Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 6 novembre 2001, n. 13691

L’art. 1805 secondo comma cod. civ. -a norma del quale il comodatario che impiega la cosa per un uso diverso o per un tempo più lungo di quello a lui consentito è responsabile della perdita avvenuta per causa a lui non imputabile, qualora non provi che la cosa sarebbe perita anche se non l’avesse impiegata per l’uso diverso o l’avesse restituita a tempo debito-, benché faccia riferimento solamente al perimento della cosa, è applicabile anche la deterioramento della stessa.

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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 6 novembre 2001, n. 13691

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato nel gennaio 1991, La Compagnia di Assicurazioni Unipol S.p.A. conveniva dinanzi al Tribunale di Ravenna, Pantaleone Russo e Paola Suzzi, esponendo le seguenti circostanze. Con polizza multirischi aveva assicurato contro l’incendio un fabbricato di proprietà di Giancarlo Bertozzi e Daniela Bianchi. Il 15 giugno 1989, in quel fabbricato si era sviluppato un incendio che aveva cagionato danni rilevanti. Il procedimento penale dinanzi al Tribunale di Ravenna era stato archiviato con decreto del giudice istruttore che, su richiesta del P.M., aveva dichiarato non doversi procedere per essere l’incendio di natura accidentale. In forza della polizza essa aveva liquidato agli aventi diritto la somma di lire 7.541.000. Ciò premesso, la società assicuratrice chiedeva la condanna del Russo e della Suzzi, a norma dell’art. 1916, al rimborso della somma indicata e del compenso pagato al perito pari a lire 566.440.

I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. Precisavano che avevano venduto l’immobile in questione ai sig.ri Bertozzi e Bianchi, continuando tuttavia ad occupare lo stesso a titolo di comodato, e che l’incendio si era sviluppato per caso fortuito.

Il Tribunale respingeva la domanda con compensazione delle spese.

Proposto appello da parte dell’Unipol S.p.A., la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 26 marzo 1998, in riforma della sentenza impugnata, condannava il Russo e la Suzzi al pagamento in favore dell’Unipol S.p.A. delle somme di lire 7.541.000 e di lire 556.400, oltre a rivalutazione monetaria e interessi e alle spese del doppio grado.

Avverso questa sentenza Pantaleone Russo e Paola Suzzi propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. La Compagnia Assicuratrice Unipol S.p.A. resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c. c., nonché la contraddittorietà della motivazione per avere la sentenza impugnata addebitato il caso fortuito ai comodatari ritenuti inadempienti per avere mutato la destinazione d’uso dell’immobile loro concesso in comodato. Il caso fortuito era stato, comunque, provato dalle risultanze dell’istruttoria espletata dai Vigili del Fuoco e dall’archiviazione in sede penale. Ciononostante, la Corte d’appello aveva affermato apoditticamente che, sul solo presupposto che l’incendio era stato causato da un probabile corto circuito, non poteva presumersi che il Russo e la Suzzi, quali comodatari, avessero custodito l’immobile con cura.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 1805, secondo comma c. c. . Più specificamente, i ricorrenti ritengono inapplicabile l’art. 1805, secondo comma, poiché, per un verso la norma riguarderebbe la perdita della cosa e non il suo danneggiamento, per altro verso non vi era stato mutamento d’uso dell’immobile, atteso che l’attività di pranoterapeuta era svolta dal Russo anche precedentemente alla vendita dell’immobile ed era conosciuta dai proprietari.

I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono fondati nei termini di cui si dirà.

La sentenza impugnata ha affermato la responsabilità dei comodatari facendo applicazione dell’art. 1805, secondo comma c. c. a norma del quale: “il comodatario che impiega la cosa per un uso diverso o per un tempo più lungo di quello a lui consentito, è responsabile della perdita avvenuta per causa a lui non imputabile, qualora non provi che la cosa sarebbe perita anche se non l’avesse impiegata per l’uso diverso o l’avesse restituita a tempo debito”. La Corte territoriale ha ritenuto applicabile la disposizione in questione ritenendo: a) che non era contestato che i convenuti avevano modificato la destinazione d’uso del vano adibito a garage, ove si sviluppò l’incendio, a laboratorio di pranoterapia; b) che non era conosciuto l’uso al quale fosse adibito dal Russo il locale anteriormente all’alienazione dell’immobile, ma che tuttavia dal contenuto dell’atto di vendita intervenuto tra il Russo e la Suzzi, quali venditori, e il Bertozzi e la Bianchi relativo ad “un fabbricato di civile abitazione costituito da un appartamento al piano terra e primo con garage e cantina” si poteva trarre la presunzione che prima della data della vendita il locale fosse utilizzato secondo la sua originaria destinazione.

