E’ vero che, in tema di varianti apportate dall’appaltatore, qualora l’assenso alla variazione intervenga in sede di verifica finale e di collaudo non è più necessario che essa risulti per iscritto e che, il detto assenso potrebbe risultare anche da un comportamento concludente, ma non dal semplice silenzio in merito alle variazioni.
Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.
Corte d’Appello Genova, Sezione 1 civile Sentenza 28 marzo 2019, n. 472
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte D’Appello di Genova
Sezione Prima
Composta dai seguenti magistrati
Dott.ssa Leila Maria Sanna – Presidente
Dott.ssa Cinzia Casanova – Consigliere
Dott.ssa Enrica Drago – Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento n. 482/2014 R.G. promosso da
(…) S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. (…), rappresentato e difeso dall’avv. Pa.Be. come da mandato posto a margine dell’atto di appello
appellante
nei confronti di
(…)
appellato contumace
Fatto e diritto
Con atto di opposizione a decreto ingiuntivo chiesto e concesso in data 14.6. 2004 dal Tribunale di Massa su richiesta della (…) S.r.l., con cui veniva ingiunto a (…) il pagamento di Euro 8.350,89 oltre interessi legali dalla scadenza della fattura n. (…) sino al saldo, il (…) chiedeva al Tribunale l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “.. accertare l’inesistenza del credito vantato da (…) Srl; per l’effetto, condannare la stessa alla refusione di Euro 3.720,00 a titolo di penale per il ritardo nell’esecuzione dei lavori; per l’effetto, condannare la ditta convenuta anche al risarcimento di tutte le spese e di tutti i danni patiti e patiendi da (…) a causa dell’improvvisa interruzione dei lavori e del conseguente abbandono del cantiere, nonché per l’illegittima ed assolutamente arbitraria esecuzione da parte della convenuta di lavori non concordati e non effettuati a regola d’arte”.
Costituitasi in giudizio, la (…) S.r.l. chiedeva il rigetto della proposta opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
Il Giudice, istruita la causa a mezzo di prove testimoniali e di C.T.U., con sentenza n. 48 del 2013, così decideva: “Accoglie l’opposizione e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; In parziale accoglimento della domanda riconvenzionale condanna (…) s.r.l. a restituire a (…) la somma di Euro 17.031,11, con gli interessi al tasso legale dalla domanda al saldo; Compensa integralmente le spese di lite; Spese di CTU a carico di entrambe le parti nella misura della metà ciascuna”.
Il Tribunale giudicava infondata la pretesa attorea diretta ad ottenere il pagamento della penale per l’asserito ritardo nell’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa, nonché la domanda di risarcimento dei danni per vizi delle opere appaltate, ritenendo che nella specie si trattava di un appalto da eseguire per partite ai sensi dell’art. 1666 c.c., “con la conseguenza che il pagamento della parte di opera eseguita, per un verso, ne faceva presumere l’accettazione (art. 1666, co. 2, c.c.); per altro verso, l’accettazione così manifestata era idonea ad escludere la garanzia di cui agli artt. 1667 – 1668 c.c. nel caso di riconoscibilità dei vizi”; che, pertanto, “avendo accettato l’opera con il pagamento delle partite pur in presenza delle predette difformità, il committente non è abilitato in questa a sede a dolersene onde paralizzare l’altrui pretesa all’adempimento della prestazione dovuta”.
Riteneva, invece, il primo Giudice “fondata la domanda di restituzione del corrispettivo pagato per le varianti in corso d’opera non autorizzate” per iscritto, a fronte delle pattuizioni assunte in contratto di cui ai punti 21.1 e 21.3 del punto 6, nonché 21.3 del punto 11, ed evidenziando che “la prova del consenso o dell’autorizzazione scritta del committente non può essere surrogata dall’emissione dei S.A.L. .. di pertinenza del (…)” e che erano “inidonei anche i pagamenti medio tempore eseguiti da (…), atteso che l’adempimento è un atto giuridico privo di valenza negoziale”.
