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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 7 novembre 2014, n. 23778
Il grado di invalidità permanente espresso da un “baréme” medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima, restando preclusa la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, quali il danno alla vita di relazione e alla vita sessuale, il danno estetico e il danno esistenziale. Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.
Per ulteriori approfondimenti in materia di R.C.A. si consiglia la lettura dei seguenti articoli:
Natura della procedura di indennizzo diretto ex art. 149 D. Lvo n. 209/2005
Le azioni a tutela del terzo trasportato ai sensi del Codice delle Assicurazioni Private (D.L.vo n. 209/2005)
La disciplina del Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada ai sensi del D. Lvo 209/2005.
Sinistri stradali, danno da fermo tecnico, risarcimento: onere probatorio e liquidazione equitativa.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 7 novembre 2014, n. 23778
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 30379/2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), LA (OMISSIS) SPA (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
Nonche’ da:
(OMISSIS) SPA (gia’ (OMISSIS) SPA) (OMISSIS), in persona dei Procuratori speciali Dott. (OMISSIS) e Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giuste procure separate a margine e in calce al controricorso e ricorso incidentale gia’ notificato;
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine della comparsa di costituzione unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
LA (OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del suo Procuratore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al proprio controricorso con ricorso incidentale del 30/01/2009;
– controricorrenti all’incidentale –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS);
– intimati –
Nonche’ da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giuste procure separate a margine e in calce al controricorso e ricorso incidentale gia’ notificato;
– ricorrenti incidentali –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti all’incidentale –
e contro
LA (OMISSIS) SPA (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SPA (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS);
– intimati –
Nonche’ da:
LA (OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del suo Procuratore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giuste procure separate a margine e in calce al controricorso e ricorso incidentale gia’ notificato;
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti all’incidentale –
e contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SPA (OMISSIS);
– intimati –
Nonche’ da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine della comparsa di costituzione, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrenti incidentali –
contro
LA (OMISSIS) SPA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al proprio controricorso con ricorso incidentale in data 30/01/2009;
– controricorrenti all’incidentale –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) SPA (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1325/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/08/2008 R.G.N. 1509/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il (OMISSIS), a (OMISSIS), si verifico’ un sinistro stradale che coinvolse tre autovetture:
– una Renault, condotta da (OMISSIS);
– una Regata, condotta da (OMISSIS), di proprieta’ di (OMISSIS) ed assicurata contro i rischi della responsabilita’ civile dalla (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in (OMISSIS), e come tale sara’ d’ora innanzi indicata);
– una Audi, condotta da (OMISSIS) e di proprieta’ dei medesimo, assicurata contro i rischi della responsabilita’ civile dalla (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in (OMISSIS), e come tale sara’ d’ora innanzi indicata).
2. In conseguenza del sinistro (OMISSIS) pati’ lesioni personali che lo resero invalido al 95%
Per ottenere il risarcimento del danno, nel 1992 (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Forli’ (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS).
Altrettanto fecero i genitori della vittima ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), in separato giudizio, chiedendo anch’essi la condanna dei convenuti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al risarcimento del danno riflesso.
3. La (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), costituendosi nel giudizio introdotto da (OMISSIS), allegarono che al responsabilita’ del sinistro andava ascritta a (OMISSIS): provvidero percio’ a chiamare in causa questi ed il suo assicuratore della r.c.a. la (OMISSIS), chiedendo che ne fosse accertata la responsabilita’ esclusiva o concorrente.
4. Nel 1994 il giudizio proposto dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) venne riunito a quello proposto da (OMISSIS).
5. Con sentenza 21.5.2003 n. 458 il Tribunale di Forli’:
(a) dichiaro’ responsabile del sinistro (OMISSIS) nella misura del 60%, e (OMISSIS) nella misura del 40%;
(b) condanno’ i due gruppi di responsabili ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) da un lato, (OMISSIS) e (OMISSIS) dall’altro) al risarcimento del danno, ma non in solido, sebbene in misura corrispondente alle rispettive responsabilita’;
(c) condanno’ ambedue gli assicuratori convenuti al risarcimento anche oltre il limite del massimale.
6. Sia i creditori che i debitori impugnarono la sentenza, ad eccezione del contumace (OMISSIS): i primi invocando una piu’ cospicua quantificazione del danno, i secondi contestando sotto vari profili, dei quali si dira’ meglio in seguito, sia l’an che il quantum.
La Corte d’appello di Bologna con sentenza 18.8.2008 n. 1325 rigetto’ tutti gli appelli, compensando le spese.
7. La sentenza d’appello viene ora impugnata per cassazione:
(a) in via principale da (OMISSIS), sulla base di 10 motivi illustrati da memoria;
(b) in via incidentale da:
(b1) (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di sette motivi illustrati da memoria;
(b2) (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di due motivi illustrati da memoria;
(b3) (OMISSIS) s.p.a., sulla base di sette motivi illustrati da memoria;
(b4) (OMISSIS), sulla base di un motivo.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte (OMISSIS) non si e’ difeso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Questioni preliminari.
1.1. Con atti datati 27.9.2012 e depositati nella Cancelleria di questa Corte, denominato “comparsa di costituzione di nuovo difensore”, sia (OMISSIS), sia (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno dichiarato di volere nominare nuovo difensore l’avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS).
I suddetti atti recano al margine una procura alle liti a favore del suddetto avv. (OMISSIS), con sottoscrizione autenticata dall’avv. (OMISSIS) nel caso dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), e dall’avv. (OMISSIS) nel caso di (OMISSIS).
1.2. I suddetti atti sono nulli.
Nel giudizio di cassazione, infatti, la procura speciale non puo’ essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poiche’ l’articolo 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti in margine o in calce ai quali puo’ essere apposta la procura speciale, indica, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati. Pertanto, se la procura non e’ rilasciata in occasione di tali atti, e’ necessario il suo conferimento nella forma prevista dal secondo comma del citato articolo, cioe’ con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata.
A tale regola non si fa eccezione nemmeno nel caso in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore (Sez. 3, Sentenza n. 23816 del 24/11/2010, Rv. 615160).
V’e’ solo da aggiungere che al presente giudizio non si applica la norma inserita nell’articolo 83 c.p.c., dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 45, comma 9, lettera (a), che consente il rilascio della procura anche al margine di atti diversi da quelli sopra indicati.
Infatti, per espressa previsione della Legge n. 69 del 2009, articolo 58, comma 1, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, avvenuta il 4 luglio 2009.
Essendo il presente giudizio iniziato in primo grado nel 1992, ad esso non puo’ applicarsi la nuova disposizione, come gia’ ritenuto da questa Corte con le decisioni pronunciate – ex aliis – da Sez. 3, Sentenza n. 12831 del 6/6/2014; Sez. 5, Ordinanza n. 7241 del 26/03/2010, Rv. 612212).
2. I motivi primo, quarto, settimo ed ottavo del ricorso di (OMISSIS).
2.1. I motivi primo, quarto, settimo ed ottavo del ricorso principale proposto da (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente, perche’ pongono questioni analoghe.
Con tutti e quattro i suddetti motivi il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4. Lamenta, in particolare, l’omessa pronuncia sulla propria domanda di risarcimento:
(a) delle spese mediche future di riabilitazione e cura;
(b) della spesa “per adeguamento automezzi”.
