Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 14 marzo 2018, n. 6157

l’inizio del regime di recedibilita’ ad nutum del rapporto di lavoro, contemporaneo alla fine del regime di recedibilita’ causale, attribuisce al datore di lavoro il potere di far cessare immediatamente il rapporto, purche’ (e salva l’ipotesi di giusta causa ex articolo 2119 c.c.) il lavoratore abbia avuto la possibilita’ di giovarsi del periodo di preavviso grazie ad una tempestiva intimazione del licenziamento, valida anche se resa gia’ in regime di recedibilita’ causale, sicche’ e’ legittimo un c.d. licenziamento che, sebbene intimato in regime di recedibilita’ causale e privo di giustificazione, sia destinato a produrre effetto solo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta’ del lavoratore e, quindi, in coincidenza del subentrare del regime di recedibilita’ ad nutum.

 

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 14 marzo 2018, n. 6157

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente

Dott. GARRIBBA Fabrizia – rel. Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere

Dott. SPENA Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6257-2013 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1056/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/09/2012 R.G.N. 1077/10;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa citta’ che aveva rigettato la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. tesa ad ottenere – previa eventuale declaratoria della illegittimita’ del licenziamento intimato al (OMISSIS) prima del compimento del sessantacinquesimo anno di eta’ – l’accertamento del suo diritto ad un periodo di dieci mesi di preavviso lavorato, ai sensi dell’articolo 140 c.c.n.l. del settore assicurativo, e, conseguentemente, la condanna della societa’ convenuta al pagamento della somma di Euro 33.338,02 oltre accessori dovuti per legge.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che l’appello, pur ammissibile, era tuttavia infondato atteso che il licenziamento era stato intimato dalla societa’ appellata in ragione dell’avvenuto compimento da parte del lavoratore del sessantacinquesimo anno di eta’. Che dunque non vi erano ostacoli a che il preavviso, purche’ congruo, si svolgesse durante l’ultimo periodo di lavoro, pur se assistito da stabilita’ reale. Sostiene inoltre la Corte che nulla spettava all’appellante a titolo di preavviso poiche’, al pari del caso in cui sia esercitata l’opzione ai sensi della L. n. 54 del 1982, articolo 5 una volta raggiunto il sessantacinquesimo anno il rapporto si risolve senza obblighi di preavviso. Peraltro, nel caso in esame, la societa’ aveva autorizzato la proroga del rapporto oltre la data di compimento del sessantacinquesimo anno di eta’ per consentire al lavoratore di approssimarsi alla finestra pensionistica.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre (OMISSIS) che articola tre motivi ai quali resiste (OMISSIS) s.p.a. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso e’ denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2118 c.c. e della L. 11 maggio 1990, n. 108, articolo 4 anche con riferimento agli articoli 70 e 140 del c.c.n.l. del settore assicurazioni in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Sostiene il ricorrente che il periodo di preavviso non puo’ decorrere da una data precedente a quella in cui la datrice di lavoro ha diritto a recedere ad nutum dal rapporto di lavoro. La lettera dell’ (OMISSIS) che in data 29.10.2007 aveva comunicato di voler recedere dal giorno del compimento da parte del lavoratore del sessantacinquesimo anno non poteva pertanto essere considerata ai fini della decorrenza del periodo di preavviso, della durata di dieci mesi ai sensi dell’articolo 140 c.c.n.l.. Secondo il ricorrente questo poteva decorrere solo dal momento in cui, con il compimento dei sessantacinque anni (il 28.10.2008), il rapporto era divenuto liberamente risolvibile.

5. Con il secondo motivo di ricorso e’ denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2118 c.c., L. 11 maggio 1990, n. 108, articolo 4, del Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, articolo 1 e della L. 26 febbraio 1982, n. 54, articolo 6 anche con riferimento agli articoli 70 e 140 del c.c.n.l. del settore assicurazioni in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.1. Ad avviso del ricorrente la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che, essendo stata esercitata l’opzione ai sensi della L. n. 54 del 1982, articolo 6 il rapporto sarebbe cessato senza obblighi di preavviso con il raggiungimento della massima anzianita’ contributiva e che, comunque, non si sarebbe potuto protrarre oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di eta’. Sottolinea il ricorrente di non aver esercitato alcuna opzione ma di essere cessato dal servizio per aver raggiunto l’eta’ della pensione di vecchiaia (sessantacinque anni) pur non avendo raggiunto la massima anzianita’ contributiva. La sua posizione non era paragonabile dunque con quella di chi era in condizione di esercitare l’opzione non avendo ancora raggiunto l’eta’ per il collocamento in pensione per vecchiaia. Ne conseguirebbe che il preavviso sarebbe potuto e dovuto decorrere solo dalla data in cui il lavoratore aveva compiuto l’eta’ per il pensionamento di vecchiaia, e non prima.

