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la condotta del reato di bancarotta impropria puo’ essere individuata anche nel contesto di una scissione che abbia prodotto un’eccessiva sottrazione di risorse della societa’ scissa; nella stessa occasione si sottolineava tuttavia come di quest’ultima circostanza debba essere rinvenuta una prova certa, idonea a superare la riconducibilita’ dell’operazione ad un’attivita’ societaria consentita dalla legge.
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Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente
Dott. ZAZA Carlo – rel. Consigliere
Dott. SCOTTI Umberto Luig – Consigliere
Dott. MORELLI Francesca – Consigliere
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 01/10/2015 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e i motivi aggiunti depositati dalla ricorrente;
udita la relazione svolta dal Consigliere ZAZA Carlo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza dell’1 ottobre 2015 con la quale la Corte di appello di Trieste, in riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Udine del 18 aprile 2012, con cui la stessa veniva assolta dalle imputazioni di bancarotta fraudolenta patrimoniale e causazione dolosa di fallimento per fatti commessi quale amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l., socia della (OMISSIS) s.r.l., quest’ultima dichiarata fallita in (OMISSIS), affermava invece la responsabilita’ della (OMISSIS).
Le imputazioni contestavano in particolare all’imputata la partecipazione ad un serie di operazioni societarie, ricostruite in base alle dichiarazioni del curatore ed agli accertamenti dei consulenti tecnici del pubblico ministero, con le quali il 20 dicembre 2005 la (OMISSIS) si scindeva dando vita alla (OMISSIS) s.r.l., composta dagli stessi soci, e trasferendo alla beneficiaria liquidita’ per Euro 1.930.000 e partecipazioni finanziarie in controllate per Euro 304.180, rimanendo in capo alla societa’ scissa, all’attivo, crediti verso clienti ed altre partecipazioni, ed al passivo debiti verso banche, fisco e fornitori; il 28 dicembre 2005 la (OMISSIS) acquistava l’intero pacchetto azionario della (OMISSIS) ad un prezzo di Euro 1.600.000, pari al doppio del valore contabile; ed in conclusione i soci si trovavano a detenere ancora la (OMISSIS) tramite la (OMISSIS), avendo pero’ incassato le disponibilita’ liquide trasferite alla seconda societa’ e dalla stessa versate loro per l’acquisto delle azioni, mentre la (OMISSIS) entrava in una situazione di crisi finanziaria che la portava al fallimento.
2. La ricorrente propone sette motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce nullita’ dell’ordinanza del 9 giugno 2015 con la quale la Corte di appello, ritenutane l’assoluta necessita’, disponeva l’esame del curatore, lamentando la mera apparenza della motivazione del provvedimento nell’assertivo riferimento all’assoluta necessita’ della prova e nella mancata determinazione dell’oggetto dell’escussione del teste, in effetti assunta con riguardo all’intera vicenda in violazione dei diritti della difesa rispetto alla scelta dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti con il rito abbreviato. Con motivo aggiunto la ricorrente deduce violazione di legge osservando che il sovvertimento della decisione assolutoria del Tribunale avrebbe richiesto la nuova escussione non del curatore, che non risulta in effetti aver assunto rilievo determinante nel percorso motivazionale della sentenza impugnata, ma semmai dei consulenti tecnici del pubblico ministero, le cui valutazioni erano state decisive ai fini dell’esclusione in primo grado del nesso causale fra la condotta e l’evento.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio motivazionale sull’indicazione del reato per il quale veniva affermata la responsabilita’ dell’imputato, osservando che tale indicazione, a fronte di un’imputazione riferita ai due reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta impropria, e’ incerta in un dispositivo con il quale l’imputata era dichiarata colpevole “del reato a lei ascritto”, e che dalla motivazione della sentenza impugnata e’ peraltro desumibile un’affermazione di responsabilita’ per il reato di bancarotta impropria, essendo detta motivazione di conseguenza carente con riguardo al reato di bancarotta fraudolenta ed al concorso fra i due reati.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza della condotta del reato di bancarotta impropria, premettendo che nella stessa sentenza impugnata si riteneva lecita l’operazione di scissione, ed osservando che il successivo acquisto del pacchetto azionario della (OMISSIS) non e’ rilevante, ai fini del reato contestato, in quanto effettuato da un soggetto diverso da quelli che amministravano la fallita e pertanto non qualificabile come atto di gestione di quest’ultima, e che tale operazione non determinava peraltro alcuna diminuzione del patrimonio della (OMISSIS) e non era funzionalmente collegata alla precedente scissione. Con motivo aggiunto la ricorrente deduce vizio motivazionale nella mancanza di una specifica confutazione delle argomentazioni della sentenza assolutoria di primo grado.
