la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art.485 cc. , ciò in quanto la semplice delazione diventava operativa “soltanto se il chiamato alla successione accetta di essere erede o mediante una dichiarazione di volontà (“aditio”), oppure in dipendenza di un comportamento obiettivamente acquiescente (“pro herede gestio”), laddove, in ipotesi di chiamato che sia nel possesso dei beni, l’accettazione “ex lege” dell’eredità è determinata dall’apertura della successione, dalla delazione ereditaria, dal possesso dei beni e dalla mancata tempestiva redazione dell’inventario.

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Corte d’Appello Napoli, Sezione 4 civile Sentenza 11 gennaio 2019, n. 53

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli, Quarta Sezione Civile composta dai seguenti magistrati:

Dott. Marzia Consiglio Presidente rel.

Dott. Margherita D’Amore Consigliere

Dott. Giuseppe Iascone Maglieri Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta al n. 3839 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2009, riservata in decisione all’udienza del 10.7.2018, avente ad oggetto: risarcimento danni e vertente

TRA

Ug. (nuova denominazione assunta dalla Co.As. spa), in persona del legale rappresentante pro tempore Rappresentata e difesa, giusta mandato a margine dell’atto di appello, dagli avv.ti Ga.Sa.De. e Gi.Fa. presso i quali è elettivamente domiciliata in Napoli alla via (…)

Appellante

E

Me.Ba.,

Rappresentato e difeso, giusta mandato in calce all’atto di riassunzione notificato, dall’avv.to Ga.Ba., presso il quale è elettivamente domiciliato in Ischia (Na) alla via (…)

Appellato

NONCHE’

So.Fr.

Appellato contumace

E

Di.Mi., Me.Ma. quali eredi di Me.Gi.

Appellate contumaci

E

Me.Fr., Me.Gi., Me.Ci. e Me.Ch.

Appellati contumaci

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 309/09 del 22 luglio 2009 il Tribunale di Napoli/sezione distaccata di Ischia – decidendo sulla domanda di risarcimento danni spiegata da Me.Gi. nei confronti di So.Fr. e della Co.As. S.p.A. in relazione al sinistro verificatosi il giorno 14 gennaio 2005 in Forio – così provvedeva: a) dichiarava il convenuto So.Fr., quale proprietario e conducente del motocarro (…) targato (…) unico ed esclusivo responsabile del sinistro per cui è causa; condannava il So., in solido con la Un. S.p.A. (ora Ug. spa – Di.) al risarcimento dei danni in favore di Me.Gi., quantificati in Euro 42.749,53 oltre interessi e svalutazione dalla domanda al soddisfo; condannava i predetti convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali sostenute dal Me., liquidate in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori.

Avverso tale pronuncia proponeva appello la Ug. S.p.A. contestando la quantificazione del danno da parte del Tribunale, con riferimento in particolare al danno biologico, stimato, contro le risultanze peritali, in misura percentuale del 12%, ed al danno morale calcolato in misura del 75% del biologico. Concludeva chiedendo:

1) in integrale riforma dell’impugnata sentenza, liquidare il danno subito secondo le risultanze della CTU eseguita nel giudizio di primo grado, adeguando alla stessa il criterio di personalizzazione del danno;

2) in via subordinata, ove ritenuto opportuno, nominare ctu medico legale per procedere alla quantificazione dei danni subiti, accertando la sussistenza del nesso di causalità tra il trauma subito in occasione del sinistro del 14.1.2005 e l’infortunio connesso alla caduta accidentale subita il 25.4.2005;

3) condannare il Me. al rimborso delle somme corrisposte in virtù della sentenza di primo grado, eccedenti la determinazione operata nel presente grado di giudizio, con l’aggiunta degli interessi maturati;

4) provvedere alla rideterminazione delle spese legali maturate in virtù dell’effettivo ammontare del risarcimento subito con provvedimento di condanna alla restituzione delle somme eventualmente percepite in eccesso;

5) condannare parte appellata alla rifusione delle spese del presente grado.

Si costituiva Me.Gi. contestando i motivi posti a sostegno dell’appello che chiedeva rigettare perché improcedibile ed improponibile, nonché infondato in fatto ed in diritto, vinte le spese del grado.

Rimaneva contumace So.Fr.

Interrotto per la morte di Me.Gi., il giudizio veniva riassunto dalla UGF nei confronti della moglie e dei figli del de cuius, quali risultanti dalla certificazione anagrafica, in qualità di eredi dello stesso.

Si costituiva il solo Me.Ba. eccependo la propria carenza di legittimazione passiva, quale mero chiamato all’eredità, e contestando, comunque, nel merito, le argomentazioni poste a sostegno del gravame, che chiedeva rigettare.