6. Con il terzo motivo di ricorso e’ denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 2118 c.c. con riferimento agli articoli 70 e 140 del c.c.n.l. del settore assicurazioni.

6.1. La Corte di appello, ad avviso del ricorrente, nel ritenere inapplicabili gli articoli 70 e 140 del contratto collettivo di categoria alla risoluzione del rapporto per raggiunti limiti di eta’ avrebbe pronunciato su una questione che non gli era stata sottoposta. In ogni caso sottolinea che sarebbero illegittime le disposizioni collettive richiamate ove escludessero il preavviso per tale caso di risoluzione del rapporto di lavoro e, comunque, si tratterebbe di interpretazione in contrasto con il testo dell’articolo 70 del c.c.n.l. che, alla lettera b), riconosce il preavviso nel caso di recesso da parte dell’Impresa ai sensi dell’articolo 2118 c.c..

7. Le censure, da esaminare congiuntamente, poiche’ attengono sostanzialmente all’unica questione dei termini e delle modalita’ di risoluzione del rapporto in coincidenza con il raggiungimento dell’eta’ per il conseguimento della pensione di vecchiaia e dell’esistenza o meno del diritto del lavoratore ad un periodo di preavviso, sono infondate per le ragioni che di seguito si espongono.

7.1. Occorre premettere che, come precisato dall’odierno ricorrente, nel caso in esame non e’ stata esercitata l’opzione ai sensi della L. n. 54 del 1982, articolo 6 per il trattenimento in servizio fino al conseguimento della massima anzianita’ contributiva e comunque fino al compimento del sessantacinquesimo anno di eta’. Il rapporto con il signor (OMISSIS), infatti, e’ cessato al compimento del sessantacinquesimo anno di eta’. Per maggiore esattezza il datore di lavoro pur avendo comunicato che il rapporto sarebbe cessato a quel momento (il 28.10.2008) ha poi acconsentito a procrastinarne la cessazione al momento in cui avrebbe raggiunto la finestra che gli avrebbe consentito di conseguire effettivamente la pensione.

7.2. Non ricorre allora l’ipotesi cui alla L. 11 maggio 1990, n. 108, articolo 4, comma 2, secondo cui le disposizioni di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18 si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, che abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi del Decreto Legge n. 791 del 1981, articolo 6 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 54 del 1982.

7.3. Tanto premesso va rammentato che nel lavoro subordinato privato la tipicita’ e tassativita’ delle cause d’estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate eta’ ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, diversamente da quanto accade nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in tema di collocamento a riposo d’ufficio, al compimento delle eta’ massime previste dai diversi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche stesse (cfr. Cass. 17/06/2010 n. 14628 e 3/11/2008 n. 26377).

7.4. Dalla L. 1 maggio 1990, n. 108, articolo 4 si desume che, nel lavoro privato, il compimento dell’eta’ pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per la effettiva attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia (Decreto Legislativo n. 248 del 2007, articolo 6, comma 2-bis) da parte del lavoratore determinano soltanto la recedibilita’ “ad nutum” dal rapporto di lavoro e, dunque, il venire meno del regime di stabilita’, non gia’ la automatica estinzione del rapporto stesso, sicche’, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, il rapporto prosegue con diritto del lavoratore a percepire le retribuzioni anche successivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di eta’ (Cass. 24/04/2014 n. 9312, 05/03/2003 n. 3237, 20/04/1999 n. 3907).

7.4. Ne consegue che, nel campo dei rapporti di lavoro di natura privatistica, per la risoluzione del rapporto per limiti di eta’ anagrafica del lavoratore, al datore di lavoro e’ imposto comunque l’obbligo di preavviso (Cass. 06/02/2004 n. 2339, 13/04/2001 n. 5576, 28/09/2000 n. 12890, 12/08/2000 n. 10782, 07/06/1995 n. 6396, 27/05/1995 n. 5977, 25/07/1994 n. 6901).

