Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 16 aprile 2007, n. 9093

Ai sensi dell’art.1131 secondo comma cod. civ., la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio a resistere in giudizio, esclusiva o concorrente con quella dei condomini, non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio; in tal caso, l’amministratore ha il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all’assemblea, con la conseguenza che la sua presenza in giudizio esclude la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 16 aprile 2007, n. 9093

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Rafaele CORONA – Presidente

Dott. Vincenzo COLARUSSO – Rel. Consigliere

Dott. Salvatore BOGNANNI – Consigliere

Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO – Consigliere

Dott. Umberto GOLDONI – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:No.Gl., Fi.Ma., Fo.Lu., Me. Ma.Ca., Pr.Br., elettivamente domiciliati in Ro. P.ZZA Ca., presso la CORTE di CASSAZIONE, difesi dall’avvocato Vi.Na., giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

Ro.An., elettivamente domiciliata in Ro. P.ZZA Ca., presso la CORTE di CASSAZIONE difesa dall’avvocato Gi.Be., giusta delega in atti;

– controricorrente –

nonché contro

COND. Ga. Via Ar. (…) Ra., An.Ma.Vi. Ba.Lu.;

– Intimati –

avverso la sentenza n. 434 della Corte d’Appello di GENOVA, depositata il 30/04/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/03/07 dal Consigliere Dott. Vincenzo COLARUSSO;

udito l’Avvocato Be.Gi., difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Giovanni RUSSO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 22.7.1999 il condominio Ga. di Via Ar. (…), in Ra. ed altri cinque condomini convennero innanzi al Tribunale di Chiavari la condomina Ro.An. per sentir dichiarare che la stessa non era titolare di nessun diritto reale e/o personale sul locale caldaia condominiale, cui si accedeva attraverso il giardino della convenuta, con la condanna della stessa al pagamento di una indennità per l’abusiva occupazione del locale medesimo.

La convenuta si costituì sostenendo che il locale in questione non era condominiale essendo gravato solo da una servitù a favore del condominio per il funzionamento della centrale termica e che, in ogni caso, ella lo aveva usucapito.

Il Tribunale dichiarò che la Ro. non era proprietaria del locale né aveva su di esso alcun diritto personale.

La Corte di Appello di Genova, sulla impugnazione della Ro., con sentenza 30.4.2003, in riforma di quella del Tribunale, ha respinto le domande degli attori.

La Corte ligure ha rilevato che, in base al tenore dell’atto notarile di acquisto di tal So., dante causa della Ro., al locale caldaia, originariamente abusivo, “esistente nel giardinetto” di esclusiva proprietà di costei, potevano eccedere solo gli addetti al servizio di riscaldamento ed al funzionamento della caldaia, così che il titolo escludeva la presunzione di cui all’art. 1117 c.c., emergendo dall’atto predetto l’esistenza di una servitù a favore del condominio la cui utilitas era ormai venuta meno essendosi i condomini dotati di impianti di riscaldamento singoli.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione Fo.Lu., Me.Ma.Ca., Pr.Br., No.Gl., Fi.Ma. con tre motivi. Resiste con controricorso Ro.An.

Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati (An., Be. e condominio). Le parti hanno presentato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La difesa della Ro.An. deduce, nella memoria, la ricorrenza, nella presente causa del litisconsorzio necessario tra tutti i condomini in conseguenza della proposizione da parte sua dell’eccezione riconvenzionale fondata sulla proprietà esclusiva del bene oggetto della controversia.

L’eccezione va disattesa. Nella presente causa, sin dal primo grado, è stato in giudizio il Condominio rappresentato dal suo amministratore e – per giurisprudenza consolidata – è noto che “ai sensi dell’art. 1131 c. 2 c.c., la legittimazione dell’amministratore a resistere in giudizio, esclusiva o concorrente con quella dei singoli condomini, non incontra limiti dal lato passivo, anche rispetto alle azioni di natura reale rivolte contro il condominio e concernenti le parti comuni dell’edificio, avendo in tali casi l’amministratore il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente nei suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all’assemblea (cfr., per tutte, Cass. 7544/95; Cass. 12204/97; Cass. 735/95). La presenza in giudizio dell’amministratore, esclude, dunque, la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti di tutti i condomini” (Cass. 5117/00; Cass. 1485/96).

