Per la nozione del grave difetto di costruzione, preso in considerazione dalla disposizione di cui all’art. 1669, c.c., deve intendersi, come grave difetto di costruzione, ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo tanto la funzionalità quanto la normale utilizzazione dell’opera. I gravi difetti che, ai sensi dell’art. 1669, c.c., fanno sorgere la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono dunque in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. I pregiudizi derivanti dalla infiltrazioni d’acqua, o da umidità nelle murature, vanno ricondotti nell’alveo della disposizione di cui all’art. 1669, c.c., proprio considerando che non soltanto i vizi influenti sulla staticità dell’edificio devono essere tenuti in considerazione ai fini della sussistenza della garanzia in parola ma anche qualsiasi alterazione che incida sulla struttura e sulla funzionalità globale dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile.

 

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.

Corte d’Appello Oristano, civile Sentenza 5 ottobre 2018, n. 662

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO

Il Tribunale, nella persona del giudice dott.ssa Enrica Marini, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al N. R.G. 700119/2011 promossa da:

(…) (c.f. (…)), con il patrocinio dell’Avv. Fi.Co.;

RICORRENTE

contro

(…), residente in O., nella sua qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, con il patrocinio dell’Avv. Ca.Pa.;

RESISTENTE

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

(…), con ricorso proposto ex art. 702 bis c.p.c., ha chiesto che l’impresa individuale di (…) e la Società (…) S.r.l. venissero condannati, in solido e per l’intero, al pagamento della somma di Euro 6.202,19, più IVA, oltre rivalutazione monetaria e interessi di legge, e al risarcimento del danno biologico da valutarsi in via equitativa, rilevando di aver acquistato, in data 10 ottobre 2003, dai resistenti, entrambi venditori, un appartamento sito in O., via (…).

Il ricorrente ha, in particolare, allegato che, nell’inverno del 2009/2010, si erano verificati gravi e consistenti infiltrazioni d’acqua che, provenienti dal piano superiore, avevano danneggiato gli intonaci e le vernici delle pareti interne delle camere da letto dell’immobile acquistato.

Il ricorrente ha quindi dedotto di aver denunciato, con raccomandata A/R, i gravi vizi dell’opera il 30 novembre 2009 ai costruttori e di aver prontamente esperito un procedimento di accertamento tecnico preventivo, la cui relazione definitiva risultava del seguente tenore: “i difetti presenti nell’appartamento del signor (…) dipendono da diversi fattori: 1) la pendenza inadeguata del balcone rapportato alla eccessiva distanza tra le bocche di deflusso; 2) la presenza di parafoglie inadeguati; 3) la presenza di pareti divisorie troppo vicine al pavimento; 4) il cattivo stato di manutenzione delle pareti dell’appartamento del piano mansardato soprastante”.

Alla stregua di quanto esposto, il ricorrente, ritenuta la responsabilità dei costruttori – venditori ai sensi dell’art. 1669, cod. civ., e lamentando che ogni tentativo di composizione stragiudiziale della lite era rimasto senza esito, ha rassegnato le conclusioni riportate in epigrafe.

Si sono costituiti in giudizio la Società (…) S.r.l. e (…), nella sua qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, chiedendo, in via preliminare, che venisse dichiarata l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso, perché proposto ai sensi dell’articolo 1669, codice civile, e che venisse dichiarata l’estinzione dei diritti pretesi dal ricorrente, per intervenuta prescrizione e/o decadenza dall’azione, per mancata tempestiva denunzia dei vizi, ai sensi degli articoli 1490 e 1667, cod. civ., e domandando, nel merito, che il ricorso venisse rigettato, con vittoria di spese del giudizio.

I resistenti hanno eccepito come, nella relazione di accertamento tecnico preventivo, i pregiudizi riscontrati dal Consulente fossero stati ascritti alla scarsa manutenzione del balcone dell’appartamento soprastante e alla presenza di ostacoli al deflusso delle acque meteoriche: pregiudizi che in alcun caso potevano essere ascritti alla condotta assunta dai resistenti.