2.2. Tutti e quattro i motivi sono infondati.
Il giudice di primo grado espressamente prese in esame e liquido’ le spese di cura e riabilitazione, anche future. La Corte d’appello ha ritenuto tale liquidazione congrua: e dunque una pronuncia vi e’ stata. Stabilire, poi, se essa sia stata anche corretta e motivata era questione da prospettare invocando o la violazione di legge, ex articolo 360 c.p.c., n. 3; ovvero il vizio di motivazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 5.
2.3. Quanto alla doglianza secondo cui la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sulla domanda di risarcimento del danno rappresentato dalle spese di “adeguamento automezzi” alle esigenze dell’attore, e’ anch’essa infondata.
E’ vero, infatti, che in effetti la sentenza impugnata non si occupa di questa voce di danno, ma e’ altresi’ vero che l’allegazione dei fatti costitutivi di esso e’ del tutto mancata nell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, come correttamente rilevato in udienza dal Procuratore Generale ed eccepito da tutti i controricorrenti.
3. Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS).
3.1. Col secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360, n. 3, c.p.c.. Si assumono violati gli articoli 1223, 2056, 2057 e 2059 c.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato perche’ ha liquidato il danno biologico con criteri diversi da quelli elaborati dal Tribunale di Milano, e generalmente applicati dai giudici di merito: criteri che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, devono invece essere necessariamente applicati, al fine di garantire la parita’ di trattamento a parita’ di danni.
3.2. Il motivo e’ inammissibile.
Il ricorrente e’ nel vero allorche’ ricorda che le tabelle uniformi adottate dal Tribunale di Milano sono state indicate da questa Corte come il parametro equitativo preferibile, in linea generale, per la liquidazione del danno alla salute ove la legge non disponga altrimenti.
Tale principio e’ stato affermato per la prima volta dalla sentenza pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, Rv. 618048, e piu’ volte ribadito in seguito: da ultimo, da Sez. 3, Sentenza n. 5243 del 06/03/2014, Rv. 630077.
3.3. Nella ricordata sentenza 12408/11, cit., tuttavia, questa Corte si e’ posta il problema della ricorribilita’ per cassazione di decisioni di merito che, pur liquidando il danno biologico con criteri diversi da quelli appena indicati, siano state pero’ depositate prima della suddetta sentenza 12408/11.
A tale problema si e’ dato risposta stabilendo che la ricorribilita’ per cassazione d’una sentenza pronunciata prima del 7.6.2011 (data di pubblicazione della sentenza 12408/11), la quale non abbia utilizzato le tabelle milanesi per la liquidazione del danno biologico, e’ subordinata a due condizioni:
(a) che la parte interessata abbia espressamente invocato, nel grado di appello, l’applicazione delle c.d. “Tabelle di Milano”;
(b) che copia delle suddette tabelle sia stata depositata al piu’ tardi in appello (cosi’ la ricordata sentenza pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, Rv. 618048, 3.2.6 dei “Motivi della decisione”).
Nel nostro caso, la prima di tali condizioni non ricorre.
Il ricorrente, infatti, il quale ai fini del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, aveva l’onere di indicare in che termini ed in quale atto avesse invocato nei gradi di merito l’applicazione delle tabelle milanesi, ha adempiuto tale onere riferendo di avere dedotto, nell’atto d’appello, quanto segue: “si ritiene congrua a titolo di risarcimento del danno alla salute l’ulteriore somma di ulteriori 150.000 Euro”.
Tale formula, tuttavia, in nessun modo puo’ ritenersi manifestazione inequivoca della volonta’ di invocare l’applicazione, da parte del giudice di merito, del criterio di liquidazione del danno elaborato dal Tribunale di Milano.
4. Il terzo, quinto e sesto motivo del ricorso di (OMISSIS).
4.1. Con il terzo, il quinto ed il sesto motivo del proprio ricorso (OMISSIS) allega che la sentenza avrebbe violato la legge, nella parte in cui ha determinato la misura del danno c.d. “morale”, ritenuta dal ricorrente sottostimata rispetto alla reale entita’ del pregiudizio sofferto; e sarebbe comunque sorretta da una motivazione non sufficiente, nella parte in cui ha esposto i criteri adottati per la liquidazione del danno estetico, sessuale, alla vita di relazione ed esistenziale.
4.2. Tutti e tre questi motivi sono logicamente subordinati, ai sensi dell’articolo 276 c.p.c., comma 2, all’esame del quinto e del sesto motivo del ricorso della (OMISSIS) s.p.a., nella parte in cui lamenta che la Corte d’appello avrebbe duplicato il risarcimento accordato alla vittima, liquidando due volte il medesimo pregiudizio, chiamato pero’ con nomi diversi.
E poiche’, per quanto si dira’ ai pp. 13 e ss., il ricorso incidentale della (OMISSIS) in parte qua deve essere accolto, l’esame del terzo, quinto e sesto motivo del ricorso principale resta assorbito.
5. Il nono motivo del ricorso principale.
5.1. Col nono motivo del proprio ricorso (OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Espone, nella sostanza, che la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sulla richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento del danno da mora.
5.2. Il motivo e’ manifestamente infondato.
Il Tribunale condanno’ i debitori al pagamento di rivalutazione ed interessi, e la Corte d’appello ha confermato la sentenza.
La Corte dunque si e’ pronunciata sugli effetti del colposo ritardo nell’adempimento dell’obbligazione risarcitoria.
6. Il decimo motivo del ricorso principale.
6.1. Col decimo motivo del proprio ricorso (OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5).
Espone, al riguardo, di avere depositato in grado di appello vari documenti attestanti molteplici ricoveri dell’attore avvenuti tra ottobre 2000 e maggio 2004.
In conseguenza di tali depositi, la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre una nuova consulenza tecnica d’ufficio. Non avendolo fatto, essa e’ pervenuta ad una sottostima della reale entita’ del danno.
6.2. Il motivo e’ inammissibile.
Nella parte in cui lamenta il mancato esercizio dei poteri officiosi istruttori da parte della Corte d’appello, esso si duole infatti di una scelta riservata a giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimita’.
Nella parte, invece, in cui lamenta l’omessa valutazione di documenti ritenuti decisivi, il ricorso e’ invece inammissibile per piu’ motivi.
In primo luogo, perche’ il ricorrente lamenta un aggravamento delle condizioni del proprio assistito avvenuto successivamente al giudizio di primo grado, ma non indica quando ed in che termini abbia sollevato in appello la relativa questione, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso.
In secondo luogo, il motivo in esame e’ inammissibile perche’ il ricorrente non illustra a quale diversa conseguenza la Corte d’appello sarebbe dovuta pervenire, ove avesse preso in esame i documenti che si assumono trascurati.
Quei documenti, infatti, per come descritti nel ricorso non sono altro che cartelle cliniche relative a vari ricoveri.
Il ricorrente ha lamentato che, se essi fossero stati esaminati, il giudice d’appello avrebbe potuto accertare l’esistenza d’un danno piu’ grave di quello liquidato dal giudice di primo grado. E tuttavia la mera circostanza che una persona sia ricoverata non e’ di per se’ idonea a ritenere che la causa o la conseguenza del ricovero sia stata un aggravamento della invalidita’ di cui il paziente era portatore.
Aggiungasi che la Corte d’appello ha condiviso la valutazione del giudice di primo grado, con la quale si accerto’ che l’odierno ricorrente pati’, in conseguenza del sinistro, una invalidita’ permanente del 95%: a fronte di una patologia cosi’ gravemente invalidante, pertanto, non era sufficiente dedurre di avere prospettato al giudice d’appello che il danneggiato si era dovuto piu’ volte ricoverare (ricoveri sempre possibili per una persona dalla salute cosi’ gravemente compromessa, senza che cio’ necessariamente costituisca prova di un ulteriore aggravamento), ma sarebbe stato necessario indicare quali ulteriori postumi permanenti erano comparsi dopo lo svolgimento della consulenza tecnica in primo grado.
