato AN. ai danni della CA. HO. , misura cautelare sulla quale e’ intervenuta una sentenza di convalida separata dalla decisione di merito. Contro la sentenza di convalida del sequestro la CA. HO. ha proposto appello che e’ stato rigettato. La questione, dunque, attiene alla determinazione circa la decisivita’ delle pronunce adottate in sede di convalida.

L’articolo 671 c.p.c., dispone che il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, puo’ autorizzare il sequestro di beni del debitore. Condizione di ammissibilita’ del sequestro e’ dunque l’esistenza di una situazione di fatto che possa preludere ad una alterazione patrimoniale, capace di porre in questione la garanzia del soddisfacimento del credito prima offerta dal patrimonio del debitore.

Il giudizio di convalida previsto dagli articoli 680, 681 e 682 c.p.c., abrogati dalla riforma di cui alla Legge n. 353 del 1990, ma applicabili alla fattispecie in esame ratione temporis, era strutturato come un giudizio di cognizione ordinaria, oggetto del quale era l’accertamento delle condizioni dell’azione cautelare.

Per una prima e piu’ semplice osservazione il processo, nel quale vengono esercitate l’azione di merito e quella cautelare, e’ indubbiamente cumulativo di piu’ domande. Si puo’, altresi’, aggiungere che, nella specifica disciplina, la legge intendeva conseguire una pronuncia unitaria decisiva di tutte (v. articoli 680 e 681 c.p.c., abrogati). Del resto l’esistenza di questo principio era testimoniata dal carattere derogatorio della norma contenuta nell’articolo 682 c.p.c., che sotto l’intitolato “Decisione separata della convalida”, disponeva che “Nei casi previsti nell’articolo 680, e articolo 681, comma 2, il giudice istruttore, se la trattazione del merito richiede una lunga istruzione, puo’ disporre che le questioni relative alla convalida stano decise prima del merito”.

Assodato che una pronuncia sulla convalida era consentita prima della decisione di merito, benche’ la regola fosse per una contemporanea decisione, il problema si concentra nel determinare la relazione che tra le due sentenze viene a prospettarsi.

La sentenza con cui il collegio, investito della decisione delle questioni attinenti alla convalida, riservato il merito ad ulteriore istruttoria, si pronunzi sulle prime, convalidando il sequestro e rinviando per il merito, secondo consolidato orientamento di questa Corte, e’ sentenza che va ricondotta allo schema della sentenza non definitiva, preveduto dall’articolo 279 c.p.c., comma 2, n. 4 (v. Cass. 17 ottobre 1992 n. 11408).

Invero, quando la controversia di merito e’ di competenza del giudice civile ordinario, la convalida del sequestro si configurava come una delle questioni del giudizio di merito e non come una causa distinta da quella di merito (di una causa di convalida non e’ cenno nell’articolo 680 c.p.c., comma 2; di questioni attinenti alla convalida vi era per contro esplicito cenno nell’articolo 681 c.p.c., comma 1, e articolo 682 c.p.c., il giudice civile ordinario competente a conoscere del merito giudica della convalida anche se non aveva competenza ad autorizzare il sequestro, come si desumeva dal confronto tra l’articolo 680 c.p.c., comma 2, e articolo 681 c.p.c., comma 2, da un lato e l’articolo 672 c.p.c., comma 2, e articolo 673 c.p.c., comma 4, da altro lato, a proposito delle controversie rientranti nella competenza del conciliatore; non erano dettate norme di competenza a proposito della convalida, che andava chiesta al giudice davanti al quale pendeva la causa di merito o a quello cui era rivolta la domanda di merito e con questa).

Ne deriva che non era ipotizzabile nel caso una separazione della causa di merito da una causa di convalida, con conseguente attrazione della sentenza, che decideva le questioni attinenti alla convalida e non quelle attinenti al merito, allo schema della sentenza definitiva preveduto dall’articolo 279 c.p.c., comma 2, n. 5). In quanto non definisce il giudizio, la sentenza che ha deciso sulle sole questioni attinenti alla convalida, senza decidere del merito, stante il suo carattere strumentale, non puo’ assurgere a pronunzia irrevocabile definitiva su domande diverse dalla verifica dei presupposti legittimanti la misura cautelare medesima (v. in proposito Cass. 28.1.1994 n. 864; Cass. 26.3.1981 n. 1760; Cass. 19.4.1983 n. 2762).

