Tribunale per i Minorenni di Bologna Sentenza 20 luglio 2017

Ed appare evidente che, attualmente, la situazione di fatto, prospettata dalla ricorrente ed accertata dal Tribunale, non goda di alcuna tutela di legge e ciò può ripercuotersi negativamente nella quotidianità della minore poiché il mancato riconoscimento legale del proprio genitore sociale potrebbe costituire una minaccia anche all’equilibrio psicofisico della bambina che, crescendo, vedrà delegittimata colei che, a tutti gli effetti, si comporta ed è considerata dal contesto socio-familiare di appartenenza come uno dei due genitore. Inoltre, e principalmente, qualora questo Giudice rigettasse l’istanza di adozione, la minore non potrebbe vantare alcun diritto nei confronti della ricorrente (si pensi alle ipotesi di separazione della coppia o di morte o incapacità sopravvenuta della madre biologica) la quale, a sua volta e nei suoi confronti, non avrebbe alcun obbligo giuridico in qualità di genitore. In altri termini, non è contestabile che, qualora nel nostro ordinamento giuridico, in ipotesi del genere, non si riconoscesse rilievo giuridico al rapporto tra il minore e l’adottante, resterebbe gravemente sacrificata proprio la posizione della bambina sotto plurimi profili e, se anche l’interesse del minore al riconoscimento giuridico della relazione genitoriale con l’istante è certamente speculare, nel caso in esame, a quello del genitore adottante, tale considerazione non modifica l’ottica della presente decisione che assume, al centro della valutazione giurisdizionale, il best interest del minore al riconoscimento dello status di figlio e il suo diritto a  vivere una vita familiare, oltre che con il genitore biologico, anche con quello che lo ha accudito, cresciuto e “curato” fin dalla sua nascita e per un consistente lasso temporale.

 Tribunale per i Minorenni di Bologna Sentenza 20 luglio 2017

Il Tribunale per i Minorenni di Bologna, in composizione collegiale e così composto:

Dr. Giuseppe Spadaro – Presidente

Dr.ssa Elisabetta Tarozzi – Giudice

Dr. Daniele Stumpo – Giudice Onorario

Dr.ssa Antonella Allegrini – Giudice Onorario

ha pronunciato la seguente s e n t e n z a

nel procedimento iscritto al n. 286\16 ADN-CP

avente ad OGGETTO: ricorso ex art. 44, lett. d), legge n. 184/1983

 IN FATTO

(OMISS) nata a (OMISS), ha richiesto, ai sensi dell’art. 44 lett. d, l. adoz., di poter adottare la minore(OMISS), a seguito di procreazione medicalmente assistita. L’istante premette di avere instaurato una relazione affettiva con (OMISS)per approdare ad una successiva stabile convivenza nel giugno 2008 che prosegue fino ad oggi. La coppia vive attualmente, con comune residenza in (OMISS), presso l’immobile dove entrambe sono locatarie al 50% e dividono al 50% le spese quotidiane.

Nel 2010, l’istante riferisce di avere deciso, in accordo con la propria compagna, di avere un figlio, ricorrendo alla procedura di procreazione medicalmente assistita presso una clinica specializzata di Bruxelles. La coppia decideva consensualmente che, a portare avanti la gravidanza, sarebbe stata la (OMISS) in quanto tra le due donne era quella più desiderosa di vivere questa fase della genitorialità. La minore (OMISS) nasceva presso l’Ospedale (OMISS).

Orbene, le indagini svolte hanno dato tutte esito positivo. A conferma rilevano i colloqui con i genitori e l’osservazione diretta relazionata dagli Assistenti Sociali, dalle quali emerge che “la bimba e’ apparsa solare, intelligente e molto dolce, si è’ trovata a proprio agio e si è’ relazionata con le sue mamme con naturalezza ed affetto.” Ancora, si legge in relazione, “trascorre la giornata del sabato con mamma …. con cui prepara un dolce e la pasta alla carbonara, il loro piatto preferito. Tutti i giorni e’ lei che si occupa di andarla a ritirare all’uscita di scuola e di accompagnarla  alle  eventuali attività ludico/sportive.” Ed infine, ancora in relazione “….. parla della sua famiglia con serenità’, conosce la storia che l’ha portata al mondo ed è’ consapevole del percorso di adozione intrapreso da ….; si è’ dimostrata contenta oltre che desiderosa di assumerne il cognome” (cfr. relazione psicosociale relativa all’istanza di adozione).