I resistenti hanno inoltre rilevato che il Consulente tecnico d’Ufficio, Ing. (…), rispondendo alle osservazioni e alle considerazioni svolte dal Consulente di parte dei resistenti, aveva corretto le proprie conclusioni in ordine alla inadeguata pendenza del balcone, inizialmente individuata come concausa dei pregiudizi lamentati dal ricorrente: il consulente aveva infatti convenuto come fosse praticamente impossibile realizzare, nell’immobile oggetto di causa, pendenze diverse da quelle in concreto garantite, atteso che la pendenza ottimale indicata inizialmente dal C.T.U. pari al 2% per metro lineare avrebbe provocato l’impossibilità pratica di una normale fruizione del balcone oltre che, sotto il profilo estetico, un’autentica mostruosità architettonica.

I resistenti hanno infine eccepito che i pannelli divisori, individuati dal C.T.U. come fonti dei pregiudizi lamentati dal ricorrente e presenti sui balconi degli appartamenti che componevano l’intero edificio, erano stati installati in data successiva all’anno 2003 a cura degli acquirenti dei singoli appartamenti successivamente alla materiale consegna degli stessi.

Alla luce di quanto eccepito, i resistenti hanno rassegnato le conclusioni riportate in epigrafe.

Con ordinanza resa in data 31 maggio 2012, il Tribunale ha fissato l’udienza di cui all’art. 183, c.p.c., ai sensi dell’art. 702 ter, comma terzo, c.p.c., ritenuta la necessità di un’istruzione non sommaria.

La causa, istruita con prove documentali e testimoniali, dopo essere stata rinviata per la precisazione delle conclusioni è stata interrotta in conseguenza del fallimento della Società (…) S.r.l.

Con ordinanza resa in data 12 marzo 2018, la causa proposta contro la Società fallita è stata separata dalla causa proposta contro (…), nella sua qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, e è stata contestualmente estinta per difetto di riassunzione.

La causa proposta contro (…), trattandosi di obbligazioni solidali, è proseguita e è stata trattenuta a decisione sulle conclusioni sopra riportate.

La domanda formulata dall’attore merita accoglimento nei termini di seguito esposti.

Giova anzitutto rilevare che la pretesa azionata da (…) nei confronti di (…), nella sua qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, valutato il petitum e la causa petendi, come risultanti dagli atti di causa, deve essere ricondotta nello schema normativo della disposizione di cui all’art. 1669, c.c.

Ai sensi della disposizione da ultimo richiamata: “quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta”.

La norma in disamina è stata oggetto di un annosa disputa, essendo controverso se la responsabilità dell’appaltatore abbia natura contrattuale ovvero aquiliana.

Secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, accolta da parte della dottrina, l’art. 1669, c.c., nonostante la sua collocazione sistematica entro la disciplina del contratto d’appalto, avrebbe ad oggetto una responsabilità di tipo extracontrattuale, essendo posto a tutela di interessi aventi rilevanza pubblica, concernenti la stabilità e solidità degli edifici di lunga durata e l’incolumità personale della collettività. La ratio della norma, in quest’ottica, sarebbe quella di garantire una maggiore protezione a chiunque possa subire pregiudizio a causa dei vizi di costruzione di un immobile di lunga durata, anche considerata la possibilità che i difetti costruttivi si manifestino dopo anni dalla realizzazione dell’edificio (cfr. Cass. n. 2284/2014; Cass. n. 17874/2013; Cass. n. 21089/2012; Cass. n. 8520/2006; Cass. n. 3406/2006).

In altri termini, l’art. 1669, c.c., non tutelerebbe tanto l’interesse privato del committente alla realizzazione di un’opera dotata di stabilità, quanto piuttosto l’interesse generale a che non vengano costruite opere pericolose per la collettività, in modo tale da preservare l’incolumità pubblica (cfr. Cass. n. 462/2002).

