Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 30 aprile 2018, n. 10320

In merito alla responsabilità dell’esercente la professione legale la Corte ha affermato i seguenti principi di diritto:
“In tema di responsabilita’ professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attivita’ da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “piu’ probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalita’ fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso puo’ essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attivita’ professionale omessa”;
“Nelle cause di responsabilita’ professionale nei confronti degli avvocati, la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dell’impugnazione dichiarata inammissibile o improcedibile, allorche’ si traduca nella violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e’ censurabile in sede di legittimita’ sub specie di vizio di sussunzione delle norme che governano l’accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva del professionista e l’evento di danno lamentato dal cliente”.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 30 aprile 2018, n. 10320

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16062-2015 proposto da:

(OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA;

– intimati –

nonche’ da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) anche difensore di se’ medesimo unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7533/2014 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 09/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ricorre per cassazione ex articolo 348-ter c.p.c., sulla base di tre motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Milano, n. 7533/14, del 9 giugno 2014, che ha respinto la sua domanda volta all’accertamento della responsabilita’ professionale dell’Avv. (OMISSIS) e alla condanna dello stesso al risarcimento dei danni, sentenza gia’ oggetto di gravame da parte dell’odierna ricorrente, ritenuto inammissibile – a norma dell’articolo 348-bis c.p.c., ovvero per assenza di ragionevole probabilita’ di accoglimento – dalla Corte di Appello di Milano, con ordinanza n. 2756/15, del 10 aprile 2015.

Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di aver adito il Tribunale meneghino per l’accertamento della responsabilita’ del predetto legale in relazione al ritardato deposito di un ricorso per cassazione – cui era seguita la declaratoria di improcedibilita’ dello stesso, ex articolo 369 c.p.c.- proposto contro una pronuncia, resa dalla Corte di Appello di Torino, nell’ambito di una causa civile che aveva visto l’odierna ricorrente contrapposta, con il patrocinio dell’Avv. (OMISSIS), al proprio coniuge separato, (OMISSIS).

In particolare, l’assistenza difensiva del legale era stata espletata nell’ambito di un giudizio di opposizione ex articolo 615 c.p.c., instaurato nei suoi confronti dal (OMISSIS), coniuge in regime di separazione personale. Difatti, la (OMISSIS) – munita di precetto per il pagamento di credito relativo dell’assegno di mantenimento dovuto anche in favore dei figli minori della coppia – veniva convenuta innanzi al Tribunale di Alessandria, in virtu’ di opposizione proposta dal marito separato. Accolta l’opposizione dal primo giudice solo per un minimo importo, all’esito del giudizio di gravame proposto dal (OMISSIS), la Corte di Appello Torino – sul presupposto dell’avvenuto pagamento, da parte del padre, direttamente in favore di uno dei figli (divenuto medio tempore maggiorenne e non piu’ coabitante con la (OMISSIS)), di quanto dovutogli a titolo di mantenimento – condannava la donna a restituire al (OMISSIS) la differenza tra il credito risultante dall’atto di precetto e le somme dallo stesso corrisposte al figlio.

Proposto ricorso per cassazione avverso la decisione del giudice di Appello, l’impugnazione – come detto – veniva dichiarata improcedibile, ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 1.

Radicato, pertanto, dalla (OMISSIS) il giudizio di responsabilita’ nei confronti del legale, costui chiamava in causa sia la propria assicurazione ( (OMISSIS) s.p.a.), sia il collega – Avv. (OMISSIS) – che era stato il suo domiciliatario a Roma, il quale proponeva, a sua volta, domanda di manleva nei confronti del proprio assicuratore per la responsabilita’ civile, (OMISSIS) s.p.a..

L’esito della controversia, come detto, consisteva in primo grado nel rigetto della domanda attorea, giacche’ – pur riconoscendo il Tribunale di Milano un profilo di responsabilita’ dell’Avv. (OMISSIS), soprattutto in relazione all’omissione di “opportune cautele” al fine di assicurarsi che il deposito del ricorso fosse curato tempestivamente dal collega domiciliatario, stante l’assunzione di detto compito in concomitanza con l’approssimarsi delle festivita’ natalizie “individuava dei profili di segno contrario”, costituiti da una corresponsabilita’ nella dilazione della stessa (OMISSIS), nonche’ nel fatto che il (diverso) legale che l’aveva, poi, assistita innanzi a questa Corte ebbe ad evidenziare – nel corso della discussione ex articolo 379 c.p.c. – il ritardo nella iscrizione a ruolo, non eccepito, invece, dalla controparte. Dirimente, in ogni caso, ai fini del rigetto della domanda di responsabilita’ era stata la constatazione – si rammenta sempre nella narrativa del presente ricorso – che “la domanda della (OMISSIS) non avrebbe avuto probabilita’ di accoglimento”.