Orbene nella specie sia nella sentenza del Tribunale di L’Aquila n. 89/1992 sia in quella pronunciata dalla Corte di Appello di L’Aquila n. 200/1993, in sede di gravame della decisione di convalida del sequestro conservativo autorizzato, viene precisato che la delibazione “e’ limitata alle sole questioni connesse alla richiesta di convalida del sequestro conservativo” (v. pag. 8 della sentenza del giudice di prime cure), invocato l’articolo 682 c.p.c.; inoltre, dall’impianto motivazionale delle decisioni emerge che le questioni di merito vengono affrontate esclusivamente in funzione dei requisiti della misura concessa (fumus boni iuris e periculum in mora) laddove testualmente si legge “sicche’ deve ritenersi sussistente, quanto meno allo stato degli atti acquisiti nel contraddittorio, l’elemento oggettivo della concessa cautela” (v. pag. 4, del punto 2, della sentenza di appello).

Ne consegue l’infondatezza del quarto motivo del primo ricorso incidentale e della prima parte del secondo motivo del ricorso incidentale condizionato.

Per ragioni di maggiore chiarezza espositiva, vengono di seguito esaminate le altre censure dedotte con il primo ricorso incidentale dell’ AN. , divenuto tale solo per la maggiore tempestivita’ della controparte nel depositare il proprio ricorso.

Il collegamento esistente tra le questioni poste con i primi tre motivi del ricorso incidentale AN. ne suggerisce la trattazione unitaria. In sostanza, si ascrive alla corte di merito il difetto di motivazione relativamente alla determinazione del valore complessivo dell’opera appaltata: i motivi, considerati nella loro unitarieta’, sono fondati.

Al riguardo occorre osservare che pur vero che il giudice del merito non e’ tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione non puo’, invece, esimersi da una piu’ puntuale motivazione allorquando le critiche mosse alla consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (Cass. 20.5.2005, n. 10668; 20.4.2006, n. 9178). Nel muovere la censura, l’ AN. , in ossequio al principio dell’autosufficienza, riporta le argomentazioni svolte dal giudice di prime cure, con cui si spiega (per disattenderne le conclusioni) che il consulente incaricato dal Tribunale, nella redazione della sua stima, non ha fatto riferimento alcuno agli accertamenti compiuti precedentemente al “verbale di visita relazione e certificato di collaudo” del 27.2.1997, effettuato dall’ing. Pi.Gi. e disposto dalla sola committente (in particolare: scrittura privata dell'(OMESSO), sopralluogo del 7.9.1990 di cui al relativo verbale, Relazione finale sull’andamento dei lavori del 28.1.1991, accertamento compito dalla commissione tecnica nominata dalla Regione Abruzzo per l’erogazione del finanziamento di cui all’Atto unico di collaudo sottoscritto in data 20.9.1995), oltre a non avere indicato alcunche’ riguardo a detti atti (se non un parziale riferimento alfa scrittura dell'(OMESSO)), che invece avrebbero dovuto essere presi in esame ai fini della valutazione dell’ammontare dei lavori; da tutto cio’ sarebbe derivata una omissione nell’accertamento tale da compromettere i risultati cui l’ausiliare del giudice e’ pervenuto.

Di tali censure la corte di merito non si e’ data minimamente carico, pur se esse avevano provocato obiezioni da parte dell’appaltatore, recepite dal giudice di primo grado.

Nell’ambito delle predette considerazione sono da condividere le censure mosse dall’ AN. anche con gli altri due motivi, in quanto alla omessa complessiva valutazione degli atti che avrebbero dovuto concorrere nella determinazione del valore delle opere realizzate, la Corte di merito ha contrapposto un’indagine effettuata in base alla interpretazione della sola scrittura privata dell'(OMESSO), oltre all’unilaterale certificato di collaudo del 27.2.1997, giungendo a conclusioni ovviamente parziali.