Secondo un diverso orientamento, recepito dalla giurisprudenza più risalente e da altra parte della dottrina (cfr. Cass. n. 1309/1961; Cass. n. 908/1959; Cass. n. 538/1959; Cass. n. 1178/1955), la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669, c.c., avrebbe invece natura contrattuale, tenuto conto della collocazione sistematica della norma e della considerazione per cui, anche in base ad un’interpretazione letterale della disposizione, la legittimazione attiva risulta spettare soltanto al committente ed i suoi aventi causa, sicché l’interesse implicitamente tutelato sarebbe l’interesse privato del proprietario alla stabilità e solidità del proprio immobile nel tempo e, pertanto, alla corretta esecuzione del contratto d’appalto.

Tanto premesso, fermo restando che, nella vicenda scrutinata, risulta del tutto superfluo prendere posizione sulla questione ora considerata – atteso che la discussione sulla natura della responsabilità dell’appaltatore avrebbe al più rilievo ove fossero in contestazione le ricadute applicative derivanti dall’adesione all’uno ovvero all’altro orientamento per quanto attiene agli aspetti della disciplina non espressamente regolati dalla disposizione di cui all’art. 1669, c.c. (contestazione non sollevata nell’odierno giudizio – giova considerare come, di recente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nello stabilire che l’art. 1669, c.c., è applicabile anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, abbiano ritenuto preferibile, valutati anche i più recenti approdi della dottrina sull’efficacia ultra partes del contratto, la tesi secondo cui la responsabilità dell’appaltatore avrebbe natura contrattuale, osservando come il baricentro dell’art. 1669, c.c., debba spostarsi dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene e dunque da un’ottica pubblicistica ed aquiliana ad una privatistica e contrattuale (cfr. Cass., S.U., 27 marzo 2017, n. 7756).

Ciò chiarito, al fine di fare chiarezza sulle contestazioni specificamente mosse dal resistente, deve rilevarsi che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha altresì avuto modo di delineare compiutamente i tratti che caratterizzano la nozione del grave difetto di costruzione, preso in considerazione dalla disposizione di cui all’art. 1669, c.c., osservando che deve intendersi, come grave difetto di costruzione, ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo tanto la funzionalità quanto la normale utilizzazione dell’opera (Cass. n. 456/2016; Cass. n. 84/2013; Cass. n. 20644/2013).

I gravi difetti che, ai sensi dell’art. 1669, c.c., fanno sorgere la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono dunque in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura (Cass. n. 19868/2009).

La Corte di Cassazione, in più occasioni, ha quindi ricondotto i pregiudizi derivanti dalla infiltrazioni d’acqua, o da umidità nelle murature, nell’alveo della disposizione di cui all’art. 1669, c.c., proprio considerando che non soltanto i vizi influenti sulla staticità dell’edificio devono essere tenuti in considerazione ai fini della sussistenza della garanzia in parola ma anche qualsiasi alterazione che incida sulla struttura e sulla funzionalità globale dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile (cfr., ex multis, Cass. n. 20644/2013; Cass. n. 21351/2005).

Orbene, nell’odierna vertenza, le conclusioni – condivisibili perché adeguatamente motivate e logicamente coerenti – cui è pervenuto il Consulente all’uopo nominato dall’Ufficio nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, esperito prima dell’introduzione del presente giudizio, hanno portato a rilevare che nell’appartamento del ricorrente: “da un’osservazione degli ambienti dell’appartamento si è potuto constatare la presenza di macchie di umidità nei solai delle camere e nel solaio soprastante la veranda. Le macchie presenti sono le tipiche macchie bianche dovute a infiltrazioni d’acqua, provenienti dal piano superiore, è da escludere altra causa quale ad esempio la presenza di condensa e umidità interna dell’appartamento (che determina muffe e conseguenti macchie nere). Tutte le macchie presenti sono localizzabili lungo i due fronti esposti a nord-ovest (soggetti alle raffiche del maestrale) dell’appartamento entro una fascia di circa un metro dal perimetro esterno” (cfr.: pag. 4 e documentazione fotografica, allagata alla relazione tecnica del 10 novembre 2010).