Orbene, proposto gravame avverso tale decisione, la Corte di Appello di Milano lo ha ritenuto inammissibile, e cio’ sul presupposto della “mancanza di rilevanti chance di accoglimento”.

Avverso la sentenza del Tribunale di Milano ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), sulla base di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo e’ dedotta “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e/o (…) violazione di legge in relazione alla esistenza di chance”.

Acclarata l’improcedibilita’ del ricorso per cassazione, proposto all’esito della fase di merito del giudizio di opposizione a precetto in cui l’Avv. (OMISSIS) svolse la propria attivita’ defensionale, si contesta che l’impugnazione dallo stesso predisposta fosse priva di chance di accoglimento, e cio’ sulla base di un duplice rilievo.

Per un verso, infatti, si sottolinea come la sentenza oggetto di quel ricorso fosse in contrasto con il prevalente orientamento di legittimita’ in tema di “opposizione a precetto relativo a crediti per il mancato pagamento per l’assegno di mantenimento” (e’ citata, in particolare, Cass. Sez. 1, sent. 9 novembre 2001, n. 13872, Rv. 550122-01), secondo cui in tale giudizio possono farsi valere questioni attinenti alla validita’ ed efficacia del titolo, senza che sia possibile, invece, dedurre fatti sopravvenuti, essendo in tal caso indispensabile ricorrere al procedimento ex articolo 710 c.p.c..

Per altro verso, invece, si pone in luce come quello scritto in allora dall’Avv. (OMISSIS) fosse un ricorso basato su ben sette motivi (alla cui lettura, quello odierno “rinvia”), dei quali specialmente il primo – volto a censurare un asserito difetto di motivazione, per non essere stato conferito adeguato rilievo alla testimonianza del figlio del (OMISSIS) e della (OMISSIS), in relazione alla circostanza che le somme versategli dal padre “non avrebbero dovuto modificare l’assegno versato alla madre” – dimostrerebbe l’esistenza di apprezzabili chance di accoglimento dell’impugnazione, ove essa non fosse stata dichiarata improcedibile.

3.2. Il secondo motivo e’ proposto “per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e per violazione di legge”.

Si censura la sentenza impugnata laddove ha ravvisato “un concorso colposo della cliente”, e cio’ “per aver ritardato l’esecuzione dell’attivita’ notificatoria ed avere cosi’ determinato la necessita’ di gestione della vicenda a stretto ridosso del periodo festivo”. Tale affermazione costituirebbe “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione ai termini per l’appello”, giacche’ l’interlocuzione tra il difensore ed il proprio assistito – che implica la possibilita’ che il cliente “controlli quanto scritto dall’avvocato” – si e’ esaurita “in termini talmente stretti” da permettere la notificazione del ricorso “ben 18 giorni prima” della scadenza del termine ex articolo 325 c.p.c., comma 2.

3.3. Pure il terzo motivo e’ proposto “per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto”, questa volta “in relazione alla valutazione della scelta difensiva del nuovo difensore della (OMISSIS) di affrontare” (nel giudizio di cassazione) “la questione del tardivo deposito (dell’) iscrizione a ruolo”.

Si nega, in particolare, che la decisione assunta da quel legale possa aver contribuito alla declaratoria di improcedibilita’ dello stesso. Si rileva, infatti, come fosse onere del nuovo difensore non ignorare il problema, specie nella prospettiva – dallo stesso perseguita – di dimostrare che la mancata tempestiva eccezione di improcedibilita’, ad opera della parte avente interesse a proporla, potesse comportarne la sanatoria, “argomentando analogicamente dal principio generale dell’articolo 157 c.p.c., comma 2, in materia di nullita’”.

Ha proposto controricorso l’Avv. (OMISSIS), nel solo per resistere all’avversaria impugnazione (del quale ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilita’ “per difetto di autosufficienza”, ovvero per carenza dei requisiti di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 2, 4 e 6), ma proponendo anche ricorso incidentale, articolato sulla base di quattro motivi.

4.1. Con il primo motivo si duole della “omessa decisione, da parte del Tribunale, ex articolo 112 c.p.c., in merito alla domanda di risarcimento per mala gestio, conseguentemente all’inadempimento al patto di gestione della lite ex articolo 20 del contratto”, domanda formulata da esso (OMISSIS) nei confronti del proprio assicuratore, nonche’ del “mancato riconoscimento sia delle spese di resistenza nei confronti dell’attrice sia del terzo chiamato (OMISSIS) e della sua assicurazione”.

