La circostanza che l’azione revocatoria riguardi una cessione di credito non ancora venuto ad esistenza relativo a contratto di appalto di opere pubbliche (possibile ai sensi dell’art. 117 D.Lgs. n. 163/2006, all’epoca vigente, norma che richiama l’applicazione della legge n. 52/1991, sulla cessione dei crediti di impresa, anche futuri e non ancora sorti) non ne determina affatto l’improponibilità. La cessione di credito futuro, e anche soltanto eventuale, rientra certamente nel novero degli “atti di disposizione dei patrimonio” contemplati dall’art. 2901 comma 1 c.c., attenendo a un rapporto giuridico di contenuto economico; sussiste in ogni caso l’interesse del fallimento a ottenere una pronuncia di inefficacia della suddetta cessione, in mancanza della quale gli sarebbe preclusa la possibilità di agire per il recupero del credito se e quando lo stesso venga ad esistenza.

Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione revocatoria ordinaria di cui all’ art 2091 cc si consiglia il seguente articolo: Azione revocatoria ordinaria

Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione surrogatoria di cui all’ art 2900 cc si consiglia il seguente articolo: Azione surrogatoria ex art 2900 cc

Corte d’Appello Campobasso, civile Sentenza 10 settembre 2018, n. 304

CORTE D’APPELLO DI CAMPOBASSO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di appello di Campobasso – collegio civile – riunita in camera di consiglio, nelle persone dei magistrati:

Maria Grazia d’ERRICO presidente

Marco Giacomo FERRUCCI consigliere relatore

Rita CAROSELLA consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di appello n. 24/2016 R.G.. avverso la sentenza n. 590/2015 pronunciata il 17.8.2015 dal Tribunale di Campobasso in composizione monocratica (proc. n. 1031/2011 R.G.), avente ad oggetto: azione revocatoria;

TRA

NU. S.p.A. (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti An.Co. e Ge.De., giusta procura in calce all’atto di appello, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. De., in Campobasso, via (…);

APPELLANTE

CONTRO

COMUNE DI GABICCE MARE (…), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. An.Be., giusta procura a margine dalla comparsa di costituzione, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Fa.Ri., in Campobasso, via (…);

APPELLATO E APPELLANTE INCIDENTALE

E

FALLIMENTO ED. S.r.l. IN LIQUIDAZIONE (…), in persona del curatore fallimentare dott. En.Di., rappresentato e difeso dall’avv. An.Ve., giusta procura a margine dalla comparsa di costituzione, elettivamente domiciliato presso (…), via (…);

APPELLATO E APPELLANTE INCIDENTALE

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Campobasso in composizione monocratica, con sentenza n. 590 del 17.8.2015, ha accolto per quanto di ragione la domanda proposta dal fallimento Ed. S.r.l. (di seguito EM) nei confronti della Ba.Ma. S.p.A. (a cui è succeduta nei rapporti giuridici in essere, a seguito di procedura di amministrazione straordinaria, la Nu. S.p.A. di seguito Nb.) e del comune di Gabicce Mare, dichiarando ai sensi dell’art. 2901 c.c. l’inefficacia nei confronti della curatela di: 1) atto di cessione del credito del 3.8.2009 per notaio Bu., rep. 2485545;

2) atto di costituzione di pegno del 13.11.2009 per notaio Ro.Ri. di Cagli rep. 27124, con spese di cancellazione a carico della Banca convenuta;

3) atto di costituzione di fideiussione del 13.11.2009 rilasciata nel contratto di mutuo fondiario per notaio Ro.Ri. di Cagli del 13.11.2009 rep. 27123; il tutto con condanna della Nm. e del comune, in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla curatela.

Il tribunale ha rigettato l’eccezione di incompetenza sollevata dal comune e disatteso la richiesta di sospensione del giudizio per pregiudizialità ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa della definizione di altro giudizio pendente dinanzi al giudice amministrativo; ha inoltre ritenuto insussistenti i presupposti per la revocatoria ex art. 67 l. f., la cui domanda era stata pure avanzata dalla curatela, ritenendo che gli atti revocandi fossero stati posti in essere al di fuori del periodo sospetto.

Ha proposto appello, con atto di citazione notificato il 14.1.2016, la Nb., formulando le conclusioni sopra riportate.

Si sono costituiti in giudizio il comune di Gabicce Mare e il fallimento (…), il primo relativamente alla pronuncia di declaratoria di inefficacia della cessione di credito del 3.8.2009, il secondo rispetto a tutti gli atti oggetto della domanda di revocatoria, formulando le conclusioni sopra riportate; gli appellati hanno anche proposto appello incidentale.

Ritenuta la causa non filtrabile, all’udienza del 22.11.2017 le parti hanno precisato le rispettive conclusioni e la decisione è stata riservata, previa concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

2. Non sono oggetto di impugnazione, sia principale che incidentale, le decisioni relative alla: competenza funzionale e/o territoriale del Tribunale di Campobasso (eccezione sollevata dal comune di Gabicce Mare in primo grado e non riproposta in appello); pregiudizialità tra il presente giudizio e quello pendente dinanzi al giudice amministrativo, avente ad oggetto la revoca della concessione; validità e perfezionamento della cessione di credito del 3.8.2009, questione decisa in via incidentale dal primo giudice e non più riproposta; insussistenza dei presupposti per la revoca degli atti oggetto di causa ai sensi dell’art. 67 l. f., in quanto compiuti al di fuori del periodo sospetto.

A tale proposito deve ritenersi che il fallimento EM. – che in primo grado aveva proposto l’azione revocatoria alternativamente ai sensi degli artt. 66 e 67 l.f. – abbia prestato acquiescenza alla decisione di accoglimento della domanda di revocatoria ordinaria, non formulando specifici motivi di appello incidentale; è quindi tardivo il richiamo, fatto nella comparsa conclusionale del fallimento, all’applicabilità dell’art. 67 l. f. con riferimento ai due atti del 13.11.2009 (costituzione di pegno e fideiussione) nell’ipotesi in cui gli stessi fossero ritenuti a titolo oneroso.

