Con riguardo all’applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, la cui incidenza sul quantum del risarcimento puo’ essere rilevata d’ufficio, trattandosi di eccezione in senso lato , esso postula che il beneficio percepito sia effettivo e non potenziale.Peraltro, la compensatio richiede che il vantaggio conseguito dal danneggiato rientri nella serie causale dell’illecito, da ricostruirsi secondo un criterio adeguato di causalita’, dovendosene quindi escludere l’applicazione allorche’ il vantaggio si presenti come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato, o come l’effetto di un evento che si sarebbe in ogni caso prodotto, indipendentemente dal momento in cui si e’ verificato l’illecito, o comunque nell’ipotesi in cui il beneficio trovi altrove la sua fonte e nell’illecito solo un coefficiente causal.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|18 novembre 2022| n. 34073

Data udienza 21 ottobre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – rel. Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 6600/2018) proposto da:

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, unitamente all’Avv. (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS), nel cui studio in (OMISSIS), ha eletto domicilio;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5038/2017, pubblicata il 20 luglio 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2022 dal Consigliere relatore Dott. Cesare Trapuzzano;

lette le memorie depositate nell’interesse delle parti ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c.

FATTI DI CAUSA

1.- Con atto di citazione notificato il 10 marzo 2008, (OMISSIS) conveniva, davanti al Tribunale di Roma, (OMISSIS), al fine di ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo assunto dal convenuto di trasferire, in suo favore, la proprieta’ dell’appartamento sito in (OMISSIS), al prezzo pattuito di Euro 1.170.000,00, di cui Euro 50.000,00 gia’ versati a titolo di caparra confirmatoria in data 19 maggio 2006, nonche’ al fine di ottenere la condanna del convenuto medesimo al risarcimento dei danni da inadempimento.

All’uopo, esponeva: che in data 2 maggio 2006 aveva formulato, per il tramite dell’agenzia incaricata, una proposta irrevocabile di acquisto, sino alla data del 15 maggio 2006, dell’appartamento emarginato, per il prezzo innanzi indicato; che il proprietario (OMISSIS), cui la proposta era diretta, aveva accettato nel termine suindicato siffatta proposta, con la conseguenza che si era perfezionato il preliminare di vendita tra le parti; che le parti avevano previsto che l’immobile sarebbe stato trasferito libero da vincoli e oneri di sorta, ad eccezione di un’ipoteca relativa ad un mutuo, del valore di Euro 100.000,00; che era stata fissata per la stipula del definitivo la data del 31 luglio 2006, termine decorso senza che il contratto venisse concluso, a causa dell’atteggiamento dilatorio assunto dal promittente venditore; che, nelle more, era emersa la pendenza di un giudizio di divisione, avente ad oggetto un giardino pertinenziale, quale parte comune dell’immobile, promosso contro il (OMISSIS) dal proprietario dell’appartamento limitrofo; che il notaio incaricato della stipula del rogito aveva individuato degli ostacoli al trasferimento della proprieta’ dell’immobile, consistenti a) nella non rispondenza dei dati catastali a quelli risultanti dall’atto di provenienza, b) nella presenza di un’iscrizione ipotecaria risalente al 20 settembre 2003, della quale non era certa la corrispondenza con quella di cui si era dato atto nel preliminare, c) nella trascrizione di una domanda giudiziale di divisione, di cui non si conosceva l’oggetto.

Si costituiva in giudizio (OMISSIS), il quale contestava la domanda avversaria, osservando che non sussistevano i pretesi ostacoli al trasferimento dell’immobile ed eccependo, a sua volta, l’avvenuta risoluzione del contratto, per effetto della diffida ad adempiere gia’ notificata al promissario acquirente e del decorso senza esito del termine assegnatogli fino al 6 gennaio 2008. Deduceva, inoltre, i gravi danni subiti in conseguenza dell’inadempimento di controparte e spiegava, quindi, domanda riconvenzionale di accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto preliminare, ai sensi dell’articolo 1454 c.c., e di condanna dell’attore al risarcimento del danno derivatone, oltre che per l’instaurazione di una lite temeraria. In via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento della domanda principale di esecuzione in forma specifica proposta dall’attore, il convenuto chiedeva la condanna di quest’ultimo al pagamento del prezzo pattuito.