Conseguentemente, operata la compensazione richiesta in via subordinata dall’opposta, condannava quest’ultima “a restituire la somma di Euro 25.382,00, imputabile a lavori extracapitolato non concordati, decurtata della somma spettante in forza dell’ultima fattura posta a fondamento dell’ingiunzione, pari ad Euro 8.350,89” e così per un totale di Euro 17.031,11 oltre interessi al tasso legale dalla domanda al saldo.
Avverso la predetta sentenza proponeva appello la (…) S.r.l.
Non costituitosi in giudizio, nonostante la regolarità della notifica dell’atto d’appello (11.4.2014), all’udienza del 17.9.2014 (…) veniva dichiarato contumace.
Lamentava l’appellante che il giudice non avesse preso inconsiderazione l’accadimento dei fatti, i documenti offerti in comunicazione e il tipo di contratto in questione.
Osservava in particolare che:
1) il documento 6 delle produzioni di (…) conteneva un vero e proprio riconoscimento di debito da parte di G.(…) e precisamente il riconoscimento di Euro 24.100,00 alla data del 1.4.2004, il che non poteva che significare l’accettazione di tutti i lavori eseguiti extra capitolato; che l’appaltatore, quindi, non aveva agito di propria iniziativa modificando l’oggetto iniziale del contratto;
2) “anche a voler ritenere che l’eventuale autorizzazione della direzione dei lavori ed il pagamento delle singole partite, come sostiene il giudicante, non abbia potuto surrogare la mancanza dell’autorizzazione scritta, è da ritenere senza alcun dubbio che l’accettazione dell’opera dopo la verifica doveva essere interpretata come accettazione sopravvenuta anche delle variazioni e non come mera acquiescenza … (Cass. 2569 del 1967)”; il C.T.U., nel suo elaborato, in modo del tutto logico, aveva chiarito che “data l’importanza delle opere extra eseguite, è difficile pensare che l’impresa edile abbia provveduto di sua iniziativa all’esecuzione del nuovo solaio del sottotetto … sembra impossibile che la Direzione dei Lavori non ne abbia preso conoscenza in corso d’opera”;
3) quello che era stato realizzato non era neppure una variazione ad un contratto d’appalto, ma un nuovo contratto relativo alle opere che il committente aveva accettato con il pagamento delle singole partite ed aveva accettato senza riserve e globalmente per tutto quanto eseguito sino alla data del 1 aprile 2004 mediante atto scritto di impegno al pagamento e di riconoscimento di debito che si riferiva ai SAL nei quali erano state contabilizzate anche tutte le opere extra capitolato realizzate;
4) se il giudice aveva, del tutto correttamente, considerato il tipo di appalto disciplinato dall’art. 1666 c.c. e quindi relativo ad un contratto da eseguirsi per partite, il cui pagamento faceva presumere l’accettazione dell’opera per quanto riguarda l’esistenza di eventuali vizi, non avrebbe dovuto ragionare diversamente riguardo alle opere extracapitolato: “se di partite si tratta”, il pagamento della singola partita di per sé costituisce accettazione, quanto meno sopravvenuta, di ciò che è stato realizzato extra;
5) non si poteva neppure ipotizzare che il committente avesse sottoscritto il riconoscimento di debito ed accettato le singole partite su suggerimento del direttore dei lavori senza avere effettivamente verificato ciò che era stato realizzato: ciò confliggeva, oltre che con la logica, anche con la C.T.U. e con le dichiarazioni dei testi assunti (da cui emergeva che il (…) era presente in cantiere, testi (…));
6) anche le date di contestazione delle opere realizzate extra capitolato rendevano evidente la pretestuosità dell’eccezione: solamente alla data del 14.5.2004, dopo che i lavori erano stati sospesi da oltre un mese e solamente dopo aver ricevuto la lettera di diffida e di messa in mora del 5.5.2004, il (…) a mezzo di legale aveva contesto ai sensi dell’art. 6 del contratto di appalto l’esecuzione di opere non previamente autorizzate; ciò per sottrarsi all’obbligo di pagamento del dovuto, nonostante l’accettazione ed il pagamento delle opere e nonostante l’atto di riconoscimento di debito del 1 aprile 2004.
