ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, è sufficiente, come per il disponente, la consapevolezza della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, né occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l’azione, invece richiesta qualora quest’ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito.

Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione revocatoria ordinaria di cui all’ art 2091 cc si consiglia il seguente articolo: Azione revocatoria ordinaria

Per ulteriori approfondimenti in merito all’ azione surrogatoria di cui all’ art 2900 cc si consiglia il seguente articolo: Azione surrogatoria ex art 2900 cc

Corte d’Appello|Milano|Sezione 4|Civile|Sentenza|7 febbraio 2020| n. 427

Data udienza 15 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

SEZIONE QUARTA CIVILE

nelle persone dei seguenti magistrati:

dr. Maria Luisa Padova Presidente

dr. Marisa Gisella Nardo Consigliere rel

dr. Tito Ettore Preioni Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 2803/2018 R.G. promossa in grado d’appello

DA

FALLIMENTO AN. S.p.A. (C.F. (…)) – in persona del Curatore pro tempore – rappresentato e difeso dall’Avv. Ro.Ma. (C.F. (…)), presso il cui studio in Milano, Via (…), è elettivamente domiciliato;

APPELLANTE

CONTRO

ME. S.r.l. (C.F. (…)) – in persona del legale rappresentante pro tempore – FE.CR. (C.F. (…)) rappresentati e difesi dall’Avv. Gi.Ca., presso il cui studio in Milano, Via (…), sono elettivamente domiciliati;

APPELLATI

MA.CR. (C.F. (…))

APPELLATO CONTUMACE

OGGETTO: Azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c..

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione regolarmente notificato il Fallimento Al. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano i signori Ma.Cr. e Fe.Cr. e la Me. s.r.l. esponendo che:

– Con atto in data 30.03.2012 Ma.Cr. aveva ceduto a Me. s.r.l. il ramo di azienda costituito dall’esercizio bar ed al prezzo di Euro 260.000; con atto nella medesima data lo stesso Cr. aveva ceduto ad In. l’azienda corrente in Via (…) consistente in una rivendita di tabacchi;

– Il Fallimento, tuttavia, era creditore nei confronti del Cr. per l’importo di Euro 750.000, per il quale era stato costituito in pegno, in data 21.09.2009, a favore della società An. S.p.A. (all’epoca ancora in bonis) l’esercizio commerciale Bar e Tavola Fredda sito in Milano, Via (…), unica azienda della Impresa individuale, oltre che di rivendita di generi di monopolio;

– Sussistevano i presupposti per la dichiarazione di inefficacia degli atti di cessione e ciò in applicazione degli artt. 666 L. F. e 2901 c.c..

Ciò premesso il Fallimento Al. S.p.A. domandava che fosse condannato Ma.Cr. al pagamento dell’importo di Euro 750.000,00 e fossero dichiarati inefficaci nei confronti dei creditori sociali del fallimento gli atti dispositivi sopra indicati.

Si costituiva il convenuto Ma.Cr. contestando la validità del pegno stante la condotta omissiva e colposa da parte del Fallimento in relazione all’obbligo di conservazione ed escussione del pegno. In ogni caso il convenuto contestava la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di inefficacia ex art. 66 L. F. e 2901 c.c. e domandava il rigetto delle avversarie domande.

Si costituivano Me. s.r.l. ed In. contestando le pretese avversarie, domandando il rigetto delle domande contro di essi avanzate ed, in via subordinata e riconvenzionale, per il caso di accoglimento delle domande attrici, la condanna di Cr.Ma. a restituire quanto da esso percepito in relazione alle cessioni revocate, nonché al risarcimento degli ulteriori danni provocati.

Con sentenza n. 5365/2018 il Tribunale di Milano ha condannato Cr.Ma. a corrispondere al Fallimento An. S.p.A., condannando lo stessa Cr. al pagamento delle spese di lite sostenute dall’attore, a sua volta condannato a rifondere le spese di lite sostenute da Me. s.r.l. ed In..

