Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 4 febbraio 2016, n. 2177

non adempie all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato il medico il quale ritenga di sottoporre al paziente, perche’ lo sottoscriva, un modulo del tutto generico, da cui non sia possibile desumere con certezza che il paziente medesimo abbia ottenuto in modo esaustivo le suddette informazioni.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 4 febbraio 2016, n. 2177

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11986-2013 proposto da:

(OMISSIS) ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA, domiciliata ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ rappresentata e difesa per legge;

– controricorrenti –

e contro

AZIENDA OSPEDALIERA POLICLINICO UNIVERSITARIO (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 167/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 27/03/2012, R.G.N. 967/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. – (OMISSIS) convenne in giudizio (OMISSIS), l’Azienda Ospedaliera-Policlinico Universitario (OMISSIS) e l’Universita’ degli Studi di Messina per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni patiti (quantificati in lire 359.420.000) a seguito dell’intervento chirurgico, eseguito dal (OMISSIS) presso il Policlinico Universitario il 25 gennaio 1995, di cheratomia radiale all’occhio destro, con ritocco di analogo intervento all’occhio sinistro cui si era sottoposta il 9 gennaio 1995 presso la clinica oculistica dell’Universita’ di Padova.

1.1. – A sostegno della domanda l’attrice espose: che, essendo affetta da miopia corretta con lenti, “attratta da notizie di completa guarigione da tale affezione”, aveva effettuato il 9 gennaio 1995, presso l’Universita’ di Padova, un primo intervento di cheratomia radiale all’occhio sinistro; che, “rientrata a Messina si era rivolta” il 20 gennaio 1995 al dott. (OMISSIS) che le aveva consigliato “un ritocco all’occhio sinistro e una cheratomia radiale anche all’occhio destro, poi eseguiti dal predetto (OMISSIS) presso il Policlinico universitario di (OMISSIS)”; che, dopo qualche iniziale beneficio, aveva avuto un peggioramento delle condizioni visive, “registrando varie complicanze” (comparsa di astigmatismo, tendenza alla ipermetropizzazione, fluttuazione diurna della visione, astenopia e, successivamente, insorgenza di cataratta), “con residuo visivo di 2/10 in occhio destro e di 3/10 in occhio sinistro” ed invalidita’ permanente del 60%; che “non era stata adeguatamente informata dal (OMISSIS) sulla natura e i rischi dell’intervento a cui non si sarebbe sottoposta se fosse stata informata delle insorgenza delle intervenute complicanze”; che, inoltre, l’intervento chirurgico era stato “negligentemente e frettolosamente eseguito sull’occhio sinistro con appiattimento completo della cornea”; che, infine, “il complessivo peggioramento visivo provocava difficolta’ nella vita sociale e lavorativa di essa insegnante”, per la “necessita’ di utilizzare nel corso della giornata diversi occhiali”.

1.2. – Nel contraddittorio con le parti convenute, l’adito Tribunale di Messina, all’esito dell’istruttoria (consistita nell’espletamento di c.t.u. medico-legale e di prova orale), con sentenza del marzo 2006 rigetto’ la domanda attrice, con compensazione per meta’ delle spese di lite, ponendo la restante meta’ a carico della stessa (OMISSIS).

2. – Avverso tale decisione proponeva impugnazione (OMISSIS), che la Corte di appello di Messina -acquisito il “depliant informativo” consegnato dal (OMISSIS) alla (OMISSIS) all’epoca dei fatti – con sentenza resa pubblica il 27 marzo 2012, accoglieva soltanto in punto di regolamentazione delle spese processuali tra l’appellante e l’Universita’ degli Studi di Messina (che dichiarava interamente compensate), con conferma nel resto della sentenza impugnata e compensazione per meta’ delle spese del grado tra la (OMISSIS) (sulla quale gravava la restante meta’ di dette spese), il (OMISSIS) e l’Azienda Ospedaliera, nonche’ compensazione integrale delle medesime spese tra l’appellante e l’Universita’ di Messina.

2.1. – Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale, sulla scorta delle risultanze della c.t.u. medico-legale, escludeva, anzitutto, che la cataratta bilaterale lamentata dalla (OMISSIS) fosse causalmente correlata all’intervento chirurgico eseguito dal (OMISSIS).