Aggiungeva l’appellante che il giudice aveva violato l’atto 112 c.p.c. in quanto era andato al di là di ciò che la legge consente in tema di interpretazione della domanda, che infatti “il potere di interpretazione della domanda non può essere così ampio da superare il principio della domanda, in base al quale è riservato alle sole parti la scelta circa l’esercizio della domanda medesima”;
che nella fattispecie il Giudice non poteva sostituire una domanda generica di risarcimento del danno chiesta nelle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio e mai modificata, con una domanda volta ad accertare l’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. Concludeva, pertanto, l’appellante nel senso che, avendo accolto la domanda di restituzione del corrispettivo pagato per le varianti in corso d’opera, il giudice aveva ingiustamente condannato essa esponente al pagamento di Euro 25.382,00 a favore di controparte.
1. Va premesso che il primo giudice, in merito ai lavori extra preventivo,
a) ha innanzitutto enunciato le pattuizioni assunte dalle parti in tema di varianti nel contratto d’appalto fra gli stessi intercorso (“.. il contratto di appalto regolava minuziosamente il tema delle varianti. Infatti, a norma dell’art. 21.1 del punto 6 l’appaltatore si impegnava a non apportare alcuna variazione all’opera senza il preventivo consenso scritto del committente. Secondo l’art.21.3, qualora si fossero rese necessarie varianti specifiche essenziali per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte l’appaltatore e committente si sarebbero dovuti accordare previamente per iscritto. Infine, in linea generale, secondo quanto previsto dall’art. 21.3 del punto 11, qualsiasi emendamento o modifica del contratto non avrebbe potuto considerarsi valida e vincolante se non risultante da atto scritto, debitamente firmato dalle parti”);
b) ha evidenziato che le parti hanno inteso richiamare la disciplina delle varianti in corso d’opera previste dall’art. 1659 c.c., ossia le varianti apportate dall’appaltatore, che necessitano dell’autorizzazione scritta del committente (“In linea generale, gli oneri di forma convenuti dalle parti riproducono perlopiù la disciplina delle varianti in corso d’opera concordate previste dall’art. 1650 c.c. ..”, pg. 3 sentenza), nonché la disciplina relativa alle varianti necessarie al fine di riportare i lavori alla regola dell’arte, che richiedono il consenso del committente e dell’appaltatore (art. 1660 c.c.), precisando, peraltro, a tal ultimo riguardo, che nella fattispecie, come ha accertato il C.T.U. nella sua relazione tecnica, “non si trattava di modifiche necessarie ai fini dell’esecuzione a regola d’arte dell’opera”;
c) ha poi rilevato che in ogni caso la prova del consenso o dell’autorizzazione scritta del committente non può essere surrogata dall’emissione dei SAL, provenendo dal direttore dei lavori, e nemmeno dai pagamenti del committente;
d) in assenza di idonea prova scritta dell’accettazione o autorizzazione da parte del committente in merito a varianti (non necessarie al fine di riportare i lavori alla regola dell’arte, ma comunque) apportate dall’appaltatore, ha conseguentemente accolto la domanda dell’opponente (…) volta alla restituzione delle somme pagate per “le varianti non autorizzate per iscritto”.
Sotto il profilo censorio (v. punti da 1 a 6 della narrativa della presente sentenza), l’appellante lamenta il fatto che il primo giudice non avrebbe considerato la sussistenza di documenti (doc. n. 6 della stessa (…)) e di accadimenti (“verifica” delle opere che vale a tutti gli effetti come accettazione sopravvenuta delle variazioni; sussistenza di “un nuovo contratto”; risultanze della prove per testi), nonché la natura del contratto intercorso fra le parti (riconducibile, come affermato nella sentenza impugnata, al disposto di cui all’art. 1666 c.c., sicché il pagamento delle singole partite farebbe presumere l’accettazione di tutta l’opera eseguita), circostanze tutte per effetto delle quali si sarebbe dovuto ritenere dimostrato il consenso scritto del committente – così come richiesto dal primo giudice – all’esecuzione delle opere extra preventivo o comunque ritenere superflua l’autorizzazione scritta da parte del committente.
