Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 9 marzo 2018, n. 5653
In tema di responsabilita’ civile del professionista, il cliente e’ tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo e’ stato causato dall’insufficiente o inadeguata attivita’ del professionista; pertanto – poiche’ l’articolo 1223 c.c. postula la dimostrazione dell’esistenza concreta di una danno, consistente in una diminuzione patrimoniale – la responsabilita’ dell’avvocato per la mancata comunicazione al cliente dell’avvenuto deposito di una pronuncia sfavorevole – con conseguente preclusione della possibilita’ di proporre impugnazione – puo’ essere affermata solo se il cliente dimostri che l’impugnazione, ove proposta, avrebbe avuto concrete possibilita’ di essere accolta.
Integrale
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4637-2016 proposto da:
(OMISSIS) SRL (OMISSIS) in persona del legale rappresentante Dott. (OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO gia’ ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE STUDIO LEGALE F. (OMISSIS) in persona del socio Avv. (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
(OMISSIS) SPA in persona dei legali rappresentanti Dott.ssa (OMISSIS) e Dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3431/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/10/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MISTRI Corrado, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilita’ dei motivi da 1 a 8 ed 11 del ricorso e comunque per il rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS) s.r.l. e da (OMISSIS) in qualita’ di ex socio ed ex legale rappresentante di (OMISSIS) S.R.L.;
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
(OMISSIS) s.r.l. propose innanzi al Tribunale di Milano opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso per l’importo di Euro 102.742,70 in favore dell’Associazione Professionale Studio (OMISSIS), in qualita’ di cessionaria del credito per prestazioni professionali del defunto avv. (OMISSIS), nonche’ domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno conseguente a negligenza professionale del medesimo avv. (OMISSIS) in relazione al contenzioso fra (OMISSIS) s.r.l. (precedente denominazione di (OMISSIS)) e (OMISSIS) s.r.l.. Intervennero nella causa (OMISSIS) s.p.a., quale societa’ assicuratrice dello Studio (OMISSIS), e (OMISSIS) s.r.l. quale cessionaria del credito risarcitorio di (OMISSIS). Il Tribunale adito accolse parzialmente l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo, e condanno’ l’opponente al pagamento della somma di Euro 38.352,25 oltre accessori, rigettando la domanda riconvenzionale. Avverso detta sentenza proposero appello (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.. Con sentenza di data 21 agosto 2015 la Corte d’appello di Milano rigetto’ l’appello. Osservo’ la corte territoriale in relazione ai singoli motivi di appello quanto segue (con indicazione del motivo e successiva motivazione della sentenza).
A) In relazione al credito per compensi relativi al contenzioso con (OMISSIS) il Tribunale aveva disatteso l’eccezione di prescrizione presuntiva mentre l’opponente aveva contestato la pretesa prestazione di attivita’ giudiziale liquidata dall’ordine degli avvocati di Milano e controparte aveva replicato modificando inammissibilmente la causa petendi, non essendovi stata attivita’ giudiziale, ma solo stragiudiziale: era provato dalla documentazione in atti che l’unica parcella azionata per la pratica (OMISSIS) era quella relativa alla consulenza ed assistenza legale prestata nella causa civile per ricorso d’urgenza nei confronti di (OMISSIS).
B) In relazione al credito per i compensi relativi alla pratica (OMISSIS) il Tribunale aveva escluso l’eccepita prescrizione presuntiva ritenendo erroneamente che la missiva inviata da (OMISSIS) in data 18 dicembre 2007 attestasse la ricezione della raccomandata del creditore di data 20 novembre 2007, che avrebbe interrotto il termine prescrizionale decorrente dal 20 novembre 2004, dovendosi invece fare riferimento per l’inizio della prescrizione triennale alla richiesta di pagamento dell’avv. (OMISSIS) con l’avviso di parcella del 22 ottobre 2004, e non potendosi interpretare la missiva del 10 dicembre 2007 nei termini ritenuti dal giudice: non era stata considerata l’affermazione del primo giudice, “non gravata da alcuna critica”, secondo cui il termine di prescrizione ai sensi dell’articolo 2957 cod. civ. decorreva dalla data di decisione della lite, con la precisazione che per le pratiche gestite in varie fasi di contenzioso la decorrenza doveva essere individuata nel termine dell’ultima fase; trattandosi di pratica definita il 29 novembre 2004, l’interruzione della prescrizione si era verificata con il sollecito di pagamento del 20 novembre 2007, riscontrato dalla controparte con la lettera del 18 dicembre 2007 e la riformulazione della parcella a gennaio 2009; non era stata provata l’affermazione dell’appellante secondo cui la missiva del 20 novembre 2007 si riferiva a presunti crediti nei confronti di alcuni ex soci.