Sulla base degli atti e dei documenti, alla luce delle prove acquisite e dell’istruttoria condotta, è pacifico e certo che la minore (OMISS) riconosce in (OMISS) e in (OMISS) i suoi genitori; la relazione della coppia si distingue per solidità affettiva, costanza nel tempo e comunanza di obbiettivi, al punto da dovere essere considerata, a tutti gli effetti, una famiglia. Il tessuto familiare di questa unione include la piccola (OMISS) che è di fatto un membro della famiglia (OMISS). In particolare, è provato che: a) la bambina è stata sempre trattata da (OMISS) come sua figlia, avendo questi provveduto in qualità di madre al suo mantenimento, alla sua educazione, alle sue esigenze di vita quotidiana; b) (OMISS) è a tutti gli effetti considerata madre, nelle relazioni sociali, affettive e di vita quotidiana (scuola, istituzioni, contesti di riferimento, etc.); c) (OMISS) è considerata figlia di (OMISS) anche nell’ambito delle famiglie di origine di entrambe le madri.

Sulla scorta dei dati sin qui brevemente illustrati, può procedersi all’esame del merito della domanda. 

in Diritto

Nell’Ordinamento italiano, in linea con gli altri sistemi giuridici europei, il legame genitoriale può originare da un procedimento adottivo: il genitore diventa tale in assenza di legame biologico con il minore e a seguito di procedura giurisdizionale che sostituisce al vincolo biologico una attribuzione giuridica della responsabilità genitoriale. L’origine del progetto genitoriale non incide sullo stato giuridico dei figli che è sempre e comunque lo stesso (art. 315 c.c. come modificato dalla legge 10 dicembre 2012 n. 219). Il referente normativo principale, in materia di adozione, è la legge 4 maggio 1983 n. 184 (“diritto del minore ad una famiglia”). La normativa in esame enuclea, in modo tipico e tassativo, i casi ex lege che consentono l’instaurazione giuridica (piuttosto che biologica) del legame genitoriale. In linea di principio, l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare (art. 6, legge 184 del 1983). Condizione necessaria perché l’adozione possa essere pronunciata, è che l’età degli adottanti superi di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando. In ogni caso, l’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità (art. 7 comma I): sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.

La norma testé citata (art. 7) ha riguardo ai casi “ordinari” di adozione ed esclude, di norma, l’adozione da parte di coppie formate dallo stesso sesso, atteso che il procedimento adottivo è riservato ai coniugi e non è esteso agli uniti (come noto, l’unione civile è la formazione familiare composta da due persone dello stesso sesso: v. art. 1, legge 20 maggio 2016 n. 76). L’adozione non è consentita nemmeno alle persone che siano solo conviventi di fatto come nel caso in esame (al riguardo, v. art. 1, comma 36, legge 76/2016 cit.). A fronte di casi ordinari, la normativa disciplina anche «casi particolari» di adozione, nell’ambito dell’art. 44 l. 184 del 1983. L’adozione nei casi ordinari è detta “piena o legittimante” poiché esplica effetti totalmente parificanti rispetto alla genitorialità biologica. Gli effetti dell’adozione “non piena” sono invece regolati dagli artt. 45 e ss. l. 184 del 1983.