2. In particolare, con una prima doglianza l’appellante, si duole innanzitutto del fatto che il primo giudice, nel negare ogni pretesa in capo all’appaltatore per le opere extra contratto, non avrebbe considerato che il (…) aveva riconosciuto di essere debitore dell’importo di Euro 21.400,00, come da atto sottoscritto in data 1.4.2004 (doc. 6 prodotto dall’appellante), atto, quindi, che comprovava che il committente aveva accettato tutti i lavori eseguiti extra capitolato e che l’appaltatore non aveva agito di propria iniziativa modificando l’oggetto iniziale del contratto.
La doglianza è infondata. E’ vero, infatti, che nello scritto di cui al succitato doc. 6 il (…) si è riconosciuto debitore dell’importo di Euro 24.100,00 (previa deduzione, dal maggior ammontare di Euro 27.526,00, dei seguenti importi: “Allestimento Cantiere Euro 1.500,00 Mezzane Piano Terra Euro 700,00 Ore Smontaggio Ponteggio Euro 216,00 Intonaco Facciata Euro 900,00″), tuttavia non vi è prova del fatto che l’importo di Euro 27.526,00 si riferisca a lavori extra capitolato, in quanto nello stesso documento non viene indicato a quali lavori tale ammontare si riferisca. Né tale circostanza è desumibile dalla descrizione dei lavori i cui importi sono stati detratti da tale ultimo ammontare (Mezzane Piano Terra”, “Intonaco Facciate”).
Invero, andando ad esaminare l’elenco delle “opere edili previste dal contratto d’appalto” e quello relativo alle opere extra contratto (riportato anche in sentenza), così come predisposto dal C.T.U., risulta che:
a) l'”Intonaco Facciata” (dunque eseguito all’esterno del fabbricato) è riconducibile alle opere contrattuali (verosimilmente alla Voce n. 22: “Fornitura e posa in opera di malta bastarda compreso velo finale in arenino preconfezionato per esecuzione intonaci esterni”) in quanto, nell’ambito delle opere extracontrattuali, i lavori all’intonaco riguardano non l’esterno, ma solo l’interno del fabbricato (Voce 37 “Intonaco armato interno eseguito sulle pareti preesistenti in muratura …”).
Né rileva la voce n. 36 delle opere extracontrattuali perché essa non riguarda lavori all’intonaco, ma solo la fornitura di materiale necessario per l’esecuzione di lavori all’intonaco esterno, a completamento – come viene espressamente specificato – dei lavori all’intonaco esterno di cui al contratto (“36. Fornitura e posa di rete elettrosaldata per la realizzazione intonaco armato sulla parete esterna lato Viareggio compresi ancoraggi. Viene conteggiata a completamento della voce 22”);
b) i lavori alle “Mezzane Piano Terra” non paiono riconducibili alle opere extra contratto in quanto, nel relativo elenco predisposto dal C.T.U., non risultano opere riguardanti il “Piano Terra” e in quanto la parola “mezzane”, pur menzionata alla voce 31 delle opere extracontrattuali (“.. soprastante impalcato in mezzane di cotto”), riguarda lavori al “Solaio sottotetto”, il che esclude che possa riguardare il piano terra.
Continuando ancora ad esaminare il testo dello scritto di cui al documento n. 6 invocato dall’appellante (“Sono da rifare gronde Lato Massa”), nemmeno tale lavoro rientra nelle opere extra contratto; trattasi, infatti, di un’opera riconducibile alla voce n. 12 delle opere contrattuali, dalla cui nota apposta dal C.T.U. si comprende che trattasi di lavori riguardanti la “gronda del prospetto lato Massa”.