C) In relazione al credito per compensi (OMISSIS) era stata esclusa la prescrizione presuntiva reputandosi erroneamente che per le prestazione rese in due gradi di giudizio il termine di prescrizione decorreva dalla pubblicazione della sentenza d’appello, non ricorrendo il presupposto dell’esistenza di un unico contratto operante fino alla definizione della lite per l’intervenuto decesso del difensore prima della conclusione del giudizio di appello e dunque il termine decorreva dalla data del decesso: correttamente era stata ritenuta per la decorrenza del termine la data di pubblicazione della sentenza di appello (3 luglio 2007) perche’ dopo la morte dell’avv. (OMISSIS) l’incarico era stato portato avanti dall’associazione professionale di cui il legale faceva parte e dall’avv. (OMISSIS) era stato comunicato l’esito del giudizio; la prescrizione era stata interrotta con la missiva del novembre 2007.
D) In relazione al rigetto della domanda risarcitoria si rimprovera al giudice di prime cure di avere affermato che la produzione contenuta nel fascicolo di parte non avrebbe consentito al giudice di poter apprezzare l’indicata negligenza non essendo state prodotte le copie degli scritti di entrambe le parti e la sentenza d’appello: contro questo argomento nessuna deduzione specifica era stata svolta atteso che le ragioni di censura si fondavano su argomenti inerenti l’asserita erroneita’ della tesi difensiva proposta dal legale nel pregresso giudizio, senza alcun riferimento agli scritti difensivi delle parti in causa, a brani delle sentenze, e soprattutto formulate in termini di apodittico giudizio di negligenza, che non poteva automaticamente discendere dall’esito sfavorevole delle cause.
Hanno proposto ricorso per cassazione con unico atto (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS), nella qualita’ di ex socio ed ex legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. cancellata dal registro delle imprese, sulla base di undici motivi e resistono con controricorso (OMISSIS) Studio Legale e Tributario gia’ Associazione Professionale Studio Legale F. (OMISSIS) in persona del socio avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di eredi dell’avv. (OMISSIS), con unico atto e (OMISSIS) s.p.a.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., comma 2. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. E’ stata presentata memoria.
Considerato che:
preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per intervenuto fallimento di (OMISSIS) s.r.l.. sollevata da (OMISSIS) Studio Legale e Tributario gia’ Associazione Professionale Studio Legale F. (OMISSIS) in persona del socio avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di eredi dell’avv. (OMISSIS). La perdita della capacita’ processuale del fallito, conseguente alla dichiarazione di fallimento relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e puo’ essere eccepita dal solo curatore, salvo che la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, nel qual caso il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed e’ percio’ opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio (da ultimo Cass. 6 giugno 2017, n. 13991). Non risulta poi specificatamente contestata la qualita’ di ex socio del ricorrente.
Con il primo motivo si denuncia violazione degli articoli 112, 167 e 183 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Lamenta la parte ricorrente, con riferimento al contenzioso (OMISSIS)/ (OMISSIS), che mentre nella domanda monitoria era stata dedotta la prestazione per attivita’ giudiziaria cautelare nei confronti di (OMISSIS), nella memoria ai sensi dell’articolo 183 cod. proc. civ. la controparte aveva mutato la causa petendi, parlando di attivita’ stragiudiziale.
Il motivo e’ inammissibile. Il giudice di appello ha valutato la domanda sulla base del fatto costitutivo rappresentato dall’attivita’ prestata con riferimento alla causa civile per ricorso d’urgenza nei confronti di (OMISSIS). La censura resta estranea alla ratio decidendi, la quale si basa su quello che, secondo la prospettazione della stessa parte ricorrente, sarebbe l’originario fatto costitutivo indicato nella domanda monitoria.
