Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 18 settembre 2007, n. 19338

è del tutto ragionevole far decorrere il periodo di tempo in questione nel momento in cui l’interessato riceve materialmente dall’INPS l’importo dell’anticipazione dell’indennita’ di mobilita’. Infatti, fino a quando egli non incassa l’anticipazione, da un lato, ha titolo per continuare a percepire mensilmente il relativo rateo di indennita’ e, dall’altro, non puo’ sapere con certezza che gli verra’ erogata l’anticipazione e pertanto non puo’ – almeno di regola – concretamente iniziare a svolgere l’attivita’ autonoma. Pertanto, appare ragionevole far decorrere dalla data dell’incasso dell’anticipazione il periodo di due anni entro il quale il lavoratore non puo’ nuovamente rioccuparsi alle dipendenze altrui -pena la restituzione dell’importo concessogli al fine di incentivarlo al reperimento di una diversa fonte di reddito – e deve invece attivarsi per attuare concretamente il proposito espresso all’atto della richiesta dell’anticipazione.

 

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 18 settembre 2007, n. 19338

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICIRETTI Stefano – Presidente

Dott. CUOCO Pietro – Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PE. RA., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI 288 presso PERSIANI, presso lo studio dell’avvocato MARINI PAOLO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI GIUSEPPE, VINCENZO TRIOLO, EMANUELE DE ROSE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 335/04 della Corte d’Appello di L’AQUILA, depositata il 15/04/04 – R.G.N. 716/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/04/07 dal Consigliere Dott. Paolo STILE;

udito l’Avvocato TONOLO per delega MARINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 17/7/02, l’INPS proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Sul mona, che aveva accolto l’opposizione proposta da Pe.Ra. contro il Decreto Ingiuntivo n. 296 del 1999 con il quale era stato ordinato allo stesso Pe. di pagare all’Istituto lire 26.920.000 a titolo di restituzione dell’indennita’ di mobilita’ indebitamente percepita.

Deduceva che erroneamente il Giudice di primo grado aveva ritenuto che il periodo di 24 mesi contemplato dalla Legge n. 223 del 1991 articolo 7 comma 5, entro il quale il lavoratore che abbia ottenuto il pagamento in via anticipata dell’indennita’ di mobilita’ al fine di intraprendere un’attivita’ di lavoro autonomo non deve nuovamente occuparsi alle dipendenze di altro datore di lavoro, doveva farsi decorrere dalla data in cui l’anticipazione sarebbe dovuta essere corrisposta all’interessato. Infatti, a parere dell’istituto, sia la lettera dell’articolo 7, comma 5, citato. sia il Decreto Ministeriale 17 febbraio 1993, n. 142 di attuazione, deponevano nel senso che il predetto periodo di due anni doveva farsi decorrere dal giorno dell’effettivo pagamento dell’indennita’. Nella specie, poiche’ l’indennita’ era stata erogata al Pe. ne mese di febbraio 1995 e poiche’ egli si era rioccupato alle dipendenze della ditta COMEPO il 2.1.97, l’INPS riteneva legittimo il proprio operato e chiedeva, in accoglimento dell’appello, il rigetto dell’opposizione.

Pe.Ra. non si costituiva.

Con sentenza del 29 gennaio – 15 aprile 2004, l’adita Corte d’appello di L’Aquila, in adesione alla tesi dell’INPS. accoglieva il gravame, rigettando l’opposizione.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il Pe. con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria.

Resiste l’INPS con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo d’impugnazione, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della Legge 23 luglio 1991, n. 223 articoli 7, e Decreto Ministeriale 17 febbraio 1993, n. 142 articolo 3 nonche’ omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi (articolo 360 c.p.c., n. 3 e 5), lamenta che la Corte d’appello dell’Aquila, pur operando una ricostruzione del tutto corretta della ratio della legge, individuata “nella ricollocazione dei lavoratori in mobilita’ al di fuori dell’area congestionata del lavoro subordinato”, con gli evidenti e dovuti correttivi tendenti ad evitare abusi, abbia, poi, fornito una interpretazione assolutamente letterale della norma che, cosi’ applicata, diviene troppo “automatica” e vessatoria per il lavoratore del tutto esposto al puro e semplice arbitrio dell’INPS.