2.2. – Il giudice di appello – ancora assumendo come propri gli esiti della c.t.u. – evidenziava, altresi’, che “i disturbi manifestati dalla (OMISSIS) (regressione dell’effetto correttivo inizialmente ottenuto, fotofobia, lacrimazione, senso di corpo estraneo e visione fluttuante)”, insorti due anni dopo l’intervento chirurgico, erano “conseguenza diretta dell’intervento subito in Padova e Messina” ed erano “eventi possibili di rilevanza statistica in interventi eseguiti, come quello in esame, correttamente” (come del resto non contestato dallo stesso consulente di parte appellante), avendo il (OMISSIS) effettuato una “corretta valutazione diagnostica preoperatoria seguita da tecnica chirurgica corretta…, in modo tale da escludere negligenza, imperizia e imprudenza da parte dell’operatore”.

In particolare, l’intervento all’occhio destro era stato “terapeutico in quanto diretto a correggere la anisometropia causata dall’intervento effettuato a Padova”, mentre l’intervento all’occhio sinistro era stato “determinato dalla volonta’ della paziente di liberarsi dalla schiavitu’ degli occhiali, che peraltro erano assolutamente idonei a correggere la miopia”.

2.3. – La Corte territoriale escludeva, poi, che la (OMISSIS) non fosse stata adeguatamente informata dal (OMISSIS) sui “disturbi” poi manifestatisi, giacche’, nel corso della visita medica prima dell’intervento, lo stesso (OMISSIS) le ebbe a consegnare un “depliant”, redatto dal medesimo oculista, nel quale si evidenziava: “rientrano nella normalita’, e sono piu’ o meno transitoria fastidi quali lacrimazione, fotofobia anche intensa, fluttuazioni visive, abbagliamento. Tutti questi problemi tendono a scomparire entro qualche settimana. Il vero limite dell’intervento e’ una relativa imprevedibilita’ che potrebbe comportare un residuo difetto visivo, seppure di molto inferiore a quello di partenza” (…) “non si tratta di un intervento di chirurgia estetica per cui se non si hanno problemi con l’uso degli occhiali o si tollerano bene le lenti a contatto non e’ il caso di sottoporsi ad operazione”.

Il giudice di secondo grado riteneva, quindi, che la consegna dell’opuscolo alla paziente, “persona di idoneo livello culturale e che aveva deciso di affrontare analogo intervento sull’occhio sinistro alcune settimane prima in un centro come quello della clinica oculistica dell’Universita’ di Padova (dove e’ verosimile che abbia pure ricevuto le piu’ opportune informazioni)”, integrasse “uno standard informativo adeguato”, la’ dove non falsava il contenuto dell’informazione il riferimento alla transitorieta’ dei disturbi ed alla loro tendenza a scomparire, evidenziante comunque “i rischi che comporta l’intervento anche se ridotti”, mentre il chiarimento circa la natura di intervento non di chirurgia estetica, con l’avvertenza di non sottoporsi all’operazione in caso di uso non problematico degli occhiali, rendeva “completa e dettagliata l’informazione”.

2.4. – Ne’ – soggiungeva infine la Corte di appello – poteva “attribuirsi rilievo probatorio alla deposizione del teste (OMISSIS) (teste de relato actoris) che ha riferito di aver appreso dalla stessa sua amica che ella si era determinata all’intervento a seguito delle assicurazioni forni tele dal medico (OMISSIS) che non vi erano pericoli e che avrebbe risolto i suoi problemi”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre (OMISSIS) affidandosi a cinque motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi l’Universita’ degli Studi di Messina e (OMISSIS); quest’ultimo ha anche depositato memoria.

Non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede l’Azienda Ospedaliera Policlinico Universitario (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1176, 1218, 1223, 1337, 2043, 2230 e 2236 cod. civ., articoli 13 e 32 Cost., Legge n. 833 del 1978, articolo 33, articolo 5 della Convenzione di Oviedo recepita con Legge n. 145 del 2001 e articolo 3 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”, nonche’ dedotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione.

La Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le prove acquisite o, comunque, le avrebbe valutate erroneamente e con motivazione illogica e contraddittoria, giacche’, in base ad esse, era emerso che, durante la visita del 20 gennaio 1995, tramite la consegna dell’opuscolo e verbalmente (come riferito dal teste (OMISSIS)), il (OMISSIS) aveva assicurato ad essa (OMISSIS) che avrebbe risolto “i suoi problemi visivi” e che l’intervento non avrebbe provocato complicanze alla paziente fatta eccezione dei fastidi indicati nell’opuscolo stesso, peraltro solo transitori, mentre aveva taciuto sulla “regressione dell’effetto correttivo inizialmente ottenuto” e, quindi, sulla “regressione del visus, cui non vi era cenno nell’opuscolo”. Sicche’, da tanto doveva evincersi che se la paziente avesse ricevuto “la esatta informazione che le complicanze ed i postumi fossero stati permanenti e/o che avesse subito una regressione della vista, di certo non si sarebbe sottoposta all’intervento di cheratomia radiale”.

La Corte di appello, con una decisione contrastante con le disposizioni indicate in rubrica e con i principi giurisprudenziali della materia, avrebbe, pertanto, errato a ritenere la liceita’ dell’intervento eseguito correttamente dal (OMISSIS), in quanto cio’ non avrebbe rilievo alcuno “ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato”, che sussiste per il solo fatto del deficit di informazione.

2. – Con il secondo mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1176, 1218, 1223, 1337, 1338, 1429, 1453, 2230, 2236 e 2727 cod. civ., nonche’ (anche ai sensi del n. 5 del citato articolo 360) degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ..

La ricorrente – assumendo, per le considerazioni svolte con il primo motivo, che sia “incontrovertibile” che il (OMISSIS), pur avendone l’obbligo, non l’aveva informata “in maniera esaustiva ed adeguata dei rischi conseguenti al trattamento chirurgico di cheratomia radiale” – sostiene che la Corte di appello avrebbe errato a non ritenere il medico responsabile per la violazione della buona fede nella formazione del contratto, inducendo la (OMISSIS) “ad esprimere un consenso assolutamente non consapevole e disinformato”, con conseguente “lesione della situazione giuridica della paziente inerente alla salute ed all’integrita’ fisica”, da risarcirsi indipendentemente dall’esecuzione corretta dell’intervento.

2.1. – I primi due motivi – da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione – sono fondati per quanto di ragione.

2.1.1. – I profili di censura che risultano pertinenti e rilevanti rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata attengono all’ambito della prestazione del consenso informato alla prestazione medica ed ai caratteri che esso deve assumere per essere tale, la’ dove le ulteriori asserite violazioni di legge si palesano eccentriche rispetto allo sviluppo argomentativo che sorregge la decisione, la quale non pone affatto in discussione la necessita’ dell’obbligo informativo del medico nei confronti del paziente, adducendo, invece, che detto obbligo sia stato adeguatamente assolto dall’oculista che ha eseguito l’intervento chirurgico sulla persona della (OMISSIS).

2.1.2. – Inoltre, occorre precisare che – alla luce di quanto emerge dalla stessa sentenza di appello – la “questione” del consenso informato della (OMISSIS) si correla esclusivamente alla domanda risarcitoria per lesione del diritto alla salute (costituzionalmente tutelato in base all’articolo 32 Cost.), quale unica pretesa che – dalla stessa sentenza – risulta esser stata azionata in giudizio e che (come messo in rilievo piu’ volte da questa Corte: tra le altre, Cass., 9 febbraio 2010, n. 2847; Cass., 12 giugno 2015, n. 12205) rimane, quindi, ben distinta dalla domanda risarcitoria che postula la lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione a seguito della mancata informazione da parte del sanitario. Distinzione, questa, che assume uno specifico rilievo effettuale, giacche’ soltanto in riferimento alla pretesa di risarcimento del danno alla salute derivato da atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte si impone, ove sia mancata l’adeguata informazione del paziente sui possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, la verifica circa la rilevanza causale dell’inadempimento dell’obbligo informativo rispetto al predetto danno, gravando sullo stesso paziente la prova, anche presuntiva, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento (cosi, tra le altre, la citata Cass. n. 2947 del 2010).

Invero, nello stesso ricorso la (OMISSIS) ribadisce di non aver potuto esprimere un consenso consapevole e informato, patendo di conseguenza la “lesione della situazione giuridica della paziente inerente alla salute ed all’integrita’ fisica”, ne’, in ogni caso, da contezza (nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, tramite l’indicazione puntuale degli atti processuali rilevanti e dei relativi contenuti) di dove e quando sarebbe stata proposta nel giudizio di merito la (eventuale) pretesa risarcitoria per lesione del diritto all’autodeterminazione.