Non e’ comunque inutile rammentare che, come affermato da Cass. sez. U. 15 giugno 2015 n. 12310, la modificazione della domanda ammessa ex articolo 183 c.p.c. puo’ riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda cosi’ modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, percio’ solo, si determini la compromissione delle potenzialita’ difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli articoli 100, 167 e 183 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’articolo 36 c.c. e articolo 100 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di merito avrebbe dovuto rilevare anche d’ufficio la carenza di legittimazione attiva dell’associazione professionale, cessionaria dei soli crediti dell’avv. (OMISSIS), deceduto in data (OMISSIS), e non cessionaria dei crediti dell’avv. (OMISSIS), che aveva seguito il contenzioso dopo la morte del padre (ne’ risultava un accordo fra tutti gli associati circa la possibilita’ che l’associazione potesse agire per conto dell’avv. (OMISSIS)).
Il motivo e’ inammissibile. Va premesso che l’articolo 36 c.c. stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarita’ di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, sicche’, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato – cui la legge attribuisce la capacita’ di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici – rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti puo’ non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi (Cass. 26 luglio 2016, n. 15417; 15 luglio 2011, n. 15694).
La circostanza di fatto rilevante e’ quella della presenza dell’accordo fra gli associati. I motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilita’, questioni che abbiano gia’ formato oggetto del thema decidendum nel giudizio di merito, essendo consentito dedurre nuovi tesi giuridiche e nuovi profili di difesa solo quando esse si fondano su elementi di fatto gia’ dedotti dinanzi al giudice di merito e per i quali non sia percio’ necessario procedere ad un nuovo accertamento (Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; 5 giugno 2003, n. 8993). Parte ricorrente, in violazione dell’onere di autosufficienza, non ha specificatamente indicato se ed in quale sede processuale la questione della mancanza del presupposto della presenza dell’accordo fra gli associati sia stata posta, ne’ risulta proposta una denuncia di vizio motivazionale in ordine alla circostanza di fatto in questione. In mancanza dell’assolvimento di tali oneri la questione posta con il motivo appare nuova (come peraltro eccepito nel controricorso) e pertanto inammissibile.
Con il terzo motivo si denuncia falsa applicazione dell’articolo 2957 c.c., comma 2, e violazione dell’articolo 2957, comma 1, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, con riferimento al contenzioso (OMISSIS)/ (OMISSIS), che nonostante si trattasse di attivita’ stragiudiziale, il giudice di merito ha applicato l’articolo 2957, comma 2, che concerne l’attivita’ giudiziale, dando rilievo alla data in cui (OMISSIS) ha pagato MPS, cessionaria del credito del fallimento (OMISSIS) (29 novembre 2004), anziche’ alla data del 22 ottobre 2004 quale compimento della prestazione, corrispondente all’avviso di parcella.
Il motivo e’ inammissibile. In primo luogo l’accertamento di fatto del giudice di merito e’ stato che la pratica e’ stata definita il 29 novembre 2004. Tale giudizio di fatto non e’ stato specificatamente impugnato con la denuncia di vizio motivazionale. Dovendosi pertanto restare al giudizio di fatto del giudice di merito, va evidenziato che la censura muove da un presupposto di fatto non corrispondente a quello accertato ed implica pertanto un’indagine di merito preclusa nella presente sede di legittimita’.
In secondo luogo il giudice di appello ha accertato che l’affermazione del primo giudice, secondo cui il termine di prescrizione ai sensi dell’articolo 2957 c.c. decorreva dalla data di decisione della lite, era rimasta “non gravata da alcuna critica”. Un tale accertamento di formazione del giudicato interno non e’ stato impugnato dalla parte ricorrente, il che preclude la deduzione di una diversa decorrenza della prescrizione.
Con il quarto motivo si denuncia violazione degli articoli 2697, 2943 e 1219 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di merito ha ritenuto che fosse onere dell’appellante provare che la missiva del 20 novembre 2007 si riferisse a presunti crediti nei confronti di alcuni ex soci, laddove invece era onere dell’Associazione Professionale e degli eredi dell’avv. (OMISSIS) provare che il sollecito di pagamento si riferisse alle pratiche (OMISSIS)/ (OMISSIS) e (OMISSIS)/ (OMISSIS), per il cui compenso si intendeva dimostrare l’avvenuta interruzione della prescrizione. Aggiunge che il giudice di appello ha attribuito efficacia interruttiva della prescrizione ad un sollecito generico di pagamento privo di riferimenti ai compensi.
Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’articolo 113 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e degli articoli 2697, 2943 e 1219 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha attribuito valore di atto interruttivo della prescrizione al sollecito di pagamento del 20 novembre 2007 senza che tale sollecito si riferisse a specifiche pratiche e senza che fosse provata la spedizione e ricezione del detto sollecito entro il 29 novembre 2007 o entro il 16 dicembre 2007, non potendo desumersi dal riscontro datato 18 dicembre 2007 che l’asserito effetto interruttivo si fosse compiuto entro i predetti termini.
Con il sesto motivo si denuncia violazione dell’articolo 116 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’articolo 115 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha attribuito valore di prova legale dell’intervenuta interruzione della prescrizione al sollecito di pagamento del 20 luglio 2007, laddove la legge riserva tale valore solo all’atto che contenga specifico riferimento al credito la cui prescrizione si intende interrompere (peraltro la stessa Associazione professionale ha dichiarato che il sollecito di pagamento in questione non si riferiva alla pratica (OMISSIS), ma a quella (OMISSIS)).
I motivi dal terzo al sesto, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono in parte infondati ed in parte inammissibili. Non ricorre la denunciata violazione della regola di riparto dell’onere della prova. Il giudice di merito non ha accollato a (OMISSIS) l’onere della prova negativa circa la mancanza di atti interruttivi, esonerando il creditore dalla prova positiva, ma ha accertato che l’interruzione della prescrizione si era verificata con il sollecito di pagamento del 20 novembre 2007, riconoscendo cosi’ intervenuta la prova positiva dell’atto interruttivo, e ha ritenuto non provato il fatto impeditivo opposto dalla controparte, e cioe’ che la missiva del 20 novembre 2007 si riferisse a presunti crediti nei confronti di alcuni ex soci. Ha pertanto ritenuto per un verso provato il fatto costitutivo dell’allegata interruzione della prescrizione, per l’altro non provato il fatto impeditivo opposto dalla controparte.
Quanto al resto le censure contenute nei tre motivi, di analogo contenuto, afferiscono a valutazioni di merito precluse nella presente sede di legittimita’. Il contenuto dell’atto che il giudice di merito ha qualificato come interruttivo resta accertato sul piano fattuale nei termini in cui lo apprezzato il medesimo giudice di merito, e cioe’ quale sollecito di pagamento relativo al credito in questione. In presenza di un siffatto giudizio di fatto coerente e’ la qualificazione dell’atto in termini di interruzione della prescrizione. Per smentire tale qualificazione parte ricorrente avrebbe dovuto impugnare per vizio motivazionale il giudizio di fatto sottostante la qualificazione, ma una tale denuncia non risulta proposta (senza dire che con riferimento al sollecito di pagamento del 20 novembre 2007, riportato nel corpo del ricorso, parte ricorrente omette di assolvere l’onere di specifica indicazione della sede processuale di produzione del documento ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e non provvede all’indicazione completa del documento, posto che allo stesso, secondo quanto si legge, risultano “allegati gli avvisi di parcella relativi ad attivita’ resa” in favore della societa’, ma dell’indicazione del contenuto di tali allegati non vi e’ traccia nel motivo di ricorso).
La censura confluisce in tal modo, come risulta chiaro nel sesto motivo, nella denuncia di cattiva valutazione della prova. Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).
Infine nel sesto motivo si afferma che il giudice di merito avrebbe attribuito al sollecito del 20 luglio 2007 l’efficacia di “prova legale” dell’interruzione della prescrizione, ma il giudice di merito non attribuisce tale valore al documento, peraltro esulante dal catalogo di prove legali previste dall’ordinamento giuridico.
Con il settimo motivo si denuncia violazione degli articoli 112, 113 e 115 c.p.c. e articolo 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la motivazione e’ meramente apparente in quanto non si comprende come dopo la morte dell’avv. (OMISSIS) l’associazione professionale abbia potuto portare avanti l’incarico e per quale ragione spetti alla medesima associazione il compenso che l’ordine degli avvocati ha liquidato in relazione alle attivita’ prestate dall’avv. (OMISSIS) (all’associazione poteva spettare solo il compenso per le attivita’ prestate dall’avv. (OMISSIS) dopo la morte dell’avv. (OMISSIS)).