7. I motivi da 1 a 5 del ricorso incidentale (OMISSIS)- (OMISSIS).
7.1. I primi cinque motivi del ricorso incidentale di (OMISSIS) e (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente: tutti, infatti, hanno ad oggetto la parte della decisione d’appello con la quale si e’ statuito sull’esistenza e sull’entita’ dei danni non patrimoniali patiti dai genitori di (OMISSIS), in conseguenza della grave invalidita’ da quest’ultimo sofferta.
In particolare:
(a) col primo si’ lamenta la violazione degli articoli 2043 e 2059 c.c., per non avere il giudice di merito adeguatamente valutato, nella liquidazione del danno non patrimoniale, il forzoso mutamento delle abitudini di vita dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS);
(b) col secondo motivo si lamenta la violazione degli articoli 1226 e 2056 c.c., per non avere il giudice di merito adeguatamente “personalizzato” il risarcimento del danno alla salute liquidato a (OMISSIS);
(c) col terzo e col quarto motivo si lamenta l’insufficienza e la contraddittorieta’ della motivazione con la quale e’ stato liquidato il danno morale a (OMISSIS);
(d) col quinto motivo si lamenta la violazioni degli articoli 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c., per avere il giudice di merito liquidato il risarcimento del danno morale spettante a (OMISSIS) in misura sottostimata.
7.2. Tutti e cinque i motivi sono inammissibili.
Essi infatti, pur formalmente invocando la violazione di legge o il vizio di motivazione, nella sostanza pretendono da questa Corte una nuova valutazione delle prove, e sollecitano un giudizio di fatto diverso da quello cui pervenne il giudice di merito: attivita’ che come noto esula dai poteri concessi alla Corte di cassazione.
8. Il sesto ed il settimo motivo del ricorso incidentale (OMISSIS)- (OMISSIS).
8.1. Il sesto ed il settimo motivo del ricorso incidentale proposto dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente.
Con essi si allega che la sentenza impugnata sia affetta contemporaneamente sia da nullita’ per omessa pronuncia, sia da insufficiente motivazione, nella parte in cui non ha provveduto sulla domanda di risarcimento formulata da (OMISSIS), ed avente ad oggetto il pregiudizio patrimoniale consistito nella forzosa rinuncia al proprio lavoro per potere accudire il figlio.
8.2. Ambedue i motivi sono infondati.
Il vizio di nullita’ per omessa pronuncia non sussiste, in quanto la Corte d’appello ha provveduto sulla domanda in esame a pag. 27 della sentenza.
Nemmeno sussiste il vizio di motivazione.
Com’e’ noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione,
denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.
Non basta, dunque, per integrare il suddetto vizio, che la motivazione adottata sia sintetica o possa in astratto non essere l’unica possibile, ma e’ necessario che essa sia logicamente insostenibile.
Aggiungasi che al fine di adempiere all’obbligo della motivazione il giudice del merito non e’ tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma e’ sufficiente che dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Nel caso di specie, risulta dagli atti che il Tribunale liquido’ in primo grado a (OMISSIS) la somma di euro 181.902,24 per “spese di assistenza”.
Ora, un danno patrimoniale consistente nella necessita’ di dovere retribuire personale medico od infermieristico per l’assistenza ad una persona invalida non puo’ ovviamente essere patito sia dall’assistito (chi riceve assistenza) che dall’assistente (chi presta assistenza).
La liquidazione alla vittima primaria d’una somma di denaro per spese di assistenza futura, pertanto, rende teoricamente inconcepibile la necessita’ di assistenza da parte dei familiari, e di conseguenza l’esistenza d’un danno patrimoniale da forzosa rinuncia al lavoro a carico di questi ultimi.
A meno che, ovviamente, non si deduca e dimostri, nelle forme e nei tempi debiti, che per ragioni particolari nel caso di specie l’assistenza materna era ineliminabile e non surrogabile da terzi: e tuttavia in questo caso il risarcimento del danno spetterebbe all’assistente ma non all’assistito, a meno che non si deduca e dimostri la inverosimile circostanza che questi retribuisca un familiare per l’assistenza ricevuta.
La motivazione della sentenza impugnata, pertanto, non e’ affatto illogica ne’ carente, perche’ nella sostanza ha escluso che il danno patrimoniale per spese di assistenza fosse liquidato due volte: una alla vittima primaria, sotto forma di danno emergente futuro (le spese che dovra’ sostenere per essere assistito), e l’altra alla madre della vittima, sotto forma di lucro cessante (la perdita del reddito lavorativo per potere dedicarsi all’assistenza del figlio).
9. Il ricorso incidentale (OMISSIS). Questioni Preliminari.
9.1. Sia (OMISSIS), sia i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), hanno eccepito l’inammissibilita’ del ricorso incidentale proposto dalla (OMISSIS), per due ragioni generali:
(a) l’omessa allegazione al ricorso di copia autentica della sentenza impugnata;
(b) la nullita’ della procura, perche’ non riferibile con certezza al presente giudizio.
9.2. Ambedue le eccezioni sono manifestamente infondate.
Quanto alla prima, bastera’ ricordare il dettato dell’articolo 371 c.p.c., comma 5, a mente del quale “se il ricorrente principale deposita la copia della sentenza o della decisione impugnata, non e’ necessario che la depositi anche il ricorrente per incidente”.
Quanto alla seconda, essa rasenta la temerarieta’ e forse l’oltrepassa: a pag. 50 del ricorso incidentale proposto dalla (OMISSIS) si legge infatti che quest’ultima societa’ conferisce agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) la procura ad essere difesa nel giudizio “promosso con ricorso notificato il 22.12.2008, a richiesta dell’avv. (OMISSIS), avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1325/08 del 24.6.2008”.
Indubitabile, quindi, e’ la riferibilita’ della procura alla vicenda che ci occupa.
10. Il primo motivo del ricorso (OMISSIS).
10.1. Col primo motivo di ricorso la (OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Si assume violato l’articolo 343 c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto tardiva l’eccezione di incapienza del massimale, sollevata dalla (OMISSIS) nella comparsa di costituzione e risposta in appello.
10.2. Prima di esaminare il motivo nel merito deve rilevarsi come l’erronea qualificazione come tardive di domande od eccezioni tempestive, o viceversa, costituisce a rigore un error in procedendo censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, non un error in iudicando denunciabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Tuttavia nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioe’ erri nell’inquadrare l’errore commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’articolo 360 c.p.c.), il ricorso non puo’ per questa sola ragione essere dichiarato inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole.
Depongono in tal senso sia il generale principio di validita’ degli atti processuali idonei al conseguimento dello scopo (articolo 156 c.p.c.); sia il generale principio jura novit curia, in virtu’ del quale e’ compito del giudice individuare la norma applicabile alla fattispecie (anche processuale), a nulla rilevando l’eventuale erronea indicazione compiuta dalla parte; sia, soprattutto, i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali – componendo i precedenti contrasti – hanno stabilito che l’erronea indicazione del motivo di ricorso resta ininfluente, quando la motivazione del ricorso contenga comunque un “inequivoco riferimento” al vizio di cui la parte intende effettivamente dolersi (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
Nel caso di specie, nonostante il non pertinente richiamo della (OMISSIS) al vizio di violazione di legge, ed all’articolo 343 c.p.c., l’illustrazione del motivo e’ inequivoca nel lasciar intendere che cio’ di cui ci si duole al cospetto di questa Corte e’ la sanzione di tardivita’ di una eccezione in senso lato (fatto modificativo della pretesa attorea): e dunque un tipico error in procedendo.