7.5. Come e’ stato osservato (cfr. Cass. 29/12/2014 n. 27425) anche la Corte costituzionale ha ritenuto compatibile con la Costituzione la (…) previsione del recesso ad nutum, sul principale rilievo secondo cui “in una societa’ come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottoccupazione, l’assenza di una piena tutela del diritto al lavoro (per difetto di garanzie di stabilita’ del posto) per i lavoratori che abbiano gia’ conseguito la pensione di vecchiaia trova ragionevole giustificazione nel godimento, da parte loro, di tale trattamento previdenziale ed una ratio siffatta non solo opera anche rispetto ai lavoratori pensionati per vecchiaia gia’ al momento della costituzione del rapporto, ma legittima altresi’ la possibilita’ che di questi, come degli altri che conseguano il pensionamento nel corso del rapporto, sia possibile il licenziamento senza l’osservanza della forma scritta, prevista soltanto in funzione del diritto alla stabilita’, non garantita alle teste’ menzionate categorie di lavoratori” (vedi, per tutte: Corte cost. sentenze n. 15 del 1983; n. 309 del 1992; n. 225 del 1994; n. 174 del 1971; n. 45 del 1965, nonche’ Cass. 26 maggio 2004, n. 10179).”

7.6. Orbene nella specie, come si e’ ricordato, pacificamente, la lettera di recesso, con la quale si e’ dato atto della cessazione del rapporto per il raggiunto limite di eta’ anagrafica e’ stata comunicata all’interessato il giorno 29 ottobre 2007, mentre la data di compimento del sessantacinquesimo anno di eta’ del lavoratore era il (OMISSIS) e dunque la risoluzione datoriale del rapporto di lavoro a causa del raggiungimento dei limiti massimi d’anzianita’ lavorativa e’ stata effettuata prima del compimento dei sessantacinque anni del dipendente ma era destinata ad operare al momento di tale evento. Pertanto, non essendo stata seguita da allontanamento del lavoratore dal posto di lavoro, essa non costituisce licenziamento, difettandone il presupposto della volonta’ di interrompere un rapporto in corso, ma piuttosto un semplice atto risolutivo, che, se conforme alla contrattazione collettiva e se non contestato dal destinatario con riguardo alla sua legittimita’, non e’ sottoposto alla medesima normativa del licenziamento, sicche’ non si configura il diritto del lavoratore all’indennita’ di preavviso, tanto piu’ che, in tale ipotesi, il preavviso e’ lavorato (cfr. in termini oltre alla gia’ citata Cass. n. 27425 del 2014, Cass. 20/02/2013 n. 4187, 29/11/2004 n. 22427 e recentemente ancora in un caso analogo al presente Cass. 24/01/2017 n. 1743 e ord. sez. Lav. 29/08/2017 n. 20499).

7.7. L’articolo 2118 c.c., comma 2, d’altra parte, prevede l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere al lavoratore l’indennita’ sostitutiva del preavviso in ogni caso di licenziamento individuale che non sia preceduto da periodo di preavviso lavorato (Cass. 21/01/2014 n. 1148).

7.8. In definitiva l’inizio del regime di recedibilita’ ad nutum del rapporto di lavoro, contemporaneo alla fine del regime di recedibilita’ causale, attribuisce al datore di lavoro il potere di far cessare immediatamente il rapporto, purche’ (e salva l’ipotesi di giusta causa ex articolo 2119 c.c.) il lavoratore abbia avuto la possibilita’ di giovarsi del periodo di preavviso grazie ad una tempestiva intimazione del licenziamento, valida anche se resa gia’ in regime di recedibilita’ causale, sicche’ e’ legittimo un c.d. licenziamento che, sebbene intimato in regime di recedibilita’ causale e privo di giustificazione, sia destinato a produrre effetto solo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta’ del lavoratore e, quindi, in coincidenza del subentrare del regime di recedibilita’ ad nutum (Cass. 28/11/2007 n. 24722 e 16/05/1995 n. 5356 richiamate da Cass. n. 27425 del 2014).

8. In conclusione e per le considerazioni sopra esposte, dalle quali resta assorbito l’esame dell’ultimo motivo di ricorso, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13, comma 1 bis citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13, comma 1 bis citato D.P.R..

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.