Il motivo e’ infondato. Non ricorre l’ipotesi della motivazione apparente avendo il giudice di appello motivato nel senso che dopo la morte dell’avv. (OMISSIS) l’incarico era stato portato avanti dall’associazione professionale di cui il legale faceva parte e che l’avv. (OMISSIS) aveva comunicato l’esito del giudizio, facendone decorrere la prescrizione dalla data di pubblicazione della sentenza di appello (3 luglio 2007). Ed invero il giudice di appello ha anche riconosciuto che l’affermazione del primo giudice, secondo cui il termine di prescrizione ai sensi dell’articolo 2957 c.c. decorreva dalla data di decisione della lite, con la precisazione che per le pratiche gestite in varie fasi di contenzioso la decorrenza doveva essere individuata nel termine dell’ultima fase, e’ rimasta “non gravata da alcuna critica”. Un tale accertamento di formazione del giudicato interno non e’ stato impugnato dalla parte ricorrente, il che preclude che possa contestarsi l’unicita’ della prestazione professionale fino all’esaurimento della fase di appello.
Con l’ottavo motivo si denuncia violazione dell’articolo 2957 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il principio di decorrenza della prescrizione dalla pubblicazione della sentenza di appello puo’ validamente operare in presenza di un unico contratto di patrocinio fino alla definizione della lite e non anche quando, come nel caso di specie, il difensore e’ deceduto prima della conclusione del giudizio di appello, sicche’ la prescrizione ha iniziato a decorrere dalla morte del difensore ((OMISSIS)).
Il motivo e’ inammissibile. Come evidenziato a proposito dell’esame del terzo motivo, il giudice di appello ha accertato che l’affermazione del primo giudice, secondo cui il termine di prescrizione ai sensi dell’articolo 2957 c.c. decorreva dalla data di decisione della lite, era rimasta “non gravata da alcuna critica”. Un tale accertamento di formazione del giudicato interno non e’ stato impugnato dalla parte ricorrente, il che preclude la deduzione di una diversa decorrenza della prescrizione.
Con il nono motivo si denuncia violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che (OMISSIS) non aveva mai sostenuto che la responsabilita’ professionale dell’avv. (OMISSIS) sarebbe stata relativa ai giudizi svoltisi innanzi al Tribunale e poi la Corte d’appello di Firenze, avendo invece sostenuto che la negligenza professionale risiedeva nella mancata cura degli interessi di (OMISSIS) legati al recupero degli acconti pagati ad (OMISSIS) sulla base del contratto preliminare del 4 maggio 1998. Aggiunge che nell’atto di appello era esposto quanto segue: in data 4 maggio 1998 era intervenuto contratto preliminare di cessione di partecipazioni sociali fra (OMISSIS) e (OMISSIS) e con successiva scrittura del 15 gennaio 1999 era stato differito il termine per il trasferimento e rettificato il prezzo della cessione; l’avv. (OMISSIS), per conto di (OMISSIS), diffido’ (OMISSIS) ad adempiere l’accordo del 15 gennaio 1999; (OMISSIS) convenne in giudizio (OMISSIS) per la dichiarazione di nullita’ ed inefficacia dell’accordo del 15 gennaio 1999 e per l’adempimento del contratto del 4 maggio 1998 e l’avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) chiese in riconvenzionale la restituzione di quanto gia’ pagato per effetto della risoluzione del contratto del 15 gennaio 1999; il giudice adito rigetto’ sia la domanda principale che quella riconvenzionale, quest’ultima perche’ la restituzione dell’acconto poteva discendere dalla risoluzione dell’accordo del 4 maggio 1998 (mai richiesta) e non dell’accordo del 15 gennaio 1999; l’appello proposto dall’avv. (OMISSIS) fu rigettato; la responsabilita’ professionale risiedeva nell’avere chiesto la risoluzione del contratto sbagliato, sulla base dell’errata tesi giuridica che l’inefficacia del secondo atto avrebbe investito necessariamente anche il primo; la (OMISSIS) aveva cosi’ perso la possibilita’ di recuperare quanto corrisposto, anche perche’ nel frattempo era intervenuto il fallimento della controparte.