10.3. Nel merito, il motivo e’ fondato.
Il presente giudizio ha avuto inizio con atto notificato il 28.4.1992, e quindi e’ soggetto alla disciplina degli articoli 343 e 345, risultante dal testo precedente le modifiche apportate dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353, applicabile solo ai giudizi iniziati a decorrere dal 30.4.1995 (Legge n. 353 del 1990, articolo 90, comma 1).
In quel sistema processuale, non era inibito alle parti sollevare in appello eccezioni nuove (articolo 345, comma 2, nel testo previgente).
L’eccezione di cui si discorre, pertanto, doveva ritenersi tempestiva.
11. Il secondo motivo del ricorso (OMISSIS).
11.1. Col secondo motivo del proprio ricorso la (OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una di violazione di legge, ai sensi all’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati gli articoli 112 e 345 c.p.c.); in subordine, soggiunge che la sentenza e’ affetta quanto meno da un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Nell’illustrazione dei motivo, la ricorrente denuncia in realta’ tre diversi vizi della sentenza impugnata:
(a) avere condannato la (OMISSIS) a risarcire i danneggiati anche oltre il limite del massimale assicurato, senza che questi avessero allegato i fatti materiali concretanti una responsabilita’ ultramasstmale (e cioe’ una mora colpevole) della (OMISSIS), ovvero (nel caso dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS)) avessero mai formulato la relativa domanda;
(b) avere ritenuto sussistente una mora colpevole dell’assicuratore (c.d. mala gestio impropria) in assenza di colpa;
(c) avere calcolato il limite del massimale sommando i singoli massimali degli assicuratori dei due corresponsabili;
(d) in ogni caso, non avere motivato sulla sussistenza della mala gestio.
11.1. Il motivo e’ in parte inammissibile, ed in parte infondato.
E’ inammissibile nella parte in cui lamenta l’insussistenza della mora colpevole a carico della (OMISSIS), in quanto prospetta in tal modo una questione di merito.
E’, altresi’, inammissibile, nella parte in cui prospetta il vizio indicato sub (c) al p. che precede, in quanto la relativa doglianza non trova riscontro nel quesito di diritto formulato a pag. 41 del ricorso incidentale, ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al presente giudizio).
Nella restante parte il motivo e’ infondato.
E’ principio ormai divenuto unanime, nella giurisprudenza di questa Corte, che in tema di assicurazione della r.c.a. “la domanda di mala gestio (impropria) da parte del danneggiato non deve essere formulata
espressamente”.
Questo il ragionamento che sorregge il principio:
(a) il limite del massimale e’ invalicabile quanto al capitale, non gia’ quanto agli interessi od al maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2;
(b) se l’assicuratore della r.c.a. ritarda colpevolmente l’adempimento della propria obbligazione nei confronti del danneggiato, egli puo’ essere condannato quindi solo agli interessi sul massimale, ovvero al maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2, (che puo’ consistere anche nella rivalutazione del massimale, se nel tempo della mora il saggio di inflazione monetaria ha ecceduto quello degli interessi);
(c) pertanto, “per ottenere la corresponsione degli interessi e rivalutazione, oltre il limite del massimale, non e’ necessario (…) che il danneggiato proponga gia’ in primo grado (per non incorrere in preclusioni) nell’ambito dell’azione diretta anche una domanda di responsabilita’ dell’assicuratore per colpevole ritardo, ma e’ sufficiente che egli, dopo aver dato atto di aver costituito in mora l’assicuratore, richieda anche gli interessi ed il maggior danno da svalutazione ex articolo 1224 c.c.” (cosi’ Sez. 3, Sentenza n. 14248 del 28/07/2004, Rv. 575689, in motivazione; nello stesso senso si veda anche la sentenza “capostipite” dell’orientamento in esame, ovvero Sez. 3, Sentenza n. 10725 del 08/07/2003, Rv. 569258).
Nel caso di specie, sia (OMISSIS) che i suoi genitori, nel formulare le rispettive domande di risarcimento, hanno chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno “oltre interessi e rivalutazione”: e tanto basta, alla stregua dei principi appena riassunti, per ritenere validamente formulata una domanda di condanna ultramassimale quanto agli effetti della mora.
11.2. Infine, per quanto riguarda il denunciato vizio di motivazione, esso non sussiste, perche’ la ratio decidendi si ricava implicitamente dai fatti per come narrati nella sentenza impugnata: a fronte di un danno gravissimo, ed in un contesto in cui proprio la mancanza di prove certe in ordine alla responsabilita’, lungi dall’escludere la responsabilita’ dell’assicurato (OMISSIS), doveva far scattare l’applicazione dell’articolo 2054 c.c., comma 2, e quindi la presunzione di colpa dell’assicurato stesso, la societa’ oggi ricorrente attese tredici mesi, in luogo dei sessanta giorni accordatile dalla legge, per adempiere una prima tranche della propria obbligazione, e solo per ordine del giudice; ed altri 21 mesi prima di pagare una seconda tranche (e quindi quasi tre anni dal sinistro: un’attesa del tutto incoerente col modello di diligenza imposto all’assicuratore dall’articolo 1176 c.c., comma 2).
12. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso (OMISSIS).
12.1. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente.
12.2. Col terzo motivo del proprio ricorso la (OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Espone, al riguardo, di essere stata condannata al risarcimento del danno senza limite alcuno, mentre la domanda si sarebbe dovuta contenere – anche nel caso di mala gestio – entro il limite degli interessi o della rivalutazione. Soggiunge che la relativa doglianza, proposta come motivo d’appello, non e’ stata esaminata dalla Corte d’appello di Bologna.
12.2. Col quarto motivo di ricorso la (OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5).
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello di Bologna ha ritenuto che la (OMISSIS) potesse essere condannata a risarcire l’intero danno patito dai tre danneggiati, poiche’ tale danno era comunque inferiore al cumulo dei massimali garantiti dagli assicuratori dei due corresponsabili: sicche’ non essendovi eccedenza di danno rispetto a tale sommatoria, la (OMISSIS) potesse essere condannata per l’intero.
12.2. I due motivi sono fondati.
Per anteriorita’ logica ex articolo 276 c.p.c., comma 2, va esaminato per primo il quarto motivo del ricorso incidentale: e’ infatti evidente che solo nel caso a in cui il danno risarcibile ecceda il massimale assicurato diventa necessario stabilire se esistano e quali siano i limiti dell’obbligazione dell’assicuratore della r.c.a. nei confronti della vittima d’un sinistro stradale.
L’assicuratore della r.c.a. e’ debitore nei confronti della persona danneggiata dall’assicurato di una obbligazione scaturente direttamente dalla legge: all’epoca dei fatti, dalla Legge 24 dicembre 1969, n. 990, articolo 18; ed oggi dall’articolo 144 cod. ass..
Questa obbligazione di fonte legale nasce limitata: e’ la stessa legge, infatti, che ne fissa l’importo massimo in misura pari al massimale minimo previsto dalla legge o, se superiore, dalla polizza.
12.3. Il limite del massimale e’ invalicabile, salvo due casi: per le spese di soccombenza o per le conseguenze della mora.