Premette, al riguardo, di aver proposto innanzi al Tribunale di Milano non solo domanda di manleva nei confronti del proprio assicuratore, (OMISSIS) s.p.a. (ora Generali s.p.a.), ma anche (autonoma) domanda di condanna della stessa “comunque (…) al risarcimento dei danni per inadempimento degli obblighi contrattuali di polizza” (che implicavano quello di gestione della lite), “con quantificazione riservata al prosieguo della causa, con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa”.

Su tale domanda, tuttavia, il primo giudice mancava di provvedere, vizio perpetuato anche dalla Corte di Appello di Milano nell’ordinanza adottata ex articolo 348-ter c.p.c., quantunque esso (OMISSIS) non si fosse limitato a proporre appello incidentale condizionato finalizzato all’accoglimento della domanda di manleva (e cio’ per l’ipotesi in cui, accolto il gravame principale della (OMISSIS), il secondo giudice avesse riconosciuto la sua responsabilita’ professionale), bensi’ avesse impugnato, in via incidentale, la sentenza del Tribunale meneghino per aver “omesso di giudicare” in merito alla domanda suddetta, ovvero, “di risarcimento danni” a carico del proprio assicuratore, per “inadempimento agli obblighi contrattuali”, cioe’ “nello specifico la “gestione della lite””.

Tale omissione – che, a dire dell’odierno ricorrente incidentale, “integra una violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex articolo 112 c.p.c.” – vizierebbe la sentenza impugnata, giacche’ essa risulta “mancante di ogni statuizione sul punto”, e cio’ quantunque esso (OMISSIS) avesse richiesto, all’esito del giudizio innanzi al Tribunale milanese, la liquidazione equitativa dei danni subiti. Tra questi, poi, rientrerebbe anche la chiamata in causa dell’Avv. (OMISSIS), nonche’ quella effettuata da costui verso il proprio assicuratore, essendo stato il (OMISSIS) condannato a rifondere, a ciascuno di essi, le spese di ambo i gradi di giudizio, quando la scelta di chiamarli, “giusta o sbagliata che fosse, avrebbe dovuto essere valutata dall’assicurazione, con la gestione della lite come prevista dal contratto”.

D’altra parte, poi, che nel caso di specie ricorra un’ipotesi di mala gestio e’ quanto il (OMISSIS) assume sul rilievo che detta fattispecie “e’ configurabile non solo nel caso in cui l’assicurazione, avvalendosi del patto di gestione della lite, la gestisca in modo da arrecare pregiudizio all’assicurato, ma anche nell’ipotesi in cui, senza un’apprezzabile motivo, rifiuti di gestire la lite o se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio allo stesso assicurato” (e’ citata Cassazione n. 15397/2010, in motivazione).

4.2. Il secondo motivo prospetta “vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione di legge dell’articolo 1917 c.c., comma 3, nonche’ degli articoli 91 e 92 c.p.c.” e cio’ “con riguardo al mancato riconoscimento a carico dell’assicurazione (OMISSIS) (ora (OMISSIS) s.p.a.) delle spese sostenute dall’assicurato Avv. (OMISSIS) per resistere in giudizio”.

Si censura la sentenza del Tribunale per aver compensato le spese di lite tra esso (OMISSIS) e la propria assicurazione, contravvenendo, in particolare, al disposto dell’articolo 1917 c.c., comma 3, secondo cui le spese sostenute dall’assicurato per resistere all’azione del danneggiato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata, norma destinata a trovare applicazione anche nell’ipotesi – che ricorrerebbe nel caso di specie in cui nessun danno venga riconosciuto al terzo che abbia proposto l’azione risarcitoria nei confronti dell’assicurato (sono citate Cass. Sez. 3, sent. 11 settembre 2014, n. 19176, Rv. 633085-01, nonche’ Cass. Sez. 3, sent. 28 febbraio 2008, n. 5300, Rv. 601854-01). Si deduce, inoltre, che neppure sarebbe dato comprendere quale statuizione abbia assunto, al riguardo, la Corte di Appello, visto che identifica quale difensore di (OMISSIS) s.p.a. solo quello costituitosi in relazione alla chiamata in garanzia dell’Avv. (OMISSIS), e non pure della domanda di manleva e (soprattutto) dell’autonoma domanda di risarcimento danni da “mala gestio” (ri)proposta da esso (OMISSIS).