Nel corso del giudizio, con la prima memoria integrativa depositata, l’attore formulava, in via subordinata e condizionata all’accoglimento dell’avversa domanda di risoluzione contrattuale, domanda di condanna del convenuto alla restituzione della somma corrisposta a titolo di caparra, pari ad Euro 50.000,00, e al risarcimento del danno, da liquidare in via equitativa.

Con la prima memoria integrativa, invece, il convenuto proponeva, in via subordinata, domanda volta ad ottenere la pronuncia della risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 1453 c.c.

Quindi, all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’attore mutava, ai sensi dell’articolo 1453 C.C., comma 2, primo periodo, la domanda di esecuzione in forma specifica in domanda di risoluzione del contratto, con condanna del convenuto al pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 10151/2014, depositata in data 8 maggio 2014, dichiarava inammissibile la domanda proposta dall’attore in corso di causa, atta ad ottenere la restituzione della caparra, e rigettava ogni altra domanda attorea. Inoltre, in accoglimento delle spiegate domande riconvenzionali, dichiarava l’avvenuta risoluzione in data 7 gennaio 2008, ai sensi dell’articolo 1454 c.c., del contratto preliminare di compravendita immobiliare e, per l’effetto, condannava (OMISSIS) al pagamento, in favore di (OMISSIS), a titolo di risarcimento dei danni, della somma ulteriore di Euro 219.258,61, al netto dello scomputo della somma gia’ corrisposta a titolo di caparra confirmatoria di Euro 50.000,00, oltre interessi al tasso legale dalla data della sentenza di primo grado al saldo effettivo, da calcolare sulla sorte rivalutata di Euro 194.480,00. Quindi, ordinava la cancellazione della trascrizione della domanda proposta dall’attore presso la competente Conservatoria dei registri immobiliari di (OMISSIS).

In specie, la sentenza di prime cure rilevava: che il nocumento lamentato dal promittente alienante era consistito nel pregiudizio arrecato alla commerciabilita’ dell’immobile durante tutta la pendenza del giudizio intrapreso dal promissario acquirente; che, invece, quanto alla possibilita’ di locazione dell’appartamento, non poteva essere riconosciuto alcun pregiudizio riparabile, atteso che, per la sua particolare ubicazione, esso si prestava prevalentemente ad essere affittato per uso di villeggiatura, la cui breve durata sarebbe stata in gran parte compensata dalla misura del canone molto piu’ elevato di quello che si sarebbe potuto ottenere da locazioni pluriennali; che, ai fini della quantificazione del danno da lucro cessante, derivante dall’impossibilita’ di alienare l’immobile protratta negli anni, era sufficientemente affidabile il riferimento al criterio del deprezzamento, dato dalla differenza tra il prezzo pattuito e il valore di mercato del bene stimato dal consulente tecnico d’ufficio, differenza dovuta alla nota crisi del mercato immobiliare; che, per l’effetto, utilizzando le risultanze peritali, che avevano stimato un valore del bene di Euro 944.000,00, il pregiudizio alla data della domanda ammontava ad Euro 226.000,00; che sull’importo di Euro 176.000,00, risultante dalla detrazione dell’acconto versato a titolo di caparra, dovevano essere applicati la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma rivalutata anno per anno, sicche’ importo dovuto alla data della pronuncia ammontava ad Euro 219.258,61, oltre ulteriori interessi legali sulla somma rivalutata dalla pronuncia fino al soddisfo.

2.- Con atto di citazione notificato il 14 ottobre 2014, (OMISSIS) proponeva appello, sulla base di quattro motivi, lamentando: a) l’inadempimento del promittente venditore e la risoluzione del contratto preliminare per fatto e colpa dello stesso; b) l’inesistenza, la mancata prova e la non risarcibilita’ del danno patrimoniale asseritamente patito dal convenuto, in conseguenza dell’inadempimento contrattuale imputato all’attore; c) l’erroneita’ della sentenza di primo grado, in ordine al momento di determinazione del danno e alla sua prevedibilita’; d) l’erroneita’ della sentenza di primo grado, nella misura in cui aveva trascurato di valutare il comportamento del promittente alienante, ex articolo 1227 c.c., nonche’ in relazione alla compensatio lucri cum damno.