3. L’appello principale proposto dalla Nb. è affidato a due motivi.

3.1. Con il primo la decisione viene censurata per aver qualificato la costituzione di pegno del 13.11.2009 atto a titolo gratuito e per aver ritenuto sussistente in capo all’istituto di credito l’elemento soggettivo della scentia damni, richiesto dall’art. 2901 c.c.; quest’ultima articolazione del motivo proposto deve intendersi riferita non solo alla costituzione di pegno ma anche alla cessione di credito e alla fideiussione, pure oggetto di revocatoria.

Mediante l’atto del 13.11.2009 la EM. concedeva in pegno alla Nb. le quote corrispondenti all’intero capitale sociale della Società It. s.r.l. (SIPG), a garanzia delle obbligazioni assunte nei confronti della banca in relazione al mutuo fondiario di Euro 3.500.000,00 alla stessa già concesso il 29.11.2006 e alla disponibilità a concedere ulteriori finanziamenti, nella forma dell’apertura di credito in conto corrente per Euro 300.000,00 e del mutuo ipotecario per l’importo di Euro 1.150.000,00.

Il tribunale ha ritenuto che, pur non stabilendo l’art. 2901 c.c. una presunzione di gratuità con riferimento alle prestazioni di garanzia non contestuali rispetto all’assunzione dell’obbligazione (tale presunzione non potendo farsi discendere da quella speculare di onerosità per le prestazioni di garanzia contestuali, di cui al comma 2 della stessa disposizione), debba tuttavia considerarsi gratuita la prestazione di garanzia in esame in quanto rilasciata per debiti preesistenti, anche se il suo motivo concreto può essere verosimilmente individuato nella volontà di evitare la revoca dei finanziamenti o l’escussione del debitore; ciò in quanto la valutazione in ordine alla natura onerosa o gratuita dell’atto deve compiersi con riferimento alla causa, e non ai motivi, dello stesso.

Secondo la Nb. proprio la necessità di avere riguardo alla causa concreta del negozio, quindi allo scopo pratico con lo stesso perseguito, avrebbe dovuto portare a diverse conclusioni, in quanto il pegno fu concesso non solo per costituire una garanzia per il mutuo ipotecario di Euro 3.500.000,00, ma anche per tutelare l’apertura di credito di Euro 300.000,00, resa concretamente operativa nella stessa data (13.11.2009) di costituzione del pegno, e l’ulteriore mutuo ipotecario per Euro 1.150.000,00, concesso in pari data;

l’appellante principale deduce poi che la EM avrebbe tratto un indiscutibile vantaggio economico dalla costituzione del pegno, grazie al quale è riuscita a ottenere gli ulteriori finanziamenti.

Nel prendere atto che la sentenza impugnata ha comunque ritenuto sussistente l’elemento soggettivo della consapevolezza da parte della Nb. del pregiudizio arrecato ai creditori (argomentando, quindi, anche sul presupposto dell’onerosità della costituzione di pegno), il motivo va comunque preso in esame, rilevandosene l’infondatezza.

Occorre richiamare, a tale riguardo, l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità a proposito della costituzione di garanzia reale in sede di apertura di credito concessa a un cliente già debitore in forza di altro contratto (da ultimo Cass. 28.7.2017, n. 18744; in senso conforme Cass. n. 8089/2000 e n. 12740/1998), secondo cui essa deve considerarsi garanzia dell’obbligazione preesistente e non può quindi ritenersi contestuale al sorgere del credito garantito, ai fini della sua qualificazione quale atto a titolo oneroso.

La pertinenza di tale orientamento rispetto al caso in esame emerge in modo evidente considerando gli elementi di fatto della vicenda in esame: al momento della costituzione del pegno la EM. era già pesantemente indebitata nei confronti della Nb. in relazione al mutuo dell’importo di 3.500.000,00 contratto nel 2006; l’apertura di credito e il nuovo finanziamento erano quindi chiaramente finalizzati, in una situazione economico – finanziaria della EM. già compromessa nel novembre 2009, a ridurre la passività pregressa, piuttosto che ad assicurare una ulteriore disponibilità per il cliente. Ineccepibile è quindi l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui la prestazione di garanzia in favore della banca, in presenza di un’esposizione debitoria della EM., non può considerarsi contestuale e deve quindi ritenersi contratta a titolo gratuito; considerata la reale finalità del nuovo finanziamento, infatti, nessun vantaggio economico concreto è derivato alla EM. dall’operazione posta in essere.

La prova più evidente del fatto che l’ulteriore finanziamento non poteva essere utile alla prosecuzione dell’attività dell’impresa e al completamento dell’opera pubblica e, quindi, della reale causa della costituzione del pegno, si ricava dalla circostanza che all’epoca dell’atto la EM era già stata posta in liquidazione: al 30.9.2009 risale la delibera con cui l’assemblea della società aveva deciso di porla in liquidazione volontaria e il 10.11.2009, quindi tre giorni prima della concessione del pegno e della stipula della fideiussione, era stato deliberato lo scioglimento anticipato della stessa società.

Il rilievo della gratuità dell’atto di costituzione del pegno non esclude la necessità di esaminare la parte del primo motivo di appello relativo alla consapevolezza in capo alla Nb. del pregiudizio arrecato ai creditori, dal momento che gli altri due atti dichiarati inefficaci (la cessione di credito del 3.8.2009 e la fideiussione del 13.11.2009) sono stati qualificati nella sentenza impugnata atti a titolo oneroso.