Contro tale sentenza ha proposto appello il Fallimento An. S.p.A. domandando che, in riforma dell’impugnata sentenza, siano dichiarati inefficaci gli atti dispositivi effettuati dal Cr. a favore di Me. s.r.l. ed In..

Si sono costituite queste ultime due parti domandando, in via principale, la conferma della sentenza impugnata; in via subordinata e riconvenzionale riproponendo contro il Cr. le medesime domande proposte in primo grado.

Nessuno si è costituito per Cr.Ma. che, stante la regolarità della notifica, è stato dichiarato contumace.

All’udienza 10 ottobre 2019 le parti costituite hanno precisato le conclusioni come indicato in epigrafe ed, assegnati i termini per il deposito delle difese conclusive, la causa è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la sentenza impugnata il Giudice presso il Tribunale di Milano ha ritenuto la sussistenza della prova del credito vantato dal Fallimento nei confronti del Cr., disattendendo le argomentazioni difensive sul punto proposte da quest’ultimo e dagli altri convenuti, anche al fine di negare la sussistenza del presupposto legittimante l’esercizio dell’azione di inefficacia ex artt. 66 L. F. e 2901 c.c.. Il Tribunale, per quanto ancora di interesse in questo giudizio, ha negato che fosse dimostrata la scientia damni in capo ai beneficiari degli atti dispositivi così motivando:

“L’onere di provare la consapevolezza, nel terzo, del pregiudizio nascente dall’atto di disposizione a titolo oneroso a cui egli partecipa deve essere provato da chi agisce in giudizio (Corte d’Appello di Roma, Sez. II, 02/09/2010 n. 3364. Prova che nel caso de quo non è stata fornita.

Il Fallimento si è limitato ad affermare che i terzi Fe.Cr. S.r.l. non potevano non essere a conoscenza dell’esistenza del credito garantito dal pegno costituito sui beni oggetto degli atti di cessione oggi impugnati, in quanto il suddetto pegno risultava regolarmente iscritto presso la Camera di Commercio.

Invero, la trascrizione del pegno di azienda, nei registri camerali, è un’ipotesi non prevista da alcuna norma e non ha effetto né costitutivo né tantomeno dichiarativo/pubblicitario, anche solo accostabile alla trascrizione nei RR.II. degli atti relativi ai beni immobili (o nei registri specifici dei beni mobili registrati).

Tale elemento non può assolutamente assurgere a prova della scientia in capo ai terzi convenuti, ma anzi dagli atti di cessione regolarmente autenticati dal notaio Ruben Israel emerge:

– All’art. 5 che “la vendita viene effettuata senza il subentro nei crediti e nei debiti della parte venditrice”

– All’art. 7 che “la parte venditrice dichiara e garantisce che la compravendita del ramo d’azienda avviene senza sub ingresso nei debiti e nei crediti dell’azienda. A tal fine garantisce l’assoluta proprietà, nonché che lo stesso è esente da gravami, pesi, privilegi (…) e che per eventuali sopravvenienze passive di ogni genere risponderà in proprio provvedendo a manlevare la parte acquirente ove fosse chiamata a rispondere di eventuali passività”.

E’ evidente, dunque, come i terzi, a fronte delle dichiarazioni rese dal Sig. Ma.Cr., fossero ignari della costituzione del pegno”.

Il Fallimento An. S.p.A. censura questo punto della decisione sostenendo il contrasto logico-giuridico della parte motiva poiché – avendo il Giudice del Tribunale affermato che il pegno era stato regolarmente costituito e che lo spossessamento da parte del debitore è avvenuto per effetto della cessione dei canoni di locazione dell’azienda che, al tempo della costituzione del gravame, era conferita a terzi in locazione – la conclusione logica avrebbe dovuto essere nel senso della piena conoscenza della lesività dell’atto anche da parte dei terzi poiché della regolare costituzione del pegno era stata data notizia alla generalità dei terzi con la trascrizione dell’atto nel registro delle imprese.

Con un secondo motivo d’appello la stessa parte lamenta l’errata valutazione delle prove da parte del Giudice di primo grado poiché, indipendentemente dall’efficacia giuridica della trascrizione del pegno nel RR.II., ciò che rileva è che detta trascrizione vi fosse e fosse da chiunque rilevabile mediante una mera visura camerale che, nel caso di acquisto di un’azienda, non può non esserci.