Sul gravame interposto – al quale resisteva (OMISSIS), svolgendo, a sua volta, appello incidentale condizionato -, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello principale e, per l’effetto, dichiarava assorbito l’appello incidentale.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava, per quanto interessa in questa sede:

a) che, relativamente alla quantificazione del danno invocato dal promittente venditore, non era ravvisabile un interesse ad impugnare la statuizione che individuava il momento della determinazione del danno in quello cristallizzato al momento della proposizione della domanda di risoluzione, all’esito della diffida ad adempiere inviata;

b) che, infatti, il risarcimento del danno per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di un bene immobile consisteva nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (cioe’ al tempo in cui l’inadempimento era divenuto definitivo) ed il prezzo pattuito;

c) che, in ordine all’articolato motivo di gravame – e cosi’ nelle corrispondenti osservazioni avverso l’elaborato peritale, formulate nel giudizio di primo grado -, non vi era stato alcun cenno alle modalita’ attraverso le quali il consulente tecnico d’ufficio aveva provveduto al calcolo del deprezzamento dell’immobile, ne’ al momento storico nel quale esso era stato determinato, modalita’ che comunque erano state pienamente condivise dal Tribunale, cosicche’ si era formato sul punto il giudicato interno;

d) che il criterio presuntivo costituiva comunque uno strumento probatorio utilizzabile nel libero convincimento del giudice, senza la necessita’ che fosse dimostrata la concreta possibilita’ di vendere;

e) che, in relazione al profilo dell’evitabilita’ del danno, il Tribunale aveva fatto riferimento alla possibilita’ del promittente alienante di affittare, per brevi periodi durante l’anno, l’immobile, al solo fine di escludere il risarcimento di un’ulteriore voce riparatoria, che pure era stata richiesta per tale indisponibilita’;

f) che pero’ il Tribunale non aveva statuito circa l’esistenza di un obbligo, in capo al (OMISSIS), di affittare l’immobile al fine di contenere il danno;

g) che, inoltre, la quantificazione di eventuali introiti che il venditore avrebbe potuto ricavare dagli affitti era frutto di generiche ed apodittiche illazioni, che avevano il carattere della novita’ ed erano, quindi, inammissibili in sede di gravame;

h) che, d’altro canto, la perdita di valore di mercato dell’immobile incideva anche sul suo valore locatizio, condizionando la stessa possibilita’ di affittarlo, con la conseguenza che avrebbero dovuto essere dedotte dall’appellante, sin dall’inizio della lite, precise circostanze in ordine alla possibilita’, in quegli anni, in quel luogo e per quella tipologia di appartamento, di pervenire alla stipula di contratti di locazione, nonche’ in ordine all’ammontare dei canoni praticati, non essendo, a tale scopo, sufficiente l’indicazione di un importo di Euro 80.000,00, senza che fosse stato fornito un adeguato riscontro.

3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, (OMISSIS). Ha resistito con controricorso l’intimato (OMISSIS).

4.- Le parti hanno presentato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 100 c.p.c., 1223, 1453, 1454 e 2909 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto, in parte, inammissibili per difetto di interesse e, in parte, privi di fondatezza il secondo e il terzo motivo di gravame, a fronte del concreto interesse, giuridicamente rilevante, dell’appellante all’impugnazione del capo della sentenza di prime cure, che aveva statuito in ordine al danno da lucro cessante patito dal convenuto, senza che si fosse formato alcun giudicato interno sui criteri di quantificazione del pregiudizio.