Ingiustificatamente, quindi, il giudice di secondo grado ha ricusato di prendere in considerazione, reputandoli di “nessun rilievo”, gli argomenti che in proposito erano stati prospettati dal giudice di prime cure, mentre anche di essi avrebbe dovuto tenere conto, insieme agli altri atti, in una valutazione globale e comparativa della significativita’ degli uni e degli altri. Non si sarebbe dovuto quindi trascurare l’elemento costituito della Relazione finale sull’andamento dei lavori, sottoscritto dal direttore dei lavori. Ne’ si sarebbe dovuto ignorare che nell’accertamento compito dalla commissione tecnica nominata dalla Regione Abruzzo per l’erogazione del finanziamento, di cui all’Atto unico di collaudo sottoscritto in data 20.9.1995, e’ rappresentata una descrizione delle opere finanziate, anche con riferimento alle previsioni del contratto di appalto sottoscritto dalle parti, in particolare la clausola n. 16 dell’accordo, con conseguente incongrua argomentazione delle conclusioni cui e’ pervenuta la decisione.

Del pari fondato e’ il quinto motivo del ricorso incidentale AN. relativo al calcolo della penale per ritardo nella consegna dell’opera.

Anche nella determinazione circa la riferibilita’ del ritardo all’appaltatore il giudice del gravame si e’ limitato ad un criterio di mero calcolo, effettuando una proporzione matematica in cui ha rapportato, da una parte, le opere non preventivate e quelle indicate nel contratto, dall’altra, i giorni di ritardo e quelli previsti dal Capitolato Speciale.

Per consolidato orientamento di questa Corte in ipotesi di contratto di appalto, ove vengano pattuiti un termine di consegna ed una penale a carico dell’appaltatore per il ritardo, trova applicazione il principio secondo cui tali convenzioni devono intendersi superate se, nel corso dell’esecuzione delle opere, il committente abbia richiesto ed ottenuto importanti e notevoli variazioni dell’iniziale progetto. In detta ipotesi, verificandosi lo sconvolgimento del piano dei lavori cui e’ ancorato il termine stabilito, affinche’ la penale conservi efficacia deve essere fissato di comune accordo un nuovo termine. In mancanza, secondo i principi generali sull’onere della prova, incombe al committente, il quale persegue il risarcimento dei danni da ritardata consegna dell’opera, l’onere di fornire la dimostrazione del colpevole ritardo addebitabile all’appaltatore (v. Cass. 28.5.2001 n. 7242).

Nella specie i ricorrenti non hanno provato ne’ chiesto di provare il concorso degli indicati elementi ed i giudici distrettuali hanno effettuato un mero calcolo matematico, senza valutare in concreto la portata ed entita’, nonche’ importanza delle opere aggiuntive richieste dalla committente e a tale giudizio rapportato il superamento dei termini inizialmente stabiliti e la connessa pattuizione di penale.

Dunque la corte di merito e’ incorsa nella lamentata erronea applicazione dei principi regolatori della disciplina dell’inadempimento contrattuale per non avere proceduto ad un giudizio di comparazione sulla base di fatti qualificanti e nell’ambito dell’economia del rapporto complessivamente considerato.

Anche il sesto motivo del ricorso incidentale, relativo alla doglianza circa le riserve formulate dall’appaltatore, e’ fondato.

I giudici distrettuali hanno affermato essere l’ AN. incorso nella decadenza dalla pretesa del corrispettivo per i lavori indicati nelle riserve alla luce della documentazione acquisita agli atti, in particolare della lettera racc. inviata dall’appaltatore il 5.2.1991, prevedendo la clausola di cui all’articolo 15, comma 5, del Capitolato Speciale di appalto che “l’appaltatore potra’ formulare riserve entro 15 giorni da quando i fatti che la motivano si siano verificati o siano venuti a sua conoscenza…mediante lettera raccomandata”, essendo stata l’opera consegnata nel maggio 1990.