L’adozione in casi particolari prevede che i minori possano essere adottati (“anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7”): a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

Adozione piena e adozione in casi particolari rappresentano due diversi istituti giuridici, anche se, in concreto, gli Autori dibattono circa la persistente diversità effettiva, alla luce delle modifiche apportate al “sistema” dal dlgs. 154 del 2013. L’adozione cd. legittimante, come visto, abilita l’adozione (nazionale o internazionale) di bambini in stato di abbandono, prevedendo una corsia preferenziale in favore delle persone con cui il minore abbia instaurato legami affettivi significativi e un rapporto stabile e duraturo (si tratta, in genere, della cd. famiglia affidataria: v. art. 5-bis, legge 173 del 2015). Per effetto dell’adozione ordinaria, la relazione tra minore e adottante è del tutto equiparata a quella sussistente tra genitore biologico e la propria prole. La “adozione in casi particolari” è ammessa, invece, in diversi casi specifici che concernono, per lo più, ipotesi in cui vi è già una relazione genitoriale di fatto tra un bimbo ed un adulto. La stessa è consentita anche ai singoli ed alle coppie non sposate. Si tratta dell’ipotesi di bambini già curati da parenti o conoscenti (lettera A) e dell’ipotesi di bambini che hanno instaurato una relazione filiale col nuovo coniuge del proprio genitore (lettera B). In questi casi non si tratta di trovare un genitore per un bambino abbandonato ma di tutelare e coprire giuridicamente situazioni in cui un bambino ha già chi si occupa di lui, dove vi è già un “genitore di fatto” che è tuttavia privo di riconoscimento legale formale (sul “valore” dei legami genitoriali di fatto, cfr. legge 173 del 2015 e Corte Cost.  n. 225 del 2016). L’adozione in casi particolari è altresì prevista per bambini orfani portatori di handicap (lettera C), per i quali, essendo l’adozione ammessa anche per i singoli e le coppie non sposate, viene così ampliata la platea degli aspiranti adottanti.

L’adozione in casi particolari è prevista, infine, quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo (art. 44, lett. d, legge 184 del 1983): si tratta della norma di riferimento per l’odierna decisione.

In passato, infatti, la disposizione è stata interpretata dalla giurisprudenza in modo restrittivo, come applicabile comunque alla ipotesi del bambino “in stato di abbandono”. Si sosteneva, dunque, che la norma ampliasse il ventaglio degli adottanti a fronte di minori in stato di abbandono, difficilmente adottabili e di fatto rimasti senza proposte adottive: come per il caso di bambini affetti da patologie psichiatriche o fisiche invalidanti. La giurisprudenza più recente ha mutato indirizzo e interpretato la norma in modo diverso: secondo il nuovo trend pretorile, la disposizione prevedendo che “vi sia la constata impossibilità di affidamento preadottivo”, fa riferimento (non solo a situazioni di impossibilità materiale di adottare bambini in stato di abbandono, ma anche) ad ogni altra ipotesi di impossibilità giuridica di adottare con adozione legittimante. Si tratta, cioè, di casi in cui non vi è uno stato di abbandono e dove, tuttavia, l’adozione appare comunque consigliabile per una migliore tutela dei diritti del minore. Su questa linea si sono ritenuti adottabili bambini non abbandonati che risultano affidati da anni ad una coppia o ad un singolo.

Si arriva così al tema oggetto della presente indagine: proprio attraverso il menzionato art. 44 lett. d), infatti, si è arrivati ad affermare che, nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, «sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 ed a prendere il doppio cognome, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento». In questi termini si è pronunciato originariamente il Tribunale per i Minorenni di Roma, con sentenza 30 luglio 2014 (est. Cavallo), inaugurando una presa di posizione ermeneutica confermata negli arresti successivi (Trib. Minorenni Roma, 22 ottobre 2015, est. Cavallo; Trib. Minorenni Roma, 23 dicembre 2015, est. Cavallo), anche nel secondo grado. In particolare, secondo il giudice d’appello romano, «nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento; la sussistenza di tale rapporto genitoriale di fatto e del conseguente superiore interesse al riconoscimento della bigenitorialità devono essere operate in concreto sulla base delle risultanze delle indagini psico-sociali» (Corte App. Roma, 23 dicembre 2015, Pres. Montaldi, est. Pagliari); della stessa idea la Corte di Appello di Torino che, riformando il primo grado, afferma «l’ipotesi di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 può trovare applicazione anche in caso di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo per non essere il minore dichiarato in stato di abbandono sussistendo un genitore biologico che ne ha cura; la norma può pertanto trovare applicazione anche nel caso in cui sussista l’interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso» (Corte App. Torino, Pres. Mecca, est. Lanza).

