Avvocato rilevanza dell’illecito disciplinare del conflitto interessi sull’inadempimento del mandato.

l’accertamento dell’inadempimento dell’obbligazione scaturente dal mandato professionale prescinde dalla sussistenza o meno di un illecito disciplinare. Vi potranno essere condotte disciplinarmente rilevanti che non costituiscono inadempimento del mandato, e viceversa.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 31 maggio 2018, n. 13764

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23311-2015 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS);

– intimato –

nonche’ da:

(OMISSIS), considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso da se medesimo unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 921/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2005 (OMISSIS), di professione avvocato, dopo aver chiesto ed ottenuto un sequestro conservativo nei confronti del suo cliente (OMISSIS), lo convenne dinanzi al Tribunale di Monza, chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 53.075,43, a titolo di onorari professionali.

Il convenuto si costitui’; nego’ che l’onorario dovuto all’attore fosse pari alla somma da questi indicata; in via riconvenzionale chiese la condanna dell’attore al risarcimento del danno causatogli, per aver malamente adempiuto i propri obblighi professionali, ed in particolar modo per aver agito in conflitto di interessi col cliente.

2. Con sentenza 3 marzo 2010 n. 900 il Tribunale di Monza accolse la domanda principale nella minor somma di Euro 47.033,27, e rigetto’ la domanda riconvenzionale.

La sentenza venne appellata da ambo le parti.

3. Con sentenza 26 febbraio 2015 n. 921 la Corte d’appello di Milano rigetto’ ambo gli appelli.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:

-) l’appello di (OMISSIS) fosse inammissibile per genericita’ nella parte in cui censurava l’accoglimento della domanda attorea; e fosse invece inammissibile per novita’ nella parte in cui prospettava l’inadempimento, da parte del professionista, dell’obbligo di fornire una corretta informazione al cliente, e di dissuaderlo da iniziative giudiziarie prevedibilmente votate all’insuccesso;

-) il Tribunale aveva correttamente determinato la misura del compenso dovuto al professionista;

-) la doglianza con la quale l’appellante principale (OMISSIS) si doleva della mancata ammissione delle prove da lui richieste era inammissibile, perche’ quelle istanze istruttorie non erano state reiterate in grado di appello;

-) quanto all’appello incidentale proposto da (OMISSIS), avente ad oggetto il pagamento degli onorari professionali per l’assistenza prestata ad una societa’ ( (OMISSIS) s.r.l.) di cui (OMISSIS) era di fatto il dominus, la Corte d’appello ritenne che correttamente il Tribunale avesse escluso la spettanza di tali onorari, sul presupposto che l’avvocato (OMISSIS) avesse violato il dovere deontologico di astenersi dall’agire in conflitto di interessi col cliente, in particolare partecipando come rappresentante di terzi all’asta nella quale era stato posto in vendita un immobile di proprieta’ della societa’ da lui assistita.

4. La sentenza d’appello e’ impugnata per cassazione in via principale da (OMISSIS), con ricorso fondato su sei motivi, ed in via incidentale da Bilardo Onofrio, con ricorso fondato su tre motivi.

Il ricorrente principale ha resistito con controricorso al ricorso incidentale, e depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale.

1.1. Col primo motivo (OMISSIS) lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’articolo 112 c.p.c.

Sostiene una tesi cosi’ riassumibile:

-) in primo grado egli aveva domandato la condanna del cliente al pagamento degli onorari professionali dovutigli per l’attivita’ “relativa alla societa’ (OMISSIS)”;

-) il convenuto non aveva negato lo svolgimento di tale attivita’, ma si era limitato ad eccepire che il compenso per esso doveva intendersi necessariamente ricompreso in quello dovuto per un diverso e piu’ ampio mandato;

-) pertanto la Corte d’appello, negando il diritto al compenso per la suddetta attivita’, sul presupposto che l’avvocato (OMISSIS) avesse agito in conflitto di interessi col cliente, ha rilevato d’ufficio una eccezione mai sollevata, ed anzi parrebbe aver accolto una domanda di risoluzione del contratto mai proposta.

1.2. Il motivo e’ tanto inammissibile, quanto infondato.

1.3. In primo luogo, il motivo e’ inammissibile per difetto di specificita’.

Il ricorrente, infatti, deduce di essere un avvocato e di avere svolto attivita’ professionale a favore della societa’ (OMISSIS) s.r.l., che ovviamente e’ un soggetto di diritto. Tuttavia ha domandato il compenso dovutogli per tale attivita’ nei confronti di un diverso soggetto, ovvero (OMISSIS).