Sul punto, l’istante obietta che la sentenza del Tribunale sarebbe stata viziata anche con riferimento all’individuazione del momento rispetto alla quale era stato determinato il risarcimento da lucro cessante, atteso che il deprezzamento subito dall’immobile era stato calcolato sulla base della stima del valore di quest’ultimo al tempo dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, disposta nell’anno 2011, e non gia’ all’epoca della risoluzione del contratto, per effetto della diffida ad adempiere rimasta disattesa – ossia alla data del 6 gennaio 2008 -, o al piu’ alla data della proposizione della domanda di risoluzione promossa da controparte nella propria comparsa di costituzione del 23 ottobre 2008 -.

Aggiunge il ricorrente che detta stima sarebbe stata effettuata dal consulente d’ufficio incaricato dal Tribunale sulla scorta dei dati OMI disponibili piu’ recenti, corrispondenti a quelli di cui al secondo semestre 2010, come era stato dichiarato dal consulente d’ufficio a pag. 12 della propria relazione.

Senonche’, continua l’istante, il fatto che la sentenza di primo grado avesse erroneamente ritenuto che la stima risalisse al momento della domanda avrebbe legittimato l’impugnazione in sede di gravame, rendendone evidente l’interesse ad agire affinche’ siffatta disattenzione venisse riformata. Ne’ avrebbe potuto essere imputato all’appellante – odierno ricorrente di non aver prontamente contestato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio sul punto, posto che l’ausiliario del Giudice aveva ricevuto il solo incarico di quantificare il valore dell’immobile all’attualita’, non gia’ il suo deprezzamento, dato giuridico, quest’ultimo, determinato per la prima volta dalla sentenza di primo grado e prontamente contestato con i motivi d’appello.

1.1.- La doglianza e’ ammissibile e fondata.

1.2.- Per un verso, sul piano processuale, la quantificazione del pregiudizio riparabile si e’ cristallizzata, per la prima volta, con la pronuncia della sentenza di prime cure, che ha appunto quantificato e liquidato il deprezzamento subito, e dunque non poteva essere imputato all’appellante di non aver contestato le risultanze addotte sul punto dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata dinanzi al Tribunale. Infatti, quest’ultima si era limitata, rispondendo al quesito posto, a calcolare il valore di mercato dell’immobile all’attualita’, ossia all’anno 2011, e non gia’ il deprezzamento del bene risultante dalla differenza tra il prezzo concordato nel preliminare e il valore commerciale dell’immobile, al tempo della definitivita’ dell’inadempimento che ha legittimato l’effetto risolutivo.

In secondo luogo, l’appellante ha specificamente contestato, con i motivi di gravame, l’errore in cui era incorsa la sentenza di primo grado, impugnata appunto nella parte in cui aveva ritenuto che il valore di stima, determinato dal consulente d’ufficio ai fini di stabilire il danno da lucro cessante, risalisse al tempo della domanda di risoluzione. Al riguardo, come riportato nel corpo della stessa sentenza d’appello, con il terzo motivo l’appellante ha puntualmente lamentato che la sentenza di prime cure era viziata in ordine all’epoca alla quale fare riferimento per la determinazione del risarcimento, da individuarsi al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto e non al tempo della liquidazione del pregiudizio economico, determinandosi altrimenti un ingiustificato incremento patrimoniale.

Del resto, il ricorso in cassazione osserva il principio di autosufficienza, atteso che riporta, sia il riferimento specifico alla valutazione compiuta dal consulente tecnico d’ufficio nel giudizio di primo grado, allorche’ precisa che l’elaborato peritale ha determinato il valore di mercato dell’immobile all’epoca della stima effettuata, sulla base dei dati OMI disponibili piu’ recenti, ossia quelli di cui al secondo semestre 2010, “come dichiarato dal ctu a pag. 12 della relazione”, sia le argomentazioni addotte ai fini della quantificazione del danno da lucro cessante dalla sentenza di primo grado, laddove, nonostante il riferimento formale alla data della domanda, si affermava che, considerato il valore stimato dal consulente d’ufficio di Euro 944.000,00, il deprezzamento dell’immobile, alla data della domanda, ammontava ad Euro 226.000,00, quale risultante della differenza tra il corrispettivo pattuito nel contratto preliminare e il valore commerciale del bene. Da qui lo specifico motivo di gravame, con cui si contestava che in effetti la sentenza del Tribunale avesse fatto riferimento al valore commerciale alla data di espletamento della consulenza e non gia’ al momento della maturazione dell’effetto risolutivo.

