rispetto all’azione negatoria di servitu’, costituisce domanda nuova, per diversita’ di “petitum” e di “causa petendi”, quella diretta all’accertamento dell’avvenuto aggravamento della servitu’ stessa e al ripristino della precedente situazione ai sensi dell’articolo 1067 cod. civ., con la conseguenza che tale domanda, ove venga proposta per prima volta in appello, e’ inammissibile, stante il divieto sancito dalla norma dell’articolo 345 cod. proc. civ.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 6 giugno 2018, n. 14502

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25890-2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso Io studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 440/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 11/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/04/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. (OMISSIS), quale possessore e proprietario di un fondo in (OMISSIS), riportato in catasto al foglio (OMISSIS), particolo (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Arezzo (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietarie di fondi confinanti, meglio identificati in citazione, per sentire accertare e dichiarare l’estinzione della servitu’ gravante sul suo fondo ed in favore di quelli delle convenute, a seguito del mutamento della destinazione del fondo dominante da agricolo, con annesso edificio rurale, a condominio residenziale.

Nella resistenza delle convenute, le quali deducevano che la servitu’ era finalizzata sia all’utilizzo agricolo del fondo che alla destinazione abitativa, come confermato dall’uso fattone dal loro dante causa dal 1975 sino alla fine del 2005, il Tribunale adito con la sentenza del 22/11/2012 rigettava la domanda dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale delle convenute di accertamento dell’esistenza della servitu’.

La Corte d’Appello di Firenze con la sentenza n. 440 dell’11 marzo 2014 respingeva l’appello, condannando l’appellante al rimborso delle spese del grado.

Quanto al rigetto della domanda di estinzione della servitu’ vantata dalle convenute, la Corte distrettuale ricordava che il Tribunale aveva rilevato che nel caso in cui venga meno l’utilita’ in ragione della quale e’ stata costituita la servitu’, l’estinzione della stessa presuppone il decorso del ventennio, che alla data di proposizione del giudizio non era ancora maturato, tenuto conto della data della morte del dante causa delle convenute, aggiungendo altresi’ che l’eventuale aggravio della servitu’ non determina l’estinzione del diritto.

A fronte di tale motivazione, la sentenza d’appello osservava che l’appello non aveva speso alcuna parola per confutare la ratio decidendi del Tribunale, sostenendo in maniera eccentrica che l’estinzione della servitu’ sarebbe riconducibile ad un fenomeno estintivo immediato e definitivo, conseguente al trasferimento a terzi della proprieta’ del terreno, avvenuto dopo il decesso del precedente titolare.

Ne derivava quindi che il motivo di appello era inammissibile ex articolo 342 c.p.c..

Quanto al secondo motivo di gravame, con il quale si deduceva il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di condanna delle convenute alla cessazione delle turbative e molestie in conseguenza dell’esercizio abusivo della servitu’, la Corte d’Appello riteneva che si trattasse in realta’ di una domanda nuova posto che la domanda originaria conteneva si’ la richiesta di cessazione delle condotte moleste e delle turbative, ma quale conseguenza dell’accoglimento della negatoria servitutis, laddove la richiesta di cui all’atto di appello si ricollegava alla denuncia di un aggravamento della servitu’, che costituiva evidentemente una domanda nuova rispetto a quella fondata sulla previsione di cui all’articolo 949 c.c..

Infine, disattendeva il motivo di appello concernente la condanna alle spese di lite, in quanto doveva confermarsi la valutazione di prevalente soccombenza dell’attore, nonostante la tardivita’ delle difese delle convenute, quanto alla proposizione della domanda riconvenzionale.

(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

Le intimate hanno resistito con controricorso.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1067 c.c., sostenendosi che la sentenza gravata, avendo condiviso le conclusioni del giudice di primo grado, e’ affetta dal medesimo errore giuridico commesso dal Tribunale, nella parte in cui si e’ escluso che l’aggravio della servitu’ non determini l’estinzione del diritto di servitu’.

Si deduce quindi che, a seguito del decesso dell’originario proprietario del fondo dominante, le sue eredi avevano cessato l’utilizzo agricolo del bene, con il cambiamento della sua destinazione urbanistica, mediante la creazione di numerose unita’ immobiliari ad uso civile abitazione, situazione questa che ha fatto assumere al fondo una funzione economico sociale affatto diversa, che implicava altresi’ il venir meno immediato del rapporto funzionale che originariamente sussisteva tra i due fondi e che giustificava la stessa servitu’.

Il motivo e’ inammissibile in quanto la censura non si confronta con l’effettivo tenore della decisione impugnata.

Infatti, i giudici di appello, in relazione al motivo con il quale ci si doleva della mancata dichiarazione di estinzione del diritto di servitu’, lungi dal procedere ad una disamina nel merito delle censure mosse, hanno in limine osservato che le motivazioni del Tribunale, che aveva escluso la ricorrenza di un’ipotesi di estinzione immediata del diritto di servitu’, occorrendo attendere il decorso di un ventennio dal venir meno dell’utilita’ garantita dalla servitu’, non erano state in alcun modo attinte dal motivo di appello, il che rendeva il motivo stesso inammissibile per difetto di specificita’ ex articolo 342 c.p.c..