Con il decimo motivo si denuncia violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., articolo 156 c.p.c., comma 2, articolo 161 c.p.c., comma 2, articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 3 e n. 4, nonche’ dell’articolo 2697 c.c. ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha deciso sulla base di una nozione di fatto rientrante nella comune esperienza, rappresentata dal fatto che la negligenza professionale non puo’ discendere apoditticamente dall’esito sfavorevole dei giudizi svolti, la quale e’ inconferente rispetto alla questione posta della mancanza di cura dell’interesse di (OMISSIS) legato al recupero degli acconti versati e che la motivazione e’ apparente in quanto estranea alla domanda proposta da (OMISSIS). Aggiunge che il giudice di appello ha deciso ignorando le prove proposte ed i fatti specificatamente non contestati (ed in particolare che l’avv. (OMISSIS) avesse ritenuto l’esistenza del principio secondo cui dall’inefficacia dell’accordo integrativo successivo sarebbe derivata l’inefficacia di quello precedente). Osserva inoltre che una volta allegata e addirittura provata la negligenza era onere dell’associazione professionale provare che non vi fosse stata negligenza professionale.
Con l’undicesimo motivo si denuncia violazione dell’articolo 156 c.p.c., comma 2, articolo 161 c.p.c., comma 2, articolo 161 c.p.c., comma 2, articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 3 e n. 4, articolo 118 c.p.c., comma 1, att., nonche’ dell’articolo 2909 c.c. ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Lamenta la parte ricorrente che il giudice di appello ha motivato la propria decisione esaminando una domanda (responsabilita’ per negligenza professionale in relazione ai giudizi svoltisi) diversa da quella realmente proposta (responsabilita’ nella cura degli interessi per il recupero degli acconti versati).
I motivi, dal nono all’undicesimo, sono da valutare unitariamente in quanto connessi, e sono inammissibili.
Parte ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello non si sia pronunciato sulla domanda proposta dalla parte, ma su una inesistente domanda. Affinche’ possa utilmente dedursi in sede di legittimita’ un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., e’ necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresi’, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualita’ e la tempestivita’ ed, in secondo luogo, la decisivita’ delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato articolo 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione e’ giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimita’ di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilita’, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (fra le tante da ultimo Cass. 4 luglio 2014, n. 15367).
Parte ricorrente ha riportato nel ricorso ampi stralci dell’atto di appello, ma ha del tutto omesso di indicare quale fosse il contenuto della originaria domanda sul piano della causa petendi. Tale onere, previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, si impone stante il divieto di proposizione di domande nuove in appello. In mancanza dell’assolvimento dell’onere in discorso e’ inibito al Collegio di procedere all’accertamento del fatto processuale mediante il diretto accesso agli atti.
In disparte tale assorbente profilo di inammissibilita’, va evidenziato che la censura proposta manca di specificita’ e funzione critica ed e’ dunque inidonea al raggiungimento dello scopo del ricorso per cassazione. La ratio decidendi e’ nel senso che la valutazione del primo giudice, secondo cui la dedotta negligenza non poteva essere apprezzata mancando agli atti le copie degli scritti di entrambe le parti e la sentenza d’appello, non risulta incisa da ragioni di censura basate su argomenti inerenti l’asserita erroneita’ della tesi difensiva proposta dal legale nel pregresso giudizio, senza alcun riferimento agli scritti difensivi delle parti in causa, a brani delle sentenze, e soprattutto formulate in termini di apodittico giudizio di negligenza, che non poteva automaticamente discendere dall’esito sfavorevole delle cause. Tale ratio decidendi viene impugnata sostenendosi che la negligenza professionale risulterebbe non nelle modalita’ in cui erano stati trattati dal professionista i giudizi svoltisi innanzi al Tribunale e poi la Corte d’appello di Firenze, ma nella mancata cura degli interessi di (OMISSIS) legati al recupero degli acconti pagati ad (OMISSIS) sulla base del contratto preliminare del 4 maggio 1998. Al fine tuttavia di articolare la detta censura la parte appellante non ha potuto fare a meno di riferirsi alle controversie giudiziarie, ed in particolare alla circostanza che era stata chiesta la restituzione degli acconti senza proporre la domanda di risoluzione del contratto preliminare del 4 maggio 1998. Per un verso quindi si osserva che la trattazione dei giudizi era indifferente rispetto alla contestata negligenza professionale, per l’altro si attinge alle modalita’ di trattazione dei giudizi per la dimostrazione della detta negligenza, dolendosi la parte della mancata proposizione di domande giudiziali e per l’introduzione in giudizio di tesi giuridiche errate (quale quella che l’inefficacia del secondo atto avrebbe investito necessariamente anche il primo). Si tratta di affermazioni inconciliabili. La critica della decisione e’ contraddittoria e dunque obiettivamente incomprensibile.