Ma una dissociazione tra il fruitore della prestazione professionale (la societa’) e il soggetto che si assume obbligato al pagamento sarebbe concepibile solo ove quest’ultimo abbia stipulato col professionista un contratto a favore di terzo, ex articolo 1411 c.c., che’ altrimenti egli sarebbe del tutto privo di legittimazione, tanto sostanziale, quanto processuale.

Nel ricorso, tuttavia, nulla si deduce al riguardo, se non un fuggevole accenno alla circostanza che (OMISSIS) fosse socio della (OMISSIS) s.r.l..

Ma poiche’ e’ noto che i soci di una societa’ a responsabilita’ limitata non rispondono delle obbligazioni sociali, resta per questa Corte imperscrutabile il titolo dell’obbligazione vantata dall’odierno ricorrente nei confronti di (OMISSIS), con riferimento all’attivita’ professionale erogata in favore della (OMISSIS) s.r.l..

1.4. Il motivo, comunque, appare altresi’ infondato nel merito.

E’ principio generale che tutte le eccezioni non riservate espressamente dalla legge alla parte sono rilevabili anche d’ufficio. Tale principio e’ stato ribadito per ben due volte dalle Sezioni Unite di questa Corte (dapprima da Sez. U, Sentenza n. 1099 del 03/02/1998, Rv. 515986, e quindi da Sez. U, Ordinanza n. 10531 del 07/05/2013, Rv. 626194).

La circostanza che un avvocato, nell’esecuzione del mandato ricevuto dal cliente, abbia agito in conflitto di interessi con questi, arrecandogli pregiudizio, e’ una eccezione sussumibile nel genus delle condictiones causa data, causa non secuta, ovvero dei fatti impeditivi della domanda di pagamento d’una prestazione che sia priva di giustificazione causale.

In quanto tale, la suddetta eccezione e’ rilevabile d’ufficio, non essendovi alcuna norma che la riservi all’iniziativa della parte.

1.5. Ne’ e’ condivisibile la deduzione del ricorrente, secondo cui la Corte d’appello avrebbe rilevato d’ufficio, ed accolto, un’exceptio inadimpleti contractus mai formulata dal convenuto.

L’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c., infatti, presuppone che l’eccipiente voglia la prestazione altrui, ma subordini l’esecuzione della propria al previo adempimento di controparte. Essa costituisce una coazione indiretta all’adempimento, ed ha effetto solo temporaneo, dal momento che delle due l’una: se quegli contro cui l’eccezione e’ proposta adempie la propria obbligazione, diventera’ dovuta ed esigibile l’obbligazione dell’eccipiente; se invece persiste nell’inadempimento, il contratto non potra’ che risolversi per mutuo dissenso o impossibilita’ definitiva di esecuzione.

Nel caso di specie, per contro, la Corte d’appello non ha affatto sospeso l’esigibilita’ della prestazione dovuta da (OMISSIS) fino a quando (OMISSIS) non avesse adempiuto la sua, ma ha piu’ semplicemente rilevato che quest’ultimo non avesse adempiuto tout court la propria prestazione, ovvero l’avesse adempiuta in modo privo di utilita’ per il cliente. La Corte d’appello, dunque, non ha accolto un’eccezione d’inadempimento mai formulata, ma ha rilevato in punto di fatto la mancata esecuzione (o l’inesatta esecuzione) della prestazione per la quale era domandato il corrispettivo.

2. Il secondo motivo del ricorso principale.

2.1. Col secondo motivo (OMISSIS) lamenta sia la nullita’ del procedimento, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4; sia il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3; e’ lamentata, in particolare, la violazione dell’articolo 115 c.p.c.

Sostiene che la Corte d’appello, nel negare il diritto del professionista al compenso per l’attivita’ prestata relativamente alla societa’ (OMISSIS), non ha tenuto conto del fatto che lo svolgimento di tale attivita’ non era stato contestato dal convenuto.

2.2. Il motivo e’ infondato.

Violazione del principio di non contestazione vi sarebbe stata se la Corte d’appello, nonostante la indefensio del convenuto su tale punto, avesse ritenuto che l’avvocato (OMISSIS) nessuna attivita’ professionale avesse svolto nei confronti della societa’ suddetta.