La questione della adozione coparentale è stata infine affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi con riguardo alla impugnazione della pronuncia della Corte di Appello romana del 23 dicembre 2015. Definendo il procedimento in senso conforme alla decisione impugnata, la Suprema Corte di Cassazione ha, in primis, affermato che in ipotesi di domanda di adozione in casi particolari da parte della compagna della madre biologica non sussiste alcun conflitto di interessi fra quest’ultima e la figlia e non vi è pertanto alcuna necessità di nominare un curatore speciale. Ha quindi osservato che l’ipotesi di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 può trovare applicazione anche in caso di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo per non essere il minore dichiarato in stato di abbandono sussistendo un genitore biologico che ne ha cura; la norma può pertanto trovare applicazione anche nel caso in cui sussista l’interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso (Cass. Civ., sez. I, sentenza 26 maggio 2016 n. 12962, Pres. Della Palma, est. Acierno). In tempi recenti, l’indirizzo del tutto maggioritario in giurisprudenza è stato, infine, avallato dalla Corte di Appello di Milano, con la pronuncia 9 febbraio 2017.

Reputa questo Tribunale che l’indirizzo sin qui illustrato sia stato anche confermato dalla legge n. 76 del 2016. In primo luogo, la nuova normativa ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso, ove sussistenti vincoli affettivi, al rango di “famiglia” (è inequivoco il riferimento, nella normativa, alla “vita familiare”, a tacer d’altro), così offrendo all’adozione in casi particolari, un substrato relazionale solido, sicuro, giuridicamente tutelato. Soprattutto, come ben ha messo in evidenza la Corte di Appello di Milano, nella decisione citata, la legge di nuovo conio ha confermato l’orientamento di Cassazione, con l’articolo 1 comma 20: “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «?coniuge?», «?coniugi?» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”.

Ebbene, come hanno sottolineato i commentatori, questa norma nasce da un compromesso legislativo, reso necessario a seguito dello stralcio dell’articolo che prevedeva una modifica dell’art. 44 lettera b). Per effetto di detto stralcio, il Legislatore ha sentito il bisogno di aggiungere una locuzione che non può essere interpretata in nessun altro modo se non come clausola di salvaguardia, altrimenti non se ne comprenderebbe il senso, avendo già detto che l’equiparazione del termine coniuge all’unito civilmente vale per le leggi in vigore tranne che per la 184/83, ovvero l’espressione: “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalla norme vigenti”. Che resti fermo quanto previsto può apparire pleonastico ma è fatto salvo anche quanto consentito evidentemente dalla interpretazione giurisprudenziale così come si è sviluppata nel tempo e come indicata da ultimo dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 12962/16. E’ insomma evidente che dalla legge n. 76 del 2016 non emerge affatto una volontà del Legislatore di delimitare più rigidamente i confini interpretativi dell’adozione in casi particolari ma, semmai, emerge la volontà contraria, tanto è vero che, successivamente alla emanazione della legge, vi sono state altre pronunzie che, in casi analoghi a quello in esame, hanno accolto la domanda di adozione ex art. 44 D). Questa lettura è stata anche seguita in Dottrina ed è ritenuta corretta da questo Tribunale. La «clausola di salvaguardia» che chiude il comma 20 rende immune dall’eccezione alla clausola generale di equivalenza prevista per la legge sulle adozioni «quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». In questo modo, tale disposizione apre alla possibilità di un’applicazione alle unioni civili delle disposizioni in materia di adozioni, ma solo, per l’appunto, nei limiti del diritto vigente. Come ha efficacemente rilevato la Corte di Appello di Milano, la clausola nasce dalla consapevolezza degli effetti che lo stralcio di cui si è detto avrebbe comportato al consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce alle coppie di persone dello stesso sesso la possibilità di ricorrere alla c.d. «adozione coparentale» (stepchild o secondparent adoption). Pertanto, allo stralcio dell’articolo 5 è seguita l’aggiunta della clausola in parola, proprio allo scopo di scongiurare che fosse «impedito agli omosessuali di continuare a fruire di un istituto già esistente». La sua funzione, dunque, è quella di chiarire all’interprete che la mancata previsione legislativa dell’accesso all’adozione coparentale non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all’orientamento consolidatosi negli ultimi anni in giurisprudenza in favore dell’adozione coparentale ai sensi della lettera d). In conclusione, è opportuno rammentare che l’interpretazione qui in esame risulta avallata non solo dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 12962 del 2016, ma anche da Corte cost., 7 ottobre 1999, n. 383, secondo cui la ratio dell’effettiva realizzazione degli interessi del minore consente l’adozione per “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” anche quando i minori “non sono stati o non possono essere formalmente dichiarati adottabili”.