2.1.3. – Cio’ precisato, giova rammentare, quanto alle modalita’ ed ai caratteri del consenso alla prestazione medica, che – come messo in risalto da questa Corte (tra le altre, Cass., 23 maggio 2001, n. 7027; Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748; Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847; Cass., 27 novembre 2012, n. 20984; Cass., 28 luglio 2011, n. 16453; Cass., 20 agosto 2013, n. 19220) – esso, anzitutto, deve essere personale (salvo i casi di incapacita’ di intendere e volere del paziente), specifico e esplicito, nonche’ reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto.

Infine, il consenso deve essere pienamente consapevole e completo, ossia deve essere “informato”, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico, cio’ implicando la piena conoscenza della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative.

A tal riguardo, si e’ puntualizzato che non adempie all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato il medico il quale ritenga di sottoporre al paziente, perche’ lo sottoscriva, un modulo del tutto generico, da cui non sia possibile desumere con certezza che il paziente medesimo abbia ottenuto in modo esaustivo le suddette informazioni (Cass., 8 ottobre 2008, n. 24791).

Inoltre, la qualita’ del paziente non rileva ai fini della completezza ed effettivita’ del consenso, bensi sulle modalita’ con cui e’ veicolata l’informazione, ossia nel suo dispiegarsi in modo adeguato al livello culturale del paziente stesso, in forza di una comunicazione che adotti un linguaggio a lui comprensibile in ragione dello stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (cfr. Cass. n. 19220 del 2013, cit.).

2.1.4. – La motivazione della sentenza impugnata in questa sede devia dall’alveo dei richiamati principi, avendo ritenuto sussistente (cfr. pp. 12/13 di detta sentenza, nonche’ sintesi al p. 2.3. del “Ritenuto in fatto” che precede) la completezza dell’informazione in ordine all’intervento chirurgico di cheratosi radiale, anche per cio’ che atteneva alle relative conseguenze pregiudizievoli, in evidente contraddizione, pero’, con l’effettiva portata del contenuto dell’opuscolo consegnato alla paziente, da porsi in correlazione con gli esiti dell’accertamento medico d’ufficio – che la stessa Corte territoriale fa propri, come premessa dell’ulteriore sviluppo argomentativo, a fondamento della decisione – la’ dove detto accertamento era nel senso che anche la complicanza della “regressione dell’effetto correttivo inizialmente ottenuto” era da ascriversi tra gli “eventi possibili di rilevanza statistica in interventi eseguiti, come quello in esame, correttamente” (pp. 10/11 della sentenza impugnata).

La Corte territoriale, infatti, ha evidenziato che, attraverso la consegna da parte del (OMISSIS) alla (OMISSIS) di un “depliant informativo, dallo stesso oculista redatto”, la paziente era stata adeguatamente informata sulla portata e sui rischi dell’intervento di cheratomia radiale (poi eseguito del tutto correttamente dal (OMISSIS)) e, segnatamente, sulle complicanze successivamente insorte a carico della stessa (OMISSIS), mancando pero’ di considerare quella della regressione del visus – quale conseguenza pregiudizievole di maggior rilievo occorsa alla (OMISSIS) -, che nel predetto depliant non veniva indicata, essendo evento diametralmente opposto quello di un possibile “residuo difetto visivo, seppure di molto inferiore a quello di partenza”.

Ne’ potrebbe assumere rilievo il fatto che l’opuscolo fosse pienamente comprensibile dalla (OMISSIS), anche per il suo “idoneo livello culturale”, giacche’ profilo diverso da quest’ultimo e’ la completezza dell’informazione, seppur pienamente intelligibile nei contenuti veicolati.

Rimane, infine, su un piano di una mera, ed inanimissibile, presuntio de presumpto, in quanto del tutto sfornita di oggettivo riscontro come fatto noto, la circostanza che la paziente, in quanto gia’ sottopostasi ad analogo intervento chirurgico poche settimana prima, fosse stata adeguatamente informata su tutte le relative complicanze.

In ogni caso, ove pure (in ipotesi) riscontrabile l’anzidetta circostanza, cio’ non esimerebbe il medico che interviene successivamente ad acquisire il consapevole, completo ed effettivo consenso del paziente tramite una rinnovata informazione sulla prestazione medica che si va ad effettuare o, comunque, a saggiare la reale portata del bagaglio di conoscenze specifiche che il paziente medesimo dispone nell’immediatezza di tale prestazione (nella specie, intervento chirurgico oculistico).