Pertanto, non ricorre alcun giudicato interno, essendo la quantificazione del danno avvenuta solo con la sentenza di prime cure, contro cui e’ stata tempestivamente formulata l’impugnazione in ordine proprio all’aspetto dell’erroneo riferimento al valore di mercato del cespite al tempo dell’espletamento dell’incarico peritale. Al contempo, vi era l’interesse ad impugnare tale profilo, considerato che – come emerge dalla comparazione dinamica tra le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e le argomentazioni della sentenza di primo grado, espressamente richiamate nel ricorso di legittimita’ -, benche’ il Tribunale abbia dichiarato di aver fatto riferimento alla misura del danno, come consolidato al tempo della proposizione della domanda di risoluzione a cura del promittente alienante, ha invece avuto riguardo al valore commerciale risalente al secondo semestre del 2010.

1.3.- Per altro verso, sul piano sostanziale, al promittente venditore che agisca per la risoluzione del contratto e per il risarcimento del danno, per il caso di inadempimento del promissario acquirente, deve essere liquidato il pregiudizio per la sostanziale incommerciabilita’ del bene nella vigenza del preliminare, la cui sussistenza e’ in re ipsa e non necessita di prova (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13792 del 31/05/2017; Sez. 2, Sentenza n. 4713 del 10/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 25411 del 03/12/2009; Sez. 2, Sentenza n. 13630 del 05/11/2001).

Nella vicenda in esame il rivendicato danno da lucro cessante e’ consistito, secondo la prospettazione del danneggiato – cui hanno dato seguito le pronunce di merito -, nell’eventuale differenza (recte nel deprezzamento) tra il prezzo pattuito nel preliminare e il valore commerciale dell’immobile al momento in cui l’inadempimento e’ diventato definitivo, normalmente coincidente (sulla scorta del principio generale espresso dall’articolo 1225 c.c., secondo cui la prevedibilita’ del danno risarcibile deve essere valutata con riferimento al momento in cui il debitore, dovendo dare esecuzione alla prestazione e potendo scegliere fra adempimento e inadempimento, e’ in grado di apprezzare piu’ compiutamente e, quindi, prevedere il pregiudizio che il creditore puo’ subire per effetto del suo comportamento inadempiente) con quello di proposizione della domanda di risoluzione ovvero altro anteriore, ove accertato in concreto (in ordine al danno da inadempimento subito dal promissario acquirente Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18498 del 30/06/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 28375 del 28/11/2017; Sez. 2, Sentenza n. 17688 del 28/07/2010; Sez. 2, Sentenza n. 1956 del 30/01/2007).

Senonche’, tale pregiudizio e’ stato calcolato avendo riguardo alla differenza tra il prezzo stabilito nel preliminare (pari ad Euro 1.170.000,00) e il valore commerciale del bene all’epoca dell’espletamento dell’incarico peritale (recte con riferimento ai dati OMI relativi al secondo semestre dell’anno 2010, da cui risultava un valore di Euro 944.000,00). Per converso, come prontamente dedotto dall’appellante con il motivo di impugnazione spiegato, il valore di mercato doveva essere determinato alla data in cui l’inadempimento e’ divenuto definitivo, ossia alla data del 7 gennaio 2008, momento in cui il contratto si e’ risolto per effetto dell’unitile decorso del termine concesso con la diffida ad adempiere, come accertato – con statuizione meramente dichiarativa – dalla pronuncia impugnata (che ha confermato quella di prime cure).

2.- Con il secondo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articolo 1223 e 1227 c.c., articolo 112 e 345 c.p.c., per avere la Corte territoriale escluso l’incidenza del contegno assunto dal promittente venditore sulla produzione del danno altrimenti evitabile o quantomeno limitabile nonche’ ai fini della compensatio lucri cum damno.