Alla luce di quanto sin qui osservato, ove le indagini ex lege diano esito positivo, l’adozione risponda all’interesse del minore e vi sia il consenso di tutti i soggetti interessati «non si comprende come possano essere posti ostacoli alla richiesta di adozione se non per il prevalere di pregiudizi legati ad una concezione dei vincoli familiari non più rispondente alla ricchezza e complessità delle relazioni umane nell’epoca attuale. Del resto proprio la interpretazione evolutiva della Corte EDU della nozione di vita familiare di cui all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, è giunta ad affermare che nell’ambito della vita familiare deve annoverarsi il rapporto fra persone dello stesso sesso, rapporto che non può quindi essere escluso dal diritto di famiglia con la conseguenza che non già le aspirazioni o i desideri degli adulti debbano avere necessariamente pari riconoscimento da parte dell’ordinamento, bensì i diritti dei bambini» (Corte App. Milano, cit.).

Va rimarcato che – a parere di questo Collegio – la stabile relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso, che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, con le aspirazioni, i desideri e i sogni comuni per il futuro, la condivisione insieme dei frammenti di vita quotidiana, costituisce a tutti gli effetti una “famiglia”, luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore “omoaffettività” possa costituire ostacolo formale.

Per le ragioni sin qui esposte, si intende confermare l’indirizzo già espresso da questo Ufficio e che si riporta: «Nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento. Questa interpretazione è stata di recente avallata dall’articolo 1 della legge 76 del 2016. Infatti, la «clausola di salvaguardia» che chiude il comma 20 di detto articolo apre alla possibilità di un’applicazione alle unioni civili delle disposizioni in materia di adozioni, ma solo, per l’appunto, nei limiti del diritto vigente. La sua funzione, dunque, è quella di chiarire all’interprete che la mancata previsione legislativa dell’accesso all’adozione coparentale non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all’orientamento consolidatosi negli ultimi anni in giurisprudenza in favore dell’adozione coparentale ai sensi della lettera d) dell’art. 44 l. 184 del 1983» (cfr. Trib. Minorenni Bologna, sentenza 6 luglio 2017).

Orbene, la coppia Greta Antoni-Marcella Venturi non è unita civilmente ma ciò – a parere del Collegio – non può costituire un ostacolo giuridico in quanto il vincolo matrimoniale è richiesto normativamente solo per l’ipotesi di cui alla lettera B) della citata norma e non per l’ipotesi che qui si invoca.

Peraltro, non si intende abbandonare la soluzione interpretativa, ormai costantemente adottata da questo Tribunale, anche alla luce di recente contrario arresto di merito (Trib. Minorenni Palermo, sentenza 3 luglio 2017) che ha optato per statuizione contrastante, individuando nell’articolo 48 l. n. 183 del 1984 alcune condizioni legali ostative.