Occorre osservare che la Relazione finale sull’andamento dei lavori, costituendo atto per la contabilita’ definitiva dell’opera, in quanto contiene la misurazione finale delle opere eseguite, costituisce senz’altro l’accertamento dell’avvenuta esecuzione di tutti i lavori per i quali era stato concordato il relativo prezzo per metro quadrato. Orbene l’onere dell’appaltatore di iscrivere tempestivamente nel registro di contabilita’ la riserva intesa ad ottenere il riconoscimento dei maggiori costi da lui sopportati nel corso dell’esecuzione dell’opera sussiste quanto l’appaltatore asserisca di avere sopportato spese impreviste, per l’esecuzione di opere necessarie all’esecuzione dell’appalto e contemplate, sia pure in termini generali, nelle clausole contrattuali. Tale termine vale anche rispetto alla registrazione dell’entita’ dei lavori ovvero in chiusura del conto finale.

Nella specie derivando le riserve dal computo metrico delle opere eseguite, pattuita la retribuzione delle stesse “a misura” (di cui al combinato disposto degli articoli 3 e 4 Capitolato Speciale), il termine per la loro pretesa non poteva che decorrere dal completamento delle operazioni di conto finale di cui alla Relazione finale sull’andamento dei lavori del 28.1.1991. Ne consegue che la corte distrettuale ha errato nell’individuare il dies a quo per il computo del termine di cui alla clausola n. 15 del Capitolato Speciale dal momento della consegna dell’opera, con tutto cio’ che ne discende.

Passando al settimo motivo del ricorso incidentale, ritiene questo collegio di esaminarlo congiuntamente al secondo motivo del ricorso principale della CA. HO. , essendo affrontata la medesima questione dei vizi occulti, che seppure per ragioni diverse, viene censurata da entrambe le parti.

L’ AN. lamenta che la corte di merito abbia riconosciuto la sussistenza di due vizi occulti, di cui alle schede 30 e 31 della relazione del consulente tecnico del 31.7.1996, emersi proprio dall’accertamento peritale, per avere erroneamente ritenuto la tempestivita’ della loro denuncia. La CA. HO. , invece, si duole che il giudice del gravame abbia inteso riconoscere il risarcimento per i soli vizi occulti, qualificando peraltro come tali solo quelli riportati nelle schede 30 e 31 e non anche quello di cui alla scheda n. 29, relativo alla mancata coibentazione delle pareti.

Premesso che per l’accertamento dei vizi di cui alle schede 30 e 31 e’ stato necessario effettuare dei saggi, il giudice del merito avrebbe escluso dal risarcimento tutti i vizi che non si presentavano come occulti, per intervenuta decadenza della committente dalla relativa garanzia, in assenza di una tempestiva denuncia.

Cio’ posto, va precisato che il giudice d’appello ha ritenuto: a) che il termine per, denunciare i vizi non potesse che decorrere dal momento in cui il soggetto avesse acquistato un apprezzabile grado di conoscenza dei difetti, vertendosi in tema di vizi occulti; b) che tale conoscenza era conseguita al compimento di indagini tecniche; c) che, pertanto, essendo state necessarie indagini tecniche, il termine in questione cominciava a decorrere solo dall’acquisizione della relazione del consulente tecnico; d) che, nel caso concreto, la denuncia dei vizi doveva ritenersi ricompresa nella formula utilizzata in comparsa di costituzione e risposta del 24.4.1991 nello spiegare domanda riconvenzionale di risarcimento per difetti riscontrati in sede di verifica e per “gli altri eventuali che saranno accertati, chiedendo al giudice di “determinarne la natura e l’entita’”.