Una volta che resta ferma la ratio decidendi della decisione impugnata, soprattutto per cio’ che concerne il mancato riferimento agli scritti difensivi delle parti in causa ed a brani delle sentenze (che rende apodittico nell’apprezzamento del giudice di appello il giudizio di negligenza, non potendo questo automaticamente discendere dall’esito sfavorevole delle cause), le ulteriori censure restano prive di decisivita’.
Nel decimo motivo poi parte ricorrente si duole dalla mancata valutazione delle prove proposte e dei fatti non specificatamente non contestati. Quanto al primo aspetto la censura refluisce nella denuncia di cattiva valutazione della prova, inammissibile per le ragioni sopra indicate. Quanto alla violazione del principio di non contestazione va rammentato che in tema di ricorso per cassazione, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimita’ di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (Cass. 9 agosto 2016, n. 16655). Tale onere non risulta assolto dalla parte ricorrente.
Ove poi, in base al potere di qualificazione che spetta a questa Corte, si ritenga che con il motivo, al di la’ della rubrica riferita all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la parte ricorrente abbia inteso denunciare un vizio di motivazione, va evidenziato che nel motivo si denuncia il mancato esame delle prove proposte e dei fatti specificatamente non contestati ma, a parte quanto appena rilevato a proposito di condotte processuali non contestate, non si indica in modo specifico, nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, a quali circostanze di fatto il ricorrente stia facendo riferimento, quale sia la sede processuale in cui tali circostanze sarebbero state dedotte e quale sia la loro specifica decisivita’, che e’ condizione di rilevanza del fatto omesso ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Afferma infine parte ricorrente che una volta allegata e addirittura provata la negligenza era onere dell’associazione professionale provare che non vi fosse stata negligenza professionale. Al proposito va rammentato che nel caso di responsabilita’ professionale incombe al creditore danneggiato allegare lo specifico inadempimento idoneo ai fini della produzione del pregiudizio lamentato e provare la fonte negoziale dell’obbligo ed il nesso di causalita’ fra l’inadempimento dedotto ed il pregiudizio (fra le tante, in materia di responsabilita’ sanitaria, Cass. 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; 20 ottobre 2015, n. 21177). In tema di responsabilita’ civile del professionista, il cliente e’ tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo e’ stato causato dall’insufficiente o inadeguata attivita’ del professionista; pertanto – poiche’ l’articolo 1223 c.c. postula la dimostrazione dell’esistenza concreta di una danno, consistente in una diminuzione patrimoniale – la responsabilita’ dell’avvocato per la mancata comunicazione al cliente dell’avvenuto deposito di una pronuncia sfavorevole – con conseguente preclusione della possibilita’ di proporre impugnazione – puo’ essere affermata solo se il cliente dimostri che l’impugnazione, ove proposta, avrebbe avuto concrete possibilita’ di essere accolta (Cass. 27 maggio 2009, n. 12354). Il rilievo del giudice di primo grado, che ha trovato conferma in sede di appello, secondo cui la dedotta negligenza non poteva essere apprezzata mancando agli atti le copie degli scritti di entrambe le parti e la sentenza d’appello, attiene in primo luogo al difetto di specificita’ dell’allegazione dell’inadempienza, la quale non comporta oneri probatori per il creditore, ma comporta l’onere di specifica inadempienza efficiente ai fini del pregiudizio, e tale onere risulta non assolto alla stregua della valutazione del giudice di merito. In secondo luogo l’insufficienza documentale non consente neanche la valutazione, stavolta sul piano probatorio, del nesso di causalita’ fra l’asserito inadempimento ed il pregiudizio lamentato, che incombe al cliente provare.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.