Invero, tale norma – che afferma la condivisione genitoriale fra coniugi – non può essere letta come limite per le coppie non unite da vincolo matrimoniale: semplicemente, è da escludere che dalla permanenza dell’art. 48 cit. possa trarsi una deroga ai principi di cui agli artt. 315 bis  e ss. cod. civ., i quali sono stati recepiti dal legislatore italiano in funzione della protezione del migliore interesse del minore. Parimenti l’art. 50 l. cit., nella parte in cui dà disposizioni per l’ipotesi di decadenza dell’adottante dalla responsabilità genitoriale, è norma dettata per il caso in cui la responsabilità genitoriale sia stata attribuita per intero all’adottante, cui non può ascriversi una qualche portata generale. L’art. 50 è, difatti, disposizione speciale per il caso in cui, a seguito dell’adozione speciale, apprezzato l’interesse del minore, si sia ritenuto di privare il genitore legale della responsabilità genitoriale. Per tutti gli altri casi, la disciplina degli effetti è quella del codice civile, che non esclude – anzi, impone, se nell’interesse del minore – l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale da parte dell’adottante e del genitore legale. Né può ravvisarsi un qualche pericolo di indeterminatezza in una fattispecie così delicata come quella relativa alla responsabilità genitoriale, posto che la condivisione della responsabilità fra genitori trova una tassativa e determinata disciplina nel codice civile (315 bis e ss.), sicché l’affidabilità del genitore rappresenta l’unica sicura guida nel perseguimento dell’interesse del bambino.

V’è da dire, inoltre, che una lettura di segno opposto, che pur non negando l’applicabilità dell’art. 44 lettera d) alle relazioni genitoriali di fatto anche in presenza di un affidabile genitore legale (biologico, ex art. 8 legge 40/2004 o adottivo), voglia trarre dagli artt. 48 e 50 una qualche limitazione sul piano degli effetti, appare contraddittoria e di scarsa tenuta già sul piano logico giuridico. Richiedendo al genitore legale di manifestare, con il proprio assenso ex art. 46, primo comma, anche la volontà di abdicare alla propria responsabilità genitoriale, a pena di un consenso irrimediabilmente “viziato” (interpretazione che, ove seguita, imporrebbe comunque ai sensi degli artt. 111 Cost. e 101, secondo comma c.p.c., di sollevare d’ufficio il tema salvaguardando il contraddittorio, a pena di insanabile vizio in rito), dovrebbe assumersi che tale assenso sarebbe comunque privo di effetto in carenza di un provvedimento che dichiari la decadenza dalla responsabilità genitoriale, il quale non potrebbe fondarsi, com’è ovvio, sulla sola volontà del genitore, non vertendosi in materia di diritti disponibili, ma necessiterebbe di una valutazione di oggettiva incapacità genitoriale dello stesso genitore legale; sicché una tale interpretazione finirebbe col tradire il presupposto da cui muove (la possibilità di utilizzare in questi casi l’art. 44 lettera d), finendo in ultima analisi col ricondurre sempre l’adozione in casi particolari al presupposto dell’abbandono del minore, in evidente violazione del chiaro disposto di cui all’art. 44, primo comma cit..

In definitiva, gli artt. 44, 48 e 50 L. n. 183 del 1984  non possono interpretarsi nel senso che la responsabilità genitoriale è esercitata congiuntamente “solo” quando gli adottanti sono coniugati; certamente affermano che la stessa è congiunta quando gli adottanti sono coniugati, ma implicitamente rinviano, negli altri casi, all’intero sistema in materia del codice civile. Una lettura di segno opposto non solo appare distonica rispetto al nuovo quadro normativo emergente dalla riforma in materia di filiazione, ma sarebbe incompatibile col presupposto da cui muove (della applicabilità dell’art. 44 lettera D in ipotesi di impossibilità solo giuridica) finendo col produrre, in ultima analisi, effetti contrari al superiore interesse del minore.

La disamina sin qui condotta induce a dover accogliere la domanda dell’istante sulla scorta del seguente principio di diritto: in virtù della clausola di salvaguardia di cui all’art. 1 comma 20 legge n. 76 del 2016, l’ipotesi di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 può trovare applicazione anche in caso di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo per non essere il minore dichiarato in stato di abbandono sussistendo un genitore biologico che ne ha cura; la norma può pertanto trovare applicazione anche nel caso in cui sussista l’interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso.