Queste due deroghe si spiegano con la considerazione che l’assicuratore della r.c.a., nell’indennizzare la vittima, non risponde d’un fatto proprio, ma d’un fatto altrui: e proprio per questo la sua obbligazione e’ limitata.
Ma quando, per contro, l’assicuratore della r.c.a. resti soccombente nel giudizio contro di lui promosso dalla vittima, ovvero ritardi colposamente l’adempimento della propria obbligazione, tiene due condotte lato sensu illegittime, delle cui conseguenze egli dovra’ rispondere per l’intero, perche’ si tratta di conseguenze del fatto proprio, non del fatto altrui.
Al di fuori di queste due ipotesi, il limite del massimale e’ invalicabile, anche nel caso di responsabilita’ solidale dell’assicuratore con altri corresponsabili. Cio’ per l’interpretazione letterale e per quella finalistica. Dal punto di vista letterale, la Legge n. 990 del 1969, articolo 9, e articolo 18, comma 2, (corrispondenti agli articoli 128 e 144 cod. ass. oggi vigente) fanno espresso riferimento al massimale “del contratto”, senza dunque consentire alcuna possibilita’ che la misura di esso possa lievitare a causa della presenza di corresponsabili.
Dal punto di vista dell’interpretazione finalistica, nell’assicurazione della r.c. il massimale svolge la funzione cui assolve il “valore assicurato” nell’assicurazione danni, della quale la prima e’ una sottospecie. Ne consegue che la certezza della misura del massimale e della sua invalicabilita’ e’ elemento indispensabile all’assicuratore per la determinazione dei premi e delle riserve, in ossequio al generale precetto di “sana e prudente gestione” che, previsto dagli articoli 3, 5 e 183 cod. ass., costituisce l’asse portante della disciplina dell’impresa assicurativa.
Pertanto, a ritenere – come ha fatto la Corte d’appello di Bologna – che nel caso di sinistro concausato da piu’ assicurati il massimale vada determinato sommando quello previsto dalle polizze di ciascun corresponsabile, si perverrebbe ad un risultato del tutto incoerente col sistema legale, ovvero impedire all’assicuratore qualsiasi seria previsione sull’andamento della sinistrosita’ e sulle riserve da accantonare. Riserve che, e’ bene ricordare, costituiscono una garanzia per la massa degli assicurati, e non un patrimonio dell’assicuratore.
12.4. La statuizione di cui a pag. 21 della sentenza impugnata deve dunque essere dichiarata erronea, in applicazione del seguente principio di diritto:
Per determinare se il danno patito dalla vittima d’un sinistro stradale sia inferiore o superiore al massimale assicurato, al fine di determinare le conseguenze della c.d. mala gestio impropria, occorre avere riguardo al solo massimale pattuito nella polizza, senza che rilevi resistenza di altri coobbligati ed il massimale dei rispettivi assicuratori della r.c.a..
12.4. Fondato e’, altresi’, il terzo motivo di ricorso.
La Corte d’appello, come accennato, ha confermato la sentenza di primo grado, la quale a sua volta aveva condannato la (OMISSIS) al risarcimento integrale del danno, sul presupposto che questa fosse in mora colpevole nell’adempimento delle proprie obbligazioni.
E’ tuttavia pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che l’assicuratore della r.c.a., ove ritardi colposamente il pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento al terzo danneggiato, puo’ essere tenuto alla corresponsione degli interessi sul massimale ed, eventualmente, del maggior danno ex articolo 1224, comma secondo, cod. civ. (che puo’ consistere anche nella svalutazione monetaria), ma nulla di piu’: deve,, in particolare, escludersi che l’assicuratore possa essere condannato, a causa di mala gestio, al pagamento in conto capitale di una somma eccedente il massimale, (ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 19919 del 18/07/2008, Rv. 604904).
Da cio’ discende che per determinare le conseguenze della mora dell’assicuratore della r.c.a. occorre distinguere tre ipotesi.
12.4.1. L’ipotesi piu’ semplice e’ quella in cui il danno patito dalla vittima sia, al momento di costituzione in mora dell’impresa designata, inferiore al massimale, e resti tale anche al momento del pagamento.
In questo caso l’assicuratore del responsabile deve versare al danneggiato il medesimo importo a questi dovuti dall’assicurato.
Tuttavia il debito del responsabile verso la vittima e’ una obbligazione di valore, fa sorgere la mora ex re dal giorno dell’illecito (articolo 1219 c.c., comma 2, n. 1), e produce i c.d. interessi compensativi da calcolarsi secondo i criteri stabiliti da Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480. Ora, l’assicuratore della r.c.a. deve tenere indenne la vittima di tutti i danni provocati dal responsabile: e dunque sia dei danni emergenti, sia del danno da ritardato adempimento.
Ne consegue che, quando il debito e’ inferiore al massimale sia al momento dell’illecito che al momento della solutio, la mora dell’assicuratore della r.c.a. produrra’ i medesimi effetti della mora del responsabile: dunque l’assicuratore della r.c.a. sara’ tenuto a pagare gli interessi (c.d. compensativi), ad un saggio scelto in via equitativa secondo le circostanze del caso, applicato su un capitale pari alla media (semisomma) tra il valore del credito risarcitorio espresso in moneta dell’epoca del fatto, e lo stesso importo espresso in moneta dell’epoca della liquidazione, ovvero – il risultato e’ analogo – applicato per il primo anno sul credito espresso in moneta dell’epoca del fatto, e poi per ogni anno successivo sul credito via via rivalutato (per tutti questi principi si veda la fondamentale decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480).
12.4.2. La seconda ipotesi e’ che l’importo del danno patito dalla vittima gia’ al momento della costituzione in mora ecceda il massimale.
Quando il debito dell’assicuratore della r.c.a. eccede il massimale si applicano le regole sulla mora nelle obbligazioni pecuniarie: si e’ detto infatti che l’obbligazione dell’assicuratore della r.c.a. ha ad oggetto non il risarcimento del danno, ma l’adempimento del debito altrui. Essa e’, dunque, una obbligazione di valuta e non di valore.
Cio’ vuoi dire che l’assicuratore della r.c.a. sara’ tenuto a pagare un capitale pari al valore nominale del massimale, ai sensi dell’articolo 1277 c.c., comma 1.
Su tale importo pero’ l’impresa debitrice dovra’ corrispondere gli interessi legali moratori di cui all’articolo 1224 c.c., comma 1, anche in eccedenza rispetto ai massimale.
Ove, poi, la vittima deduca e dimostri anche il maggior danno di cui all’articolo 1224 c.c., comma 2, l’assicuratore della r.c.a. sara’ tenuta al pagamento – in luogo degli interessi moratori – di quest’ultimo danno, che potra’ ovviamente consistere anche nella svalutazione monetaria, se il saggio di questa sia stato superiore a quello degli interessi legali e la vittima dimostri, anche con presunzioni semplici, che un tempestivo adempimento le avrebbe consentito di investire il denaro in attivita’ tali che l’avrebbero preservata dagli effetti dell’inflazione.
12.4.3. Puo’ accadere infine, che il credito risarcitorio della vittima, inferiore al massimale all’epoca di costituzione in mora dell’assicuratore, con l’andare del tempo lieviti sino ad eccedere il massimale al momento della liquidazione: vuoi a causa della svalutazione monetaria, vuoi per qualsiasi altra ragione.
Anche in questo caso l’assicuratore e’ ovviamente tenuto al pagamento degli interessi di mora ex articolo 1224 c.c., comma 1, sull’importo nominale del massimale, salvo il maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2.