Il primo giudice ha argomentato in termini condivisibili – anche con riferimento al pegno del 13.11.2009 “per ragioni di mera completezza” – richiamando, quali elementi indicativi di tale elemento soggettivo, la presenza a carico della EM., già alla data del primo atto (cessione di credito), di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, la notevole perdita di esercizio risultante dal bilancio al 31.12.2008 e la natura di operatore economico qualificato della banca.

Le considerazioni del primo giudice sono corrette, in quanto frutto dell’applicazione di principi costantemente affermati nella giurisprudenza della Suprema Corte, in particolare quello per cui la prova della scientia damni (o, nel caso di revocatoria ex art. 67 l. f., della scientia decoctionis) può trarsi anche esclusivamente da presunzioni, utilizzando il parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza e con valutazione da fondarsi anche sulla condizione professionale dell’accipiens e sul contesto nel quale gli atti solutori sono stati compiuti (da ultimo Cass. 8.2.2018, n. 3081).

Gli elementi di fatto su cui la sentenza impugnata fonda la valutazione di sussistenza della scientia damni sono indubbiamente dotati di notevole forza probatoria; oltre al dato relativo ai protesti di assegni levati prima del 3.8.2009 per un ammontare di circa Euro 400.000,00, assume particolare rilievo l’esposizione debitoria della EM. risultante dal bilancio di esercizio al 31.12.2008, per un ammontare di Euro 13.314.274,00, di cui Euro 7.859.000,00 per debiti verso banche.

Dell’esistenza di tali debiti, di consistenza tale da portare addirittura a desumere l’insolvenza della EM. (ma la scientia decoctionis non è richiesta nel caso in esame, vertendosi in tema di revocatoria ordinaria) e tutti preesistenti agli atti oggetto di revocatoria, la banca era certamente a conoscenza, avendo provveduto ad istruire, per mezzo dei funzionari preposti, le pratiche relative ai finanziamenti e alle aperture di credito concesse; tale istruttoria ha avuto certamente ad oggetto, come normalmente accade prima della concessione di qualsiasi finanziamento (a maggior ragione per quelli di consistente ammontare) la valutazione della solidità economica e finanziaria del cliente che, trattandosi di imprenditore commerciale; ha necessariamente comportato la consultazione dei bilanci e dell’elenco dei protesti.

Si tratta di valutazioni ordinariamente compiute dagli istituti di credito, il cui effettivo verificarsi non deve, quindi, essere specificamente provato.

Lo stato soggettivo rilevante della Nb. riguarda esclusivamente il pregiudizio ai creditori e non lo stato di insolvenza, ragion per cui il giudizio del tribunale non si risolve in una presumptio de presumpto; il fatto certo – o comunque altamente probabile in relazione alla qualifica soggettiva della Nb. – della conoscenza dei bilanci e della complessiva esposizione debitoria della EM. non viene posto a base di un giudizio logico deduttivo per dedurne la prova della conoscenza dello stato di insolvenza, essendo di per sé prova diretta della conoscenza del (semplice) pregiudizio arrecato ai creditori.

Priva di consistenza è, poi, l’ulteriore articolazione del primo motivo di appello con cui si evidenzia che i finanziamenti concessi dalla Nb. alla EM. trovavano la loro garanzia nella redditività attesa del progetto piuttosto che nella consistenza patrimoniale del debitore.

L’affidamento soggettivo in ordine agli elementi di fatto da cui l’istituto di credito poteva trarre la garanzia di redditività del progetto è cosa diversa dalla consapevolezza dell’incidenza degli atti compiuti sulla possibilità per gli altri creditori di soddisfare le proprie ragioni; senza considerare che la Nb. non si è accontentata della previsione di redditività del progetto se ha ritenuto di farsi rilasciare garanzie e di farsi cedere un credito.

Proprio perché oggetto dell’elemento psicologico rilevante ex art. 2901 c.c. è il generico pregiudizio ai creditori e non l’insolvenza dell’imprenditore (di qui anche la non pertinenza della giurisprudenza richiamata nell’atto di appello a proposito della scientia decoctionis), la conoscenza dell’esistenza di debiti anteriori (ulteriori rispetto a quello nei confronti della banca) rispetto al compimento degli atti oggetto di revocatoria – quale deve senza dubbio riconoscersi in capo alla Nb. per aver istruito le pratiche dei finanziamenti – e della situazione economico patrimoniale del debitore risultante dai bilanci, tale da rivelare inequivocabilmente l’insufficienza del patrimonio a garantire la soddisfazione delle obbligazioni contratte (decisivo in tal senso appare il disavanzo risultante dal bilancio di esercizio al 2008), rendeva edotto l’istituto di credito delle conseguenze negative per il ceto creditorio degli atti compiuti.

3.2. Con il secondo motivo, strettamente collegato al primo, la Nb. deduce l’insussistenza dell’eventus damni, sostenendo che il primo giudice non avrebbe motivato al riguardo.

Nel premettere che la sentenza impugnata argomenta in ordine al pregiudizio per i creditori con riferimento alla cessione di credito e richiama la relativa motivazione a proposito degli altri due atti impugnati, il motivo è infondato.

Gli elementi che l’appellante, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, ritiene necessari per l’integrazione del suddetto requisito (consistenza del credito vantato dai creditori nei confronti del fallito; preesistenza della ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto) sono tutti incontestabilmente dimostrati sulla base della documentazione prodotta dal fallimento.

