Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 11 giugno 2010, n. 14085

Orbene, l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, da luogo, ai sensi degli articoli 1418 e 2231 c.c., a nullita’ assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, sicche’ il professionista non iscritto all’albo o che non sia munito nemmeno della necessaria qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa. Peraltro, al fine di stabilire se ricorra la nullita’ prevista dall’articolo 2231 c.c., occorre verificare se la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attivita’ che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale, essendo l’esercizio della professione subordinato per legge all’iscrizione in apposito albo o ad abitazione.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 11 giugno 2010, n. 14085

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente

Dott. MENSITIERI Alfredo – rel. Consigliere

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4648/2005 proposto da:

BR. RO. (OMESSO), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S TOMMASO D’AQUINO 80, presso lo studio dell’avvocato GRASSI LUDOVICO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

NE. AN. (OMESSO);

– intimato –

sul ricorso 8378/2005 proposto da:

NE. AN. (OMESSO), elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 46 PAL IV SC B, presso lo studio dell’avvocato GREZ GIAN MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato MASNATA GIANLUIGI;

– ricorrente –

e contro

BR. RO. (OMESSO);

– intimata –

avverso la sentenza n. 716/2004 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 20/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/2010 dal Consigliere Dott. ALFREDO MENSITIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale per quanto di ragione; rigetto del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ne.An. , titolare della ditta Sa. , con atto notificato il 24 febbraio 2000 proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale gli era stato intimato dal Tribunale di Chiavari il pagamento in favore di Br.Ro. , consulente del lavoro, della somma di lire 6.793.200, eccependo in primo luogo che la ingiungente rivendicava nei suoi confronti compensi per prestazioni professionali riguardanti elaborazioni della contabilita’, consulenza fiscale, dichiarazioni dei redditi, richiesta di certificati presso la C.C.I.A.A., ossia per attivita’ che esulavano dalle competenze di un consulente del lavoro, in cui invece rientrava la cura di “tutti gli adempimenti previsti da norme vigenti per l’amministrazione del personale dipendente”, nonche’ lo svolgimento di ogni altra funzione ad essa “affine, connessa e conseguente” (cio’ ai sensi della Legge Professionale 11 gennaio 1979, n. 12, articolo 2).

Poiche’ esso opponente non aveva dipendenti, le prestazioni per le quali la Br. rivendicava il compenso, oltre a non essere ricomprese tra quelle elencate nell’articolo 2 della citata legge, non potevano neppure considerarsi collaterali all’amministrazione del personale.

Sempre secondo l’opponente, le attivita’ per le quali la Br. pretendeva di essere compensata rientravano tra quelle che il Decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 1953, n. 1067, articolo 1, riconosceva di competenza dei commercialisti regolarmente iscritti nel relativo albo professionale, con la conseguenza che la predetta, ai sensi dell’articolo 2231 c.c., comma 1, non aveva azione nei suoi confronti per il relativo compenso.

In subordine eccepiva l’eccessiva onerosita’ degli importi richiesti da controparte atteso che all’inizio dell’incarico aveva con la Br. pattuito un compenso forfetario annuale di lire 1.200.000.

Chiedeva pertanto la revoca o l’annullamento dell’opposto decreto ed inoltre, in via riconvenzionale, che la Br. venisse condannata:

a) a corrispondergli, salvo compensazione con l’eventuale credito riconosciuto alla predetta, la somma di lire 1.800.000, IVA compresa, per taluni lavori di idraulica da esso effettuati a favore della medesima, come risultanti da fattura del (OMESSO);

b) a risarcirgli i danni cagionatigli dalla mancata conclusione con la Ro. It. Spa di un contratto di assistenza tecnica per la manutenzione ed installazione di caldaie prodotte da tale societa’, con esclusiva nel Ti. , mancata conclusione dovuta al fatto che la Br. , nell’eseguire l’incarico di iscrivere presso la C.C.I.A.A. l’impresa Sa. , aveva omesso di indicare nell’oggetto della stessa, nonostante esplicita richiesta, l’attivita’ di installazione, trasformazione e manutenzione di caldaie ed impianti di riscaldamento.

La Br. , costituitasi in giudizio, contestava la fondatezza delle eccezioni e delle domande riconvenzionali fatte valere dall’opponente, chiedendone la reiezione;chiedeva altresi’ che la controparte venisse condannata a risarcirle i danni cagionatile ex articolo 96 c.p.c..