La particolarita’ di questa terza ipotesi sta nel fatto che il “maggior danno” di cui all’articolo 1224 c.c., comma 2, potrebbe in teoria consistere anche nella differenza tra il valore del danno all’epoca della mora ed il valore del danno all’epoca del pagamento, ove la vittima deduca e dimostri che, in caso di tempestivo adempimento, ella avrebbe potuto ottenere un ristoro integrale, precluso invece a causa del ritardato adempimento dell’assicuratore.
In questo caso, pertanto, la vittima ottiene un ristoro integrale del danno sia in conto capitale, sia in conto interessi: non gia’ perche’ venga meno il limite del massimale, ma perche’ l’eccedenza del danno rispetto al massimale in conto capitale viene ascritto all’assicuratore a titolo di “maggior danno” ex articolo 1224, comma 2, c.c..
12.5. Il giudice del rinvio, pertanto, dovra’ provvedere a rideterminare l’obbligazione dell’impresa assicuratrice del responsabile, tenendo conto del passaggio in giudicato del capo di sentenza che ha accertato la mala gestio della (OMISSIS), ed alla luce dei principi che precedono, e quindi:
(a) determinera’ l’importo nominale del massimale all’epoca del sinistro;
(b) stabilira’ se alla data del sinistro il danno patito dagli attori era superiore od inferiore al massimale;
(c) calcolera’ gli interessi legali sull’importo sub (a) a far data dallo spirare dello spatium deliberandi di cui alla Legge n. 990 del 1969, articolo 22, salvo che sia stato chiesto e dimostrato dai creditori il maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2, da determinare come indicato supra, nei pp. 12.4 e ss.;
(d) imputera’ al risultato finale gli acconti pagati dalla (OMISSIS), secondo i criteri stabiliti dall’articolo 1194 c.c., (prima agli interessi maturati alla data di pagamento, poi al capitale);
(e) in caso di incapienza, ripartira’ il massimale tra i tre danneggiati col criterio proporzionale imposto dalla Legge 24 dicembre 1969, n. 990, articolo 27, (applicabile ratione temporis), e quindi stabilira’ il capitale spettante a ciascun danneggiato moltiplicando il massimale per il danno del singolo, e dividendo il risultato per il danno complessivo.
13. Il quinto ed il sesto motivo del ricorso (OMISSIS).
13.1. Anche il quinto ed il sesto motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente.
Con essi si lamenta la violazione di legge, ai sensi all’articolo 360 c.p.c., n. 3;
ed il vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Espone la (OMISSIS), al riguardo, che la sentenza d’appello sarebbe erronea nella parte in cui, confermando integralmente quella di primo grado, ha liquidato alla vittima sia il danno biologico, sia una ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno alla vita di relazione, estetico, sessuale, esistenziale.
13.2. Ambedue i motivi sono fondati.
Il nostro ordinamento non conosce che una distinzione in materia di danni aquiliani: quella tra danni patrimoniali e non patrimoniali.
Ciascuna di queste categorie giuridiche e’ unitaria.
Cosi’ come, sotto il profilo giuridico, non vi e’ alcuna differenza tra il danno patrimoniale consistito nella perdita d’un credito e quello consistito nella perdita d’un raccolto, allo stesso modo sotto il profilo giuridico non vi e’ alcuna differenza ontologica – come si usa dire – tra una lesione della salute ed una dell’onore.
Ovviamente, tanto il danno patrimoniale quanto quello non patrimoniale possono assumere infinite forme, perche’ possono incidere su infiniti beni od interessi.
Il danno non patrimoniale pertanto, che e’ categoria unitaria, si differenzia nei criteri di accertamento e di liquidazione, a seconda dell’interesse concreto su cui vada a cadere.
La proclamata natura unitaria del pregiudizio tuttavia non puo’ restare un mero ossequio formale alla dogmatica: e dunque non e’ consentito moltiplicare le voci di danno chiamando con nomi diversi pregiudizi identici.
13.2. Applichiamo ora i suddetti principi alla materia del danno alla persona derivante da una lesione permanente della salute.
Nella liquidazione di tale pregiudizio, occorre in astratto tenere conto:
(a) dell’invalidita’ permanente causata dalle lesioni (danno biologico permanente), la cui liquidazione comprende necessariamente tutti i pregiudizi normalmente derivanti da quei tipo di postumi;
(b) delle sofferenze che, pur traendo occasione dalle lesioni, non hanno un fondamento clinico (la medicina parla, al riguardo, di “dolore non avente base nocicettiva”): si trattera’, ad esempio, della vergogna, della prostrazione, del revanchismo, della tristezza, della disperazione.
Per “tenere conto” di tutte queste circostanze il giudice di merito deve:
(-) liquidare il danno alla salute applicando un criterio standard ed uguale per tutti, che consenta di garantire la parita’ di trattamento a parita’ di danno;
(-) variare adeguatamente, in piu’ od in meno, il valore risultante dall’applicazione del criterio standard, al fine di adeguare il risarcimento alle specificita’ del caso concreto (c.d. “personalizzazione del risarcimento”).
L’una e l’altra di tali operazioni vanno compiute senza automatismi risarcitori, juxta alligata et probata, e soprattutto sulla base di adeguata motivazione che spieghi:
– quali pregiudizi sono stati accertati;
– con quali criteri sono stati monetizzati;
– con quali criteri il risarcimento e’ stato personalizzato.
13.3. Questi criteri non sono stati rispettati dalla Corte d’appello di Bologna. Infatti il Tribunale di Forli’, giudice di primo grado, nella aestimatio del danno patito da (OMISSIS) aveva cosi’ provveduto:
(a) liquido’ il danno biologico;
(b) poi liquido’ il danno morale;
(c) poi aumento’ l’uno e l’altro per tenere conto delle specificita’ del caso concreto;
(d) quindi liquido’ una ulteriore somma per tenere conto del danno alla vita di relazione, sessuale, estetico ed esistenziale.
13.4. La Corte d’appello ha ritenuto corretta questa liquidazione, cosi’ argomentando:
(a) (OMISSIS), di anni 26 all’epoca del sinistro, riporto’ in conseguenza di esso una paraplegia completa, che lo rese invalido al 95%;
(b) il Tribunale pertanto correttamente ha liquidato questo danno opportunamente aumentando il criterio standard di risarcimento, “prendendo in considerazione non solo le conseguenze lesive di carattere clinico ma anche quelle di carattere psicologico, estetico, relazionale, riferibili tutte al danno alla salute (…)”. In questa liquidazione il Tribunale avrebbe, secondo la Corte d’appello, dato atto di aver considerato “la gravita’ della situazione (…), il danno estetico, la completa compromissione della sfera sessuale, relazionale ed affettiva del soggetto” (cosi’ la sentenza, pp. 22-23).
13.5. La motivazione appena trascritta e’ erronea in diritto, ed insufficiente sul piano dell’argomentazione.
13.6. E’ erronea in diritto perche’ ha liquidato non due, ma piu’ volte pregiudizi identici, chiamandoli con nomi diversi.
In rerum natura, il danno alla salute non consiste in un numero percentuale. Esso consiste invece nel complesso delle privazioni che la vittima dovra’ subire nella vita quotidiana, lavorativa e sociale per effetto della menomazione. Cosi’, ad esempio, lo zoppicare e’ un danno biologico; la perduta possibilita’ di curare da se’ la propria persona e’ un danno biologico; lo sfregio permanente del volto e’ un danno biologico.