4.3. Il terzo motivo prospetta “vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), commesso dal Tribunale per violazione di legge ex articoli 112, 115 e 116 c.p.c. per mancato accertamento della corresponsabilita’ dell’Avv. (OMISSIS) nel ritardato deposito del ricorso per cassazione”.

Esso – proposto come motivo tanto di ricorso incidentale, in relazione alla condanna a rifondere le spese sostenute dal terzo chiamato (OMISSIS) (donde l’ipotizzata violazione anche “degli articoli 91 e 92 c.p.c.”), quanto di ricorso incidentale condizionato, per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale della (OMISSIS) – si sostanzia in plurime denunce.

Si ipotizza, infatti, “violazione del diritto alla prova”, nonche’ “mancata valutazione di fatti non contestati dalla controparte”, ed infine “mancata valutazione del comportamento dell’Avv. (OMISSIS) nel periodo successivo al deposito” del ricorso poi dichiarato improcedibile.

In particolare, si assume che il Tribunale non avrebbe dato adeguato rilievo, innanzitutto, alla circostanza che il difensore domiciliatario, con la firma del ricorso, avrebbe assunto, a tutti gli effetti, la corresponsabilita’ dello stesso, omettendo, inoltre, di considerare anche il comportamento osservato dal (OMISSIS) anteriormente al giudizio instaurato dalla (OMISSIS), e per l’esattezza la circostanza che egli, informato dal collega (OMISSIS) dell’iniziativa giudiziale intrapresa nei suoi confronti dalla cliente, lungi dal professarsi del tutto estraneo all’accaduto; si limito’ ad informare il suo assicuratore.

D’altra parte, il Tribunale neppure avrebbe adeguatamente apprezzato – sempre in chiave sia di addebito della responsabilita’ per l’accaduto al (OMISSIS), che di illegittimita’ della statuizione che ha posto le spese giudiziali dallo stesso sostenute a carico del (OMISSIS) – il fatto che il plico contenente il ricorso da depositare presso la cancelleria di questa Corte giunse nello studio legale del domiciliatario il 27 dicembre 2005, provvedendo costui a depositarlo solo il 5 gennaio 2006, dopo che era scaduto da un giorno il termine rilevante ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 1.

4.4. Il quarto motivo prospetta “vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 2, n. 3)”, sempre “per violazione di legge degli articoli 91 e 92 c.p.c.”, e cio’ “in merito alle ripartizioni delle spese di lite di primo grado”, con particolare riguardo alla condanna alle spese dell’Avv. (OMISSIS) a rifondere pure quelle sostenute dall’assicurazione terza chiamata in causa dall’Avv. (OMISSIS). Si tratterebbe, infatti, di decisione non solo “in contrasto” con quella di compensare, invece, le spese di lite tra il (OMISSIS) e la propria assicurazione, ma che ignorerebbe l’inadempimento – anche da parte dell’assicuratore del (OMISSIS) – dell’obbligo di gestione della lite contrattualmente assunto verso il proprio cliente.

Hanno presentato memorie entrambe le parti, insistendo nelle rispettive prospettazioni, ma dichiarando il controresistente di “rinunciare ai motivi di ricorso contro l’Avv. (OMISSIS) e la propria assicurazione”.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e’ fondato, sebbene nei limiti di seguito precisati.

6.1. In via preliminare deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso, formulata dal controresistente ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 2), 4) e 6).

Ancorche’ in termini accentuatamente sintetici, la ricorrente descrive lo svolgimento del giudizio di responsabilita’ intentato a carico del legale (e quello in cui il medesimo ebbe a svolgere la propria attivita’ professionale), individuando le parti della sentenza impugnata avverso le quali indirizza l’impugnazione proposta ed illustrando, altresi’, in modo sufficientemente intellegibile, le ragioni di censura delle stesse.

Ne’, d’altra parte, puo’ ritenersi violato l’onere di indicazione specifica di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), atteso che il ricorso – quanto, almeno, al suo primo motivo – non necessitava dell’indicazione di atti diversi da quelli relativi al presente giudizio ed a quello in cui l’Avv. (OMISSIS) ebbe a prestare la propria opera professionale in favore della (OMISSIS). Il motivo, infatti, pone una questione di puro diritto, in ordine alle condizioni per l’accertamento del nesso causale tra l’inadempimento imputato al professionista (nella specie, sotto forma di omissione di attivita’ dovuta) e il danno patito dal cliente, come risulta dalla sua stessa formulazione. Che si tratti di censura proposta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e’ reso evidente – ancor prima che dalla “rubrica” del motivo stesso, che ipotizza “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto” – dal riferimento alle previsioni di legge “in relazione all’esistenza di chances” in ordine all’accoglimento del ricorso (allora) predisposto dal legale, ma dichiarato improcedibile da questa Corte, ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 1.