Ma la Corte d’appello non ha affatto affermato che l’avvocato (OMISSIS) non avesse svolto l’attivita’ per la quale richiese il pagamento; ha soltanto ritenuto che tale attivita’ fu svolta in conflitto di interessi; che tale condotta costitui’ un sostanziale inadempimento dell’obbligazione professionale, e che di conseguenza non sorse il diritto all’onorario.

3. Il terzo motivo del ricorso principale.

3.1. Col terzo motivo il ricorrente principale lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame d’un fatto decisivo.

Sostiene una tesi cosi’ riassumibile: la Corte d’appello ha escluso il suo diritto al compenso per l’attivita’ svolta relativamente alla societa’ (OMISSIS), sul presupposto che egli, agendo in conflitto di interessi, partecipo’ all’asta nella quale venne posto in vendita un immobile della suddetta societa’.

Tuttavia – prosegue il ricorrente – egli in favore della suddetta societa’ aveva svolto attivita’ professionali non limitate alla partecipazione all’asta. Aveva, infatti, svolto plurime ed ulteriori attivita’ professionali protrattesi dal maggio del 2002 al luglio del 2005, e che erano consistite nel compimento di molteplici atti.

Sostiene che tale circostanza risultava dalla documentazione prodotta, e che la Corte d’appello non l’ha valutata.

3.2. Il motivo e’ infondato.

Il “fatto” costitutivo della pretesa attorea era lo svolgimento dell’attivita’ professionale, e tale fatto e’ stato esaminato.

L’omesso esame di uno o piu’ documenti, invece, non puo’ integrare gli estremi del vizio di omesso esame del fatto decisivo, come gia’ stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

4. Il quarto motivo del ricorso principale.

4.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente principale lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione “delle norme e dei principi in materia di conflitto di interessi”, ed in particolare dell’articolo 37 codice deontologico forense, nonche’ del R.Decreto Legge 27 novembre 1933, n. 1578, articoli 38, 50 e 56.

Il motivo, pur formalmente unitario, contiene due censure.

Con una prima censura il ricorrente lamenta che gli unici organi competenti ad accertare illeciti deontologici dell’avvocato sono il Consiglio dell’ordine territoriale (oggi, consiglio di disciplina); il Consiglio nazionale forense ed in ultima istanza le Sezioni Unite della Corte di cassazione, “si’ che la Corte d’appello doveva limitarsi a prendere atto della intervenuta archiviazione degli esposti per violazione dell’articolo 28 codice deontologico forense”.

4.2. Con una seconda censura (pagina 25 e seguenti del ricorso) il ricorrente sostiene che comunque la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che egli avesse agito in conflitto di interessi col cliente.

Osserva che le ipotesi di conflitto di interessi disciplinarmente rilevanti sono previste dall’articolo 37 codice deontologico forense, e che la condotta da lui tenuta (avere rappresentato la societa’ che si aggiudico’ all’asta l’immobile della societa’ da lui assistita) non rientrasse in alcuna di esse.

4.3. La prima censura e’ infondata.

La Corte d’appello non si e’ affatto attribuita alcuna potesta’ spettante ad altri organi in materia di illeciti disciplinari. Si e’ limitata a rilevare le conseguenze civilistiche dell’illecito deontologico, affermando – il che e’ del tutto corretto – che la violazione della norma deontologica che vieta il conflitto di interessi costituisce di per se’ inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto di mandato professionale. Ne’ cio’ le era inibito, non esistendo alcun effetto di vincolo, ne’ di preclusione, rispetto al giudice civile, delle decisioni adottate in sede disciplinare.

4.4. Anche la seconda delle censure sopra riassunte e’ infondata.

In primo luogo, infatti, l’accertamento dell’inadempimento dell’obbligazione scaturente dal mandato professionale prescinde dalla sussistenza o meno di un illecito disciplinare. Vi potranno essere condotte disciplinarmente rilevanti che non costituiscono inadempimento del mandato, e viceversa.

Quindi che la condotta tenuta dall’avvocato (OMISSIS) fosse o non fosse qualificabile come “conflitto di interessi” sotto il profilo disciplinare, non impediva alla Corte d’appello di qualificarla come “conflitto di interessi” sotto il profilo civilistico.

In secondo luogo, non e’ affatto vero che la condotta tenuta dall’avvocato (OMISSIS) non rientrasse fra quelle che ai sensi dell’articolo 37 codice deontologico costituiscono conflitti di interesse.