Alla luce delle considerazioni ora svolte, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte resistente, risulta all’evidenza la riconducibilità dei difetti, che sono stati riscontrati dal CTU a poca distanza dal loro verificarsi e sono stati descritti nella relazione di accertamento tecnico preventivo, nella nozione di grave difetto di costruzione, presa in considerazione dalla disposizione di cui all’art. 1669, c.c.

La conclusione ora tracciata rende dunque superflua la disamina delle eccezioni di decadenza e di prescrizione, che, del resto, sono state sollevate da parte resistente con esclusivo riguardo alle disposizioni di cui agli artt. 1490 e 1667, c.c., e che non trovano applicazione nell’odierna vertenza nella quale è stata azionata la particolare garanzia del costruttore ai sensi della fattispecie di cui all’art. 1669 c.c.

Tanto ritenuto, senza alcun dubbio deve essere esclusa la responsabilità dell’odierna parte resistente per le condotte, individuate dal Consulente Tecnico come cause dei pregiudizi lamentati dal ricorrente, corrispondenti alla installazione di pareti divisorie troppo vicine al pavimento e al cattivo stato di manutenzione delle pareti dell’appartamento del piano mansardato sovrastante l’appartamento del ricorrente (cfr. pag. 11, relazione tecnica cit.).

Quanto all’ultima delle cause ora descritte, risulta evidente la sua riconducibilità alla condotta assunta dal proprietario del piano soprastante l’immobile oggetto del giudizio, che non è stato convenuto, per espressa scelta processuale del ricorrente, nell’odierno giudizio.

Parimenti alcun addebito può essere mosso all’odierna parte resistente per l’intervenuta installazione di pareti divisorie, troppo vicine al pavimento, atteso che, dall’istruttoria espletata nel corso del giudizio, è emerso all’evidenza che le descritte pareti divisorie erano state installate su iniziativa degli acquirenti, successivamente alla consegna dell’appartamento da parte dei costruttori.

La testimone (…), escussa all’udienza del 1 dicembre 2014, ha, infatti, dichiarato di aver acquistato un appartamento, nello stesso complesso immobiliare del ricorrente, nel 2003 e di non ricordare che al momento dell’acquisto vi fossero i pannelli ora descritti (cfr. verbale ud. cit.).

Anche i testimoni (…) e (…), nella loro rispettiva qualità di lavoratore dipendente della Società (…) S.r.l. e di incaricata del sopralluogo e dell’accatastamento, per il condono, degli appartamenti realizzati nel complesso immobiliare, hanno escluso che, al momento dell’acquisto da parte del ricorrente, i pannelli indicati fossero stati presenti nel complesso immobiliare (cfr. verbale udienza del 1 dicembre 2018).

Alla luce delle chiare risultanze dell’istruttoria orale e in difetto di elementi di segno contrario, deve ragionevolmente ritenersi che i pannelli ora descritti siano stati installati successivamente alla consegna dell’appartamento al ricorrente e su iniziativa degli acquirenti dei singoli appartamenti.

Non devono dunque essere poste a carico della parte resistente: la somma di Euro 2.112, 60, necessaria per la manutenzione degli intonaci e per la pulizia dei balconi, e la somma di Euro 400,00, necessaria per il sollevamento dei pannelli divisori tra i diversi appartamenti; entrambe le somme, quantificate nella relazione di accertamento tecnico preventivo, costituiscono somme destinate a porre rimedio a pregiudizi non ascrivibili a responsabilità della parte resistente (cfr. pag. 17, rel. cit.).

Sussiste invece la responsabilità della parte resistente con riguardo alla difettosa realizzazione della pendenza del balcone e alla installazione di parafoglie non adeguati.