Stante la situazione come sopra illustrata, qui non puo’ che essere richiamato il condivisibile orientamento di questa corte, citato anche dal giudice distrettuale (sent. 6.7.2001 n. 9199) e ribadito con la decisione n. 5496 del 17.4.2002, ma che – diversamente da quanto affermato dalla corte di merito – giunge a diverse conclusioni. Nella invocata decisione della corte di cassazione e’ stato precisato che l’acquisizione della relazione di un consulente tecnico in tanto puo’ valere a segnare il momento iniziale del termine decadenziale di cui all’articolo 1669 c.c. (ovvero ex articolo 1667 c.c.). In quanto si tratti di indagine compiuta prima del giudizio, e cioe’ in sede di accertamento tecnico preventivo ovvero stragiudiziale”. La decisione continua: “Ritenere infatti che anche la consulenza tecnica compiuta nel corso del giudizio di merito possa avere l’effetto di fissare il momento di effettiva conoscenza dei vizi o dei difetti ex articolo 1669 c.c., finisce per sconvolgere la struttura della norma: la quale considera il termine di un anno dalla scoperta dei vizi, ai fini della denuncia, come termine di decadenza dall’azione di responsabilita’ di cui trattasi, e quello di un anno dalla denuncia come termine di prescrizione per far valere in giudizio il relativo diritto. In altre parole, se la citazione introduttiva del giudizio di responsabilita’ ex articolo 1669 c.c. implica (non puo’ non implicare) l’avvenuta conoscenza dei vizi – denunciabili pur con la citazione medesima, come in effetti ritenuto dal giudice d’appello -, e se, quindi, tale conoscenza costituisce un prius logico rispetto alla citazione, palese appare l’errore di diritto nel quale incorse lo stesso giudice con l’escludere la decadenza sul rilievo che la conoscenza dei vizi era avvenuta, tempestivamente, in corso di causa”.

In definitiva, la circostanza secondo cui il committente e’ venuto a conoscenza della esistenza di vizi occulti a seguito dell’accertamento tecnico espletato in corso di giudizio certamente rappresenta il dies a quo per l’esercizio del diritto di garanzia, ma non puo’ ritenersi la relativa richiesta di rifusione dello specifico danno ricompresa nella comparsa di costituzione e risposta con la quale e’ stata spiegata riconvenzionale, mancando l’antecedente logico della conoscenza del difetto. Dunque trattatasi di vizi nuovi rispetto a quelli richiesti con la riconvenzionale, per i quali il committente avrebbe dovuto formulare una specifica domanda, ma al di fuori del presente giudizio.

Ne consegue che pure questa parte della sentenza impugnata deve essere cassata. Cio’ posto, essendo la doglianza dell’ AN. in ordine ai vizi occulti un prius logico rispetto alla censura fatta valere dalla CA. HO. con il secondo motivo del ricorso principale, la stessa va rigettata, in quanto la previsione di ulteriori vizi asseritamente occulti presupporrebbe una tempestiva richiesta degli stessi, che di converso, per le ragioni dinanzi esposte, e’ mancata nella specie.

L’ottavo ed ultimo motivo del primo ricorso incidentale resta assorbito nelle conclusioni di cui alle censure formulate ai punti due e tre del medesimo ricorso involgendo, comunque, una diversa interpretazione dell’accordo sottoscritto dalle parti in data (OMESSO), del quale si e’ detto sopra.

Passando al ricorso principale, ritiene questo collegio di esaminare congiuntamente il primo motivo della CA. HO. con il primo motivo del secondo ricorso incidentale dell’ AN. , essendo affrontata la medesima questione della compensazione dei crediti reciproci che si assume effettuata “di ufficio”, che seppure per ragioni diverse, viene censurata da entrambe le parti.

Ambedue i motivi sono infondati.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’istituto della compensazione di cui all’articolo 1241 c.c., e segg., presuppone l’autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti, sicche’ quando i rispettivi crediti e debiti hanno origine da un unico – ancorche’ complesso -rapporto, come nel caso in cui i reciproci crediti, di pagamento del corrispettivo e di risarcimento dei danni, derivino da un unico contratto, esso si risolve in un mero accertamento di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza (v. Cass., 17.4.2004, n. 7337; Cass., 4.7.1997, n. 6033), cui il giudice puo’ procedere senza che sia necessaria l’eccezione di parte o fa proposizione di una domanda in tal senso (v. Cass., 25.11.2002, n. 16561; Cass., 18.12.1995, n. 12905; Cass., 16.5.1981, n. 3230).