Quanto alla situazione debitoria della EM. in epoca anteriore al fallimento del 5.10.2010, senza considerare le trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli e i protesti, è sufficiente richiamare la relazione asseverata del 5.5.2010 a firma del dott. Ia., professionista incaricato dal liquidatore della EM. per l’accesso alla procedura di concordato preventivo, che fotografa la situazione al 20.4.2010, con debiti verso banche per Euro 4.285.228,00, debiti tributari non iscritti a ruolo per e 558.482,00, debiti verso istituti previdenziali non iscritti a ruolo per Euro 692.343,00, debiti verso Eq., tributari e previdenziali per Euro 1.773.888,00, debiti verso fornitori per Euro 1.775.815,00, debiti per anticipi da clienti per Euro 100.455,00.

Tale consistente esposizione debitoria era senza dubbio preesistente al compimento degli atti oggetto di revocatoria, a partire dalla cessione di credito del 3.8.2009, come si ricava con chiarezza dal bilancio della EM. al 31.12.2008, da cui risultano debiti per più di tredici milioni di Euro, di cui circa otto milioni per esposizioni verso banche; si tratta di una situazione finanziaria che era qualificabile in termini di grave dissesto, come riconosciuto nella relazione del collegio sindacale datata 13.4.2009, che rilevava la paralisi della gestione già conclamata alla fine del 2008 ed evidenziata nel corso delle assemblee dei soci del 27.10 e del 9.12.2008, quando già veniva proposta la messa in liquidazione della società e la prosecuzione della gestione al solo scopo di preservare l’integrità e il valore del capitale sociale.

Con altrettanta chiarezza risulta la modifica in peius del patrimonio del debitore in conseguenza del compimento degli atti impugnati.

I due atti dispositivi del 13.11.2009 (costituzione di pegno e fideiussione) sono stati posti in essere dopo la delibera assembleare del 30.9.2009, con cui venne decisa la messa in liquidazione volontaria della EM, e di quella del 10.11.2009, di scioglimento anticipato della società.

Come correttamente evidenziato dal fallimento, quindi, già a partire dal 30.9.2009 gli unici atti di gestione possibili per l’amministratore unico della EM, in attesa dell’insediamento del liquidatore nominato, erano quelli intesi alla conservazione del patrimonio sociale (v. art. 2486 comma 1 c.c.).

Ma lo stesso discorso deve farsi anche per la cessione di credito del 3.8.2009, che precede di poco la delibera di messa in liquidazione della società, in quanto a quella data era già chiara la mancanza di serie prospettive di ripresa e, quindi, l’impossibilità di ripianare la pesante esposizione debitoria mediante i ricavi della normale attività di impresa; prova ne è la circostanza che nel verbale assembleare del 30.9.2009, nel predisporre il piano di liquidazione – che prevedeva, tra l’altro, la cessione del contratto di appalto in essere relativamente al completamento del cantiere di Gabicce Mare, unitamente al relativo ramo di azienda – si richiamava espressamente quanto emerso nella precedente assemblea del 29.6.2009, quando l’impossibilità di proseguire l’attività era già conclamata.

4. L’appello incidentale proposto dal comune di Gabicce Mare, indirizzato al capo della sentenza impugnata concernente l’atto di cessione del credito del 3.8.2009, nel quale l’ente locale è debitore ceduto, si articola in quattro motivi.

4.1. Con il primo motivo il comune, riproponendo un’eccezione sollevata in primo grado e non delibata, deduce l’improponibilità dell’azione revocatoria in quanto l’atto di cessione sarebbe relativo a un credito non esistente. L’appellante incidentale, premesso che il credito ceduto, pari a Euro 300.000,00, costituisce una parte di quello maggiore di Euro 813.446,42 (corrispettivo che il comune si era obbligato a pagare alla concessionaria per i maggiori costi di realizzazione dell’opera pubblica, di cui all’appendice alla convenzione), deduce che l’obbligazione in esame non sarebbe mai venuta ad esistenza, in forza del principio della postnumerazione, secondo cui l’obbligazione del committente di pagare il corrispettivo sorge soltanto con l’accettazione dell’opera ex art. 1665 c.c., principio operante anche nel settore dei lavori pubblici, in cui è richiesto il collaudo positivo dell’opera, ex artt. 141 D.Lgs. n. 163/2006 e 187 ss. D.P.R. n. 554/1999 (oggi artt. 215 e ss. D.P.R. n. 207/2010).

Le argomentazioni dell’appellante incidentale, fondate sulla natura di “credito futuro con effetti meramente obbligatori” del credito dell’appaltatore al corrispettivo prima del collaudo dell’opera (comparsa di risposta), si sono in seguito articolate nella deduzione per cui si tratterebbe di un “credito mai venuto ad esistenza” (comparsa conclusionale). L’assunto è infondato.

Va premesso che nell’atto di cessione del 3.8.2009 è specificata la natura del credito ceduto, relativo all'”esecuzione di maggiori opere rispetto ai progetto esecutivo iniziate dei parcheggio di via XXV aprite che si sono rese necessarie per L’attuazione dei piano porticoLareggiato e, specificamente, per La predisposizione detta struttura utile alla reatizzazione edificativa superiore alla stessa”; non trova quindi riscontro, nel suddetto e negli altri documenti prodotti in giudizio, la tesi sostenuta dal fallimento, secondo cui il credito in questione riguarderebbe il corrispettivo per soli “oneri di progettazione”.

La questione dell’esistenza, liquidità ed esigibilità del credito ceduto verrà affrontata nell’esaminare l’appello incidentale proposto dal fallimento EM. (punto 5.1.).

In questa sede è sufficiente osservare che la circostanza che l’azione revocatoria riguardi una cessione di credito non ancora venuto ad esistenza relativo a contratto di appalto di opere pubbliche (possibile ai sensi dell’art. 117 D.Lgs. n. 163/2006, all’epoca vigente, norma che richiama l’applicazione della legge n. 52/1991, sulla cessione dei crediti di impresa, anche futuri e non ancora sorti) non ne determina affatto l’improponibilità.