Il Tribunale adito, con sentenza del 28 novembre 2000, respingeva l’opposizione ritenendo che i consulenti del lavoro potevano “esercitare attivita’ tributaria” e, quanto all’ammontare del compenso, che conforme a legge era quello richiesto dalla creditrice perche’ confermato dal Presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro mentre il patto forfetario relativo a tale compenso invocato dall’opponente non risultava concluso, ma solo proposto dal predetto;dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale non risultando essa dipendere ne’ dal titolo dedotto in giudizio ne’ da quello che apparteneva alla causa come mezzo di eccezione;respingeva la domanda riconvenzionale per i danni perche’ l’iscrizione della Sa. presso la C.C.I.A.A. era stata posta in essere sulla base delle indicazioni di un modulo sottoscritto dal titolare della ditta opponente;condannava il Ne. a corrispondere alla Br. la somma di lire 500.000 a titolo di danni ex articolo 96 c.p.c., oltre alle spese del giudizio. Proposto gravame dal Ne. e costituitasi in giudizio la Br. che resisteva all’impugnazione chiedendo la conferma della gravata decisione con vittoria delle maggiori spese del grado e condanna di controparte per lite temeraria ex articolo 96 c.p.c., la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 20 ottobre 2004, in parziale riforma della pronunzia di prime cure accoglieva l’opposizione proposta dal Ne. avverso il decreto ingiuntivo, revocandolo e respingeva la relativa domanda proposta dalla Br. ; escludeva la responsabilita’ del Ne. ex articolo 96 c.p.c., e compensava tra le parti le spese del doppio grado.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Br. Ro. sulla base di un unico articolato motivo.

Resiste con controricorso Ne.An. il quale ha proposto a sua volta ricorso incidentale affidato ad un’unica censura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi, il principale e l’incidentale, in quanto proposti avverso la medesima sentenza (articolo 335 c.p.c.).

Con l’unico articolato motivo la ricorrente principale, lamentando violazione e falsa applicazione della Legge n. 12 del 1979, articoli 1 e 2, in relazione all’articolo 2231 c.c., e all’articolo 3 Cost., nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 1953, n. 1067, articolo 1, censura la sentenza che: a) erroneamente aveva limitato le attribuzioni dei consulenti del lavoro, senza tenere conto dell’ampliamento della competenza in materia fiscale e tributaria conferita con una serie di provvedimenti legislativi introdotti in epoca successiva alla Legge n. 12 del 1979; b) fra le attivita’ proprie dei consulenti del lavoro devono essere annoverate anche quelle operazioni che, pur essendo di competenza di altre categorie professionali, non sono a queste riservate in via esclusiva, secondo quanto al riguardo statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 418 del 1996, che ha ritenuto conforme ai principi dettati dalla legge delega i Decreti n. 1067 e 1068 del 1953; b) in ogni caso, gli atti compiuti dalla Br. non rientravano fra quelli tipici di cui ai menzionati decreti.

Il motivo e’ fondato.

La sentenza, nel ritenere non dovuto il compenso chiesto dalla ricorrente per attivita’ professionali che non rientravano nelle competenze professionali attribuite al consulente del lavoro, ha riformato la decisione di primo grado che si era espressa in senso favorevole alla Br. , revocando l’opposto decreto ingiuntivo con reiezione della domanda della predetta oggetto di tale provvedimento.

Orbene, l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, da luogo, ai sensi degli articoli 1418 e 2231 c.c., a nullita’ assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, sicche’ il professionista non iscritto all’albo o che non sia munito nemmeno della necessaria qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa. Peraltro, al fine di stabilire se ricorra la nullita’ prevista dall’articolo 2231 c.c., occorre verificare se la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attivita’ che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale, essendo l’esercizio della professione subordinato per legge all’iscrizione in apposito albo o ad abitazione.

Nella specie i giudici di appello hanno escluso che l’attivita’ espletata dalla ricorrente rientrasse nelle attribuzioni dei consulenti del lavoro secondo quanto al riguardo previsto dalla Legge n. 12 del 1979, ritenendo che esse rientrassero tra quelle proprie del ragioniere commercialista e del dottore commercialista nei cui albi professionali la medesima non era iscritta, con la conseguenza che essa, a mente dell’articolo 2231 c.c., comma 1, non aveva azione nei confronti del Ne. per ottenere il pagamento del relativo compenso.

Vanno qui allora richiamati (come gia’ in Cass. n. 15530/2008) i principi elaborati dalla Corte Costituzionale, secondo cui il sistema degli ordinamenti professionali di cui all’articolo 33 Cost., comma 5, deve essere ispirato al principio della concorrenza e della interdisciplinarita’, avendo la funzione di tutelare non l’interesse corporativo di una categoria professionale ma quello degli interessi di una societa’ che si connotano in ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessita’: il che porta ad escludere una interpretazione delle sfere di competenza professionale in chiave di generale esclusivita’ monopolistica (Corte Cost. 345 del 1995).