La Corte, assegnata la causa in decisione, con ordinanza del 14/23 giugno 2016, ritenuto che mentre per Me.Ba., costituito in giudizio, Di.Mi., moglie convivente, e Me.Ma., figlia convivente del de cuius, si potesse presumere una accettazione tacita dell’eredità, per gli altri figli, Me. Francesca, Me.Gi., Me.Ci. e Me.Ch., chiamati all’eredità, l’appellante avrebbe dovuto provare l’intervenuta accettazione da parte degli stessi, e quindi l’acquisita qualità di eredi, rimetteva la causa sul ruolo disponendo che, ove non risultante la qualità di eredi di Me. Francesca, Me.Gi., Me.Ci. e Me.Ch., fosse integrato il contraddittorio nei confronti degli ulteriori eredi effettivi.

Il procuratore dell’appellante, all’udienza del 28.3.2017, dichiarava quindi di avere sollecitato, con actio interrogatoria ex art. 481 cc, l’eventuale accettazione da parte dei chiamati all’eredità sia di Me.Gi. che di Me.Gi., deceduta nelle more, procedura non ancora conclusa; alla stessa udienza il procuratore dell’appellato sollecitava l’interruzione del processo per l’intervenuto decesso di Me.Gi..

La causa veniva quindi rinviata – impregiudicato ogni provvedimento – all’udienza del 3.10.2017 con invito al procuratore di parte appellante a documentare le notifiche e l’esito dell’actio interrogatoria.

A tale data il procuratore dell’appellante dichiarava di avere provveduto ad espletare actio interrogatoria come richiesto dalla Corte, precisando che in tale sede era risultata deceduta Me.Gi., per il che la procedura era proseguita nei confronti degli eredi di quest’ultima, procedura non ancora conclusa.

All’udienza del 6.2.2018, cui la causa veniva rinviata – acquisito il provvedimento del Tribunale di Ischia che, stante la mancata comparizione delle parti chiamate ad accettare, dichiarava l’esaurimento del procedimento, nonché il provvedimento di rigetto del reclamo proposto da Me.Ci. – il procuratore dell’appellante chiedeva di essere autorizzato ad integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi di Me.Gi., previa concessione di un termine per potere esperire actio interrogatoria anche nei confronti dei predetti.

La Corte, con ordinanza del 27/28 febbraio 2018, ritenuta la causa matura per la decisione fissava l’udienza di precisazione delle conclusioni. Il 10.7.2018 quindi i procuratori concludevano riportandosi agli atti e la causa veniva assegnata a sentenza previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio delle memorie conclusionali e di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa va definita con una pronuncia in rito, attesa la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi di Me.Gi.

Preliminarmente è bene richiamare le argomentazioni poste a sostegno dell’ordinanza del 14/23 giugno 2016 – con la quale, ove non risultante la qualità di eredi di Me.Fr., Me.Gi., Me.Ci. e Me.Ch., veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli ulteriori eredi effettivi (e non meri chiamati all’eredità) di Me.Gi., con notifica a cura della parte più diligente, nel rispetto dei termini a comparire, per l’udienza del 28.3.2017 – che questa Corte intende qui ribadire.

Si rilevava in quella sede che il giudizio di appello, interrotto all’udienza del 13.11.2012 per la morte di Me.Gi., era stato riassunto dalla società appellante nei confronti della moglie e dei figli del de cuius, quali risultanti dalla certificazione anagrafica, in qualità di eredi dello stesso.

Di questi solo Me.Ba. si era costituito in giudizio eccependo la propria carenza di legittimazione passiva per non avere provato l’appellante la qualità di erede, piuttosto che di mero chiamato all’eredità, di esso convenuto.

Condivideva quindi la Corte il principio che la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, “essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art.485 cc.” (Cass. n. 10525/10 e, ex multis, n. 6479/02), ciò in quanto la semplice delazione diventava operativa “soltanto se il chiamato alla successione accetta di essere erede o mediante una dichiarazione di volontà (“aditio”), oppure in dipendenza di un comportamento obiettivamente acquiescente (“pro herede gestio”), laddove, in ipotesi di chiamato che sia nel possesso dei beni, l’accettazione “ex lege” dell’eredità è determinata dall’apertura della successione, dalla delazione ereditaria, dal possesso dei beni e dalla mancata tempestiva redazione dell’inventario” (cfr. Cass. n. 3696/03).

Precisava poi – in conformità al tradizionale orientamento della S.C. di Cassazione (giurisprudenza già sopra richiamata e Cass. n. 651/2010; n. 17295/2014) – che incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede in quanto la “legitimatio ad causam” non si trasmette dal “de cuius” al chiamato per effetto della sola apertura della successione, così discostandosi da alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità in tema di riassunzione in caso di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio, laddove, pur confermando che la relativa “legitimatio ad causam” si trasmette all’erede e non al mero chiamato, si affermava che “il ricorso per riassunzione notificato individualmente nei confronti dei chiamati all’eredità ex art. 486 c.c. è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 c.p.c.”, con la conseguenza che i chiamati all’eredità, “pur non assumendo la qualità di eredi per il solo fatto di aver accettato la predetta notifica, hanno l’onere di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale qualità, così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la riassunzione” (v. Cass. n. 22870/15; n. 21227/14; n. 21287/11 e n. 7517/11).