In ordine a tale profilo, l’istante rileva che il Giudice di primo grado aveva affermato, in modo inequivocabile, la possibilita’ per il promittente alienante di locare l’immobile e di trarne, quindi, un reddito, anche in pendenza del giudizio e nonostante la trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica, e cio’ con precipuo riguardo al periodo estivo, sicche’, a dire del ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto dell’influenza della mancata concessione in locazione dell’appartamento oggetto della promessa di vendita, da parte del suo proprietario e per sua arbitraria scelta, sulla quantificazione del danno risarcibile, nonche’ della possibilita’ per il medesimo di goderne, avendone mantenuto il possesso, ai fini delle eccepita compensatio lucri cum damno.

2.1.- La critica e’ infondata.

2.2.- Con riferimento alla deduzione dell’aggravamento delle conseguenze dannose che il danneggiato promittente alienante avrebbe potuto evitare concedendo in locazione il cespite, quantomeno nel periodo estivo, sino alla maturazione del definitivo inadempimento, avendone mantenuto la disponibilita’ materiale, si tratta di censura esternata solo nel giudizio di gravame e non rilevabile d’ufficio, come tale inammissibile (come gia’ statuito dalla Corte di merito).

Infatti, in tema di concorso del fatto colposo del creditore, previsto dall’articolo 1227, comma 2, c.c., al giudice del merito e’ consentito svolgere l’indagine in ordine all’omesso uso dell’ordinaria diligenza da parte del creditore solo se sul punto vi sia stata espressa istanza del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di una eccezione in senso proprio, dato che il dedotto comportamento che la legge esige dal creditore costituisce autonomo dovere giuridico, espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 22714 del 20/07/2022; Sez. 3, Sentenza n. 15750 del 27/07/2015; Sez. 3, Sentenza n. 14853 del 27/06/2007).

A fortiori, il debitore avrebbe dovuto fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni, di cui ha chiesto il risarcimento, usando l’ordinaria diligenza (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9150 del 19/05/2020; Sez. 3, Sentenza n. 9137 del 16/04/2013; Sez. 3, Sentenza n. 5883 del 09/05/2000), ossia che avrebbe in concreto potuto locare l’immobile nel periodo estivo. A tale fine non sarebbe stato sufficiente il mero riferimento – contenuto nella sentenza di prime cure – all’astratta possibilita’ di affittare il cespite nei periodi di villeggiatura, affermazione finalizzata unicamente ad escludere che al danneggiato promittente venditore spettasse anche il risarcimento del danno figurativo.

2.3.- Con riguardo all’applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, la cui incidenza sul quantum del risarcimento puo’ essere rilevata d’ufficio, trattandosi di eccezione in senso lato (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 23588 del 28/07/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 24177 del 30/10/2020; Sez. 6-3, Sentenza n. 20111 del 24/09/2014), esso postula che il beneficio percepito sia effettivo e non potenziale. E dunque non puo’ prospettarsi un vantaggio da detrarre sull’importo del risarcimento dei danni, collegato all’ipotetica possibilita’ di locare l’immobile, senza alcuna delimitazione dell’an, quid e del quantum di tale astratto introito.

Peraltro, la compensatio richiede che il vantaggio conseguito dal danneggiato rientri nella serie causale dell’illecito, da ricostruirsi secondo un criterio adeguato di causalita’, dovendosene quindi escludere l’applicazione allorche’ il vantaggio si presenti come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato, o come l’effetto di un evento che si sarebbe in ogni caso prodotto, indipendentemente dal momento in cui si e’ verificato l’illecito, o comunque nell’ipotesi in cui il beneficio trovi altrove la sua fonte e nell’illecito solo un coefficiente causale (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16702 del 05/08/2020).