2.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza del rapporto causale fra la condotta e l’evento del reato di bancarotta impropria, lamentando l’omessa valutazione del rilevante intervallo temporale fra le operazioni contestate ed il fallimento e del permanere dell’equilibrio finanziario nella (OMISSIS) all’esito della scissione, e delle circostanze per le quali lo stesso curatore indicava quale concausa del dissesto il mancato incasso di un credito verso la (OMISSIS) ed evidenziava la solvibilita’ della (OMISSIS) fino al 2007, e il consulente della difesa rilevava la mancanza di un depauperamento della fallita a seguito della scissione. La ricorrente osserva inoltre che la ritenuta sussistenza di un concorso causale delle operazioni contestate nella determinazione del dissesto e’ esclusa dal carattere determinante dell’inerzia della fallita a partire dal 2006.
2.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di bancarotta impropria, lamentando l’apoditticita’ dell’affermazione sulla possibilita’ per i soci di rappresentarsi il verificarsi del dissesto a seguito della sottrazione della liquidita’ della fallita, l’omessa indicazione degli elementi in base ai quali la (OMISSIS), persona estranea alla societa’ fallita, avrebbe potuto cogliere il carattere doloso dell’operazione in un lecito atto di scissione, alla cui progettazione la stessa non aveva peraltro partecipato, e prevedere il dissesto, tenuto conto del tempo trascorso prima dello stesso, e la mancata valutazione dell’inserimento della scissione nell’attivita’ di un piu’ ampio gruppo societario, in conseguenza del quale la (OMISSIS) diveniva socio unico della fallita e quest’ultima poteva dunque beneficiare della solidita’ della prima.
2.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla configurabilita’ del concorso dell’imputata nel reato di bancarotta impropria, lamentando omessa motivazione sul contributo concorsuale della (OMISSIS), che non rivestiva alcuna carica amministrativa nella (OMISSIS), sulla rilevanza effettiva della partecipazione dell’imputata alle delibere quale rappresentante del socio (OMISSIS) e sulla consapevolezza della (OMISSIS) in ordine al pregiudizio per i creditori, necessaria per un concorrente estraneo. Con motivo aggiunto la ricorrente deduce vizio motivazionale nel riferimento della sentenza impugnata alla circostanza dell’avere l’imputata beneficiato delle operazioni contestate, indicativa della finalita’ perseguita e non di un concorso morale.
2.7. Con il settimo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale sulla determinazione della pena, denunciando l’illegittimita’ della valutazione a questi fini degli stessi elementi esaminati ai fini del giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche e l’omessa considerazione di ulteriori dati favorevoli all’imputata. Con motivo aggiunto la ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale nella valutazione dello stesso elemento dell’importo della somma trasferita alla (OMISSIS) ai fini sia della sussistenza dell’aggravante della rilevante entita’ del danno che della determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il motivo dedotto sull’eccepita nullita’ dell’ordinanza con la quale la Corte di appello disponeva l’esame del curatore e’ infondato.
Nessuna illegittimita’ e’ in primo luogo ravvisabile nella circostanza per la quale l’esame testimoniale del curatore nel giudizio di appello era disposto ed effettuato su temi di prova riguardanti l’intera vicenda contestata, alla quale si collega la censura del ricorrente sull’apoditticita’ della motivazione dell’ordinanza impugnata in quanto genericamente riferita ad una necessita’ probatoria di tale ampiezza. Nella lettura data dalla giurisprudenza di legittimita’, l’ordinamento processuale consente infatti al giudice di appello, nel procedimento svoltosi con il rito abbreviato, di disporre anche d’ufficio l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari ai fini della decisione; essendo fonte di tale potere la previsione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, che attribuisce direttamente al giudice dell’impugnazione facolta’ piu’ estese di quelle proprie del giudice di primo grado nel rito processuale di cui sopra (Sez. 5, n. 11908 del 23/11/2015, dep. 2016, Rallo, Rv. 266158; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258320). Ed in questa prospettiva risulta insussistente la lamentata violazione dei diritti della difesa rispetto alla scelta dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti, scelta che si inserisce consapevolmente in un sistema processuale che prevede, in caso di appello, la possibilita’ di un’integrazione probatoria a largo raggio sulla materia oggetto del processo.