Rilevava in contrario questa Corte che non si poteva configurare un onere a carico dei chiamati all’eredità, per il solo fatto di aver ricevuto ed accettato la predetta notifica, “di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di “legitimatio ad causam” … “, posto che alcun onere di costituzione era desumibile dal sistema a carico del convenuto, né era attribuibile alla scelta processuale della contumacia alcuna valenza, come d’altronde ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della S.C. di Cassazione che nega decisamente potersi ravvisare – ai fini probatori – la non contestazione dei fatti allegati dall’attore a sostegno della domanda in caso di contumacia del convenuto, “in quanto la non negazione fondata sulla volontà della parte non può presumersi per il solo fatto del non essersi la stessa costituita in giudizio” (cfr. Cass. n. 14623/09; Cass. S.U. n. 2951/16 che, proprio in tema di titolarità del rapporto controverso, hanno ribadito che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione del convenuto non assume valore di non contestazione né altera la ripartizione degli oneri probatori e, da ultimo, Cass. n. 30545/17).

Tanto premesso in diritto, rilevava in fatto la Corte che Me.Ba. si era costituito in giudizio e si era limitato ad una contestazione meramente formale dell’atto di riassunzione, notificato ai chiamati all’eredità, evidenziando l’onere della prova a carico dell’appellante in ordine alla qualità di eredi dei citati, senza mai negare apertamente però di essere erede della parte originaria, né allegare di avere rinunciato (o di intendere rinunciare) all’eredità paterna, circostanza che pareva invero smentita dalla difesa assunta nel merito (e non in via meramente subordinata, ndr) e dalla permanenza dello stesso nell’abitazione del padre, il che lasciava presumere il possesso dei beni ereditari. Degli altri citati in riassunzione, quali possibili eredi legittimi del danneggiato, rimasti contumaci, Di.Mi., moglie, e Me.Ma., figlia, erano risultate, dalla notifica dell’atto di riassunzione, abitare a loro volta al medesimo indirizzo del de cuius e quindi essere anche loro nel possesso dei beni ereditari, il che consentiva di presumere, anche in tal caso, in mancanza di argomenti contrari, una accettazione tacita dell’eredità.

Per gli altri figli del de cuius, chiamati all’eredità, Me.Fr., Me.Gi., Me.Ci. e Me.Ch., invece riteneva – e ritiene tuttora – la Corte che l’appellante, in base ai principi predetti, fosse tenuto a provare l’intervenuta accettazione dell’eredità da parte degli stessi – sollecitandone eventualmente la definizione attraverso gli strumenti forniti dall’ordinamento (v. art. 481 cc) – e quindi l’acquisita qualità di eredi e, in subordine, ad integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi effettivi (v. norme in tema di rappresentazione).

L’appellante, in mancanza di altri riscontri, avrebbe dovuto quindi esperire prontamente l’actio interrogatoria e, in caso di esito negativo della stessa, provvedere alla integrazione del contraddittorio nel termine più che congruo all’uopo fissato da questa Corte (v. ordinanza del 14 giugno 2016, depositata e comunicata in data 23 giugno 2016, che rinviava all’udienza del 28.3.2017, disponendo la notifica nel rispetto dei termini a comparire).

Viceversa la parte interessata solo il 16 novembre 2016 – quando la necessità di concedere un termine alle parti interessate già rendeva assai improbabile la definizione della procedura in tempi utili – depositava istanza di fissazione del termine per l’accettazione dell’eredità, procedura che, per problemi di notifiche, subiva poi alcuni rinvii venendo definita all’udienza del 12.7.2017, successivamente cioè alla scadenza del termine, perentorio, già fissato ex art. 331 c.p.c.

dalla Corte.

A ciò si aggiunge che nelle more risultava deceduta anche Me.Gi., nei confronti dei cui eredi andava quindi altresì rivolta l’actio interrogatoria, essendosi ad essi trasmesso il diritto di accettare (o rinunciare a) l’eredità di Me.Gi.; procedura non seguita invece dall’istante (v. in tal senso provvedimento del 13.12.2017 del Tribunale di Napoli/VIII sezione civile, adito in sede di reclamo ex art. 749 comma 3 c.p.c.)

In ogni caso l’appellante, o per esso la parte più diligente, non ha mai provveduto a citare in giudizio gli ulteriori, effettivi, eredi di Me.Gi., all’esito della mancata accettazione dell’eredità da parte (di alcuni) dei suoi figli.

Da quanto sin qui esposto ne deriva che non si può che rilevare l’inammissibilità dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., non avendo nessuna delle parti in causa ottemperato all’ordine di integrazione del contraddittorio, di cui all’ordinanza del 14/23 giugno 2016, nel termine perentorio all’uopo fissato.

Si ravvisano giusti motivi, attesa la definizione solo in rito della lite e le obiettive difficoltà sussistenti per la individuazione degli eredi della parte originaria, per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del grado.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando nella causa civile di appello come in epigrafe proposta, così provvede:

A) dichiara inammissibile l’appello spiegato dalla Ug. S.p.A. avverso la sentenza n. 309/2009 del Tribunale di Napoli/sezione distaccata di Ischia;

B) dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado.

Così deciso in Napoli il 20 novembre 2018.

Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.