la clausola penale mira a determinare preventivamente il risarcimento dei danni soltanto in relazione all’ ipotesi pattuita, che puo’ consistere nel ritardo o nell’inadempimento; ove sia stata stipulata per il semplice ritardo e si sia verificato l’inadempimento, essa non e’ operante nei confronti di questo secondo evento (v. Cass. n. 5828-84, Cass. n. 23706-09; Cass. n. 23291-14); il tribunale ha stabilito che la clausola in questione era stata appunto convenuta per il mero ritardo nell’adempimento;

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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 7 settembre 2017, n. 20884

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11176/2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in R (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore del fallimento Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MACERATA, depositato il 04/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/04/2017 dal Cons. Dott. FRANCESCO TERRUSI.

RILEVATO IN FATTO

che:

il giudice delegato al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. respinse la domanda di (OMISSIS) tesa a ottenere (per quanto qui rileva) l’ammissione allo stato passivo di un credito di circa Euro 63.000,00, al chirografo, a titolo di danni da inadempimento di un appalto avente a oggetto la ristrutturazione e l’adeguamento sismico di un fabbricato;

il danno era stato quantificato in applicazione di una clausola penale, posto che l’opera appaltata avrebbe dovuto essere ultimata e consegnata entro la data del 30-8-2011;

il giudice delegato aveva eccepito che non risultava la prova del protrarsi dei lavori oltre il termine stabilito visto che le raccomandate a mano, allegate dalla parte, non erano munite di data certa e visto che non risultava la costituzione in mora della societa’;

la creditrice propose opposizione ai sensi della L. Fall., articolo 98, evidenziando che il contegno inadempiente della societa’ aveva autorizzato la risoluzione anticipata del contratto ai sensi dell’articolo 14 del medesimo e quindi consentito di determinare il danno in base, appunto, alla clausola penale (articolo 13);

il Tribunale di Macerata, con decreto in data 4-4-2014, ha rigettato l’opposizione sulla scorta di due rilievi: da un lato osservando che il presupposto del pagamento della penale era nella specie costituito dall’adempimento tardivo, a fronte della deduzione della creditrice di essersi avvalsa della clausola implicante la risoluzione del contratto (articolo 14); dall’altro ponendo in dubbio che la volonta’ delle parti fosse stata nel senso di prevedere un termine essenziale per l’adempimento, atteso che la parte attrice si era si’ doluta del rallentamento nell’esecuzione dei lavori, ma aveva continuato ad avvalersi dell’operato della ditta esecutrice pur dopo il “cambio di denominazione e intestazione”;

la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi, illustrati da memoria, coi quali deduce nell’ordine: (1) l’omesso esame del fatto decisivo rappresentato dall’obiettivo inutile decorso del tempo che aveva imposto la risoluzione del contratto, rispetto alla messa in discussione della certezza della data di ricevimento della comunicazione allegata al ricorso per insinuazione; (2) la violazione e falsa applicazione degli articoli 1382 e 1383 c.c., anche in esito all’errata e distorta interpretazione degli articoli 11, 13 e 14 del contratto di appalto; (3) la violazione e falsa applicazione degli articoli 1453 e 1454 c.c., stante la mancata valutazione dell’inadempimento contrattuale come base della domanda risarcitoria; (4) la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1457 c.c., in ordine alla funzione del termine essenziale ai fini della risoluzione di diritto del contratto;

la curatela ha replicato con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

il primo motivo e’ inammissibile essendo calibrato sulla decisione del giudice delegato: non risulta in verita’ specificato, in base all’illustrazione del mezzo, quale sarebbe il “fatto storico decisivo” (v. Cass. Sez. U n. 8053-14) oggetto di omesso esame a opera del tribunale;

il secondo motivo e’ in parte inammissibile e in parte comunque infondato;

la clausola penale mira a determinare preventivamente il risarcimento dei danni soltanto in relazione all’ ipotesi pattuita, che puo’ consistere nel ritardo o nell’inadempimento;

ove sia stata stipulata per il semplice ritardo e si sia verificato l’inadempimento, essa non e’ operante nei confronti di questo secondo evento (v. Cass. n. 5828-84, Cass. n. 23706-09; Cass. n. 23291-14); il tribunale ha stabilito che la clausola in questione era stata appunto convenuta per il mero ritardo nell’adempimento;

tale ricostruzione, avente base nell’interpretazione del contratto, non e’ incisa dalla doglianza di parte ricorrente, poiche’ l’interpretazione delle clausole contrattuali e’ sindacabile, in sede di legittimita’, solo per illogicita’ o difetto di motivazione o per violazione dei canoni ermeneutici previsti dal codice civile; mentre la doglianza non denunzia alcuna violazione di tal genere, ma si limita a prospettare una diversa interpretazione delle clausole nel loro complesso, a fronte dell’astratto principio – inconferente rispetto all’accertamento di merito – per cui gli articoli 1382 e 1383 c.c., non escludono che la penale, stipulata per il ritardo, possa cumularsi col risarcimento del danno da inadempimento in ipotesi di risoluzione del contratto;

in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimita’ nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e segg.; cosicche’ la ricorrente avrebbe dovuto far valere una violazione sotto i due richiamati profili, non solo facendo esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate, ovvero ai principi in esse contenuti, cosa che non e’ stata fatta, ma anche precisando in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si fosse discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li avesse applicati sulla base di argomentazioni illogiche, certamente non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimita’ (cfr. Cass. n. 13242-10; Cass. n. 17717-11; Cass. n. 17168-12);

il terzo e il quarto motivo sono inammissibili per difetto di interesse: invero la decisione del tribunale, assunta sul versante dell’interpretazione della clausola penale siccome in concreto stipulata per il semplice ritardo, e’ in tal senso basata su un’autonoma ratio; e codesta si palesa comunque destinata a rimanere integra all’esito del rigetto dei secondo motivo, essendo dedotto dalla stessa ricorrente che l’insinuazione era stata fatta parametrando il danno all’entita’ economica derivante dall’applicazione della clausola (“di Euro 300,00 su una base di calcolo di 210 giorni”: v. ricorso pag. 8);

deve esser fatta applicazione del principio per cui, non introducendo il ricorso un terzo grado di giudizio, tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, ma caratterizzandosi come un rimedio impugnatorio a critica vincolata e a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (v. Cass. Sez. U., n. 7931-13), deriva che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte e autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, e’ necessario – per giungere alla cassazione della pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, altrimenti non potendosi realizzare lo scopo stesso dell’impugnazione (per tutte Cass. Sez. U n. 36-07);

il ricorso e’ rigettato;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.