La cessione di credito futuro, e anche soltanto eventuale, rientra certamente nel novero degli “atti di disposizione dei patrimonio” contemplati dall’art. 2901 comma 1 c.c., attenendo a un rapporto giuridico di contenuto economico; sussiste in ogni caso l’interesse del fallimento a ottenere una pronuncia di inefficacia della suddetta cessione, in mancanza della quale gli sarebbe preclusa la possibilità di agire per il recupero del credito se e quando lo stesso venga ad esistenza.

4.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione in ordine all’eventus damni e si deduce l’insussistenza in concreto del suddetto presupposto.

Le argomentazioni svolte sono largamente sovrapponibili a quelle sviluppate dall’appellante principale, ragion per cui è sufficiente richiamare il punto

3.2. della presente motivazione, ribadendosi che dalla documentazione prodotta emerge la prova dell’esistenza, in epoca anteriore al compimento dell’atto, di una pluralità di creditori della EM., diversi e ulteriori rispetto alla Nb., e di una situazione di conclamata impossibilità di prosecuzione dell’attività di impresa della EM già dal 29.6.2009, data in cui l’assemblea dei soci aveva preso atto di tale condizione di crisi ormai irreversibile.

4.3. Con il terzo motivo il comune, preso atto che l’atto di cessione del credito oggetto di causa è stato qualificato come atto a titolo oneroso, ritiene erronea la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente in capo all’ente locale il presupposto soggettivo della scientia damni.

Sostiene l’appellante incidentale che il tribunale, affermando che tutti i soggetti coinvolti nel project financing finalizzato alla realizzazione dell’opera pubblica erano a conoscenza della situazione di grave crisi finanziaria in cui versava la EM. sin dal 2009, avrebbe sovrapposto e confuso i concetti di scientia damni e scientia decoctionis.

L’argomentazione è fondata ma non comporta l’accoglimento del motivo di appello, rendendo tuttavia necessario correggere la motivazione sul punto.

È vero, infatti, che l’azione revocatoria ordinaria postula la consapevolezza, in capo al terzo contraente (in questo caso il comune di Gabicce Mare, debitore ceduto), dell’evento dannoso, da intendersi quale “conoscenza generica dei pregiudizio che L’atto di disposizione posto in essere dai debitore, diminuendo La garanzia patrimoniale, può arrecare alle ragioni dei creditori” (Cass. 15.2.2001, n. 3676), non già la conoscenza dello stato di insolvenza del contraente che compie l’atto di disposizione patrimoniale.

E tuttavia proprio l’elemento valorizzato dalla sentenza impugnata – la relazione del 11.10.2010 inviata ai carabinieri, a firma del responsabile unico del procedimento del comune di Gabicce Mare – dimostra in modo inequivocabile che l’ente locale era a conoscenza di tutte le vicende relative all’esecuzione del project financing e, quindi, anche dell’esistenza di un consistente indebitamento della EM., in conseguenza della stipula in data 29.11.2006 di un mutuo per Euro 3.500.000,00, nel quale il comune era intervenuto come terzo datore di ipoteca; era altresì a conoscenza del fatto che nel 2008 erano state erogate alla EM. rate di mutuo per complessivi Euro 3.271.566,75 e dalla insufficienza di tale liquidità a consentire il pagamento delle ditte esecutrici dei lavori, così da rendere necessaria una cessione di credito in favore della ditta Ed. S.r.l., che precede di qualche mese la cessione di credito alla Nb.

È quindi vero che la relazione dell’ll.10.2010 – o meglio lo svolgimento della vicenda in essa riportato – non prova la scientia decoctionis ma è altrettanto evidente che da essa è possibile trarre elementi univocamente indicativi della sussistenza della scientia damni in capo al comune.

Il fatto che l’ente locale sia intervenuto come terzo datore di ipoteca all’atto della stipula del mutuo consente di riportare la conoscenza della situazione debitoria della EM. a epoca anteriore alla cessione di credito di cui si discute; è quindi da escludere che la relazione dell’ll.10.2010 si limiti a indicare la situazione soggettiva del comune a quella data.

La necessità di ricorrere alla cessione del credito vantato nei confronti del comune (non solo quella oggetto della presente azione revocatoria, ma anche quella in favore della Ed.) rivelava in termini inequivoci l’insufficienza del patrimonio a garantire la soddisfazione delle obbligazioni contratte e quindi consentiva all’ente locale di percepire chiaramente le conseguenze negative della cessione per il ceto creditorio.

Il valore probatorio univoco delle circostanze di fatto indicate rende privi di consistenza gli elementi indicati dall’appellante incidentale per dedurne l’insussistenza della scientia damni.

In particolare la nota n. 19054 del 12.11.2009, in cui viene manifestata la (erronea) convinzione che titolare del credito ceduto sia la società di progetto SIPG e non la EM., non appare risolutiva, dal momento che nell’atto di cessione la EM. è chiaramente indicata, sia pure solidalmente con la SIPG, quale titolare del credito; si tratta di un documento successivo di tre mesi rispetto alla cessione, che non può avere alcuna influenza sulla decisione precedentemente presa (v. nota del comune del 17.11.2008) di autorizzare la cessione da parte della EM.

5. Il fallimento EM. propone appello incidentale affidato a tre motivi.

5.1. I primi due (riportati ai punti 3 e 4 della comparsa di risposta), che per la loro stretta connessione possono esaminarsi congiuntamente, riguardano la decisione di rigetto, esplicitata nella motivazione e non riportata nel dispositivo, della domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 300.000,00, quale conseguenza della dichiarazione di inefficacia della cessione di credito del 3.8.2009, domanda che in primo grado il fallimento EM. ha proposto in via alternativa nei confronti della Nb. o del comune di Gabicce Mare (nelle due ipotesi in cui il comune avesse o meno pagato la somma oggetto della cessione di credito) e che nel presente grado ha riproposto unicamente nei confronti del comune.