E’ solo per convenzione, e per garantire un minimo di obiettivita’ nella liquidazione del danno, che questi pregiudizi vengono quantificati in misura percentuale, ipotizzando per fictio iuris che sia pari a “100” la validita’ d’una persona sana, dello stesso sesso e della stessa eta’ della vittima.
Cio’ vuoi dire che la somma di denaro accordata alla vittima di lesioni personali a titolo di risarcimento del danno da invalidita’ permanente e’ necessariamente intesa a ristorare la perdita delle attivita’ che quella menomazione necessariamente ha comportato per la vittima, ed avrebbe comportato comunque quale che fosse stata la persona che l’avesse subita. Cosi’, per fare un esempio: a chi riporti uno sfregio permanente del viso corrispondente ad una invalidita’ permanente del 10%, la liquidazione del danno biologico permanente non lascia spazio alcuno per la successiva liquidazione di un preteso “danno estetico”: in questo caso il danno biologico e’ il danno estetico, e la liquidazione dell’invalidita’ permanente ristorera’ le conseguenze fisiche ordinariamente derivanti da quel tipo di postumi.
Allo stesso modo, alla vittima di una frattura d’anca guarita con coxartrosi non sarebbe possibile liquidare una somma di denaro a titolo di ristoro del danno biologico, ed una ulteriore somma di denaro a titolo di ristoro della “perduta possibilita’ di camminare”. Anche in questo caso la perduta possibilita’ di camminare e’ essa stessa il danno biologico, e ne costituisce – per cosi’ dire – il contenuto.
Nel caso di specie il Tribunale (e la Corte d’appello che ne ha condiviso l’operato), dopo aver accertato la sussistenza d’una invalidita’ permanente del 95%, ed avere gia’ solo per questo fatto personalizzato il risarcimento del danno biologico elevandone l’ammontare rispetto alla misura standard, ha liquidato alla vittima una ulteriore somma dichiarando che con essa intendeva risarcire:
– il danno psicologico;
– il danno estetico;
– il danno relazionale;
– la compromissione della sfera sessuale;
– la compromissione della sfera affettiva.
Nessuna delle suddette voci di danno, tuttavia, e’ in teoria esclusa dalle conseguenze d’una lesione della salute.
13.6.1. Il c.d. “danno psicologico” non e’ che una particolare ipotesi di lesione (permanente o transeunte) della salute psichica. In quanto tale, di esso si deve tenere conto nella determinazione del grado di invalidita’ permanente. Non si dira’, ad esempio, che Tizio ha una invalidita’ biologica del 25% ed un danno psichico del 10%, ma si dira’ che Tizio ha postumi permanenti nella misura del 35%. La stessa espressione “danno psichico”, a ben vedere, non ha concettualmente alcuna ragion d’essere, a meno di non volere creare una categoria di danno per ogni distretto corporeo attinto dalle lesioni: e dunque danno ortopedico, danno craniofacciale, danno osteoarticolare, e via dicendo.
Nel caso di specie il giudice di merito ha determinato nella misura del 95% il grado di invalidita’ permanente patito dalla vittima, senza precisare se tale percentuale fosse stata determinata comprendendo i postumi lasciati da patologie psichiche. Delle due, pertanto, l’una: o la percentuale del 95% era stata determinata includendo i postumi di natura neurologica, ed allora la Corte d’appello ha liquidato due volte lo stesso danno (una a titolo di danno biologico, l’altra a titolo di danno psichico); ovvero la percentuale del 95% di invalidita’ permanente era stata determinata senza tenere conto dei postumi di natura psichica, ed allora il giudice di merito prima di liquidare anche questo tipo di danno aveva il preciso dovere di descriverlo, indicare da quale prova avesse tratto il convincimento della sua esistenza, ed indicare i criteri della sua monetizzazione.
13.6.2. Stesso discorso va fatto per il c.d. “danno estetico”. L’alterazione dell’aspetto del volto o del corpo e’ una invalidita’ permanente, prevista e classificata secondo varie scale di intensita’ in tutti i piu’ noti e diffusi bare’me medico legali. Anche in questo caso, pertanto, se dell’invalidita’ causata dai pregiudizio estetico si tenne conto nella determinazione del grado di invalidita’ permanente, la Corte d’appello ha duplicato il risarcimento; se non se ne tenne conto, la sentenza impugnata avrebbe dovuto precisarlo ore rotundo, e soggiungere la descrizione del danno, la fonte di prova del proprio convincimento e la spiegazione del criterio di liquidazione prescelto.
13.6.3. Il danno che la Corte d’appello ha chiamato “relazionale” non e’ possibile nemmeno sapere cosa sia.
E’ ragionevole ritenere che, con tale aggettivo, la Corte d’appello abbia inteso far propria la risalente e stereotipa formula che definisce “danno alla vita di relazione” la perduta possibilita’ di coltivare relazioni sociali.
Ma se cosi’ e’, la sentenza e’ erronea perche’ non considera che la perduta possibilita’ di intrattenere rapporti sociali a causa di una invalidita’ permanente non e’ che una delle “normali” conseguenze della invalidita’: nel senso che qualunque persona affetta da una grave invalidita’ non puo’ non risentirne sul piano dei rapporti sociali (in questo senso, ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 21716 del 23/09/2013, Rv. 628100; Sez. 3, Sentenza n. 5 , 11950 del 16/05/2013, Rv. 626348; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15414 del 13/07/2011, Rv. 619223; Sez. 3, Sentenza n. 24864 del 09/12/2010, Rv. 614875; Sez. L, Sentenza n. 25236 del 30/11/2009, Rv. 611026).
Nel caso di specie, la vittima ha patito una invalidita’ permanente del 95%.
Una invalidita’ di questo tipo incide ovviamente in modo pesante sulla vita di relazione della vittima.
Sicche’, quando la dottrina medico-legale elabora i propri baremes per la determinazione del grado di invalidita’ permanente, questa incidenza delle lesioni sulla vita di relazione e’ necessariamente ricompresa nel grado di invalidita’ permanente: diversamente opinando, non si comprenderebbe piu’ quale dovrebbe essere il contenuto oggettivo della nozione di “danno biologico”.
Ovviamente, ben puo’ accadere che nel singolo caso i postumi permanenti causati dalla lesione fisica provochino una piu’ incisiva compromissione della vita di relazione della vittima, rispetto ai casi analoghi: ma tale circostanza deve da un lato entrare nel processo con le debite forme (e cioe’ essere tempestivamente allegata da chi la invoca); e dall’altro, se ritenuta esistente dal giudice, deve essere esposta nella sentenza e sorretta da una adeguata motivazione.
Nel caso di specie, ne’ il Tribunale, ne’ la Corte d’appello hanno minimamente indicato – al di la’ di stereotipe e per cio’ solo insignificanti formule di stile – per quale ragione le lesioni patite dallo sventurato (OMISSIS) abbiano provocato una compromissione della vita di relazione maggiore e piu’ significativa di quella che le medesime lesioni avrebbero provocato in un’altra persona della stessa eta’, e che necessariamente vengono ristorate attraverso la monetizzazione del grado di invalidita’ permanente col criterio standard.
13.6.4. Quanto appena detto con riferimento al danno alla vita di relazione vale anche per il danno alla vita sessuale e quello alla vita affettiva, che la Corte d’appello ha ritenuto correttamente liquidabili in aggiunta – si badi – non gia’ ai danno biologico, ma al danno biologico e morale gia’ personalizzati, cioe’ aumentati per tenere conto delle specificita’ del caso concreto.