3. – Con il terzo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1176, 1218, 1223, 1337, 1338, 2230, 2236 e 2727 cod. civ., nonche’ (anche ai sensi del n. 5 del citato articolo 360) degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ..

La Corte di appello non avrebbe considerato che il (OMISSIS) – avendo riferito alla (OMISSIS) “che avrebbe risolto i suoi problemi” – “si era assunto l’obbligo del risultato avendo garantito il positivo esito della operazione”, rispetto al quale era, pero’, rimasto inadempiente.

4. – Con il quarto mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ..

La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto, “per inesistenza del presupposto”, che la teste (OMISSIS) fosse de relato actoris, in quanto essa “era presente al colloquio del 20 gennaio 1995” tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), assumendo, quindi, “conoscenza diretta della conversazione tra il medico e la paziente”.

Peraltro, essa (OMISSIS) non avrebbe riferito alla (OMISSIS) “un fatto”, bensi’ “manifestato una sua volonta’ della quale la teste ebbe contezza diretta”, ossia la “sua decisione di sottoporsi all’intervento chirurgico a seguito delle assicurazioni datele dal (OMISSIS)”.

4.1. – Il terzo e quarto mezzo, da scrutinarsi congiuntamente in quanto connessi, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

L’assunto per cui il (OMISSIS) si sarebbe obbligato al risultato dell’esito positivo dell’intervento si fonda sul contenuto della deposizione del teste (OMISSIS), che avrebbe riferito in ordine alle assicurazioni fornite dall’oculista alla paziente, in occasione della visita del 20 gennaio 1995, sulla risoluzione dei problemi visivi che la affliggevano.

Tuttavia, la Corte territoriale – alla quale e’ riservato il potere di valutazione delle prove – ha ritenuto irrilevante la testimonianza anzidetta, in quanto proveniente da parte di una amica della (OMISSIS) su circostanze da quest’ultima riferitele.

Si tratta, dunque, di motivazione che esclude, in modo plausibile, la credibilita’ del teste in rapporti di amicizia con l’attrice e che riferisce de relato actoris (sulla inconsistente rilevanza di una tale deposizione, cfr., tra le tante, Cass., 15 gennaio 2015, n. 569), senza che la ricorrente evidenzi in questa sede – in funzione di un eventuale vizio motivazionale ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’esistenza di ulteriori circostanze probatorie acquisite nel corso del giudizio di merito, idonee a scalfire l’intrinseca logicita’ di detto convincimento.

Quanto, poi, al rilievo della presenza del teste alla visita medica del 20 gennaio 1995, esso confligge con la valutazione della prova operata dalla Corte territoriale (e ad essa unicamente spettante), senza che venga data alcuna contezza del vizio motivazionale eventualmente commesso, posto che dal contenuto (peraltro solo parziale) della deposizione riportata in ricorso (p. 17) non emerge affatto l’evidenza di quanto asserito dalla ricorrente.

5. – Con il quinto mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 cod. proc. civ..

“Alla luce delle considerazioni esposte nei motivi che precedono”, la Corte territoriale avrebbe dovuto porre interamente a carico delle parti convenute/appellate le spese processuali e non gia’ compensarle per meta’.

5.1. – Il motivo, attenendo alla statuizione sulle spese, e’ assorbito dalla cassazione della sentenza in forza dei motivi accolti, con conseguente necessita’ di una rinnovata regolamentazione delle spese di lite all’esito del giudizio di rinvio.

6. – Vanno, dunque, accolti per quanto di ragione il primo ed il secondo motivo del ricorso, mentre devono essere rigettati il terzo e quarto motivo, con assorbimento del quinto.

La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione e la causa rinviata alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, la quale, alla luce dei principi e dei rilievi evidenziati ai pp. da 2.1. a 2.1.4 che precedono, dovra’ procedere, in riferimento alla domanda risarcitoria per lesione del diritto alla salute, ad una nuova e preliminare delibazione in ordine alla sussistenza del consenso informato della (OMISSIS) all’intervento di cheratomia radiale eseguito dal (OMISSIS).

Il giudice del rinvio provvedere anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo ed il secondo motivo di ricorso;

rigetta il terzo ed il quarto motivo, nonche’ dichiara assorbito il quinto motivo del medesimo ricorso;

cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.