Il tribunale ha rigettato la domanda affermando che: 1) dagli atti del processo non emerge se la somma suddetta sia stata corrisposta dal comune alla banca; 2) la somma non è comunque esigibile, in quanto, “trattandosi di un corrispettivo per L’esecuzione dei maggiori costi previsti dall’art. 7 dell’appendice della convenzione stipulata tra le parti, non emerge dagli atti depositati se tali lavorazioni aggiuntive siano state effettivamente eseguite e, in caso affermativo, in che misura, mancando qualsivoglia documento contabile oppure di certificazione o attestazione dello stato di avanzamento Lavori o, in alternativa, di intervenuto collaudo delle opere”.

Contrariamente a quanto ritenuto dal comune, l’appello incidentale del fallimento riguarda entrambe le ragioni su cui si fonda la decisione; da un lato si deduce (punto 4 della comparsa di risposta) che il comune detiene la somma di Euro 300.000,00, come si desume dalla circostanza che nel costituirsi in giudizio non ha dichiarato di averla versata alla Nb. (la quale ultima, a sua volta, non ha dedotto di aver ricevuto il pagamento); dall’altro si afferma (punto 3) che il nulla osta preventivo dato dal comune alla cessione del credito, con nota del 17.11.2008 (così come l’analogo nulla osta relativo ad altra cessione di credito in favore della Ed.), porta a ritenere “per logica e buon senso” la non necessità del collaudo dell’opera, anche in relazione al fatto che il credito di Euro 813.446,42 inerisce esclusivamente a “maggiori oneri di progettazione”, che per loro natura non richiedono collaudo.

Entrambe le argomentazioni difensive del fallimento sono fondate.

Tutte le difese svolte dal comune presuppongono il mancato pagamento alla Nb. del credito oggetto di cessione: non si giustificherebbe altrimenti

l’eccezione di inadempimento sollevata dal comune nell’ipotesi in cui il credito fosse ritenuto liquido ed esigibile.

È quindi vero che il comune ancora detiene la somma di Euro 300.000,00.

È fondata anche la censura rivolta all’altra delle due rationes decidendi, secondo cui il credito suddetto non sarebbe esigibile.

Va ulteriormente ribadito che l’affermazione del fallimento, secondo cui il credito ceduto sarebbe parte del corrispettivo per oneri di progettazione aggiuntivi, non trova riscontro negli atti: l’art. 7 dell’appendice alla convenzione fa riferimento ai “maggiori costi che la società concessionaria dovrà sostenere nella realizzazione del parcheggio con la previsione di una eventuale attuazione del piano particolareggiato”, precisando che si tratta di “maggiori costi di realizzazione dovuti all’aumento dei carichi ed alle disposizioni degli edifici direzionali, commerciali e privati”.

I costi per la predisposizione di un progetto per la sopraelevazione, previsti all’art. 6 della stessa appendice, costituiscono, quindi, solo una delle componenti delle attività del concessionario per le quali è stato previsto il corrispettivo aggiuntivo.

Anche gli altri documenti prodotti dalle parti escludono la riferibilità del credito ai soli oneri di progettazione aggiuntiva; in particolare nell’atto di cessione il credito ceduto viene chiaramente descritto come corrispettivo per la realizzazione delle opere edilizie rese necessarie dall’approvazione del piano particolareggiato.

E tuttavia una valutazione complessiva del materiale probatorio prodotto induce a ritenere che il credito della EM a titolo di corrispettivo per le opere ulteriori rese necessarie per l’attuazione del piano particolareggiato fosse liquido già al momento della cessione del credito ed esigibile a partire dal 24.1.2010.

A tale conclusione deve giungersi considerando il tenore letterale del menzionato art. 7 dell’appendice, dal quale risulta che l’impegno del comune di pagare il suddetto corrispettivo veniva assunto “entro 24 mesi dalla data di approvazione definitiva del piano particolareggiato”, quindi dal 24.1.2008 (data indicata nell’atto di cessione), con previsione svincolata dal collaudo delle opere.

Uguale indicazione di termini è contenuta nella cessione di altra parte dello stesso credito in favore della Ed.

La circostanza che il pagamento delle opere aggiuntive fosse previsto in deroga alle disposizioni relative al collaudo (previsto in termini generali dall’art. 8 della convenzione principale), trova conferma definitiva nella determinazione del responsabile del III settore del 22.11.2011, avente ad oggetto la revoca della concessione alla EM (documento presente nel fascicolo di primo grado del comune di Gabicce Mare), nella cui motivazione è espressamente riconosciuto che l’obbligo di pagare la somma di Euro 813.466,42 previsto dall’art. 7 dell’appendice alla convenzione era “in corso d’opera” (è utile riportare il testo integrale del punto della motivazione che qui interessa: “considerato che ai sensi dell’art. 7 dell’appendice alla convenzione stipulata in data 6.9.2907 è stato previsto il rimborso alla società concessionaria dell’importo complessivo di Euro 813.466,42 per maggiori costi di realizzazione dell’opera e che pertanto il comune. nell’ambito della complessiva vicenda del project financing, si è impegnato a versare un prezzo in corso d’opera”).

Nella stessa direzione è quanto affermato nella relazione di stima a firma dello stesso responsabile del III settore prot. 20930 del 16.11.2011, documento pure prodotto dal comune e sulla cui base è stata adottata la determina di revoca della concessione, in cui delle opere aggiuntive viene quantificata nel 94,66% (pag. 12); si tratta quindi di lavori che il comune riconosce essere stati quasi completamente eseguiti dal concessionario, per un valore, quantificato nella stessa relazione di stima, pari a Euro 770.027,31 ( Euro 813.466,42 x 0,9466), somma di gran lunga superiore all’importo oggetto di cessione.