Inoltre, per concludere sul punto, l’inammissibilita’ del ricorso neppure potrebbe essere affermata in ragione della mancata individuazione delle norme di diritto che si assumono violate (o falsamente applicate).

Sul punto, infatti, questa Corte intende dare continuita’ al proprio orientamento che esclude l’inammissibilita’ dell’impugnazione per il sol fatto che sia stata omessa l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate, atteso che la loro presenza nel contenuto del ricorso non costituisce requisito autonomo ed imprescindibile dello stesso, ma e’ solo funzionale a chiarirne il contenuto e a identificare i limiti della censura formulata, sicche’ la relativa omissione puo’ comportare l’inammissibilita’ della singola doglianza solo se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme e i principi di diritto asseritamente trasgrediti, precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (cosi’ Cass. Sez. 3, sent. 7 novembre 2013, n. 25044, Rv. 629102-01; in senso analogo Cass. Sez. 5, ord. 20 settembre 2017, n. 21189, Rv. 645629-01).

6.2. Cio’ posto, il ricorso principale – quanto al suo primo motivo risulta fondato.

6.2.1. Al riguardo, in via preliminare (ed in termini generali), va premesso che la censura proposta attiene all’esatta applicazione delle norme in tema di causalita’ (articoli 1223 e 1227 c.c.; articoli 40 e 41 cod. pen.), nei giudizi sulla responsabilita’ degli esercenti la professione legale.

Come ha ribadito, ancora di recente, questa Corte, allorche’ ricorra “un caso di responsabilita’ professionale per condotta omissiva”, l’esito del giudizio – nella specie, di legittimita’ – che il professionista non ha ritualmente incardinato “e’ meramente ipotetico e deve costituire oggetto di un accertamento prognostico nel quale il tema dell’evento di danno e quello del nesso di causalita’ risultano inevitabilmente connessi sul piano della causalita’ materiale (Le. della relazione etiologica condotta/evento)” (cosi’, da ultimo, in motivazione, Cassazione n. 25112/2017, Rv. 646451-01).

Si tratta, peraltro, di accertamento rispetto al quale, in sede civile, “vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “piu’ probabile che non”, a differenza che nel processo penale, ove vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio””, da tenere ferma, appunto, “anche nei casi di responsabilita’ professionale per condotta omissiva”, ove “il giudice, accertata l’omissione di un’attivita’ invece dovuta in base alle regole della professione praticata, nonche’ l’esistenza di un danno che probabilmente ne e’ la conseguenza, puo’ ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno” (cosi’, nuovamente, in motivazione, Cassazione n. 25112/2017, cit.)

Tuttavia, occorre “distinguere fra l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilita’ civile, ma nella prima ipotesi l’evento dannoso si e’ effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione; nell’altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece e’ stata omessa, non si e’ realmente verificato e non puo’ essere empiricamente accertato” (in tal senso, ancora, Cassazione n. 25112/2017, cit.).

Orbene, in caso di responsabilita’ professionale degli avvocati per omessa impugnazione, o – come nell’ipotesi che qui occupa – per scadenza del termine per il rituale deposito del ricorso per cassazione, e’ ravvisabile “la seconda delle ipotesi innanzi considerate”, poiche’ l’esito del giudizio il cui svolgimento e’ stato precluso dall’omissione del professionista “non puo’ essere accertato in via diretta, ma solo in via presuntiva e prognostica”, sicche’ “l’affermazione della responsabilita’ per colpa implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita” (cosi’, del pari,  Cassazione n. 25112/2017, cit.; in senso analogo, peraltro, gia’ Cassazione n. 2638/2013, Rv. 625017-01; Cass. Sez. 3, sent. 26 aprile 2010, n. 9917, Rv. 612727-01; Cass. Sez. 3, sent. 9 giugno 2004, n. 10966, Rv. 573480-01).

6.2.2. Siffatti criteri, tuttavia, nel caso in esame sono stati disattesi – ad onta di una “dichiarata” (ma in realta’ solo apparente) adesione ad essi – dal Tribunale di Milano.