2. Deve pregiudizialmente rilevarsi l’inammissibilità del ricorso proposto da Me.Ma.Ca., Pr.Br. e Fi.Ma. Costoro non hanno partecipato al giudizio di appello né a quello di primo grado e non si qualificano condomini né altrimenti successori di alcuna delle parti in causa. Resta quindi da esaminare il ricorso di Fo.Lu. e No.Gl.

3.a. Col primo motivo si denunzia violazione dell’art. 1117 art. 1117 c.c. Si assume che dalla frase riportata nell’atto notarile risulta (va) evidente che al So. (dante causa Ro.) non era stato ceduto il locale caldaia che era al servizio di tutti in condomini. Lo stesso locale, peraltro, non era posto nel giardinetto di proprietà Ro. ma nel corpo dell’edificio e che solo l’accesso era dato attraverso il giardinetto. La stessa Ro. non aveva mai sostenuto che il locale sorgesse nel giardinetto. L’atto notarile attestava solo l’esistenza della servitù di passo per l’accesso alla caldaia ma non vi era prova che questo fosse di proprietà della Ro., sulla quale gravava l’onere di vincere la presunzione di condominialità di cui all’art. 1117, derivante alla concreta destinazione de bene.

3.b. Col secondo mezzo si denunzia vizio di motivazione su punto decisivo della controversia.

Dagli atti di causa – ed in particolare dalla pratica di condono edilizio – risulta (va) che il locale caldaia era stato ricavato piano terra ed all’interno dei muri perimetrali; la dedotta usucapione da parte della Ro. contraddiceva la tesi della proprietà originaria. Il condono, inoltre, poi era stato chiesto dal Condominio.

3.c. Col terzo mezzo si denunzia vizio di motivazione e violazione di legge. La sentenza, con motivazione insufficiente e contraddittoria, aveva riconosciuto l’esistenza di una servitù a favore del condominio in violazione dell’art. 112 c.c., aggiungendo poi che la servitù era “cessata per volontà dei condomini” che si erano dotati di impianti singoli, senza tener conto che per il venire meno della servitù in caso di cessazione della utilitas occorre il decorso di un ventennio a norma degli artt. 1073 e 1074 c.c.

4. I tre motivi, essendo tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

5. Essi sono fondati nei limiti che appresso si diranno.

6. La Corte d Appello ha inferito, dal tenore dell’atto notarile, l’esistenza di un diritto di servitù a favore del condominio, escludendo, così, la proprietà. Ma il semplice dato dell’esistenza della servitù di passo sul giardinetto a favore del condominio per accedere alla caldaia non è elemento avente portata tale da far escludere, per incompatibilità logica, la proprietà della caldaia in capo al condominio, che, anzi, ben poteva sussistere in virtù della funzione del bene e della destinazione di esso al servizio dell’intero edificio, che non viene posta in contestazione, essendo pacifico che nel locale funzionava (a suo tempo) l’impianto termico.

La Corte di merito, inoltre, ha omesso di chiarire quale fosse l’esatta ubicazione del vano caldaia (se, cioè, questo fosse edificato sull’area del giardinetto privato ovvero se fosse incorporato nella fabbrica condominiale), così, tralasciando un elemento avente portata decisiva in ordine alla opposte pretese delle parti, essendo evidente che se il locale caldaia non insiste sulla spazio del giardinetto, l’argomento precedente, connesso alla natura ed alla funzione del bene in contestazione, assume (rebbe) rilevanza ancora maggiore a favore dell’assunto prospettato dagli attori anche in considerazione del fatto che la Ro., non facendosi questione, nella sentenza impugnata, della dedotta usucapione, non specifica a quale (altro) titolo possa vantare la proprietà della caldaia.