La norma applicata ha, invero, la preminente finalità di garantire copertura giuridica ad una situazione di fatto, già consolidata da anni, nell’esclusivo superiore interesse del minore ad avere una famiglia attraverso il riconoscimento di rapporti, già esistenti e consolidati, tra lo stesso minore e le persone che fin dalla nascita se ne prendono cura. Lo spirito della norma in esame – è bene riaffermarlo ancora una volta – non è quello di sostituire un vincolo tra minorenne e genitori biologici “ma porsi “accanto” ad esse, arricchendo la sfera delle relazioni del minore con un riconoscimento giuridico che lo tutela particolarmente, garantendogli una adeguata assistenza morale e materiale” (Trib. Minorenni Milano sent. n. 626\2007).

La sua ratio legis è quindi, sicuramente, di valutare, in concreto, ciò che può comportare maggiore utilità per il minore (utilità notoriamente intesa come preminente somma di vantaggi di ogni genere e specie e minor numero di inconvenienti) nella prospettiva del pieno sviluppo della personalità del minore stesso e della realizzazione di validi rapporti interpersonali ed affettivi.

Ed appare evidente che, attualmente, la situazione di fatto, prospettata dalla ricorrente ed accertata dal Tribunale, non goda di alcuna tutela di legge e ciò può ripercuotersi negativamente nella quotidianità della minore poiché il mancato riconoscimento legale del proprio genitore sociale potrebbe costituire una minaccia anche all’equilibrio psicofisico della bambina che, crescendo, vedrà delegittimata colei che, a tutti gli effetti, si comporta ed è considerata dal contesto socio-familiare di appartenenza come uno dei due genitore. Inoltre, e principalmente, qualora questo Giudice rigettasse l’istanza di adozione, la minore non potrebbe vantare alcun diritto nei confronti della ricorrente (si pensi alle ipotesi di separazione della coppia o di morte o incapacità sopravvenuta della madre biologica) la quale, a sua volta e nei suoi confronti, non avrebbe alcun obbligo giuridico in qualità di genitore. In altri termini, non è contestabile che, qualora nel nostro ordinamento giuridico, in ipotesi del genere, non si riconoscesse rilievo giuridico al rapporto tra il minore e l’adottante, resterebbe gravemente sacrificata proprio la posizione della bambina sotto plurimi profili e, se anche l’interesse del minore al riconoscimento giuridico della relazione genitoriale con l’istante è certamente speculare, nel caso in esame, a quello del genitore adottante, tale considerazione non modifica l’ottica della presente decisione che assume, al centro della valutazione giurisdizionale, il best interest del minore al riconoscimento dello status di figlio e il suo diritto a  vivere una vita familiare, oltre che con il genitore biologico, anche con quello che lo ha accudito, cresciuto e “curato” fin dalla sua nascita e per un consistente lasso temporale.

In definitiva, l’origine del progetto genitoriale non può in alcun modo incidere sullo stato giuridico dei figli che è sempre e comunque lo stesso (art. 315 c.c. come modificato dalla legge 10 dicembre 2012 n. 219) e negare ad un minore i diritti ed i vantaggi connessi al riconoscimento legale del legame genitoriale già instaurato con la propria madre sociale costituirebbe una scelta non corrispondente con l’interesse dello stesso minore.

Il ricorso merita accoglimento.

Nulla per le spese di lite.

 

Per Questi Motivi

 

Dichiara l’adozione di VENTURI Agata, nata a Bologna, in data 28 settembre 2011, da parte di Greta Antoni, nata a Bologna, in data 13 aprile 1977 e dispone che la minore assuma il cognome Antoni posposponendolo al proprio.

Ordina la comunicazione della presente sentenza per esteso alla Procura, alle parti e all’Ufficiale dello stato Civile del Comune di Bologna per le trascrizioni e i provvedimenti di competenza

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 20 luglio 2017

Il Presidente estensore

Giuseppe Spadaro

depositato in cancelleria il 31 agosto 2017

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.