Ancora giova rilevare che, pur considerando che l’importo di Euro 27.526,00, indicato nel citato documento n. 6, costituisce verosimilmente la cifra arrotondata dell’imponibile indicato nella fattura dell’1.04.2004 ammontante a Euro 27.525,17 (prod. n. 22 allegata alla memoria 25.1.2005 dell’opponente; anche nel fascicolo dell’opposto, sub (…), seppur con errata indicazione nell’indice documenti), nemmeno da tale fattura, in cui vengono menzionati genericamente i “lavori eseguiti .. presso Vs. abitazione ..” e vengono richiamati i S.a.l. nn. 4 e 5, è dato comprendere se l’importo di Euro 27.526,00 si riferisca ai lavori extra contratto.
E’ poi vero che l’appellante, nell’ambito della doglianza in esame, ha espressamente affermato che l’appaltatore non aveva agito di propria iniziativa allorché aveva realizzato le opere extra preventivo, ma su richiesta del committente (pg. 5 atto di appello: “l’appaltatore non ha agito di propria iniziativa modificando l’oggetto del contratto”) e che, quindi, ha sostanzialmente ribadito quanto già evidenziato in primo grado, laddove, a fronte dell’eccezione del committente in opposizione secondo cui molte opere sarebbero state realizzate per esclusiva iniziativa dell’appaltatore, aveva a sua volta controeccepito il fatto che tali opere erano state richieste dal committente (pg. 4 comparsa di costituzione e risposta); che, pertanto, può ritenersi sostanzialmente censurata la sentenza impugnata, laddove, nell’ambito della disciplina delle variazioni alle opere di cui al contratto d’appalto, il primo giudice non ha menzionato il disposto di cui all’art. 1661 c.c. in tema di varianti richieste dal committente, riguardo alle quali l’appaltatore può provare, con ogni mezzo di prova – e, quindi, anche in via presuntiva – che esse siano state eseguite su iniziativa del committente (v. fra le altre Cass. 142/2014).
Tuttavia è altrettanto vero che il primo giudice, come sopra evidenziato (punto 1, lett. a), nell’ambito della “minuziosa” regolamentazione contrattuale assunta dalle parti in tema di varianti, ha richiamato la clausola di cui all’art. 21.3 del punto 11 del contratto d’appalto, secondo cui “qualsiasi emendamento o modifica del contratto non avrebbe potuto considerarsi valida e vincolante se non risultante da atto scritto, debitamente firmato dalle parti”, in tal modo ritenendo che le parti – con statuizione in ordine alla quale, in assenza di censure, deve ritenersi caduta il giudicato – nell’ambito dei loro poteri di autonomia contrattuale (art. 1352 c.c.), abbiano convenzionalmente stabilito il divieto di apportare varianti all’opera oggetto di contratto se non con il consenso scritto del Committente.
Anche la seconda doglianza dell’appellante “Anche a voler ritenere che l’eventuale autorizzazione della direzione dei lavori ed il pagamento delle singole partite, come sostiene il giudicante, non abbia potuto surrogare la mancanza dell’autorizzazione scritta, è da ritenere senza alcun dubbio che l’accettazione dell’opera, dopo la verifica, debba essere interpretat(o)a come accettazione sopravvenuta anche delle variazioni e non come mera acquiescenza … (Cass. 2569 del 1967) ” è infondata.
E’ vero che, secondo la giurisprudenza e autorevole dottrina, in tema di varianti apportate dall’appaltatore, qualora l’assenso alla variazione intervenga in sede di verifica finale e di collaudo non è più necessario che essa risulti per iscritto (in giurisprudenza Cass. 1967 citata dall’appellante; Cass. 66/2055) e che, come ancora osserva la dottrina, il detto assenso potrebbe risultare anche da un comportamento concludente, ma non dal semplice silenzio in merito alle variazioni.
Tuttavia, nel caso di specie, non vi è prova dell’avvenuto collaudo o verifica finale delle opere (comprendenti anche quelle extra preventivo) da parte del (…) o un comportamento concludente di quest’ultimo atto a superare la necessità di un’autorizzazione o consenso scritto.