Allo stesso modo la Corte territoriale non ha chiarito da chi frisse stato edificato il vano caldaia né, al riguardo, ha dato il giusto valore sintomatico alla richiesta di condono.

7. Sussistono, dunque, sia il vizio di motivazione che la dedotta violazione dell’art. 1117 c.c. a proposito del quale il Collegio rileva che la Corte di Appello avrebbe dovuto attenersi al seguente principio di diritto. “Nel condominio degli edifici affinché possa ravvisarsi il diritto di condominio su un determinato bene, un impianto o un servizio comune, è necessario che sussista una relazione di accessorietà tra questi e l’edificio in comunione ed un collegamento funzionale tra i primi e le unità immobiliari di proprietà singola (Cass. 15791/2003). In mancanza di una specifica previsione contraria del titolo costitutivo, la destinazione all’uso e al godimento comune di taluni servizi, beni o parti dell’edificio comune, risultante da dati obiettivi, e cioè, dall’attitudine funzionale del bene al servizio dell’edificio, considerato nella sua unità, e al godimento collettivo, ne fa presumere la condominialità a prescindere dal fatto che il bene sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini o solo da taluni di essi. Sicché, quando il bene, per le sua obiettive caratteristiche funzionali e strutturali, serva al godimento delle parti singole dell’edificio comune, opera la presunzione di contitolarità necessaria di tutti in condomini cui il bene serve, laddove la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. non sia vinta da un titolo contrario, la cui esistenza deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la proprietà esclusiva sul bene, potendosi a tal fine, utilizzare il titolo – salvo che si tratti di acquisto a titolo originario – solo ove da esso si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione”, (cfr. Cass. 2001 cit.; Cass. 7 giugno 1988, n. 3862).

8. La Corte distrettuale, nel decidere la presente controversia, non ha tenuto presente il principio ora enunciato ed ha escluso il diritto di condominio sul bene in contestazione per il solo fatto – non dirimente, come si è detto – che il condominio vantava una servitù di passaggio sul giardinetto della Ro. per accedere al locale caldaia, senza indagare sulla ubicazione del bene, sulla (pregressa) funzione assolta dalla caldaia, sulla destinazione di essa al servizio dell’edificio, considerato nella sua unità ed al godimento collettivo (Cass. 25.10.2006 n. 20783) ed, infine, senza accertare l’esistenza di un titolo atto a superare la presunzione di cui all’art. 1117 c.c.

9. Non è condivisibile la doglianza, contenuta nel terzo motivo, che la Corte di Appello abbia riconosciuto al condominio un diritto di servitù non richiesto, così incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.c. Il discorso sulla servitù, invero, è stato fatto dalla Corte di Appello non tanto per attribuire al condominio il relativo diritto (poi ritenendolo estinto) ma – per quel che s’è già detto – come argomento logico per escludere la condominialità del vano caldaia.

10. Il giudice di rinvio – che si individua in altra sezione della Corte di Appello di Genova – dovrà accertare l’ubicazione e la funzione (pregressa) del bene in contestazione, spiegare con motivazione logicamente più congrua, le ragioni per cui il diritto di servitù vantato dal condominio sul giardinetto di proprietà individuale escluda (eventualmente), in mancanza di un titolo contrario, la condominialità del bene in contestazione e, in ogni caso, decidere la causa attenendosi ai principi di diritto enunciati da questa Corte in ordine alla esatta interpretazione dell’art. 1117 c.c.

11. Il governo delle spese del presente giudizio è rimesso al giudice di rinvio (art. 385 c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di Me.Ma.Ca., Pr.Br. e Fi.Ma.; accoglie per quanto di ragione il ricorso di Fo.Lu. e No.Gl.; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Genova.

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Avv. Umberto Davide

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