la disciplina dettata dagli articoli 1592 e 1593 cod. civ. in terna di miglioramenti ed addizioni all’immobile apportate dal conduttore, non trova applicazione nell’affitto di azienda, per il quale non e’ previsto uno “ius tollendi” in capo all’affittuario al termine del rapporto; infatti, dal combinato disposto dell’articolo 2561 c.c., comma 4 e articolo 2562 cod. civ., emerge che la differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al n termine dell’affitto e’ regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali” (Cass. n. 10623 del 09/05/2007); e tuttavia e’ proprio la regolazione in denaro ad essere qui preclusa, stante la mancata inseribilita’ del cespite abusivo tra le consistenze incrementative di inventario.

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La Cessione d’azienda o ramo d’azienda

Contratto di Affitto di azienda

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 30 settembre 2015, n. 19534

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 341-2014 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

– intimati –

nonche’ da:

(OMISSIS) (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

– ricorrenti incidentali –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1561/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/04/2013 R.G.N. 3105/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/07/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Nel luglio 2001 (OMISSIS) (n. (OMISSIS)), in qualita’ di affittuario di un cinema-teatro sito in (OMISSIS), conveniva in giudizio, nella loro qualita’ di comproprietari del 90% dell’immobile aziendale, (OMISSIS) (n. (OMISSIS)), (E ALTRI OMISSIS)

I convenuti, costituitisi in giudizio (eccezion fatta per (OMISSIS) e (OMISSIS)), eccepivano che, in deroga alle norme suddette, le parti avevano nella specie previsto che tutte le consistenze di inventario dovessero rimanere, alla fine del rapporto, in capo alla parte concedente; formulavano inoltre domanda riconvenzionale di condanna dell’attore al pagamento della somma di lire 396.791.979, pari alla differenza di valore registrato dall’azienda all’inizio ed alla fine del rapporto.

In esito a consulenza tecnica d’ufficio, interveniva sentenza n. 93/10 con la quale il tribunale di Napoli, sezione distaccata

di Afragola, accoglieva la domanda dell’attore limitatamente all’importo di euro 45.036,00, oltre accessori; respingeva la domanda riconvenzionale.

Proposto appello principale dall’attore (OMISSIS) (in relazione al quantum) ed appello incidentale dai convenuti (in relazione alla qualificazione giuridica del contratto come affitto d’azienda, invece che locazione; nonche’ al quantum liquidato ed al rigetto della loro domanda riconvenzionale), interveniva sentenza n. 1561/13 con la quale la corte di appello di Napoli: – rigettava l’appello principale; – riduceva, in parziale accoglimento dell’appello incidentale, ad euro 5.258,84 l’importo dovuto all’attore a titolo di maggiori consistenze di inventario; compensava integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di merito, ponendo a carico degli appellati le spese della consulenza tecnica d’ufficio.

Avverso tale decisione (OMISSIS) (n. (OMISSIS)) propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso (OMISSIS) (n. (OMISSIS)) ed altri; i quali hanno anche proposto un motivo di ricorso incidentale. Questi ultimi hanno anche depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale il (OMISSIS) lamenta – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nella nuova formulazione di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito in Legge 134 del 2012) l’errore nel quale sarebbe incorso il giudice di merito nell’escludere dal suo credito i miglioramenti apportati nel tempo ad un corpo di fabbrica da lui edificato con funzione pertinenziale (camerini e servizi) del cinema-teatro; contrariamente a tale assunto, la natura abusiva del corpo di fabbrica, rilevata dal giudice di merito, non escludeva il suo credito, in quanto esso costituiva parte unitaria ed interdipendente del complesso aziendale ex articolo 2562 c.c., svolgendo altresi’ una funzione essenziale per l’espletamento dell’attivita’ economica.