Ciò premesso, si osserva che l’ art. 1805, secondo comma c. c. prevede un aggravamento della responsabilità a carico del comodatario che abbia esorbitato dai limiti posti dal contratto al suo diritto. L’inadempimento al contratto, consistente nell’uso diverso e o per un tempo superiore, determina dunque l’applicabilità di questo regime di responsabilità, che presume l’esistenza del nesso di causalità tra la violazione del contratto e il perimento della cosa.

La disposizione in questione, benché faccia formale riferimento solo al perimento della cosa, deve ritenersi applicabile – così come generalmente ritiene la dottrina – anche al deterioramento della stessa sia perché appare identica essere la ratio nelle due ipotesi considerate, sia perché la norma a sua volta è espressione del principio generale contenuto nell’art. 1221 c. c. In astratto, dunque, correttamente la sentenza impugnata ha fatto applicazione dell’art. 1805, secondo comma anche al deterioramento della cosa data in comodato derivante da incendio. E sotto questo profilo appare privo di fondamento il secondo motivo del ricorso nella parte in cui si lamenta l’applicazione della norma in questione al di fuori dell’ipotesi della perdita della cosa.

Appaiono diversamente fondate le censure relative al vizio di motivazione, essendo la sentenza carente nella ricostruzione logica delle circostanze in fatto che hanno determinato l’applicabilità dell’art. 1805, secondo comma c. c.

L’uso diverso della cosa ricevuta in comodato, che fa scattare la fattispecie di cui all’art. 1805, secondo comma c. c., va apprezzato rispetto all’uso determinato dal contratto o, in mancanza di elementi da cui desumere la volontà delle parti, dalla natura della cosa. Nella sentenza impugnata si prescinde del tutto dall’esame della volontà delle parti – pur anche per escluderla -, così omettendo l’esame su una circostanza decisiva, e si ragiona esclusivamente sulla destinazione della cosa in sé considerata, traendo da ciò la pacifica conseguenza che la cosa era stata utilizzata per un uso diverso.

Si applicano poi canoni non logicamente corretti laddove si traggono presunzioni in ordine alla volontà delle parti circa l’uso consentito della cosa dal contratto di compravendita. Infatti, l’identificazione della cosa data in vendita dal Russo e la Suzzi al Bertozzi e alla Bianchi non poteva fornire alcuna indicazione circa il contenuto del contratto di comodato intervenuto (contemporaneamente o successivamente alla compravendita) tra le stesse parti.

In conclusioni le affermazioni contenute nella sentenza impugnata appaiono apodittiche e solo apparentemente fondate su una motivazione ispirata a canoni di completezza e logicità. Probabilmente il vizio della motivazione sopra rilevato è conseguenza di una lacuna iniziale e, cioè, della mancata considerazione della distribuzione dell’onere della prova tra le parti in ordine all’inadempimento del contratto di comodato, consistente nell’impiego della cosa per un uso diverso. Profilo questo che appare implicitamente censurato nel ricorso laddove si afferma non essere intervenuto alcun mutamento nell’uso della cosa.

La Corte territoriale ha osservato che i vigili del fuoco e il giudice penale si erano limitati a ricondurre l’incendio ad un “probabile corto circuito”. Ha quindi ritenuto che partendo da un fatto incerto (la causa del sinistro) non poteva presumersi che il Russo e la Suzzi avessero custodito l’immobile con cura e diligenza. Il punto in questione non assurge a ratio decidendi autonoma della sentenza impugnata, che fonda la condanna sull’applicazione dell’art. 1805, secondo comma c. c. . In ogni caso anche rispetto a questo profilo la motivazione sarebbe, censurabile (ed è stata censurata con il primo motivo di ricorso). Non si tratta infatti di ragionare secondo lo schema della presunzione indicato in sentenza sia pure per criticarlo. Il principio applicabile è quello secondo cui il perimento o il deterioramento fortuito della cosa è a rischio del comodante. Il problema era dunque stabilire se il “probabile corto circuito” rilevato dai vigili del fuoco fosse identificabile o meno quale fortuito e da ciò trarre le conseguenze in ordine alla diligenza dei comodatari.

Per quanto sopra detto il ricorso va accolto relativamente ai profili sopra esposti, in relazione a questi la sentenza va cassata e rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna che provvederà ad un nuovo esame e anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa e rinvia anche per le spese di questa fase ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna.

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Avv. Umberto Davide

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