Il motivo e’ infondato.

invero – come puntualizzato dalla Corte territoriale – la Legge n. 223 del 1991 articolo 7 comma 5, nello stabilire l’obbligo di restituzione dell’indennita’ di mobilita’ corrisposta in via anticipata a carico dei lavoratori, che, pur avendo ottenuto quell’anticipazione dichiarando di aver intenzione di intraprendere un’attivita’ autonoma, si rioccupino alle dipendenze di altro datore di lavoro, prevede chiaramente e senza possibilita’ di equivoco alcuno che quell’obbligo di restituzione sussiste quando l’assunzione di una nuova occupazione alle altrui dipendenze avvenga “nei ventiquattro mesi successivi a quello della corresponsione”. Cio’ che conta, alla stregua del tenore della norma legislativa, pertanto, non e’ il momento in cui il lavoratore ha avanzato la domanda di anticipazione dell’indennita’, bensi’ quello in cui ha incassato l’anticipazione medesima.

Il Decreto Ministeriale n. 142 del 1993 articolo 3 (regolamento di attuazione della Legge n. 223 del 1991 articolo 7 comma 5), in maniera del tutto conforme al citato disposto legislativo, ribadisce che la restituzione e’ dovuta da quei lavoratori che “si occupino alle dipendenze di terzi entro i ventiquattro mesi successivi a quello della corresponsione delle somme”. E’ indubbio, dunque, che l’interpretazione letterale della normativa di riferimento esclude che il periodo di 24 mesi debba decorrere – come invece sostenuto dal ricorrente – dalla data della presentazione della domanda in sede amministrativa. Il Pe., sulla scorta del decisimi del Tribunale, sembra affermare questa decorrenza perche’ in detta data o, quanto meno – sulla base delle dichiarazioni rese dal funzionario dell’INPS in sede di interrogatorio formale – entro sessanta giorni della istanza amministrativa l’anticipazione andava effettivamente corrisposta.

In realta’ – come ancora correttamente affermato dai Giudice d’appello – nessuna disposizione legislativa o regolamentare stabilisce un termine massimo entro il quale l’INPS debba provvedere ad erogare materialmente l’anticipazione, ne’ si puo’ ritenere che il pagamento debba essere eseguito addirittura contestualmente alla presentazione della domanda da parte dell’interessato, posto che, anche in una fattispecie come quella che qui ci occupa, deve essere riconosciuto a favore dell’ente pubblico un congruo spatium deliberandi. Peraltro – si da atto nella impugnata decisione -, che, nel caso in esame, la domanda risulta essere stata presentata dal Pe. il 6.12.94, mentre l’erogazione dell’anticipazione e’ avvenuta (sia pure parzialmente) il 24.1.95. vale a dire entro un termine ragionevole. Quindi neppure la particolarita’ della fattispecie concreta giustificano una disapplicazione del chiaro tenore letterale della norma.

Ma, come ancora una volta rimarcato convincentemente dal Giudice a quo- anche la ratio della disposizione legislativa conferma la validita’ dell’interpretazione letterale.

Scopo della Legge n. 223 del 1991 articolo 7 comma 5, e’ quello di istituire un incentivo alla ricollocazione dei lavoratori in mobilita’ al di fuori dell’area congestionata del lavoro subordinato (ex plurimis, Cass. 28 gennaio 2004 n. 1587). A tal fine la norma consente al lavoratore che sia stato collocato in mobilita’ di poter usufruire di un certo capitale che gli permetta di intraprendere un’attivita’ di lavoro autonomo che possa rappresentare per lui la soluzione ai problemi di reperimento del reddito che il collocamento in mobilita’ consente di fronteggiare solo in via transitoria. Tuttavia, nel perseguire tale obiettivo, il legislatore si e’ altresi’ preoccupato che lo scopo della norma non venisse vanificato nell’ipotesi di lavoratori che, successivamente alla corresponsione anticipata dell’indennita’, si fossero nuovamente occupati alle dipendenze altrui (senza quindi ricollocarsi in fattispecie negoziali diverse da quelle del rapporto di lavoro subordinato).