Esso, invero, ha ritenuto che non potessero “essere condivise le asserzioni difensive” dell’allora attrice, “quanto alla sussistenza di rilevanti chances di accoglimento del ricorso” in Cassazione, dichiarato improcedibile per quello che lo stesso giudice milanese definisce “un profilo di negligenza professionale del convenuto (OMISSIS)”. Esito, questo, al quale il Tribunale meneghino e’ pervenuto in base al dirimente rilievo che la Corte di Appello di Torino nell’accogliere il gravame del (OMISSIS), teso a conseguire l’integrale accoglimento dell’opposizione ex articolo 615 c.p.c. da esso proposta, e volta a dimostrare che la (OMISSIS) “non risultava piu’ titolare del concorrente diritto all’assegno di mantenimento originariamente pattuito in favore del figlio” (essendo la sua legittimazione venuta meno, giacche’ “risultava cessato il presupposto fondante di tale diritto”, cioe’ “la coabitazione del maggiorenne con la madre”) – avrebbe reso una decisione “adeguatamente motivata”, come tale non suscettibile di essere annullata in sede di legittimita’. E cio’ in quanto, nella specie, era da ritenere che il (OMISSIS) “non avesse con il proprio comportamento integrato una modifica degli originari accordi di separazione”, da farsi valere a norma dell’articolo 710 c.p.c. (come invece ribadito dalla (OMISSIS) anche nel presente giudizio di legittimita’), “ma avesse esclusivamente modificato le modalita’ adempitive del proprio obbligo di pagamento”.

6.2.3. Si tratta, tuttavia, di affermazioni giuridicamente errate.

Difatti, come ha affermato questa Corte, l’obbligo di mantenimento dei figli, previsto in via generale dall’articolo 147 c.c., “trova la sua disciplina in caso di separazione giudiziale nell’articolo 155 c.c. ed il suo titolo nella relativa sentenza ovvero, nell’ipotesi di separazione consensuale, nel relativo verbale omologato”, restando peraltro inteso che, in entrambe le ipotesi, “viene a costituirsi un rapporto obbligatorio fra il soggetto che ha il diritto di percepire l’assegno di mantenimento peri figli e colui cui e’ stato imposto l’obbligo di versarlo, rapporto che perdura, nonostante si siano creati i presupposti per la modificazione del suo contenuto o per la sua soppressione” (nella fattispecie oggi in esame, il raggiungimento della maggiore eta’ e la cessazione della coabitazione con il genitore), “finche’ non sopraggiunga una nuova pronuncia del giudice, il cui intervento, previsto dall’articolo 155 c.c., u.c., e’ regolato processualmente dall’articolo 710 c.p.c. il quale costituisce in definitiva l’unico mezzo a disposizione di entrambe le parti per far valere i mutati presupposti” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 9 novembre 2001, n. 13872, Rv. 550122-01).

Ne consegue, pertanto, che non era certamente con l’iniziativa assunta a norma dell’articolo 615 c.p.c. che il (OMISSIS) diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, cosi’ “stimando” come destinato all’insuccesso il ricorso per cassazione predisposto proprio su tali basi dall’avv. (OMISSIS) – poteva far valere le sopravvenienze relative al suo obbligo di mantenimento. Difatti, con “l’opposizione al precetto relativo a crediti maturati per il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, determinato a favore del figlio in sede di separazione, possono proporsi soltanto questioni relative alla validita’ ed efficacia del titolo, mentre non possono dedursi fatti sopravvenuti, da farsi valere col procedimento di modifica delle condizioni della separazione di cui all’articolo 710 c.p.c.” (cosi’, oltre alla gia’ citata Cass. Sez. 1, sent. n. 13872 del 2001, anche Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2014, n. 20303, Rv. 632384-01).

6.2.4. Orbene, nel disattendere tali principi la sentenza qui impugnata e’ incorsa in un error iuris circa la portata delle norme suddette – articoli 147 e 155 c.c., nonche’ articoli 615 e 710 c.p.c. – che si e’ risolto in una falsa applicazione anche delle norme che sovraintendono all’accertamento del nesso di causalita’ tra la condotta omissiva ascrivibile al professionista (nella specie, il (OMISSIS)) ed il danno lamentato dal cliente (nel caso in esame, la (OMISSIS)).

Non ignora, per vero, questa Corte che nella giurisprudenza di legittimita’ – anzi, di questa stessa sezione – e’ stato affermato che nelle cause di responsabilita’ professionale nei confronti degli avvocati, “la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dell’azione giudiziale malamente intrapresa o proseguita, sebbene abbia contenuto tecnico-giuridico, costituisce comunque valutazione di un fatto, censurabile in sede di legittimita’ solo sotto il profilo del vizio di motivazione” (cosi’ Cass. Sez. 3, sent. 13 febbraio 2014, n. 3355, Rv. 630155-01).

Si reputa, tuttavia, di doversi discostare da tale precedente, per le ragioni di seguito illustrate.