Neppure e’ fondata l’affermazione della ricorrente per la quale l’integrazione probatoria nel giudizio abbreviato non potrebbe comunque toccare la ricostruzione del fatto. Le pronunce richiamate in tal senso nel ricorso (Sez. 3, n. 33939 del 16/06/2010, Anzaldo, Rv. 248229; Sez. 6, n. 45240 del 10/11/2005, Spagnoli, Rv. 233506) riguardano in primo luogo il giudizio abbreviato di primo grado, e sono quindi irrilevanti rispetto a quanto appena osservato in ordine alla diversa ampiezza dei poteri riconosciuti in merito al giudice dell’impugnazione. Ma, oltre a questo, tali decisioni sono superate dall’orientamento successivamente consolidatosi, per il quale gli unici limiti del potere del giudice di assumere nuove prove nel giudizio abbreviato, ai sensi dell’articolo 441 c.p.p., comma 5, si individuano nella necessita’ delle prove ai fini della decisione e nel divieto di percorrere temi di prova estranei allo stato degli atti, con la conseguente possibilita’ che, entro questi limiti, siano assunte prove integrative concernenti anche la ricostruzione storica del fatto e l’attribuibilita’ dello stesso all’imputato (Sez. 4, n. 34702 del 20/05/2015, Giorgi, Rv. 264407; Sez. 5, n. 10096 del 09/01/2015, Azzaro, Rv. 263456; Sez. 5, n. 49568 del 18/06/2014, EI Kihal, Rv. 261338; Sez. 3, n. 20237 del 07/02/2014, Casalati, Rv. 259644; Sez. 3, n. 12842 del 16/01/2013, Gambarini, Rv. 255109).
La stessa ricorrente, peraltro, ammette che il contenuto della nuova deposizione del curatore non assumeva rilievo centrale nell’argomentazione motivazionale della sentenza impugnata, essendo stato piuttosto utilizzato quale spunto per una diversa valutazione, rispetto alla decisione di primo grado, dei contributi dei consulenti tecnici. E su questa considerazione si innesta l’ulteriore doglianza proposta con i motivi aggiunti, relativa alla dedotta necessita’, che si lamenta essere stata disattesa dalla Corte territoriale, di disporre la rinnovazione dell’escussione dei consulenti ai fini del sovvertimento della pronuncia assolutoria di primo grado, secondo gli invocati principi recentemente affermati da questa Corte Suprema (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267488). Tali principi, tuttavia, impongono la rinnovazione istruttoria sul presupposto che la difforme decisione di condanna in grado di appello sia giustificata da un diverso apprezzamento dell’attendibilita’ di prove dichiarative. Condizione che, nella specie, non si e’ verificata, essendo la Corte di appello pervenuta alla sua decisione in base, come del resto si e’ detto in precedenza, ad una argomentata rivalutazione dei dati forniti dai consulenti, che non investiva in alcun modo l’attendibilita’ intrinseca delle dichiarazioni testimoniali degli stessi. Anche questa censura e’ pertanto infondata.
2. Il motivo dedotto sull’indicazione del reato, per il quale veniva affermata la responsabilita’ dell’imputato, e’ infondato.
Posto che l’originaria imputazione contestava all’imputata i fatti di cui in premessa nella prospettiva sia dell’ipotesi della bancarotta fraudolenta per distrazione che di quella della bancarotta impropria per causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose, e che con la sentenza di primo grado la (OMISSIS) era assolta da entrambe le imputazioni, la motivazione della sentenza impugnata esprimeva, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, una precisa opzione per la ritenuta responsabilita’ dell’imputata in ordine all’addebito di bancarotta impropria. E’ ben vero che in detta motivazione vi era un accenno all’eventuale ravvisabilita’, nell’operazione di scissione, di aspetti distrattivi; ma si trattava, per l’appunto, di non piu’ che un fugace richiamo a tale problematica, pertanto non approfondita e sostanzialmente superata dalle ulteriori considerazioni delle Corte territoriale. Con le quali, dato atto della formale liceita’ dell’operazione, si poneva in rilievo il suo risultato finale di sostanziale depauperamento della societa’ fallita, osservando specificamente che i passaggi dell’operazione stessa, valutati nel loro complesso, integravano una condotta determinativa del dissesto, e quindi il delitto di bancarotta impropria, in coerenza con il riferimento del dispositivo all’affermazione di responsabilita’ per un unico reato.
3. E’ invece fondato il motivo dedotto sulla sussistenza della condotta del reato di bancarotta impropria, in ordine al quale, per quanto detto al punto precedente, era ritenuta la responsabilita’ dell’imputata.