Dalla analitica descrizione delle opere aggiuntive oggetto dell’appendice contenuta nella suddetta relazione di stima emerge, altresì, la loro natura prodromica alla realizzazione dell’opera oggetto del project financing: senza le opere aggiuntive non era possibile costruire il parcheggio e quindi esse dovevano necessariamente precedere i lavori oggetto della convenzione principale.

Ciò spiega perché le opere aggiuntive siano state realizzate quasi completamente e giustifica sul piano logico la previsione di un loro pagamento anticipato rispetto a quelle previste in base al progetto originario.

Gli elementi evidenziati portano a ritenere, quindi, che l’obbligazione di pagamento dei lavori aggiuntivi di cui all’appendice alla convenzione sia stata assunta dall’ente locale a titolo di acconto sui lavori complessivamente oggetto della convenzione, ipotesi per la quale lo stesso comune appellato riconosce essere possibile convenire il pagamento anticipato rispetto al collaudo, che in tal caso non costituisce fatto generatore del credito.

È infondata l’eccezione di inadempimento che il comune di Gabicce Mare ripropone, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 346 c.p.c., nel presente grado di giudizio nell’ipotesi di ritenuta fondatezza della domanda di pagamento del credito oggetto di cessione.

L’ente locale evidenzia che: 1) con determinazione dirigenziale n. 294 del 26.11.2011 è stata disposta la decadenza dal contratto della società concessionaria, anche per l’inadempimento di questa, essendo il cantiere fermo da tempo ed essendo emerse gravi inadempienze nella realizzazione delle opere; 2) è circostanza pacifica e incontestata che l’opera sia rimasta incompiuta e non sia stata collaudata; 3) dell’inadempimento risponde la EM., in quanto socia unica della società di progetto SIPG e tenuta a garantire l’adempimento degli obblighi ex art. 156 comma 3 d. lgs. n. 163/2006, 4) il giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnativa della determinazione n. 294 si è concluso con pronuncia del Consiglio di Stato, prodotta nel corso del presente grado di giudizio, con la quale è stata confermata la decisione di rigetto del TAR Marche e, quindi, definitivamente accertato l’inadempimento della concessionaria.

Anche ammettendo che la vicenda amministrativa riguardante il rapporto di concessione e la relativa decisione assunta in sede giurisdizionale abbiano effetti nei confronti del fallimento per ciò che attiene l’accertamento di una condotta inadempiente da parte della EM, ed anche escludendo l’applicazione dell’art. 81 l. f. (che prevede lo scioglimento del contratto con effetto ex nunc in caso di fallimento dell’appaltatore), quanto accertato in sede giurisdizionale amministrativa non è decisivo per fondare il diritto del comune di Gabicce Mare a rifiutare il pagamento del credito oggetto della cessione dichiarata inefficace.

È stato lo stesso comune a quantificare in Euro 770.027,31 il costo delle opere aggiuntive realizzate (pari al 94,66% di quelle previste nell’appendice alla convenzione), indicando nello stesso importo “L’indennizzo teoricamente riconoscibile”, subordinato all’unica verifica concernente le “caratteristiche dei materiali impiegati”.

Del resto l’art. 158 comma 1 d. lgs. n. 163/2006 prevede che in caso di revoca della concessione per motivi di interesse pubblico (come avvenuto nel caso di specie: sul punto la motivazione della sentenza del Consiglio di Stato prodotta) sono rimborsati al concessionario “il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario”; ed è appunto con riferimento ai costi sostenuti che la relazione di stima quantifica l’indennizzo dovuto al concessionario.

Nella sentenza del Consiglio di Stato si afferma, poi, che l’ente locale non esclude che residui un debito nei confronti della EM. e della SIPG per le opere realizzate, rilevando tuttavia che allo stato esso non risulta quantificato (probabilmente perché nel giudizio amministrativo non è stata prodotta la relazione di stima).

Se ne deve necessariamente trarre la conseguenza dell’esistenza del credito a titolo di corrispettivo per le opere aggiuntive previste nell’appendice alla convenzione anche in ipotesi di sussistenza degli inadempimenti eccepiti dal comune, tra i quali non vi è la difformità dei materiali, unica verifica a cui la relazione di stima prot. 20930 del 16.11.2011 subordinava il riconoscimento dell’indennizzo già in quella sede quantificato.

All’accoglimento del motivo di appello consegue la condanna del comune di Gabicce Mare al pagamento della somma di Euro 300.000,00, senza maggiorazione di interessi, la cui domanda, formulata in primo grado, non è stata riproposta in appello.

5.2. Con il terzo motivo il fallimento EM fa valere la violazione di legge nella liquidazione delle spese di giudizio, dolendosi del fatto che il tribunale non abbia esplicitato il criterio seguito per liquidare la somma omnicomprensiva di Euro 9.630,00, senza distinzione tra le diverse fasi di giudizio, e che il suddetto importo sia stato posto a carico dei soccombenti in solido, anziché per ognuno di essi, stante la loro distinta posizione processuale.

Il fallimento aveva chiesto la liquidazione ai sensi del DM n. 140/2012, quantificando i compensi in Euro 25.664,40, di cui Euro 1.249,00 per esborsi (v. memoria di replica in primo grado).

Il motivo è in parte fondato.

Quanto agli esborsi, liquidati in Euro 370,00, diretta un motivo specifico di censura.

In ordine ai compensi l’appellante incidentale evidenzia la mancata indicazione dell’importo liquidato per ciascuna fase e deduce la violazione dei parametri di legge.