L’articolo 37, infatti, al suo comma 1, e’ una norma aperta, che lascia all’interprete la individuazione caso per caso delle condotte astrattamente qualificabili come “conflitto di interessi”. L’elencazione contenuta neo commi 2 e 3 della medesima norma ha dunque valore solo esemplificativo e non tassativo, come si desume chiaramente dalla previsione secondo cui “costituisce conflitto di interesse anche” ecc..

5. Il quinto motivo del ricorso principale.

5.1. Col quinto motivo il ricorrente principale lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 1218, 1223 e 2697 c.c.

Sostiene che la conseguenza dell’inadempimento del contratto e’ il risarcimento del danno, non la restituzione del compenso ricevuto. Pertanto la Corte d’appello, anche ad ammettere che avesse correttamente rilevato un inadempimento del professionista, non poteva affermare che tale adempimento “giustifica la mancata corresponsione del compenso”.

5.2. Il motivo e’ infondato.

Colui il quale chiede la condanna del debitore al pagamento di quanto dovuto in virtu’ di un contratto di opera professionale deve allegare e dimostrare l’esistenza e l’efficacia del contratto (Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv. 549956 – 01).

Tuttavia se nel corso del giudizio emerge che la prestazione per la quale si chiede il compenso non e’ stata eseguita, viene a mancare uno dei fatti costitutivi della pretesa, e la domanda deve essere rigettata, in virtu’ del principio cum nulla subest causa, constare non potest obligatio.

La Corte d’appello pertanto, al di la’ della non impeccabile sintassi impiegata, ha comunque adottato una soluzione corretta giuridicamente: e cioe’ negato che il professionista potesse pretendere il compenso per una prestazione non eseguita o malamente eseguita.

Stabilire poi in concreto se davvero quella prestazione fu eseguita bene o male e’ una questione di fatto, non censurabile in sede di legittimita’.

6. Il sesto motivo del ricorso principale.

6.1. Col sesto motivo il ricorrente principale lamenta sia la nullita’ del procedimento, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4; sia la violazione “delle norme e dei principi in materia di ammissione delle prove”, ed in particolare dell’articolo 183 c.p.c., comma 7.

Deduce che nel giudizio d’appello, all’udienza del 18 novembre 2014, aveva depositato la denuncia-querela sporta contro di lui da (OMISSIS); la richiesta di archiviazione chiesta dal Pubblico Ministero con riferimento a tale denuncia; il provvedimento del GIP che dispose l’archiviazione del procedimento; il provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati il quale dispose l’archiviazione dell’esposto presentato contro di lui da (OMISSIS).

Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha reputato irrilevanti tali documenti ai fini del decidere. Essi infatti, palesando che egli non aveva commesso ne’ reati, ne’ illeciti disciplinari, dimostravano per cio’ solo che non gli poteva essere imputato, come invece fece la Corte d’appello, di avere agito in conflitto d’interessi col cliente.

6.2. Il motivo e’ infondato.

L’irrilevanza penale o disciplinare della condotta, per quanto gia’ detto, non implicava necessariamente che essa dovesse anche ritenersi “adempiente”, e comunque ne’ il provvedimento di archiviazione adottato dal giudice penale, ne’ quello adottato dall’organo disciplinare avevano alcuna efficacia di vincolo per il giudice civile.

7. Il ricorso incidentale.

7.1. Il ricorso principale e’ stato notificato ad (OMISSIS) il 25.9.2015.

(OMISSIS) ha proposto il suo ricorso in via autonoma con atto passato per la notifica il 25.3.2016.

Il ricorso di (OMISSIS) va dunque qualificato come ricorso incidentale, in quanto proposto successivamente al primo (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 5695 del 20/03/2015, Rv. 634799 – 01).

In quanto tale, il ricorso incidentale doveva essere proposto entro 40 gg. dalla notifica del principale, e non lo fu. Esso dunque va dichiarato tardivo, in virtu’ del principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui “il principio dell’unicita’ del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e percio’, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalita’ non puo’ considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorche’ proposto con atto a se’ stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilita’ e’ condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti piu’ venti) risultante dal combinato disposto degli articoli 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi” (Sez. L, Sentenza n. 5695 del 20/03/2015, Rv. 63i4799 – 01).

8. Le spese.

8.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate integramente tra le parti, in considerazione della soccombenza reciproca.

8.2. Il rigetto di entrambi i ricorsi costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico di ambo le parti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso principale;

(-) dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’;

(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione;

(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.