Gli accertamenti tecnici svolti dal Consulente all’uopo nominato dall’Ufficio hanno infatti condotto a rilevare l’inadeguatezza del parafoglie installato nel complesso immobiliare per cui è causa (cfr. pag. 10, relazione tecnica del 10 novembre 2010, a firma dell’Ingegnere Si.Co., secondo cui: “matematicamente parlando il parafoglie esistente sarebbe sufficiente, tuttavia nel probabile caso in cui anche solo tre dei 12 fori del parafoglie rimanessero ostruiti per la presenza di una foglia o di sporco avremmo esattamente una superficie di deflusso di 7,7 cm quadrati, ovvero il minimo indispensabile a garantire il deflusso. Questo dimostra l’inadeguatezza del parafoglie installato. Si consiglia quindi di sostituire al più presto i parafoglie con altri modelli più efficienti”).

L’analisi tecnica che è stata svolta ha inoltre condotto ad accertare la presenza di pendenze inadeguate per il corretto deflusso delle acque meteoriche in direzione dei bocchettoni di deflusso.

Il Consulente ha in particolare rilevato come la pendenza effettivamente assicurata al balcone non sia stata realizzata a regola d’arte e in conformità alle indicazioni europee di cui alla UNI EN 1256- 3, che indica, come pendenza minima per il deflusso dell’acqua piovana, una pendenza del 2%, essendo stato riscontrato, sulla scorta del sopralluogo effettuato, che tale pendenza non è presente nel balcone dell’ultimo piano (cfr. pag. 11, rel. cit.).

Orbene, risulta priva di pregio la tesi difensiva di parte resistente secondo cui il Consulente, nella relazione definitiva redatta all’esito della disamina delle osservazioni svolte dai consulenti tecnici di parte, aveva corretto il proprio punto di vista iniziale e disatteso gli esiti cui era originariamente pervenuto.

Deve invero considerarsi che, all’esito delle osservazioni formulate dai consulenti tecnici di parte, il Consulente tecnico d’Ufficio ha effettivamente rivalutato talune conclusioni cui era inizialmente pervenuto. Nondimeno, il Consulente ha correttamente ricondotto alle negligenti prestazioni svolte dall’impresa costruttrice l’eziologia delle infiltrazioni riscontrate nell’appartamento di proprietà del ricorrente.

Infatti, il Consulente ha, con argomentazioni ineccepibili, rilevato come, a fronte della pendenza effettivamente assicurata al balcone, avrebbe dovuto essere evitato il rischio di infiltrazioni mediante l’esecuzione di opere di impermeabilizzazione, maggiormente efficienti, della pavimentazione, di per sé adeguate al fine di evitare i pregiudizi lamentati dal ricorrente (cfr. pag. 16, rel. cit.).

Alla stregua delle conclusioni ora tracciate, il Consulente ha quindi individuato quali opere necessarie per eliminare i danni riportati: “la rimozione della pavimentazione esistente, compresi i battiscopa; la rimozione dello strato superficiale del massetto per circa 3 cm.; l’esecuzione di un massetto autolivellante, così da garantire l’assenza di punti preferenziali per il ristagno dell’acqua; l’esecuzione di un’accurata impermeabilizzazione mediante l’impiego di impregnanti idrorepellenti calpestabili a base di prepolimeri e resine silaniche unitamente al rifacimento dell’impermeabilizzazione del raccordo pavimento parete per un altezza non inferiore a 20 cm; posa pavimentazione e battiscopa”.

Da ultimo, deve rilevarsi che la circostanza per cui siano state individuate, all’origine dei pregiudizi riscontrati nell’immobile oggetto del giudizio, molteplici cause, alcune delle quali ascrivibili alle condotte di soggetti estranei alla lite, non esclude la responsabilità della parte resistente con riguardo alle cause che siano direttamente riconducibili alla negligente condotta dell’impresa costruttrice, quali quelle ora ricostruite, atteso che dalla relazione definitiva di accertamento tecnico preventivo emerge chiaramente come le ulteriori cause (cattiva manutenzione dell’appartamento soprastante e installazione di pannelli divisori tra i diversi appartamenti) non abbiano di per sé sole determinato le infiltrazioni lamentate dal ricorrente.