Con il secondo motivo del ricorso principale il (OMISSIS) lamenta analoga violazione, sotto il profilo della mancata considerazione da parte del giudice di merito del fatto che l’esecuzione dei miglioramenti sul corpo fabbrica in questione era stata autorizzata, o comunque tacitamente assentita, dai concedenti (i quali avevano percepito i fitti relativi ad esso, acquisendone anche la proprieta’ per usucapione, con sentenza del tribunale di Napoli n. 42/11, in danno della societa’ che ancora risultava esserne la formale intestataria).

Con l’unico motivo di ricorso incidentale si lamenta – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli articoli 2561 e 2562 c.c., con riferimento agli articoli 1362 e 2909 c.c.; per avere la corte di appello erroneamente ritenuto che si fosse nella specie formato un giudicato esterno sulla qualificazione del contratto in termini di affitto di azienda, invece che di locazione ad uso commerciale. Quest’ultima qualificazione giuridica (implicante deroga al regime di cui agli articoli 2561-2562 cit.) risultava in realta’ dalla gia’ citata sentenza del tribunale di Napoli n. 42/11, la quale aveva attribuito all’immobile oggetto di usucapione una rilevanza distinta ed autonoma rispetto a tutte le altre dotazioni aziendali strumentali all’esercizio del cinema-teatro; inoltre, lo stesso contratto stipulato tra le parti richiamava espressamente (ci.6) la disciplina della locazione.

2. Ragioni logico-giuridiche depongono per la previa trattazione del ricorso incidentale, la cui censura pone in discussione la qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio in termini di affitto di azienda, come ritenuto dalla corte di appello, invece che di locazione. E’ infatti evidente che l’esatta qualificazione giuridica del rapporto costituisca l’imprescindibile dato di partenza della decisione; tanto che ad essa devono ritenersi condizionati i due motivi di ricorso principale i quali, nel richiamare l’applicabilita’ nella specie dell’articolo 2261 c.c., u.c. e articolo 2562 c.c., danno per scontato cio’ che i ricorrenti incidentali invece contestano; e cioe’ che si verta, nella specie, proprio di affitto di azienda.

Cio’ premesso, il ricorso incidentale e’ per piu’ versi inaccoglibile.

In primo luogo si osserva che la corte territoriale ha. chiaramente evidenziato le fonti del proprio convincimento in ordine alla formazione, tra le stesse parti in causa, di un giudicato esterno attestante la qualificazione giuridica del rapporto in oggetto in termini di affitto di azienda, e non di locazione. In particolare, sono state evidenziate (sent. pagg. 9-11) le seguenti sentenze definitive, tutte convergenti sullo stesso approdo: – tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, n. 850/00, dichiarativa della risoluzione al 31 dicembre 1998 del rapporto di affitto d’azienda tra le parti, con conseguente inapplicabilita’ ad esso, tra il resto, del disposto della Legge n. 392 del 1978, articolo 56 sulle modalita’ per il rilascio dell’immobile; – tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, n. 304/01 (confermata dalla corte di appello di Napoli con sentenza n. 3011/02), recettiva di tale qualificazione giuridica in sede di ritenuta inapplicabilita’ nella specie della Legge n. 392 del 1978, articolo 37 sulla successione nel contratto di locazione; – pretura circondariale di Napoli n. 194/97, di rigetto della domanda di adeguamento del canone locativo ai sensi della citata Legge n. 392 del 1978, vertendosi nella specie di affitto d’azienda. Ebbene, nessuna di queste sentenze (e nemmeno quella del tribunale di Napoli n. 42/11 che ad esse i ricorrenti incidentali oppongono ad asserita smentita della suddetta qualificazione giuridica) viene menzionata in ricorso quanto a termini, modalita’ e sedi della loro produzione in giudizio; cosi’ da rendersene immediata, per il vaglio di legittimita’ in questa sede, l’individuazione ed il reperimento all’interno dei fascicoli di parte. Questa sola circostanza inficia la presente censura, di per se’ attestante la carenza di autosufficienza del ricorso ex articolo 366 c.p.c., n. 6; principio, quest’ultimo, valevole anche nell’ipotesi in cui il documento richiamato in ricorso abbia natura giudiziale, e rilevi sotto il profilo della formazione di un giudicato esterno (SSUU n. 1416 del 27/01/2004; piu’ recentemente, Cass. n. 2617 del 11/02/2015).