Premesso che il giudice non ha l’obbligo di imputare l’importo liquidato a ciascuna delle fasi processuali, la liquidazione della somma di Euro 9.630,00 non è conforme ai parametri previsti dal DM n. 55/2014 per le cause di valore superiore a Euro 520.000,00, i cui minimi sono Euro 2.124,00 per fase di studio, Euro 1.448.00 per fase introduttiva, Euro 9.023,00 per la fase istruttoria ed Euro 3.816.00 per fase decisionale, per un totale di Euro 16.481,00.

È necessario pertanto procedere a una nuova liquidazione tra i minimi e i massimi della tariffa (Cass. 6.3.1999, n. 1939), che, tenuto conto del valore della causa, dell’importanza, natura e difficoltà dell’affare e dei risultati conseguiti, può determinarsi in Euro 19.500,00, di cui Euro 3.000,00 per fase di studio, Euro 2.000,00 per fase introduttiva, Euro 9.500,00 per fase di trattazione ed Euro 5.000,00 per fase decisionale.

In alcun modo il fallimento argomenta il motivo per cui il giudice di primo grado avrebbe dovuto liquidare un importo aggiuntivo per la complessità della causa, che pertanto non può essere riconosciuto.

Non può essere modificata, neppure in parte, la decisione di porre a carico della Nb. e del comune di Gabicce Mare le spese del giudizio di primo grado, mancando una censura sul punto da parte dei destinatari della condanna; pertanto non può essere valutata la congruità dell’entità della liquidazione fatta in primo grado rispetto alla soccombenza reciproca che, secondo il comune, si sarebbe verificata in primo grado, essendo state rigettate alcune delle domande proposte dal fallimento.

È infondata la censura riguardante la parte del capo della sentenza impugnata con cui le spese liquidate vengono poste a carico dei soccombenti in solido.

Nel caso di pluralità di soccombenti l’art. 97 c.p.c. prevede la condanna di ciascuna di esse alle spese “in proporzione dei rispettivo interesse nella causa”, consentendo anche la condanna solidale quando le parti hanno un “interesse comune”.

La norma non prevede, quindi, una liquidazione autonoma delle spese a carico di ciascuno dei soccombenti, ma consente una ripartizione delle spese sostenute dalla parte vittoriosa, liquidate una sola volta, in proporzione all’interesse di ciascuna delle parti.

Il giudice di primo grado avrebbe potuto, al limite, ripartire la somma liquidata tra i soccombenti anziché porla a carico degli stessi in solido; ma non è una diversa ripartizione che il fallimento chiede, bensì una doppia liquidazione a carico di ciascuno dei soccombenti, che la disposizione richiamata non consente; di qui l’evidente infondatezza del motivo.

In ogni caso non appare illegittima la decisione di porre le spese giudiziali a carico dei soccombenti in solido, in quanto l'”interesse comune” a cui l’art. 97 c.p.c. è da riferirsi non solo alle ipotesi di parti di un rapporto sostanziale indivisibile e solidale ma anche a quelle di “mera convergenza di atteggiamenti difensivi rispetto alte questioni dibattute in causa” (Cass. 20.4.2018, n. 9876; Cass. S.U. n. 1536/1987), che non può escludersi nella specie, in cui le difese della Nm. e del comune di Gabicce Mare sui presupposti della revocatoria sono sostanzialmente sovrapponibili.

6. Considerata la soccombenza della Nm. e del comune di Gabicce Mare, gli stessi vanno condannati al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, secondo la regolamentazione di cui al dispositivo, in base ai parametri di cui al D.M. 55/14 in relazione alle cause di valore superiore a Euro 520.001,00, tenuto conto dell’attività espletata e della complessità del processo, in cui sono state affrontate plurime questioni.

Ai sensi dell’art. 97 c.p.c. l’onere delle spese così liquidate va ripartito nella misura di due terzi a carico della Nb. e di un terzo a carico del comune di Gabicce Mare, in considerazione del fatto che le domande proposte nei confronti dei soccombenti sono di valore notevolmente diverso (l’istituto di credito è interessato alla domanda di revocatoria di tre atti, il comune di uno solo).

Ricorrono infine i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1-quater dpr n. 115/2002, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente, da porre a carico di Nm. e del comune di Gabicce Mare.

P.Q.M.

la Corte di appello di Campobasso – collegio civile,

pronunciando definitivamente sull’appello avverso la sentenza pronunciata il 17.8.2015 dal Tribunale di Campobasso in composizione monocratica, proposto da Nu. S.p.A. con citazione notificata il 14.1.2016, nei confronti del fallimento Ed. S.r.l. in liquidazione, nonché sugli appelli incidentali proposti dal fallimento e dal comune di Gabicce Mare, così provvede:

1) rigetta l’appello principale proposto da Nu. S.p.A.;

2) rigetta l’appello incidentale proposto dal comune di Gabicce Mare;

3) accoglie per quanto di ragione l’appello incidentale proposto dal fallimento Ed. S.r.l. in liquidazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata:

– condanna il comune di Gabicce Mare al pagamento, in favore del fallimento, della somma di Euro 300.000,00;

– ridetermina l’importo liquidato in primo grado a titolo di compensi giudiziali in Euro 19.500,00, ferma restando la liquidazione degli esborsi e degli accessori;

4) condanna la Nu. S.p.A. e il Comune di Gabicce Mare a rimborsare al fallimento Ed. s.r.l. in liquidazione le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi di avvocato, di cui Euro 5.400,00 per fase di studio, Euro 3.200,00 per fase introduttiva ed Euro 9.400,00 per fase decisionale, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e Cpa come per legge; dispone che l’importo come sopra liquidato sia posto a carico della Nu. S.p.A. nella misura di due terzi e del comune di Gabicce Mare nella misura di un terzo;

5) dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/2002, ai fini del raddoppio del contributo unificato a carico di Nu. S.p.A. e del comune di Gabicce Mare.

Così deciso in Campobasso l’11 luglio 2018.

Depositata in Cancelleria il 10 settembre 2018.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.