Con la sentenza impugnata si osservava che operazioni in se’ astrattamente lecite, in quanto riconducibili ad una scissione formalmente eseguita secondo le regole in materia, erano eseguite con modalita’ abusive, in quanto sostanzialmente pericolose per la solidita’ dell’impresa poi dichiarata fallita. In particolare, in un’ottica che abbracciava tali operazioni nel loro complesso, comprendente pertanto anche il successivo acquisto delle azioni da parte della (OMISSIS), doveva tenersi conto di quanto accertato dai consulenti tecnici sull’ingiustificata dimensione del prezzo, stabilito per tale acquisto in misura pari al doppio del valore delle azioni; e della conseguenza per la quale, all’esito di tutte le operazioni connesse alla scissione, tanto consentiva di fatto ai soci della (OMISSIS), che erano tali anche per la (OMISSIS), di incamerare liquidita’ precedentemente bloccata all’interno della (OMISSIS), in quanto non distribuibile ai soci stessi per mancanza di patrimonialita’ di quest’ultima societa’, mantenendo il controllo della (OMISSIS). Mentre il patrimonio della (OMISSIS) si riduceva ulteriormente, con effetti determinanti sul dissesto della stessa, nel momento in cui le disponibilita’ finanziarie e la maggior parte delle partecipazioni nelle controllate erano state trasferite con la scissione alla (OMISSIS), rimanendo alla (OMISSIS) una parte minoritaria delle partecipazioni e crediti verso clienti, a fronte di debiti verso l’erario, i fornitori e gli istituti di credito.
Orbene, e’ senza dubbio vero che le operazioni dolose rilevanti ai fini della configurabilita’ del contestato reato di bancarotta impropria, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, possono consistere in qualsiasi atto, o in una serie coordinata di atti, anche in se’ leciti, che si rivelino tuttavia in concreto pericolosi per la salute economica e finanziaria dell’impresa, in quanto produttivi di un depauperamento non giustificabile nell’interesse della stessa (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684; Sez. 5, 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492; Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013, dep. 2014, Beretta, Rv. 259997). Ed e’ vero altresi’ che conformemente a questa prospettiva generale, e come rilevato da questa Corte Suprema in una pronuncia formulata nell’ambito dello stesso procedimento in esame con l’annullamento della sentenza di proscioglimento emessa dal Giudice dell’udienza preliminare ai sensi dell’articolo 425 c.p.p., nei confronti di coimputati della (OMISSIS), la condotta del reato in esame puo’ essere individuata anche nel contesto di una scissione che abbia prodotto un’eccessiva sottrazione di risorse della societa’ scissa; nella stessa occasione si sottolineava tuttavia come di quest’ultima circostanza debba essere rinvenuta una prova certa, idonea a superare la riconducibilita’ dell’operazione ad un’attivita’ societaria consentita dalla legge (Sez. 5, n. 10201 del 18/01/2013, Marzona, Rv. 254788).
Tento conto di quest’ultima considerazione, la motivazione della sentenza risulta in primo luogo carente, nel mero richiamo alle dichiarazioni del relatore ed alle conclusioni dei consulenti, sulla prova dei presupposti fondamentali della ricostruzione dei fatti prospettata dalla Corte territoriale, ossia la provenienza della somma, corrisposta in pagamento delle azioni, dalla liquidita’ transitata con la scissione dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS), e la determinazione del valore delle azioni stessa nella meta’ del prezzo pagato per il loro acquisto.
In questa ricostruzione, inoltre, non viene superato il dato di fatto, segnalato dalla ricorrente, per il quale il pagamento di un prezzo ritenuto eccessivo per l’acquisto delle azioni implicava comunque l’uscita ingiustificata di risorse finanziarie dall’acquirente (OMISSIS), nella cui disponibilita’ dette risorse erano ormai lecitamente transitate per effetto della scissione, e non dalla fallita (OMISSIS), il cui dissesto costituirebbe l’evento del reato. Ne’ si rinviene nella sentenza impugnata alcun riferimento motivazionale alla fittizieta’ della scissione e, conseguentemente, del passaggio delle somme in esame nel patrimonio della (OMISSIS); dandosi atto al contrario, come piu’ volte rammentato, della regolarita’ della scissione stessa.
Nella stessa ricostruzione, infine, non risulta definita la condotta concorsuale attribuibile alla (OMISSIS), titolare, attraverso la carica amministrativa nella (OMISSIS), della mera posizione di socio della (OMISSIS) e della (OMISSIS).
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste, per nuovo esame sulle indicate carenze motivazionali; ai fini del quale potra’ meglio essere valutata la configurabilita’ giuridica delle ipotesi criminose contestate alla (OMISSIS), anche mediante eventuali approfondimenti istruttori sugli accertamenti dei consulenti tecnici.
Gli ulteriori motivi di ricorso sono assorbiti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.