Nel caso in esame, infatti, incontroverse tra le parti le circostanze fattuali della vicenda – in particolare, il raggiungimento medio tempore della maggiore eta’ di uno dei figli del (OMISSIS) e della (OMISSIS), nonche’ la cessazione della coabitazione dello stesso con la madre – l’accertamento demandato al Tribunale riguardava una questione di puro diritto. Ovvero, se – munitasi la (OMISSIS) di precetto per far valere i crediti relativi al mantenimento del figlio lo strumento azionabile dal (OMISSIS), per far valere le suddette sopravvenienze, o meglio la loro incidenza rispetto agli obblighi recepiti negli accordi di separazione coniugale, fosse l’opposizione ex articolo 615 c.p.c. (come ritenuto dapprima dalla Corte di Appello di Torino e, quanto al presente giudizio, dal Tribunale di Milano), o piuttosto quello di cui all’articolo 710 c.p.c. (secondo quanto ipotizzato, invece, tanto nel ricorso per cassazione predisposto, avverso la prima di tali decisioni, dall’Avv. (OMISSIS), nonche’ in quello oggi proposto per contestare la seconda di tali pronunce, ovvero quella che ha mandato indenne il professionista dall’azione di responsabilita’ esperita nei suoi riguardi).

Di conseguenza, nel presente caso, non si tratta di mettere in discussione alcuna “valutazione di fatto”, quanto piuttosto di prendere atto di un “errore di sussunzione” – in cui e’ incorso (anche) il Tribunale di Milano (come prima di esso la Corte torinese) – e che si e’ tradotto una falsa applicazione (pure) delle norme relative all’accertamento del nesso causale, nelle fattispecie di responsabilita’ degli esercenti attivita’ professionali ipotizzabili in relazione a condotte omissive (e, segnatamente, nella specie, per mancato deposito del ricorso per cassazione nel termine di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 1).

Giova, in proposito, rammentare – come di recente ribadito da questa Corte – che il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (e nei limiti in cui essa e’ ormai consentita dalla “novellazione” del testo del n. 5 del medesimo articolo sopra citato); il “discrimine tra l’una e l’altra ipotesi” essendo, peraltro, “segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (cosi’, tra le piu’ recenti, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 16 febbraio 2017, n. 4125; in senso conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03).

Resta, inoltre, inteso che il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) “comprende anche la falsa applicazione della norma, ossia il vizio di sussunzione del fatto”, il quale, oltre a consistere “nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perche’ la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non e’ idonea a regolarla” (cioe’ a dire, “esattamente assumendola nel suo contenuto astratto”, ma “con riguardo ad una fattispecie che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, perche’ priva di aderenza agli elementi della norma astratta”; cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 4 agosto 2017, n. 19485, Rv. 645496-02), puo’ pure sostanziarsi “nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione”; ferma restando, peraltro, la necessita’ “che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta cosi’ come effettuata dai giudici di merito; altrimenti si trasmoderebbe nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza di detti giudici” (Cass. Sez. Lav., sent. n. 4125 del 2017, cit.).

Ne consegue che “il discrimine tra giudizio di fatto e giudizio di diritto” riposa sulla “distinzione tra ricostruzione storica (assoggettata ad un mero giudizio di fatto) e giudizi di valore, sicche’ – sia detto in breve – ogni qual volta un giudizio apparentemente di fatto si risolva, in realta’, in un giudizio di valore, si e’ in presenza d’una interpretazione di diritto, in quanto tale attratta nella sfera d’azione della Corte Suprema” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 14 marzo 2013, n. 6501).

Orbene, nella specie, la “ricostruzione storica” sulla quale il Tribunale di Milano ha fondato la propria decisione non e’ minimamente posta in discussione, il sindacato di questa Corte investendo, esclusivamente, “le conseguenze giuridiche” che quel giudice ha inteso trarne, e destinate a risolversi – come detto – in un doppio errore di sussunzione: il primo sulla riconducibilita’ dell’iniziativa assunta dal (OMISSIS) al disposto dell’articolo 615 c.p.c.; il secondo, di riflesso, nell’applicazione delle norme sul nesso di derivazione causale tra la condotta del legale (che in quel giudizio assisteva la (OMISSIS) e che in sede di legittimita’ quel primo errore aveva dedotto) e il danno dalla stessa subito in ragione dell’omissione in cui il professionista e’ incorso.