Infatti rientra nell’ordine delle cose che una invalidita’ del 95% comporti di norma impotenza coeundi e generandi. Anche in questo caso, pertanto, una liquidazione del pregiudizio in esame in aggiunta alla somma liquidata a titolo di danno biologico presupponeva o la chiara indicazione che di essa non si era tenuto conto nella determinazione del grado di invalidita’ permanente, ovvero che nella specie ricorrevano circostanze anomale ed eccezionali che rendevano le conseguenze del danno alla sfera sessuale della vittima diverse e piu’ gravi di quelle usualmente derivanti in casi analoghi.
13.7. Oltre che erronea in diritto, la sentenza impugnata e’ gravemente insufficiente sul piano della motivazione.
Cio’ sotto tre aspetti. La motivazione e’ in primo luogo contraddittoria, perche’ da un lato ammette che il danno estetico, psicologico, alla vita sessuale “sono pur sempre ricompresi nell’ambito dei danno biologico” (cosi’ la sentenza, p. 23), e dall’altro non spiega perche’ mai nel caso di specie questi pregiudizi siano stati piu’ gravi dei consueto, avuto riguardo ai casi analoghi, si’ da meritare una liquidazione maggiorata.
La motivazione e’ in secondo luogo insufficiente, perche’ come gia’ accennato non spiega se la liquidazione dei suddetti pregiudizi in aggiunta alle somme liquidate a titolo di danno biologico e di danno morale personalizzati sia stata resa necessaria dal fatto che i pregiudizi estetici, sessuali e relazionali non fossero stati dal consulente medico legale ricompresi nel grado di invalidita’ permanente, ovvero sia stata resa necessaria da altre cause.
La motivazione, infine, e’ illogica, nella parte in cui tiene conto per due volte delle specificita’ del caso concreto: una prima volta aumentando l’importo del danno biologico e morale, e una seconda volta liquidando i pregiudizi sopra ricordati.
13.8. La sentenza impugnata deve pertanto essere su questo punto cassata, e rinviata alla Corte d’appello di Bologna in differente composizione che, nel liquidare il danno non patrimoniale patito da (OMISSIS), si atterra’ al seguente principio di diritto:
Il grado di invalidita’ permanente espresso da un bare’me medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidita’ permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, e’ possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto piu’ grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta’. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo “tenuto conto della gravita’ delle lesioni”.
Il giudice di rinvio, inoltre, nel valutare le circostanze di fatto sanera’ le mende motivazionali da cui e’ affetta la sentenza impugnata, e quindi:
(a) ove intenda personalizzare il risarcimento del danno non patrimoniale, indichera’ analiticamente le circostanze che giustificano la personalizzazione, spiegando per quali ragioni esse non ricorrano nei casi consimili di invalidita’ dello stesso grado;
(b) precisera’ se la percentuale di invalidita’ permanente del 95% e’ stata determinata includendo od escludendo i pregiudizi estetici, sessuali e relazionali; in caso negativo provvedere non a liquidare a parte tali pregiudizi, ma a rideterminare correttamente il grado di invalidita’ permanente, tenendo conto che nel caso di lesioni plurime monocrone il grado di invalidita’ permanente non e’ necessariamente pari alla somma algebrica delle singole invalidita’, ma va determinato con i criteri indicati dalla dottrina medico legale (formula scalare, formula proporzionale, regola di Balthazard e via dicendo, secondo le circostanze del caso concreto).
14. Il settimo motivo del ricorso (OMISSIS).
14.1. Col settimo motivo di ricorso la (OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che il Tribunale di Forli’ ha liquidato al sig. (OMISSIS), padre della vittima primaria, un risarcimento di 10.000 euro a titolo di danno patrimoniale, ma senza indicarne la ragioni; e che la Corte d’appello di Bologna a sua volta ha rigettato l’appello proposto su tale punto dalla (OMISSIS), anch’essa senza indicarne le ragioni.
14.2. Il motivo e’ inammissibile.
Esso, infatti, non e’ concluso dalla “chiara indicazione del fatto controverso”, prescritta dall’articolo 366 bis c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis.
15. Il primo motivo del ricorso (OMISSIS)- (OMISSIS).
15.1. Col primo motivo del loro ricorso incidentale i sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) (assicurati (OMISSIS)) lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Si assumono violati gli articoli 2056 e 2059 c.c..
Espongono, al riguardo, la Corte d’appello liquidando separatamente il danno biologico, morale, estetico, alla vita di relazione e sessuale avrebbe duplicato il risarcimento.
15.2. Il motivo e’ fondato, per le medesime ragioni gia’ indicate ai pp. 13 e ss..
16. Il secondo motivo del ricorso (OMISSIS)- (OMISSIS).
16.1. Anche col secondo motivo di ricorso i sigg.ri (OMISSIS)- (OMISSIS) lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3. In questo caso si assumono violati l’articolo 2697 c.c., e articolo 116 c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha liquidato ai genitori della vittima un risarcimento del danno patrimoniale a titolo di “spese” non meglio precisate, e delle quali comunque non vi era prova alcuna.
16.2. Il motivo e’ inammissibile.
Nonostante sia prospettato sotto il profilo della violazione di legge, con esso si censura un vero e proprio accertamento di fatto: ovvero la circostanza che il giudice di merito abbia ritenuto sussistente un danno patrimoniale dell’entita’ lamentata dai ricorrenti.
Accertamento, quest’ultimo, censurabile in sede di legittimita’ solo sotto il profilo del vizio di motivazione: vizio tuttavia non denunciato, come detto, dai ricorrenti.
17. Il ricorso incidentale della (OMISSIS).
17.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale, la (OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe motivato in modo insufficiente sul concorso di colpa di (OMISSIS) (assicurato (OMISSIS)) nella causazione del sinistro. Adduce, in estrema intesi, che una colpa di (OMISSIS) non poteva essere affermata, perche’ il suo veicolo urto’ alcun altro mezzo (e quindi non poteva a lui applicarsi la presunzione di cui all’articolo 2054 c.c., comma 2), ne’ vi erano prove di una sua condotta di guida imprudente.
17.2. Il motivo e’ inammissibile.
Sebbene le considerazioni del ricorrente siano non implausibili in astratto, esse nella sostanza prospettano una ricostruzione dell’accaduto ed una valutazione delle prove diverse rispetto a quelle condivise dalla Corte d’appello.
Tuttavia, secondo un risalente e consolidato orientamento di questa Corte, una motivazione puo’ dirsi viziata non gia’ per il solo fatto che le prove raccolte potevano essere valutate anche in modo diverso rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito, ma soltanto se la ricostruzione dei fatti preferita dal giudice di merito sia di per se’ implausibile.
Non e’ questo il nostro caso, nel quale la Corte d’appello ha ritenuto in colpa (OMISSIS) per avere sorpassato un veicolo a sua volta in fase di sorpasso:
motivazione non illogica e non contraddittoria, e dunque incensurabile in questa sede.
Stabilire, poi, se quella ricostruzione fu anche corretta dal punto di vista della verita’ oggettiva, e’ questione sottratta ai poteri di questa Corte.
18. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimita’ e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
-) accoglie i motivi primo, terzo, quarto, quinto e sesto del ricorso proposto dalla (OMISSIS) s.p.a.;
-) accoglie il primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS);
-) dichiara assorbiti i motivi terzo, quinto e sesto del ricorso proposto da (OMISSIS);
-) rigetta tutti i restanti motivi di ricorso, da chiunque proposti;
-) cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in differente composizione;
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’ e di quelle dei gradi di merito.