In secondo luogo, la corte di appello ha dato congruamente conto (sent. pag. 11) del fatto che il giudicato esterno cosi’ formatosi non fosse suscettibile di trovare smentita nella citata sentenza del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, n. 42/11. Posto che quest’ultima si era limitata ad accertare l’acquisto per usucapione dei beni immobili oggetto di causa in pregiudizio della societa’ in capo alla quale i beni stessi risultavano ancora formalmente intestati, senza tuttavia che tale accertamento avesse in alcun modo reso necessaria od implicato la disamina della natura giuridica del contratto dedotto nel presente giudizio, richiamato in quella sede “solo incidentalmente, come elemento dal quale ricavare il compimento di atti di esercizio del possesso da parte di coloro che agivano in usucapione”. Ora – fermo restando che il convincimento circa la sussistenza di un giudicato esterno costituisce l’esito di una tipica attivita’ interpretativa del giudice e che, per altro verso, il giudicato puo’ formarsi, oltre che sull’accertamento dei fatti materiali, anche sulla qualificazione giuridica del rapporto: Cass. n. 18427 del 01/08/2013; Cass. n. 10053 del 24/04/2013; Cass. n. 14573 del 12/07/2005 – rileva in questa sede come il ragionamento della corte territoriale sia corretto nell’ escludere che la pronuncia di usucapione (relativa all’acquisto a titolo originario della proprieta’ su determinati beni immobili) possa di per se’ ingenerare esiti preclusivi di sorta sulla natura giuridica dei contratti aventi ad oggetto, non gia’ la proprieta’ di tali beni, ma unicamente la loro disponibilita’ e destinazione produttiva. Circostanze, queste ultime, prese infatti in esame dalla sentenza n. 42/11 solo in via incidentale (il che basterebbe di per se’ ad escluderne l’idoneita’ a costituire giudicato esterno nel presente giudizio) , ed allo scopo di individuare in capo ai disponenti la materialita’ di un possesso rilevante anch’esso agli esclusivi fini di provare l’usucapione (unico oggetto di quella domanda), non gia’ la qualificazione contrattuale del titolo di sfruttamento economico dei vari cespiti. Il limite intrinseco della censura qui in esame e’ del resto autoevidente, la’ dove proprio la considerazione unitaria ed atomistica’ dell’immobile al fine dell’accertamento dell’ usucapione esclude la ravvisabilita’ nella specie di una pronuncia preclusiva della qualificazione del contratto tra le parti in termini di affitto di azienda. Atteso che, ai fini dell’ usucapione, non rilevava cogliere l’interdipendenza funzionale, produttiva ed organizzativa dei beni immobili e mobili costituenti il compendio aziendale unitariamente dedotto nel presente giudizio. Sicche’ quella considerazione individualizzata della componente immobiliare di tale compendio non poteva dipendere da una qualsivoglia presa di posizione sulla’ natura di affitto aziendale o locativa della concessione in godimento dei beni, risultando invece imposta esclusivamente dalla natura di quell’azione; appunto esclusivamente mirata sull’accertamento dell’acquisto della proprieta’ del bene (indipendentemente dal fatto che di quest’ultimo gli attori avessero, nel tempo, disposto a favore di terzi in forza di un contratto di affitto di azienda, piuttosto che di locazione con pertinenze).