Tale accertamento (c.d. compensazione impropria), pur potendo dar luogo ad un risultato analogo a quello della compensazione, non per questo e’ soggetto alla relativa disciplina tipica. In giurisprudenza di legittimita’ si e’ affrontata anche l’ulteriore questione se nella suddetta ipotesi di c.d. compensazione impropria siano inapplicabili solamente le regole processuali della compensazione c.d. propria o anche quelle sostanziali.

In proposito la giurisprudenza di legittimita’ e’ pervenuta a conclusioni negative.

Si e’ infatti rilevato che, avuto riguardo alla centralita’ del principio informatore dell’istituto de quo, ricavabile dal disposto degli articoli 1241 e 1242 c.c. (secondo cui i debiti tra due soggetti derivanti da distinti rapporti si estinguono per quantita’ corrispondenti fin dal momento in cui vengono a coesistere), nella diversa ipotesi di unicita’ del rapporto non e’ dato nella disciplina unitaria dell’istituto in questione rinvenire regole applicabili all’ipotesi di compensazione impropria senza ledere la coerente consequenzialita’ della disciplina stessa (v. Cass., 25.11.2002, n. 16561). Sostenere che nel caso di unicita’ del rapporto non si applicano soltanto le regole processuali, che riguardano principalmente il divieto di applicare d’ufficio la compensazione ex articolo 1242 c.c., comma 1, e non anche le altre regole come quelle sull’arresto della prescrizione (articolo 1242 c.c., comma 2,) e sulla incompensabilita’ del credito dichiarato impignorabile (articolo 1246 c.c., comma 1, n. 3, e articolo 545 c.p.c.) significa, si e’ osservato, stravolgere la ragione dell’istituto, fondata sull’estinzione dell’obbligazione per effetto della coesistenza dei debiti, e piegare il medesimo a disciplinare fattispecie diverse, escluse dalla stessa definizione dell’istituto fissata agli articoli 1241 e 1242 c.c. (v. Cass., 25.11.2002, n. 16561; Cass., 25.8.2006, n. 18498; Cass., 5.12.2008, n. 28855).

Emerge evidente, a tale stregua, l’infondatezza delle censure, sia quanto al momento della determinazione del quantum – dovendo essere effettuato con riferimento ai valori del tempo della decisione finale della causa (con la conseguente aggiunta degli eventuali interessi maturati sulla somma dovuta: v. Cass., 11.10.2006, n. 21802) – sia relativamente alla valutazione delle reciprocita’ delle pretese, versandosi nel caso in un’ipotesi di c.d. compensazione impropria.

Va, infine, esaminato il terzo motivo del ricorso principale. Tale motivo va tuttavia trattato congiuntamente alla seconda parte del secondo motivo del ricorso incidentale (definito condizionato dall’ AN. ), con il quale ha in comune la questione della determinazione sui vizi, riconosciuto il risarcimento solo per quelli occulti. Per la CA. HO. il giudice distrettuale avrebbe errato nel ritenere non tempestivamente denunciati, agli effetti della decadenza, i vizi dell’opera diversi da quelli occulti, per i quali sia in sede di verifica provvisoria del 7.9.1990 sia in sede di Relazione finale della Decreto Legge 28 gennaio 1991, nel contraddittorio delle parti, la committente aveva provveduto alla loro indicazione. Per l’ AN. la corte di merito, prima di concludere in modo corretto escludendo il riconoscimento dei vizi non occulti, avrebbe errato nel ritenere che l’appaltatore non aveva eccepito in modo tempestivo la decadenza del committente dalla facolta’ di denunciare tali vizi, che invece era stata proposta in termini univoci, trovando peraltro nella specie applicazione l’articolo 345 c.p.c., nella formulazione antecedente alla riforma del 1990.