Alla luce delle chiare risultanze dell’istruttoria orale e della accertamenti tecnici svolti prima del giudizio, la parte resistente deve, quindi, essere condannata a risarcire in favore del ricorrente la somma di Euro 3.213,50, necessaria per la realizzazione delle opere di impermeabilizzazione del balcone, la somma di Euro 8,00, per la sostituzione dei parafoglie, la somma di Euro 36,99, per il conferimento in discarica delle macerie, e la somma di Euro 431,10, per la sistemazione degli intonaci nell’appartamento del ricorrente, sulla base dei valori indicati nella relazione di accertamento tecnico preventivo depositata in data 10 novembre 2010 – del resto non specificamente contestata in punto di quantum da alcuna delle parti.

Sul globale importo dovuto, pari a Euro 3.689,59, dovrà essere calcolato il danno da ritardo derivante dalla mancata disponibilità della somma indicata dal momento in cui si è verificato il fatto, fino alla data della decisione (Cass., Sez. U., 17 febbraio 1995, n. 1712), da sommare al capitale devalutato, applicato l’interesse legale via via vigente nell’arco di tempo considerato sulla somma originaria via via rivalutata.

Sul globale importo dovuto pari ad Euro 4.348,32 decorreranno gli interessi legali dalla data della decisione al saldo.

Quanto alla richiesta formulata dal ricorrente tesa ad ottenere il risarcimento del danno biologico riconducibile alla condotta posta in essere dalla parte resistente, la stessa deve essere rigettata tenuto conto dell’estrema genericità e pretestuosità del pregiudizio lamentato dal ricorrente e avuto riguardo al mancato esperimento di valide e utili iniziative probatorie tese a dimostrare in concreto la riconducibilità dell’asserito pregiudizio alla condotta tenuta dall’impresa resistente.

Tenuto conto della misura in cui ha trovato accoglimento la pretesa risarcitoria di parte ricorrente, le spese legali del presente giudizio e del procedimento di accertamento preventivo devono essere compensate nella misura di un mezzo.

Per l’effetto, la parte resistente deve essere condannata a rifondere in favore della parte ricorrente la restante somma, liquidata come in dispositivo, secondo i valori del (…) n. 55 del 2014, come aggiornati dal (…) n. 37 del 2018, secondo i valori medi di liquidazione, fatta eccezione per la fase istruttoria per cui si ritiene equa l’applicazione dei valori massimi di liquidazione, tenuto conto della sua durata (non si provvede alla liquidazione di spese vive in difetto di quantificazione e di deposito della nota spese). Le spese della consulenza svolta nell’ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo, come già liquidate con il decreto del 18 novembre 2010, devono essere poste definitivamente a carico delle parti in solido nei rapporti con il CTU e nella misura della metà a carico di ciascuna delle parti nei rapporti interni.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:

1. Accertata la responsabilità della parte resistente per i fatti per cui è causa, condanna la parte resistente a risarcire in favore della parte ricorrente il danno che quantifica nella somma di Euro 4.348,32, oltre interessi dalla data della decisione al saldo.

2. Rigetta la domanda di risarcimento del danno biologico proposta dal ricorrente.

3. Compensa le spese processuali del presente giudizio e del procedimento di accertamento tecnico preventivo nella misura di un mezzo e, per l’effetto, condanna la parte resistente a rifondere in favore della parte ricorrente la restante misura, che liquida nell’importo di Euro 2.045,00, oltre oneri accessori e previdenziali come per legge e se dovuti e rimborso delle spese generali nella misura del 15%.

4. Pone definitivamente le spese dell’accertamento tecnico preventivo, come liquidate nel decreto del 18 novembre 2010, a carico delle parti in solido, nei rapporti con il CTU, e nella misura della metà a carico di ciascuna delle parti, nei rapporti interni.

Così deciso in Oristano il 4 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.