In terzo luogo va infine osservato che la sentenza qui impugnata ha respinto la tesi della natura locativa del rapporto -con conseguente inapplicabilita’ nella specie della clausola n. 6 del contratto, in quanto ritenuta incompatibile, sulla base di una valutazione insindacabile in sede di legittimita’, con l’effettiva e complessiva volonta’ negoziale delle parti nel dare vita ad un rapporto di affitto d’azienda – anche in forza di una ulteriore ratio decidendi, di per se’ in grado di autonomamente sorreggere la decisione. Ha infatti osservato la corte di appello (sent. pag. 11) che, indipendentemente dal giudicato esterno come sopra formatosi, la natura di affitto di azienda del rapporto in oggetto meritava di essere comunque affermata nel presente giudizio “alla luce della specificita’ del rapporto e del fatto che il godimento dei beni non riguardava unicamente gli immobili ed i beni mobili in essi contenuti, ma un complesso di beni, macchinari ed impianti suscettibili come tali, nella loro intima connessione e funzionalizzazione, di dare vita ad un’azienda”. Ebbene, tale autonoma ratio decidendi, incentrata sull’adozione di una interpretazione negoziale che ha correttamente valorizzato la considerazione dell’immobile non nella sua singolarita’, ma nella sua interdipendenza e funzionalita’ con tutte le altre componenti operative ed organizzative di un piu’ complesso organismo aziendale unitario ex articolo 2555 cod. civ., non e’ stata specificamente censurata nel ricorso incidentale; con conseguente sua idoneita’ a sorreggere la decisione qui impugnata, indipendentemente dalla fondatezza della diversa ratio basata sul giudicato esterno (Cass. n. 12372 del 24/05/2006; in termini: Cass. 16.8.06 n. 18170; Cass. 29.9.05 n. 19161 ed altre).

3. Venendo ai due motivi del ricorso principale – suscettibili di trattazione unitaria, in quanto entrambi basati, nella comune prospettiva dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e della violazione degli articoli 2561 u.c. e 2562 c.c. – se ne ritiene l’infondatezza sotto tutti i profili nei quali si articolano.

La corte di appello (sent. pag. 18-19) ha escluso il diritto dell’attore di ottenere il riconoscimento, a titolo di incremento aziendale, del credito relativo alla costruzione del corpo di fabbrica e, conseguentemente, anche dei miglioramenti interni a quest’ultimo. Cio’ sul presupposto prettamente fattuale – e qui non censurato, ne’ censurabile – del carattere abusivo della nuova costruzione, in quanto “avvenuta in assenza di concessione, e senza che nel corso degli anni sia stata avanzata una richiesta di condono”. Il carattere illecito dell’intervento determinava la permanente suscettibilita’ della costruzione “ad essere assoggettata al potere di repressione dell’abuso edilizio da parte della PA”; id est, ad essere fatta oggetto di ordine di demolizione.

La decisione della corte di appello deve ritenersi corretta, dal momento che la costruzione abusiva, proprio in quanto tale, non poteva determinare un incremento quantitativo o qualitativo suscettibile di rilevare quale consistenza di inventario ex articolo 2561 u.c.; costituendo anzi un peso per la parte concedente, alla quale veniva riconsegnato un complesso aziendale gravato da un cespite abusivo non piu’ sanabile e, in quanto tale, nemmeno valorizzabile in termini monetari, perche’ non commerciabile, ed anzi suscettibile di essere rimosso (in fattispecie analoga, e nel senso che le addizioni comportanti un deterioramento della cosa locata legittimino il locatore a chiedere il risarcimento del danno in forma specifica, mediante l’eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite: Cass. n. n. 6094 del 20/03/2006).

Ora, e’ vero che “la disciplina dettata dagli articoli 1592 e 1593 cod. civ. in terna di miglioramenti ed addizioni all’immobile apportate dal conduttore, non trova applicazione nell’affitto di azienda, per il quale non e’ previsto uno “ius tollendi” in capo all’affittuario al termine del rapporto; infatti, dal combinato disposto dell’articolo 2561 c.c., comma 4 e articolo 2562 cod. civ., emerge che la differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al n termine dell’affitto e’ regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali” (Cass. n. 10623 del 09/05/2007); e tuttavia e’ proprio la regolazione in denaro ad essere qui preclusa, stante la mancata inseribilita’ del cespite abusivo tra le consistenze incrementative di inventario.