Infatti non rileva, a tal fine, il succitato documento 6, in quanto, come già sopra evidenziato, non è dato comprendere se tale documento si riferisca anche alle cosiddette opere extra preventivo.
Né rileva che il C.T.U. abbia evidenziato che, “data l’importanza delle opere extra eseguite, è difficile pensare che l’impresa edile abbia provveduto di sua iniziativa all’esecuzione del nuovo solaio del sottotetto”. Trattasi infatti di una circostanza che ha la stessa rilevanza del mero silenzio. E analoghe considerazioni valgono per il fatto che, come hanno confermato alcuni testi assunti, il (…) é stato visto in cantiere.
In ogni caso, poiché, come sopra evidenziato, il primo giudice, richiamando la clausola sub art. 21.3 del punto 11 del contratto, ha ritenuto necessaria la prova scritta delle variazioni apportate al contratto, nel caso di specie, la verifica finale o collaudo delle opere, quand’anche esistente, non costituirebbe comunque prova scritta nel senso predetto.
Quanto alla terza doglianza dell’appellante, secondo cui i lavori extra realizzati non costituivano una variazione al contratto d’appalto, ma “un nuovo contratto” intercorso fra le parti, rileva innanzitutto la Corte che trattasi di circostanza mai asserita in primo grado dalla (…).
Infatti, come già evidenziato, a fronte dell’eccezione sollevata dall’attore in opposizione, secondo cui nulla doveva a titolo di opere extra preventivo in quanto eseguite ad iniziativa dell’appaltatore, quest’ultimo aveva replicato affermando che dette opere costituivano varianti richieste dal committente e dallo stesso riconosciute come da documento n. 6 (v. pg. 4 della comparsa di costituzione e riposta dell’opposta (…)).
Quella in esame, quindi, costituisce una allegazione nuova che introduce un tema di indagine nuovo, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia.
Trattasi anche di una doglianza generica (quindi inammissibile anche sotto tale profilo), in quanto parte appellante non evidenzia in base a quali elementi fattuali dovrebbe ritenersi che, nel caso di specie, si versi in una ipotesi di nuovo e separato contratto d’appalto, diverso da quello stipulato in data 14.10.2003.
In ogni caso si osserva che la realizzazione di un solaio sottotetto attiene comunque al fabbricato oggetto di ristrutturazione e quindi non può definirsi una variante che incide notevolmente sull’opera oggetto del contratto d’appalto.
Quanto poi alla quarta doglianza dell’appellante, attinente alla natura del contratto (riconducibile, come ha affermato il primo giudice, al disposto di cui all’art. 1666 c.c.) e al fatto che il pagamento di ogni partita farebbe, quindi, presumere l’accettazione della parte di opera pagata (compresa quella extra contratto), essa è infondata, in quanto il pagamento di ogni partita non vale comunque a superare la necessità della prova scritta del consenso del committente all’esecuzione delle varianti in corso d’opera.
Per la stessa ragione è del tutto irrilevante quanto poi evidenziato dall’appellante (quinta doglianza) circa il fatto che il (…), in primo grado, abbia invocato le pattuizioni contrattuali, in base alle quali le varianti al contratto richiedevano il consenso scritto delle parti, solamente dopo avere ricevuto la lettera di diffida e di messa in mora del 5.5.2004 e dopo che i lavori erano stati sospesi da oltre un mese.
3. Da ultimo, in merito alla necessità della prova scritta del consenso del committente in ordine alle variazioni contrattuali, occorre ancora osservare che a nulla rileva che il C.T.U., avendo accertato che molti lavori c.d. extra preventivo erano ricompresi nel “progetto architettonico allegato alla Denuncia di Inizio di Attività” (fra cui il solaio sottotetto), abbia acquisito alla propria relazione tecnica anche la D.I.A. sottoscritta dal (…) e depositata presso il Comune di Massa in data 6.3.2013 (oltre alla “relazione tecnica asseverata” del geom. L. allegata alla stessa DIA, in cui risultano descritti specificamente i lavori oggetto dell’intervento edile sul fabbricato (…), all. 4).