Qui ribadito quanto affermato in ordine all’eccezione del carattere di vincolativita’ del giudicato circa l’accertamento effettuato in sede cautelare (prima parte del secondo motivo del ricorso incidentale condizionato), entrambe le censure attengono alla questione prodromica rispetto all’accertamento dei vizi, della tempestivita’ della denuncia dei vizi dell’opera lamentati dalia committente.

Osserva il collegio che l’affermazione della Corte territoriale sul punto della tempestiva denuncia dei vizi manifestatisi e divenuti riconoscibili in epoca successiva al 7.9.1990 ma antecedente alla proposizione della domanda di garanzia, trovando nella specie applicazione l’articolo 1667 c.c., u.c., per cui andavano formalmente denuncianti entro sessanta giorni dalla loro scoperta (v. pag. 34 della decisione), non possa che essere condivisa. Infatti anche se nella specie non ricorre l’ipotesi del c.d. giudicato interno con riferimento al procedimento cautelare, per quanto inizialmente esposto, diversamente da quanto eccepito dalla controparte ed argomentato dal giudice di prime cure proprio con riferimento all’esistenza dei vizi riconoscibili, occorre rilevare che in tema di appalto, l’onere della prova di aver tempestivamente denunciato i vizi e le difformita’ dell’opera incombe al committente, pur divenendo attuale, in concreto, solo quando l’altra parte abbia eccepito la decadenza dalla garanzia per mancanza di una tempestiva denuncia. Tale eccezione – la quale, nel codice di rito antecedente alla riforma di cui alla Legge n. 353 del 1990 (in particolare l’articolo 345 c.p.c.), era proponibile per la prima volta anche in grado d’appello – non richiede formule particolari, bastando che sia formulata in modo chiaro e specifico (v. Cass., 11.11.1988, n. 6077).

Tutto cio’ e’ stato, seppure in forma sintetica, adeguatamente argomentato nella sentenza impugnata, con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, laddove ha riconosciuto con riferimento alla necessita’ di una formale denuncia entro sessanta giorni dalla scoperta dei vizi, non solo che non risultava assolto il relativo onere, ma che non era stato nemmeno assunto di avervi adempiuto. Infatti per la chiara formulazione dell’articolo 1667 c.c., la denuncia si rende necessaria, ai fini dell’ammissibilita’ della domanda di garanzia.

D’altro canto tutto il contenzioso svolto in sede cautelare – sebbene non costituisca giudicato interno – ha avuto ad oggetto proprio le reciproche contestazioni di dare ed avere, lamentando vizi dell’opera, la committente, e la loro mancata indicazione ed esistenza degli stessi, l’appaltatrice. Pertanto, in conformita’ al condiviso insegnamento giurisprudenziale (v. Cass., 17.5.2001, n. 6774), l’onere della prova della tempestivita’ della denuncia incombeva, a fronte della relativa eccezione, ritualmente sollevata dall’appaltatore, sulla committente, poiche’ la denuncia costituisce una condizione necessaria per l’esercizio dell’azione di garanzia.

Ne discende che entrambi i motivi, del ricorso principale e del ricorso incidentale, sono privi di pregio.

In conclusione, va rigettato il ricorso principale della CA. HO. s.r.l. ed i due motivi del secondo ricorso incidentale (condizionato) dell’ AN. ; vanno accolti il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il sesto ed il settimo dei motivi del primo ricorso incidentale dell’ AN. , rigettato il quarto motivo ed assorbito l’ottavo motivo; la sentenza impugnata va, pertanto cassata in relazione ai motivi accolti ed il giudice di rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Campobasso, dovra’ riesaminare e motivare in ordine ai capi investiti dalle censure accolte, adeguandosi ai principi di diritto sopra enunciati. Lo stesso giudice dovra’ anche provvedere alla regolamentazione delle spese di questa fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale della CA. HO. s.r.l.;

accoglie il primo, secondo, terzo, quinto, sesto e settimo dei motivi dei primo ricorso incidentale AN. , assorbito l’ottavo motivo e rigettato il quarto motivo;

rigetta i due motivi del secondo ricorso incidentale AN. ;

cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Campobasso, anche per la liquidazione delle spese di giudizio anche per questo grado di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

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