Ed alla luce di tali principi ancora la Consulta (sentenza n. 418 del 1996), nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1067 del 1953, articolo 1, comma 1, e u.c., e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1068 del 1953, articolo 1, comma 1, e u.c., in relazione all’articolo 76 Cost., ne ha rilevato la conformita’ alla precisa prescrizione contenuta nella Legge 28 dicembre 1952, n. 3060, articolo unico, lettera a), (Delega al Governo della facolta’ di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e di ragioniere), secondo cui “la determinazione del campo delle attivita’ professionali non deve importare attribuzioni di attivita’ in via esclusiva”. Nelle norme delegate – hanno sottolineato i giudici delle leggi – non si rinviene alcuna attribuzione in via esclusiva di competenze, ma viene riaffermato che l’elencazione delle attivita’, oggetto della professione disciplinata, non pregiudica ne’ “l’esercizio di ogni altra attivita’ professionale dei professionisti considerati ne’ quanto puo’ formare oggetto dell’attivita’ professionale di altre categorie a norma di leggi e regolamenti”.

In altri termini la disposizione comporta, da un canto, la non tassativita’ della elencazione delle attivita’ e, dall’altro, la non limitazione dell’ambito delle attribuzioni e attivita’ in genere professionale di altre categorie di liberi professionisti.

L’espressione “a norma di leggi e regolamenti”, di cui all’ultimo comma di entrambe le disposizioni impugnate, dei Decreto del Presidente della Repubblica n. 1067 del 1953, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 1068 del 1953, deve doverosamente essere intesa non con esclusivo riferimento a professioni regolamentate mediante iscrizione ad albo, ma anche, con riferimento agli spazi di liberta’ di espressione di lavoro autonomo e di libero esercizio di attivita’ intellettuale autonoma non collegati a iscrizione in albi.

Al di fuori delle attivita’ comportanti prestazioni che possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge come condizione di esercizio), per tutte le altre attivita’ di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza (che non si risolvano in una attivita’ di professione protetta ed attribuita in via esclusiva, quale l’assistenza in giudizio, cfr. Cass. 12840/2006), vige il principio generale di liberta’ di lavoro autonomo o di liberta’ di impresa di servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (salvi gli oneri amministrativi o tributari).

Pertanto, erroneamente la Corte di appello ha escluso il diritto al compenso, non rientrando le attivita’ professionali svolte dalla Br. , (tenuta delle scritture contabili dell’impresa, redazione dei modelli IVA o per la dichiarazione dei redditi, effettuazione di conteggi ai fini dell’IRAP o ai fini dell’ICI, richiesta di certificati o presentazione di domande presso la Camera di Commercio) in quelle riservate solo a soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista dalla legge come condizione di esercizio della professione).

Il ricorso principale va pertanto accolto, la gravata sentenza va sul punto cassata senza rinvio e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ esser decisa nel merito con il rigetto dell’opposizione proposta da Ne. An. avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Chiavari il 30 novembre 1992.

Va invece rigettato il ricorso incidentale proposto dallo stesso Ne. avverso la medesima sentenza che ha negato la riconvenzionale da lui proposta di pagamento dell’importo di lire 1.800.000 per taluni lavori di idraulica da esso effettuati in favore della Br. , non rilevandosi la denunciata omessa o contraddittoria motivazione nel ragionamento del giudice d’appello che ha ritenuto infondata nel merito la pretesa dell’attuale ricorrente atteso che la fattura dallo stesso emessa per quei lavori (la n. (OMESSO), pacificamente emessa dalla Sa. ) e l’annotazione “Pagata” con sigla annessa risultavano “ictu oculi” vergate dalla stessa mano. Circostanza questa che, da un lato vanificava il disconoscimento della “sigla” da parte del Ne. (il quale avrebbe dovuto disconoscere anche la fattura, che aveva invece proposto come mezzo di prova a suo favore), dall’altro provava l’avvenuto pagamento, dovendosi ritenere, salvo una specifica contestazione, che chi era legittimato a “fatturare” fosse legittimato anche a “quietanzare”.

Stante l’esito della controversia Ne. An. va condannato alle spese dell’intero giudizio liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi;rigetta il ricorso incidentale; accoglie il ricorso principale;cassa, in relazione, senza rinvio l’impugnata sentenza e decidendo nel merito rigetta l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta da Ne. An. .

Condanna il Ne. alle spese dell’intero giudizio che liquida in euro 300,00 per spese euro 1.500,00 per diritti ed euro 2.200,00 per onorari, oltre accessori di legge, quanto al giudizio di primo grado; in euro 1.500,00 per diritti ed euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori di legge, quanto al giudizio d’appello ed in euro 200,00 per spese ed euro 800,00 per onorari, oltre accessori di legge, quanto al presente giudizio.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.