Invero, trattandosi di un documento che non risulta prodotto dalle parti, va in primo luogo osservato che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, è “consentito al consulente di acquisire anche ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza.
Al contrario, il divieto è pienamente operante quando l’onere della prova sia a carico di una parte e non si rientri nella sopraindicata fattispecie eccezionale e derogatoria”, così Cass. 15/06/2018, n.15774; v. anche Cass. 14/11/2017, n.26893, secondo cui “l’acquisizione di dati e documenti da parte del consulente tecnico ha funzione di riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti; mentre non è consentito al consulente sostituirsi alla stessa parte, andando a ricercare aliunde i dati stessi che devono essere oggetto di riscontro da parte sua, che costituiscono materia di onere di allegazione e di prova (ovvero gli atti e i documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua pretesa) che non gli siano stati forniti, in quanto in questo modo verrebbe impropriamente a supplire al carente espletamento dell’onere probatorio, in violazione sia dell’art. 2697 c.c., che del principio del contraddittorio”; nello stesso senso Cass. n. 512 del 2017 e Cass. n. 14577 del 2012.
Ora nel caso di specie, se la relazione tecnica asseverata del geom. L., allegata alla C.T.U., e i relativi progetti consultati dal consulente tecnico d’ufficio costituiscono documenti che, pur non prodotti dalle parti, erano indispensabili allo stesso, sul piano tecnico, per rispondere ai quesiti sottoposti dal giudice, ciò non vale per la D.I.A. in sé, da cui il C.T.U. ben avrebbe potuto prescindere e che nemmeno avrebbe dovuto allegare, trattandosi di un documento privo di valenza tecnica e che, potendo rilevare solo ai fini dell’accertamento della volontà del committente di eseguire detti lavori, avrebbe dovuto essere prodotto dalla (…) o quantomeno essere oggetto di una sua istanza di esibizione in giudizio.
D’altra parte (…) non ha mai invocato a suo favore tale documento né in primo grado (non viene, infatti, in alcun modo menzionato in comparsa conclusionale e in memoria di replica, tantomeno nei verbali d’udienza successivi all’espletamento della C.T.U.) né nel presente grado.
4. Infondata infine è anche l’ultima doglianza dell’appellante, secondo cui il primo giudice avrebbe violato il disposto di cui all’art. 112 c.p.c.
E’ vero, infatti, che il (…), in primo grado, nelle precisate conclusioni ha proposto (fra l’altro) una domanda di “risarcimento” danni “per l’illegittima ed assolutamente arbitraria esecuzione da parte della convenuta di lavori non concordati ..”.
Tuttavia, poiché la domanda giudiziale deve essere interpretata con riferimento alla reale volontà della parte avuto riguardo alla finalità perseguita, quale emergente non solo in modo formale dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte nell’atto introduttivo, ma anche implicitamente ed indirettamente dall’intero contenuto dell’atto che la contiene (v., fra le altre, Cass. 8 gennaio 2010, n. 75, in motivazione), e poiché, nel caso di specie, il (…) già in atto di opposizione aveva dichiarato di avere pagato l’ingente somma di Euro 41.201,95 per “lavori non autorizzati, non consentiti”, appare evidente che, al di là dell’uso improprio, nelle precisate conclusioni, della parola “risarcimento”, l’opponente ha proposto una domanda di restituzione dei maggiori importi versati per opere extra contratto non autorizzate per iscritto, contrariamente alle pattuizioni assunte.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte l’appello va quindi respinto.
5. Riguardo alle spese di lite nulla va disposto stante la soccombenza dell’appellante e la contumacia dell’appellato.
P.Q.M.
la Corte definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, sull’appello avverso la sentenza n. 118/2013 emessa dal Tribunale di Massa, così provvede:
respinge l’appello proposto dalla (…) S.r.l.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, che l’appello è integralmente respinto.
Così deciso in Genova il 13 febbraio 2019.
Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2019.