6.2.5. Il primo motivo del ricorso principale, in conclusione, va dunque accolto, dovendo cassarsi la sentenza impugnata con rinvio, quanto alla decisione di merito, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, enunciando i seguenti principi di diritto:

“In tema di responsabilita’ professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attivita’ da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “piu’ probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalita’ fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso puo’ essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attivita’ professionale omessa”;

“Nelle cause di responsabilita’ professionale nei confronti degli avvocati, la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dell’impugnazione dichiarata inammissibile o improcedibile, allorche’ si traduca nella violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e’ censurabile in sede di legittimita’ sub specie di vizio di sussunzione delle norme che governano l’accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva del professionista e l’evento di danno lamentato dal cliente”.

6.3. Cio’ detto, i motivi secondo e terzo del vanno, invece, rigettati.

6.3.1. Attraverso di essi la ricorrente mira a porre in discussione gli apprezzamenti espressi dal Tribunale di Milano circa un supposto contributo della stessa (OMISSIS), oltre che del (nuovo) legale incaricato di discutere il ricorso dichiarato poi improcedibile da questa Corte, nella causazione del danno lamentato dall’odierna ricorrente.

Difatti, e a prescindere dal rilievo – suscettibile di decretare la loro inammissibilita’ – che essi investono aspetti che paiono inseriti ad abundantiam nella motivazione della sentenza oggi impugnata (visto che il Tribunale milanese, individuata “la ratio della decisione della Corte di Appello” di Torino – di accogliere integralmente l’opposizione proposta dal (OMISSIS) – “esclusivamente sulla idoneita’ solutoria” dei pagamenti dallo stesso effettuati direttamente in favore del figlio, dopo che lo stesso era divenuto maggiorenne e non piu’ coabitante con la madre, ritiene che tale ratio decidendi non fosse stata “in alcun modo” confutata “adeguatamente”, e cio’ tanto “in occasione della proposizione del ricorso di cui qui si discute”, quanto nel giudizio di responsabilita’ pendente innanzi ad esso), deve osservarsi che gli stessi fuoriescono dalla sfera di applicazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Essi, infatti, insistono su circostanze di fatto, sicche’, sotto l’apparenza di censurare una violazione di norme di legge, mirano, in realta’, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, “cosi’ da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (cfr. Cass. Sez. 63, ord. 4 aprile 2017, n. 8758, Rv. 643690-01).

Passando all’esame del ricorso incidentale, si rileva come anch’esso meriti accoglimento, sebbene in relazione al suo primo motivo.

7.1. Preliminarmente, peraltro, occorre valutare se il motivo di sia stato correttamente veicolato, giacche’ proposto non sub specie di “nullita’ della sentenza” (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), bensi’ come violazione dell’articolo 112 del codice di rito civile.

Al riguardo, tuttavia, va osservato che “il motivo mediante il quale venga dedotto il vizio di omessa pronuncia facendo.erroneamente riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in luogo del n. 4) della stessa disposizione, non e’ inammissibile, purche’ venga posta con univoca chiarezza la questione dell’omessa pronuncia, individuandone l’oggetto, quale specifico vizio processuale della sentenza impugnata” (da ultimo, Cass. Sez. 6-5, ord. 22 febbraio 2018, n. 4289, Rv. 647135-01; in senso analogo gia’ Cass. Sez. Un., sent. 24 luglio 2013, n. 17931, Rv. 627268-01).

Le condizioni teste’ descritte sono soddisfatte nel caso di specie, avendo il controricorrente dedotto di essersi doluto dell’omissione anche con appello incidentale, volto a far valere il vizio processuale in cui era incorso il Tribunale di Milano.

Che poi l’omissione sussista, e’ quanto emerge per tabulas dalla lettura della sentenza impugnata, che nulla ha disposto in ordine alla domanda di riconoscimento della responsabilita’ dell’assicuratore del (OMISSIS) per inadempimento dell’obbligo di gestione della lite. Al riguardo, infatti, deve rammentarsi come il “vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex articolo 112 c.p.c.”, ricorra “quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volonta’ di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (da ultimo, Cass. Sez. 6-5, ord. 27 novembre 2017, n. 28308, Rv. 646428-01).

La sentenza impugnata andra’, dunque, cassata anche sul punto, dovendo il giudice del rinvio anche provvedere in ordine a tale domanda.

7.2. Il secondo motivo di ricorso incidentale resta, invece, assorbito dall’accoglimento del primo, mentre in relazione al terzo ed al quarto deve dichiararsi – in difetto di intervento in giudizio del (OMISSIS) e del suo assicuratore – la cessazione della materia del contendere, in ragione della rinuncia agli stessi.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigettando il secondo e terzo, ed accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione nel merito, anche in relazione alle spese di lite.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.