Quanto alle dichiarazioni rese in sede di compravendita, l’appellante sottolinea che le stesse sono di provenienza del Cr., interessato all’alienazione e non è immaginabile che gli acquirenti non abbiano svolto accertamenti sull’azienda fidandosi acriticamente delle dichiarazioni della controparte.

La Corte ritiene fondato il motivo d’appello in esame.

In relazione alla scientia damni, si richiamano i seguenti, condivisibili, principi:

In tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato. (Cass. n. 27546/2014; v. anche Cass. 17327/2011; Cass. Ord. n. 16221/2019)

Nel caso di specie non possono esservi incertezze circa la conoscenza, da parte del Cr., del pregiudizio che, con gli atti dispositivi, arrecava alle ragioni della Al. S.p.A. (circostanza, peraltro, su cui non si appuntano le critiche degli appellati), avendo, con l’atto dispositivo, reso ben più difficoltoso il recupero del credito di cui era titolare. Va, inoltre, sottolineato che la sostituzione dei beni aziendali con denaro non può ritenersi riduttiva del pregiudizio conseguente agli atti dispositivi stante la volatilità del denaro, notoriamente più facilmente occultabile.

Non si condivide, poi, la motivazione del primo Giudice in merito alla mancanza di prova della scientia damni in capo ai terzi contraenti. Va sottolineato che, ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, è sufficiente, come per il disponente, la consapevolezza della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, né occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l’azione, invece richiesta qualora quest’ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito (Cass. 16825/2013).

Tale prova può desumersi, come si è già rimarcato, anche presuntivamente e, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, nel caso di specie sussistono elementi convergenti ed adeguati a far ritenere la conoscenza da parte degli appellati del pregiudizio che le cessioni di ramo di azienda e di azienda da parte del Cr. arrecava al patrimonio della creditrice.

La trascrizione del contratto di pegno nel Registro delle Imprese, pur non essendo richiesto ai fini della validità formale dell’atto e neppure ai fini della conoscenza dei terzi, consentiva certamente ai terzi di conoscere l’esistenza di una garanzia reale a carico della società, da cui era ovvio desumere l’esistenza di un’obbligazione a fondamento della garanzia.

L’annotazione del pegno, inoltre, specificava l’atto costitutivo, redatto per rogito notarile, consentendo, così, ai terzi di approfondire la vicenda e di conoscere il contenuto di tale atto, in cui era ben specificato che il pegno era costituito a “garanzia della Ricognizione di debito per la restituzione di Euro 750.000 dovuta alla AN. S.p.A. Qualsiasi terzo, e quindi anche gli acquirenti Me. ed In.Fe., mediante l’annotazione dell’atto costitutivo del pegno erano in grado di appurare, oltre che il vincolo che gravava sull’esercizio commerciale, il credito vantato da An. nei confronti del Cr.”.

Peraltro risulta davvero difficile ipotizzare che i cessionari dei rami di azienda dell’esercizio commerciale di cui era titolare il Cr., nel concludere un accordo non di scarso valore (si ricorda che le cessioni avevano come corrispettivo l’ammontare complessivo di 400.000,00 Euro) non si curassero, direttamente o tramite i professionisti da essi incaricati (tra cui il Notaio rogante) di verificare la solidità dell’azienda di cui acquistavano un ramo e non effettuassero, quanto meno, una visura camerale. Al contrario deve considerarsi del tutto presumibile che lo abbiano fatto e che siano venuti a conoscenza dell’obbligazione sottostante al contratto di pegno trascritto.

Quanto, poi, alle dichiarazioni rese dal Cr. in sede di rogito, le stesse non hanno alcun valore indiziario dell’ignoranza dei cessionari circa le obbligazioni del cedente (ed in particolare di quelle già dallo stesso pubblicizzate) trattandosi di dichiarazioni di parte e la cui attendibilità era smentita dai dati emergenti dalla visura camerale su cui, si ripete, negli usi commerciali, viene svolta la prima verifica sulla situazione di un’impresa.