Nella specie, deve essere, pertanto, condivisa la decisione della Corte distrettuale, la quale ha negato che nella liquidazione del danno derivante dall’inadempimento di un contratto preliminare, imputabile al promissario acquirente, si dovesse tenere conto, ai fini di scomputarli dal pregiudizio patito dal promittente venditore, dei potenziali canoni che si sarebbero potuti trarre dalla locazione del bene nelle stagioni estive, quale frutto di iniziative autonome che il proprietario danneggiato avrebbe potuto assumere e del sacrificio conseguente che ne sarebbe potuto derivare, beneficio avente fonte nella precisa scelta del danneggiato di attribuire sul bene un diritto personale di godimento a terzi, e non gia’ conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento del danneggiante promissario acquirente.

Ne’ si configura un beneficio connesso al godimento diretto del bene da parte del proprietario promittente alienante, che nel caso di perfezionamento della vendita – non si sarebbe potuto protrarre. Esso si sostanzierebbe, secondo la tesi del ricorrente, nel godimento diretto in se’, in favore del proprietario, senza che sia necessario dimostrare che altrimenti il promittente alienante avrebbe dovuto sostenere dei precisi costi per rinvenire un appartamento sostitutivo in cui alloggiare, ai fini del dispiegarsi di un’utilitas economicamente valutabile quale risparmio di spesa.

In forza di questa ricostruzione, l’effetto della condotta inadempiente del promissario acquirente si sarebbe tradotto proprio nell’utilitas che il danneggiato ha tratto, godendo dell’immobile quale proprietario, dal momento in cui il contratto definitivo di vendita si sarebbe dovuto perfezionare (recte dal 31 luglio 2006) sino al momento in cui l’inadempimento e’ divenuto definitivo (recte fino al 7 gennaio 2008), utilizzandolo direttamente, senza pagamento di canoni. Siffatto vantaggio inciderebbe sull’importo determinato per reintegrare il patrimonio del danneggiato, diminuendo la perdita subita con il corrispondente beneficio.

Orbene, nei termini anzidetti, si tratta di vantaggio che l’inadempienza del promissario acquirente – per cui fatto e colpa il contratto preliminare e’ stato risolto – ha procurato al promittente alienante danneggiato come mero fatto accidentale, sebbene esso trovi efficienza eziologica nell’inadempimento del promissario, e non gia’ quale sua conseguenza diretta ed immediata (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2209 del 12/03/1997; Sez. 2, Sentenza n. 2802 del 05/04/1990).

D’altronde, non puo’ ipotizzarsi un vantaggio nel godimento dell’immobile, che puo’ essere fatto valere a titolo di compensazione nel computo del danno, in favore di chi era prima – ed e’ rimasto dopo la stipulazione del preliminare – suo proprietario, essendo detta utilita’ il mero precipitato della persistenza del titolo dominicale, senza che tale situazione petitoria sia mutata per effetto della declaratoria di nullita’ o di inefficacia di un atto ad immediati effetti traslativi (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26908 del 19/12/2014).

3.- Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione riflessa delle norme citate nei precedenti motivi di impugnazione, per avere la Corte di merito respinto l’istanza di integrazione della consulenza tecnica d’ufficio svolta nel giudizio di primo grado, ai fini di accertare il valore dell’immobile alla data del 6 gennaio 2008 e/o alla data del 23 ottobre 2008 e di determinare l’ammontare dei canoni che il convenuto avrebbe potuto incassare in conseguenza della locazione ad altri dell’appartamento, da conteggiare per la compensatio lucri cum damno.

Sostiene, in proposito, il ricorrente che, allo scopo di evitare che possa ritenersi prestata acquiescenza alla sentenza sul punto e che possa formarsi il giudicato su siffatto tema, avrebbe dovuto impugnare – cosi’ come in effetti ha inteso impugnare – anche la decisione di rigetto di tale istanza istruttoria.

3.1.- La censura e’ assorbita dall’accoglimento del primo motivo. Infatti, in conseguenza del suo accoglimento, il Giudice del rinvio dovra’ rivalutare la decisione sull’ammissione della consulenza tecnica d’ufficio in via integrativa.

4.- In definitiva, va accolto, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo, va disatteso il secondo motivo del ricorso, mentre il terzo va dichiarato assorbito.

La sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che decidera’ uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione

accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo, rigetta il secondo motivo, dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.