Va d’altra parte considerato che, quand’anche si volesse richiamare in via analogica la disciplina propria della locazione, rientrano nella nozione di miglioramento ai sensi dell’articolo 1592 cod. civ. solo quelle opere che, con trasformazioni o sistemazioni diverse, apportano all’immobile un aumento di valore; accrescendone in modo durevole il godimento, la produttivita’ e la redditivita’, senza presentare una propria individualita’ rispetto al bene in cui vanno ad incorporarsi (Cass. n. 13070 del 14/07/2004). La’ dove, nel caso di specie, il giudice di merito ha radicalmente escluso (sulla scorta dell’accertamento di ctu) che tanto il manufatto abusivo in se’ considerato, quanto i miglioramenti ad esso apportati negli anni, abbiano potuto arrecare qualsivoglia aumento di valore al complesso aziendale, al quale il corpo di fabbrica accede a titolo meramente precario.

Ne’, venendo con cio’ alla seconda doglianza, la sentenza in esame merita censura nella parte in cui non avrebbe considerato (per il controvalore addizionale del manufatto abusivo, cosi come per i miglioramenti di esso asseritamente arrecati dall’affittuario) il consenso, ovvero l’autorizzazione, alla edificazione da parte dei concedenti l’azienda.

Lungi da costituire omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, la corte territoriale ha dato puntualmente conto del fatto che tale edificazione era appunto avvenuta “in assenza di una previa autorizzazione da parte dei concedenti” (sent. pag. 19); ne’, in analogia con quanto costantemente affermato in materia di miglioramenti all’immobile locato ex articolo 1592 c.c., siffatto consenso poteva essere implicito, ovvero desumersi da atti di tolleranza, “dovendosi concretare in una chiara ed inequivoca manifestazione di volonta’, volta ad approvare le eseguite innovazioni; cosi’ che la mera consapevolezza (o la mancata opposizione) del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta dell’indennizzo” (Cass. n. 2494 del 30/01/2009; in termini Cass. n. 5541 del 05/04/2012).

Sicche’ la mancata considerazione da parte della corte territoriale degli asseriti comportamenti di implicito consenso all’edificazione abusiva da parte dei concedenti l’azienda, non puo’ integrare l’ipotesi lamentata di omesso esame circa un fatto decisivo della causa; proprio perche’, al contrario di quanto asserito dal ricorrente, di per se’ ininfluenti ai fini decisori.

Ne segue il rigetto tanto del ricorso principale quanto di quello incidentale; con conseguente compensazione delle spese di lite.

Deve trovare qui applicazione, a carico della parte ricorrente principale e di quella incidentale (ove inizialmente tenuta al versamento), il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione. Disposizione in base alla quale il giudice dell’impugnazione e’ tenuto, pronunziando il provvedimento che definisce l’impugnazione, a dare atto – senza delibazione discrezionale alcuna – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilita’ o improcedibilita’ dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del medesimo articolo 13, comma 1 bis.

La soluzione si impone – vertendosi, appunto, di dichiarazione vincolata e non discrezionale, per giunta relativa ad un’attribuzione patrimoniale intercorrente non tra le parti in causa, ma tra la parte impugnante soccombente e l’amministrazione statale in ragione dei costi di organizzazione e prestazione del servizio giudiziario – a prescindere dalla regolazione delle spese di lite da parte del giudice ex articoli 91 e 92 c.p.c. (Cass. n. 10306 del 13/05/2014; Cass. n. 5955 del 14/03/2014); e, dunque, anche nell’ipotesi (come la presente) di ritenuta compensazione.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso principale e quello incidentale;

compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione;

v.to il Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla Legge n. 228 del 2012;

da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente principale e di quella incidentale (ove inizialmente tenuta al versamento), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.