Per queste ragioni, la Corte ritiene che il Giudice di primo grado abbia erroneamente ritenuto insussistente la scientia damni in capo ai cessionari Me. ed Invernizzi. Stante la fondatezza dell’appello, e non sussistendo appello incidentale in merito agli altri punti della sentenza che hanno ritenuto la fondatezza della pretesa di pagamento di Fallimento An. contro il Cr., nonché la sussistenza dell’eventus damni e della scientia damni in capo al debitore, la domanda di inefficacia degli atti di cessione deve essere accolta.

Gli appellati Me. ed Invernizzi, per il caso di accoglimento della domanda avversaria, hanno svolto nei confronti di Ma.Cr. domande riconvenzionali di regresso e risarcimento. Tuttavia il Cr. è rimasto contumace in questo grado di giudizio e non risulta che gli appellati costituiti abbiano provveduto a notificare la comparsa di costituzione e risposta contenente l’impugnazione incidentale. La conseguenza non può che essere, riguardando l’impugnazione incidentale domanda scindibile dalla pretesa principale, l’inammissibilità dell’appello incidentale condizionato (Cass. n. 19754/2014; Cass. n. 7769/2016).

Stante la fondatezza dell’appello deve essere riformata la sentenza anche con riguardo alle spese di primo grado di giudizio. Ferma restando la condanna del Cr. al pagamento di metà delle spese di lite sostenute da Fallimento An. (in considerazione dell’accoglimento della domanda di condanna del Cr. medesimo al pagamento dell’importo di Euro 750.000,00), le residue spese di primo grado di giudizio vanno poste a carico solidale di tutti gli appellati.

Le spese di secondo grado di giudizio sono poste tutte a carico solidale degli appellati, parti soccombenti, e si liquidano in dispositivo sulla base del valore della lite, delle questioni trattate e delle tariffe professionali vigenti.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello proposto contro la sentenza n. 5365/2018 del Giudice monocratico presso il Tribunale di Milano, in riforma della sentenza medesima e ferma la condanna di Ma.Cr. al pagamento della somma di Euro 750.000,00 a favore di Fallimento An. S.p.A. ed alla rifusione di metà delle spese di lite sostenute da Fallimento An. S.p.A., come liquidate, così dispone:

1) Dichiara l’inefficacia nei confronti dei creditori sociali del Fallimento An. S.p.A. dei seguenti atti:

A) Contratto di cessione di ramo di azienda, a rogito Notaio Ruben Israel del 30/03/2012, repertorio n. 19847, raccolta n. 6603, protocollo n. 2012-78381 del 11/04/2012 stipulato tra Ma.Cr. (Cod. Fisc. (…)), quale titolare dell’omonima impresa individuale, e Me. S.r.l. (Cod. Fisc. (…) iscrizione REA di Milano n. 1601273) con sede in Milano, Via (…), in persona dell’Amministratore Unico Sig. In.Fe.;

B) Contratto di cessione di azienda, per atto a rogito Notaio Ru.Is. del 30/03/2012, repertorio n. 19848, raccolta n. 6604, protocollo n. 2012-78457 del 11/04/2012 stipulato tra Sig. Ma.Cr. (Cod. Fisc. (…)), quale titolare dell’omonima impresa individuale e sig. In. (Cod. Fisc. (…)) domiciliato a Milano in Via (…);

2) condanna Cr.Ma., In. e Me. s.r.l., in via tra loro solidale, al pagamento a favore di Fallimento An. S.p.A. della residua metà delle spese del primo grado di giudizio, che liquida in Euro 13.246,30, oltre spese generali ed oneri di legge;

3) condanna Cr.Ma., In. e Me. s.r.l., in via tra loro solidale, al pagamento a favore di Fallimento An. S.p.A. delle spese di questo grado di giudizio, che liquida in Euro 13.560,00, oltre spese generali ed oneri di legge.

Così deciso in Milano il 15 gennaio 2020.

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.