Ne discende che il ricorrente non puo’ in questa sede limitarsi a riproporre le doglianze di merito, senza prima avere contestato la correttezza della valutazione in rito operata dalla sentenza gravata, con la conseguenza che l’omessa censura circa l’esattezza del richiamo alla previsione di cui all’articolo 342 c.p.c., determina l’inammissibilita’ del motivo in esame.

3. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in quanto i giudici di appello non avrebbero preso in considerazione le allegazioni di parte attrice circa l’avvenuto mutamento di destinazione del fondo a seguito della consistente attivita’ edificatoria posta in essere dalle convenute dopo la morte del dante causa.

Il rilievo circa l’inammissibilita’ del primo motivo di ricorso, come evidenziato al punto che precede, determina evidentemente l’assorbimento del motivo in esame, che presuppone chiaramente che fosse stata a monte censurata la valutazione di inammissibilita’ del motivo di appello con il quale si intendeva ridiscutere la ricorrenza di una causa di estinzione della servitu’ per effetto della condotta posta in essere dalle controricorrenti.

4. Il terzo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in quanto i giudici di appello avrebbero omesso di valutare la domanda attorea nella parte in cui chiedeva la condanna delle convenute a cessare le turbative e le molestie al diritto di proprieta’ dell’attore, aggiungendosi altresi’ che sarebbe erronea la qualificazione della domanda, come riproposta in appello, quale domanda nuova ex articolo 345 c.p.c..

Anche tale motivo deve essere disatteso.

Ed invero, in disparte l’inammissibilita’ della deduzione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a fronte di una sentenza di appello che risulta conforme a quella di primo grado, stante l’applicabilita’ alla fattispecie delle previsione di cui all’articolo 348 ter c.p.c. (essendo stato il giudizio di appello introdotto in data successiva al 12 settembre 2012, data di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012), va osservato che il motivo anche in questo caso non risulta avere colto l’effettivo senso della decisione gravata che, pur dando atto dell’apparente identita’ delle richieste di condanna delle convenute alla cessazione delle molestie e delle turbative, ha correttamente evidenziato, riportando anche il tenore dell’atto di citazione, che si trattava di condanna conseguenziale non piu’ all’accoglimento, come dedotto in citazione, di una negatoria servitutis, fondata cioe’ sul presupposto del venir meno del diritto di servitu’, quanto all’accertamento di un esercizio abusivo della servitu’, in quanto interessata da un aggravamento per effetto della condotta delle convenute.

In tal senso va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 2396/1986) rispetto all’azione negatoria di servitu’, costituisce domanda nuova, per diversita’ di “petitum” e di “causa petendi”, quella diretta all’accertamento dell’avvenuto aggravamento della servitu’ stessa e al ripristino della precedente situazione ai sensi dell’articolo 1067 cod. civ., con la conseguenza che tale domanda, ove venga proposta per prima volta in appello, e’ inammissibile, stante il divieto sancito dalla norma dell’articolo 345 cod. proc. civ. (in senso conforme, quanto alla differenza tra le due domande, si veda da ultimo Cass. n. 203/2017).

Ne deriva che mutando la domanda rispetto alla quale la condanna delle convenute si palesava come effetto conseguenziale, correttamente e’ stata dichiarata l’inammissibilita’ della stessa ex articolo 345 c.p.c., stante, a fronte della solo apparente identita’ del petitum, l’evidente diversita’ della causa petendi.

5. Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ed in particolare l’omesso esame dei motivi di inammissibilita’ delle prove testimoniali, come dedotti in primo grado.

Il motivo e’ inammissibile sia in ragione dell’impossibilita’ di dedurre il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in presenza di un’ipotesi di cd. doppia conforme, come appunto disposto dal citato articolo 348 ter c.p.c. (e cio’ a prescindere dal rilievo che la censura si risolve nel complesso nella sollecitazione ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, come in realta’ compiuta non gia’ dal giudice di appello, ma dal giudice di primo grado), sia in considerazione del fatto che la parte pur dolendosi della ammissione di alcuni capitoli di prova richiesti dalla controparte, in violazione del principio di specificita’ del motivo di ricorso, omette di riprodurre in ricorso il contenuto integrale delle deposizioni rese dai testi e di cui si lamenta altresi’ l’erronea valutazione.

Inoltre, il motivo appare chiaramente formulato sul presupposto della possibilita’ per la Corte di Appello di poter riesaminare nel merito le domande attoree, possibilita’ che invece e’ preclusa, per un verso dal riscontrato difetto di specificita’ del motivo di appello concernente la dedotta estinzione della servitu’, e per un altro, dall’affermata novita’ ex articolo 345 c.p.c., della richiesta di condanna delle convenute alla cessazione delle turbative e molestie, scaturenti dal preteso aggravamento della servitu’.

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimita’, che si liquidano come da dispositivo.

7. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento” da parte del ricorrente, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.