La norma in esame, peraltro, ha avuto anche riguardo ai casi di lavoratori che – pur avendo tentato seriamente di intraprendere un’attivita’ lavorativa autonoma – siano stati costretti successivamente a tornare ad occupazioni di lavoro subordinato.

Orbene, il legislatore – nell’esercizio del suo potere discrezionale – ha ritenuto di dover contemperare tali contrapposte esigenze, prevedendo, da un lato, che in caso di rioccupazione alle altrui dipendenze entro 24 mesi dalla corresponsione delle somme in parola, il lavoratore che abbia usufruito dell’anticipazione debba restituirla; dall’altro, stabilendo che tale obbligo non sussista piu’ una volta decorso tale lasso di tempo, ritenendo evidentemente che il decorso di 24 mesi fosse indicativo della serieta’ del tentativo del lavoratore stesso di intraprendere un’attivita’ di lavoro autonomo. La soluzione adottata dal legislatore appare d’altronde opportuna, anche al fine di evitare un accertamento caso per caso della serieta’ del tentativo di intraprendere un’attivita’ di lavoro autonomo da parte dei beneficiari dell’indennita’ di mobilita’ in via anticipata, che presenterebbe non pochi problemi operativi.

In un simile contesto e del tutto ragionevole far decorrere il periodo di tempo in questione nel momento in cui l’interessato riceve materialmente dall’INPS l’importo dell’anticipazione dell’indennita’ di mobilita’. Infatti, fino a quando egli non incassa l’anticipazione, da un iato, ha titolo per continuare a percepire mensilmente il relativo rateo di indennita’ e, dall’altro, non puo’ sapere con certezza che gli verra’ erogata l’anticipazione e pertanto non puo’ – almeno di regola – concretamente iniziare a svolgere l’attivita’ autonoma. Pertanto, appare ragionevole far decorrere dalla data dell’incasso dell’anticipazione il periodo di due anni entro il quale il lavoratore non puo’ nuovamente rioccuparsi alle dipendenze altrui -pena la restituzione dell’importo concessogli al fine di incentivarlo al reperimento di una diversa fonte di reddito – e deve invece attivarsi per attuare concretamente il proposito espresso all’atto della richiesta dell’anticipazione.

Nel caso in esame, coerentemente con tali premesse, la Corte di L’Aquila, ha accertato – senza che tale accertamento possa essere messo in discussione da una diversa ricostruzione dei fatti, cosi’ come esplicitata dal ricorrente nella memoria ex articolo 378 c.p.c.- che racconto dell’anticipazione e’ stato corrisposto il 24.1.95 ed il saldo nel successivo mese di febbraio; quindi, “a norma dell’articolo 7, comma 5, il periodo di ventiquattro mesi e’ iniziato a decorrere, a tutto voler concedere, dal febbraio 1995 e sarebbe scaduto il 31.1.97; invece il Pe. risulta pacificamente essere stato assunto da un nuovo datore di lavoro il 2.1.97”.

Con il secondo mezzo di impugnazione, il ricorrente deduce la nullita’ della sentenza di secondo grado, in quanto nel dispositivo si afferma che la stessa e’ stata emessa “ne contraddittorio delle parti”, mentre il Pe.. in grado di appello, era contumace.

Il motivo e’ palesemente infondato, poiche’ la declaratoria di contumacia presuppone l’accertamento della rituale costituzione del contraddittorio.

Da quanto esposto discende il rigetto dei ricorso.

Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’articolo 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269 articolo 42 comma 11, nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese. Roma, 18 aprile 2007.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2007

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Avv. Umberto Davide

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